Sabato 18 Maggio 2008 TAVOLA ROTONDA Seconda Parte

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1 Sabato 18 Maggio 2008 TAVOLA ROTONDA Seconda Parte Claudio Renzetti Passiamo alla seconda domanda: 2. L AMA soffre per uno scarso riconoscimento da parte delle Istituzioni. Esso spesso viene connotato come supporto episodico e marginale, ed inoltre ha una scarsa visibilità pubblica. Nell era del tramonto del welfare state, cosa possono fare i decisori delle politiche pubbliche, cosa può fare chi si occupa delle formazioni e cosa possono fare i responsabili dei servizi alla persona per valorizzare e sostenere i percorsi di AMA? Massimo Cecchi Coordinamento Nazionale Auto Aiuto Rispondere a questa domanda per me non è particolarmente difficile, perché la mia risposta rispecchierà quello che ho provato a fare negli ultimi 23 anni del mio lavoro, me lo ha ricordato prima l intervento di Barcucci. La cosa, secondo me, primaria, intanto, è conoscere i gruppi di autoaiuto, farli conoscere e farsi conoscere dai membri dei gruppi. Il mondo dei professionisti è abituato, e penso al mondo dei medici in particolare, ad avere qualcuno, un informatore sanitario, che gli spiega come funziona la molecola presente in un farmaco, così che il professionista poi possa prescriverla ai suoi pazienti conoscendone gli effetti. Sembra paradossale, ma dobbiamo fare la stessa cosa per l auto-aiuto. Fare conoscere ai colleghi che tipo di farmaco, che tipo di risposta straordinaria, come risorsa sanitaria, è l auto-aiuto. Quindi i momenti e le modalità per farlo conoscere sono quelli che sappiamo, ovvero: partecipare a momenti comuni organizzati dai Servizi e/o dalle associazioni di auto-aiuto, quest ultima cosa spesso non facile. Un esempio, quando io propongo ai colleghi dei Servizi di partecipare ad una riunione aperta, la sera, di Alcolisti Anonimi, mi rispondono: No, non possiamo, siamo fuori orario di servizio! In realtà per conoscere alcune situazioni bisogna, appunto integrarsi, partecipare con un senso di reciprocità. Utilizzare quindi i momenti comuni, offerti dalle riunioni, dai momenti d incontro e di formazione, sono queste le occasioni nelle quali noi professionisti possiamo offrire anche la nostra consulenza. Un altro aspetto è costituito dall invio delle persone ai gruppi, però, ricordiamoci che per mandare le persone in un gruppo bisogna conoscere quel gruppo, la sua filosofia, le modalità di lavoro, gli orari, altrimenti si rischia di dare soltanto un indirizzo e un numero di telefono, che poi rimane li, inutilizzato. Per valorizzare e sostenere i percorsi di auto-aiuto si può aiutare i gruppi a costituirsi. Pensiamo quanto può essere importante aiutare un gruppo a trovare una sede. Vedo questo come uno dei problemi fondamentali della mia città, che è Firenze, cioè trovare delle sedi dove i gruppi possano incontrarsi. Io ricevo sempre richieste da parte di associazioni che mi dicono: Aiutami a far si che quel quartiere, quella parrocchia, quella ASL mi possa dare una sede dove stare. Sembra banale, ma una sede vuol dire essere identificato. Per le persone che vanno ai gruppi sapere che quel giorno a quell ora ci sono persone che si occupano del loro problema e gli dedicano del tempo, è molto importante. Questa è una richiesta rivolta non solo ai colleghi dei Servizi, ma anche agli amministratori. Bisogna riuscire ad offrire un posto dove le persone possano trovarsi. Mi viene risposto spesso dai nostri assessori, che non si possono dare strutture fisse, ma i gruppi non vogliono strutture fisse, vogliono situazioni in con-proprietà, per così dire, in cui, a turno, tra le associazioni, si possa usufruire di spazi certi. Inoltre si può aiutarli a stampare il loro materiale informativo. L auto-aiuto deve trovare spazio nei piani di zona, nelle politiche riguardanti la salute ed il sociale. Bisogna far conoscere l auto-aiuto e promuoverlo nella comunità scientifica. Questo è uno dei compiti che sto portando avanti con la mia Azienda. La promozione dell auto-aiuto nei confronti delle ASL deve essere effettuata dai gruppi con noi professionisti, perché un collega che non conosce queste realtà vuole saper da un altro professionista se questo strumento funziona, perché le Istituzioni e i professionisti non fanno beneficenza, seguono logiche di economia e vogliono essere sicuri che uno strumento, come un gruppo, funzioni e li aiuti nel loro operare, anzi

2 li sollevi di un pò del loro lavoro, e così ne tragga vantaggio il paziente e il professionista stesso. Quindi il compito di noi professionisti nelle nostre Aziende e Regioni, è far capire ai colleghi che l utilizzo dei gruppi è come adoperare un buon farmaco che funziona e li aiuta nel loro lavoro. Ne consegue così che l operatore che conosce i gruppi e ne apprezza l operato, invia i suoi pazienti e aiuta lo sviluppo della rete dei gruppi di auto-aiuto, delle associazioni, li rende così più visibili e fruibili dalla popolazione, fa loro un ottima pubblicità anche presso i nostri amministratori e politici in modo che sviluppino politiche favorevoli all auto-aiuto. Questa è una cosa che i gruppi sono in difficoltà a farsi da soli perché, come dicevamo ieri con gli amici dei dodici passi, i gruppi lavorano per attrazione, non per pubblicità. E l attrazione è l esperienza straordinaria che le persone trovano nei gruppi che li aiuta a superare i propri disagi, o quantomeno ad affrontarli. Noi quindi dobbiamo farli conoscere e dargli visibilità, che in questo mondo attuale, sembra sia diventata una parola chiave per gli esseri umani. E un compito che dobbiamo portare avanti noi professionisti. L ultima cosa che potremmo fare per i gruppi, sarebbe farne parte. L ho lasciata per ultima perché la ritengo una scelta individuale. Molti operatori non condividono il disagio dei loro pazienti/utenti, ma possono scegliere di partecipare, nei gruppi che lo consentono, come facilitatori, operatori, ecc. Poi in realtà in fatto di non avere un disagio, sappiamo essere qualcosa di relativo, ieri nel mio gruppo, si diceva che siamo tutti familiari di qualcuno in disagio o lo siamo noi direttamente o lo saremo. Un giorno, in realtà, potremo far parte di un gruppo come membri. Credo che chiunque di noi si sia trovato in un momento della propria vita, se proviene dall auto-aiuto, ad avere bisogno di aiuto e quindi a rivolgersi ai gruppi come utente e l auto-aiuto gli ha dato le risposte che i servizi non davano, almeno completamente. Quindi concludo dicendo: conoscerli partecipando, farli conoscere, aiutarli a svilupparsi promovendo politiche, progetti che li comprendano e favoriscano, ciascuno con la propria modalità per farlo legata alla funzione svolta, ruolo, sensibilità. Annalisa Sala Assistente Sociale, Direttore Consorzio Intercomunale I.R.I.S - Biella Non so cosa possano fare i responsabili dei servizi e delle politiche pubbliche per riconoscere l AMA, ma posso raccontare cosa è avvenuto nell esperienza del Consorzio IRIS, proprio perché credo che ogni realtà locale debba tener conto di quello che c è in quel momento, e che le occasioni che nascono in un contesto non sempre sono ripetibili in un altro. Alcuni processi possono costituire delle buone prassi, ma sicuramente la nostra esperienza ha una serie di peculiarità che valgono sul qui ed ora. Intanto ha la peculiarità di essere nata dall alto e non dal basso, quindi in controtendenza rispetto a quello che avrebbe dovuto essere. Dunque da dove nasce la nostra esperienza? Da un incontro di interessi neanche molto programmato Io faccio il direttore del Consorzio da un po di anni, avevo un mio interesse sull AMA, mi sembrava un opportunità, quindi in una riunione con famigliari di disabili -organizzata per affrontare altri temi-, butto questa sollecitazione con gli strumenti di conoscenza di questo argomento che io avevo, cioè molto poche, (era un interesse mio, avevo leggiucchiato qualcosa). Nella sala cade un silenzio terrificante, e così credo di aver sbagliato proprio tutto..andiamo avanti con il nostro ordine del giorno, ma alla fine della riunione mi avvicina un famigliare e mi dice: Guarda, questa cosa qui dell AMA sarebbe molto interessante, perché io vado settimanalmente a Milano per partecipare ad un gruppo di auto mutuo aiuto. Ho pensato a quel punto che il biellese non si smentiva: gente dura -di cui io sono un esemplare-, fa fatica a mettersi in gioco, non esplicita di aver altri bisogni rispetto a quelli cui i servizi tradizionali cercano di rispondere.. Ho pensato che la condivisone fosse un bisogno, quindi mi sono convinta che potesse anche essere un opportunità. Questo momento dove ci ha portato? Ho preparato una breve scaletta per descrivervi il percorso che ci porta al punto in cui siamo, e cioè ad avere, in sei/sette anni, coinvolto circa 120 persone che si sono alternate nei gruppi; attualmente abbiamo 9 gruppi attivi su tematiche differenziate (genitori di disabili, adozioni, affidi, genitori di adolescenti, genitorialità difficile), per un totale di circa 60 partecipanti al momento a questi gruppi. E stato un percorso faticoso e complesso, intorno al quale con periodicità si deve affrontare il problema della distinzione dei ruoli, e quindi del senso della presenza dell istituzione in questo

3 processo e nello stabilirne i confini di competenza, con il ruolo e le competenze dell azione di cittadinanza attiva e del volontariato. E una questione in continuo studio e discussione Come abbiamo fatto? Siamo partiti noi Consorzio, come istituzione, con un azione di sensibilizzazione sulla tematica dell auto mutuo aiuto, abbiamo fatto una serie di serate rivolte a quella fascia di popolazione a noi più conosciuta come Servizi, e che potevano avere un interesse ad una materia di questo tipo, ovvero famiglie affidatarie e famigliari di disabili. Siamo partiti con questa sensibilizzazione, e parallelamente abbiamo reperito la disponibilità di operatori sociosanitari a frequentare un corso per facilitatori. Sono nati in questo modo i primi gruppi, e questo ha dato luogo a due azioni: primo alla costituzione di due nuove Associazioni a livello locale, che si sono fatte carico anche della promozione dell auto aiuto ed alla partecipazione del Consorzio ai lavori con il Comitato per il Coordinamento Regionale dell AMA; secondo alla mappatura locale di quelle che erano le esperienze di auto aiuto anche in ambito sanitario (specialmente oncologico e psichiatrico) che sapevamo esistere. Come Istituzione le abbiamo riunite intorno ad un tavolo cercando di condividere un modello. Un modello inteso come identità e come una metodologia che potesse essere d aiuto, anche per la lettura del bisogno. La costituzione di nuove Associazioni ha favorito la nostra collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato, si sono messe insieme le risorse economiche, perché sappiamo bene tutti che le istituzioni fanno i conti quotidianamente col centesimo, e quindi abbiamo cercato di fare sinergia: il centro servizi ha organizzato con noi altre azioni di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza allargata, e in quelle occasioni abbiamo distribuito un questionario per raccogliere eventuali nuovi interessi ed esigenze. Da queste azioni è stato rilevato l interesse a partecipare a gruppi sulla genitorialità, quindi: sono nati gruppi per genitori di figli adolescenti, gruppi per famiglie adottive, e ultimamente gruppi per famiglie che hanno problemi di genitorialità in senso lato, problemi legati al vivere il processo di genitorialità attraversando problematiche specifiche. Nel corso di questo processo il gruppo di facilitatori, facilitatori che hanno un contratto di collaborazione con il Consorzio, doveva strutturarsi, diventare formalmente il gruppo tecnico di riferimento per il Consorzio. E quindi abbiamo inventato un luogo anche fisico che si chiama L AMATAVOLO, che ha promosso la connessione delle esperienze AMA anche a livello provinciale. Quindi questo ora è il luogo, insieme al Gruppo Motore, che si è costituito al Centro Servizi Volontariato e che ha un suo protocollo di intenti, (sottoscritto da 10 associazioni locali, e le tre istituzioni socio-sanitarie che si occupano della cura alla persona, e cioè i due consorzi della provincia e l azienda sanitaria), che è diventato il punto di riferimento per il CAMAP. Questa è la nostra storia. Storia che si è evoluta ed è arrivata a questo punto anche grazie alla grande passione con cui i nostri facilitatori hanno portato avanti questo discorso, e non posso che ringraziarli pubblicamente, perché se oggi siamo qui è perché si sono messi in gioco veramente molto e ci hanno creduto tantissimo; abbiamo bisogno che continuino a crederci perché vogliamo continuare questo percorso. Angela Migliasso Assessore al Welfare C è una frase nella domanda che io non condivido, o meglio, su cui bisognerebbe fare almeno tre giorni di dibattito, che è il tramonto del welfare. Se fossimo a questo punto, io non sarei qui stamattina e me ne sarei stata con la mia mamma che ha 87 anni e una demenza lieve etc,etc. Con questo intendo dire che abbiamo bisogno di passione politica, di credere, ed io ci credo, che sia possibile, anche a stato delle risorse non in crescita esponenziale, innovare e trasformare profondamente il welfare. C è bisogno naturalmente di un grande dibattito che dovrebbe, spero, svilupparsi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi nel modo più ampio e aperto possibile, in relazione non soltanto a piccoli spezzoni di intervento che, ovviamente, non risolvono i problemi, ma anche alle grandi questioni che stiamo vivendo e che vivremo nei prossimi decenni. Una questione rilevante è il fatto che in questo paese non si facciano figli, o se ne facciano molto pochi per una serie di ragioni che adesso è inutile indagare ma tra cui spicca la scarsa fiducia nelle prospettive future. Perché, quindi, fare figli?

4 Cosa fanno la politica e le istituzioni, la società civile per capire cosa succede all interno del vasto comparto welfare? Definiamo, però, cosa intendiamo con welfare. Con questo termine mediamente intendiamo sanità e assistenza (servizi sociali) e tralasciamo, invece, di riflettere sul sistema previdenziale e pensionistico, caratteristica del nostro welfare, che richiede molte risorse ma spesso non restituisce benessere. E, questa, una riflessione doverosa e credo vada condotta con molto coraggio, molta passione politica e molta determinazione. So di potervi fare quest appello perché parlo a persone che si mettono in gioco quotidianamente e non accettano, neanche per un attimo, l idea che siamo al tramonto del welfare e, quindi, cosa si può fare? Come sostituiamo le prestazioni costose che verranno meno? <<Con il volontariato>> ci viene risposto, a volte, altre <<con le associazioni>> e qualche volta <<con l auto mutuo aiuto>>? Smentiremmo tutto quello che, penso, sia nella testa di ciascuno di voi e che avete dibattuto in questi due giorni e mezzo, se ci limitassimo a questo. Che cosa possono fare le istituzioni? E vero che i gruppi di auto mutuo aiuto sono sottovalutati rispetto ai grandi gruppi di volontariato organizzati in modo tradizionale, più riconoscibile, e dunque più premiabile. Voi siete meno organizzati, meno strutturati, meno riconoscibili, e dunque meno premiabili. Questo accade anche per motivi molto semplici. C è, ad esempio, chi sottolineava - e anche Annalisa Sala per altri versi -, la questione delle sedi, sembra qualcosa di irrilevante, ma io la ritengo molto importante. Perché la sede, a quel punto, non diventa solo il luogo dove io posso esercitare le mie attività, ma è anche il riconoscimento formale da parte delle istituzioni: esse riconoscono, così, che ci sei, che la tua funzione è utile e importante, e questo è rilevantissimo dal punto di vista psicologico, oltre che pratico per i gruppi, e per chi li conduce. Penso che si possa formalizzare la partecipazione dei gruppi AMA in tutti quegli atti ad indirizzo di tipo non solo sanitario ma anche sociale in cui si andrà a compiere il riconoscimento della presenza e della loro partecipazione ai vari tavoli di programmazione concertata soprattutto partecipando a dibattiti come questo ma anche promuovendone la cultura attraverso enti come la Regione che, pur non essendo un ente di gestione, svolge compiti di programmazione, di erogazione di risorse, di controllo e quant altro. Credo che tra questi sia importantissimo anche il fare cultura dei servizi. In questi 3 anni, durante i quali mi sono occupata di queste tematiche, abbiamo cercato di rilanciare la cultura dei servizi attraverso momenti specifici e d incontro molto importanti, attraverso convegni nazionali e locali che hanno visto la partecipazione di centinaia e centinaia di persone. Credo che promuovere la cultura e non solo la conoscenza dei gruppi di auto mutuo aiuto, sarebbe importantissimo perché essi valorizzano le potenzialità delle persone, il loro protagonismo (sia che si tratti di familiari, sia che siano essi stessi oggetti della cura da parte dei professionisti) s impegnano per far sì che le persone non vengano considerate un problema ma una risorsa e, in ogni caso, non solo oggetto della cura - che pure deve essere data -, laddove l aiuto del professionista si rivela utile ed indispensabile. Questo non significa che dobbiamo trasformarci in terapeuti specializzati, soprattutto nei casi in cui debbano essere erogate le prestazioni professionali. La cultura dei gruppi vede le persone come protagoniste di un percorso, di un pezzo più o meno lungo della vita delle persone. Ci sono delle persone portatrici di un evento che porta ad una conclusione più o meno rapida del percorso (ad esempio il decesso della persona) ma quel che conta è, comunque, quanto le si fa diventare protagoniste, come le si aiuta, come ci si prende cura di loro e come esse, attraverso l aiuto degli altri, diventano protagonisti di questo evento naturale che conclude la vita delle persone oppure porta alla guarigione. E diverso il discorso per quanto riguarda le malattie a decorso cronicizzante ma, tuttavia, sappiamo (anzi, possiamo e dobbiamo!) ritrovare la capacità di far diventare queste persone - almeno in parte fin dove è possibile -, protagoniste del loro destino e del loro percorso di riabilitazione.

5 Questo è straordinariamente importante, e lo è ancora di più in un contesto sociale come quello in cui viviamo, in cui gli esseri umani tendono ad essere considerati oggetti, non più persone: si diventa di volta in volta utenti, consumatori, o qualsiasi altro aggettivo sostantivante, ma la realtà è che si continua a rimanere persone che possiedono tutto ciò che consente di definirsi tali e quindi, in un qualche modo, protagonisti e co-decisori del proprio destino, del proprio percorso di cura: è questo il un messaggio culturale forte che dobbiamo mandare alla società. Credo che in questo carichi le istituzioni, non solo quella regionale, di una grossa responsabilità. Non solo la cultura del fare molta pratica seppur molto utile e molto bella, ma anche la cultura del dire, del mandare questo messaggio culturale forte e importante, difficile da trasmettere ma che bisogna continuare, per quanto possibile, a diffondere con grande pazienza e con grande determinazione. Claudio Renzetti Voglio fare una precisazione, altrimenti si genera un equivoco che rischia di creare malumore. Io sono responsabile della frase tramonto del welfare state. Ritengo che siamo di fronte al tramonto del sistema di protezione della persona affidata esclusivamente e principalmente allo stato. Questo significa che siamo passati in un'altra era, quella che io chiamo il welfare mix. Faccio un esempio telegrafico: insieme al Dott. Pirfo e al Dott. Mierolo sto seguendo un progetto molto interessante, molto sperimentale, da costruire in itinere. E un progetto si sostegno legale e psicologico alle vittime di violenze. Bene, in questo progetto ci sono una serie di attori; uno degli attori è l ente locale, la provincia e il comune, poi ci sono i servizi di salute mentale e il volontariato. Bene, il soggetto che finanzia questo progetto è una grande fondazione bancaria, un ente privato che va a integrare in questo caso in maniera decisiva - le risorse pubbliche. Questo io lo chiamo welfare mix. Inoltre penso che le esperienze di auto mutuo aiuto non sono altro che una delle tante espressioni di questa complementarietà, del Mix di cui abbiamo necessariamente bisogno, nel nostra caso è un combinazione di risorse tra servizi pubblici e il di volontariato, soggetti che si mettono in gioco a vario titolo ma con gli stessi scopi. Barbara Bruschi Università degli Studi di Torino Ovviamente mi ricollego a quel che ho detto prima relativamente alla formazione, però da un altro punto di vista, cioè quello della conoscenza. In due situazioni differenti si è parlato dell importanza della conoscenza e del far conoscere. Noi generalmente, come università, abbiamo proprio questo compito, il far conoscere cose diverse. Ed è su questo che noi possiamo impegnarci, rispetto alla diffusione, rispetto alla conoscenza da parte dei nostri operatori dei gruppi di auto mutuo aiuto. Faccio specifico riferimento agli operatori, in quanto faccio parte di due corsi di studio che hanno come obiettivo proprio quello di formare degli operatori del sociale, e cioè gli educatori sociosanitari e gli educatori socio-culturali. Quello che noi possiamo fare è portare in università le testimonianze. Per noi spesso è difficile creare il collegamento con il territorio e le realtà che operano sul territorio, e la strada principale attraverso cui lo possiamo fare, è quello di portare delle testimonianze all interno delle nostre aule per far conoscere. Il far conoscere può avere declinazioni diverse: può andare nello specifico, ma anche semplicemente il mettere in condivisione una realtà che caratterizza il territorio, e parte dei servizi. Dall altra parte c è la questione della didattica più specifica sui gruppi: nei nostri corsi di studio si lavora molto sul lavoro di gruppo, sul gruppo come risorsa. In questa sede stiamo parlando proprio dei gruppi di auto mutuo aiuto come di una risorsa; all interno dei contesti universitari usiamo il gruppo sia come strategia formativa, sia come tema e argomento didattico. Altra risorsa a nostra disposizione sono le tesi di ricerca, e qui porto un esperienza personale. Un mese fa si è laureata una studentessa con una tesi relativa all attività di interazione tra un gruppo di auto mutuo aiuto composto da genitori di ragazzi gravemente disabili, e le istituzioni per la costruzione di una comunità, una casa atta ad ospitare questi ragazzi nel dopo. Questa struttura è stata proprio chiamata LA CASA DEL DOPO. E stato interessante seguire questo percorso cercando non solo di mettere insieme le due realtà, ma soprattutto di leggerle da diversi punti di vista, cioè di capirle e di conoscerle.

6 Un altra possibilità, un po più difficile riguarda i tirocini. Tutti i nostri operatori, nel percorso formativo, sono obbligati ad un monte ore piuttosto ampio di tirocinio. Le difficoltà di far incontrare gli obiettivi dei tirocini con le esigenze dei gruppi di auto mutuo aiuto consiste nel fatto che i tirocini richiedono un intensa attività di coordinamento da parte di professionisti del sociale (prevalentemente educatori già in servizio sul territorio) mentre i gruppi per la loro stessa natura non prevedono la presenza in questi termini di professionisti. Tuttavia, a Torino abbiamo attivato due forme di interazione con realtà di questo tipo nell ambito della psichiatria, e siamo riusciti a organizzare due tirocini di grande interesse, cercando di ritagliare un percorso particolare all interno di queste realtà. L ultimo aspetto che possiamo considerare riguarda una missione fondamentale dell università, ovvero diffondere una cultura della relazione. La cultura della relazione può significare tante cose diverse, sta a noi cercare di offrire un ventaglio di significati a quello che è la relazione di aiuto. Come abbiamo detto ci sono delle strade già tracciate, che sono quelle più istituzionali, ma c è tutta la cultura della relazione relativa ad altre forme, magari meno note, meno tradizionali, meno istituzionalizzate, che però devono e possono passare attraverso i canali della formazione, attraverso quello che è comunque un luogo di cultura, di conoscenza e di diffusione di un certo modo di sapere, di operare ed interagire. Penso che queste siano le uniche strade che noi possiamo percorrere, e mi sembra già un terreno piuttosto ampio di intervento. Patrizia Clemente Responsabile Fondazione Ruffini ONLUS di Ivrea Intanto constatiamo che tutte le istituzioni sono ben disposte nei confronti dell auto mutuo aiuto. L assessore provinciale Salvatore Rao parlava di formazione, abbiamo avuto conferme rispetto il discorso dei piani di zona dall assessore regionale Migliasso. Nelle parole di Annalisa Sala emerge, secondo me, una cosa molto importante, e che in realtà capita spesso, che sia poi in qualche modo l ente pubblico che legge un bisogno e sostiene il movimento nella sua nascita e i gruppi, piuttosto che durante la formazione, ecc. Questo è importantissimo perché crea la possibilità di un dialogo e di una contaminazione reciproca sul piano proprio dell operatività. L aspetto più importante, è proprio sul piano della formazione, perché si tende sempre a distinguere il piano professionale dal piano dell auto mutuo aiuto. In realtà, se noi stiamo al professionale inteso come elemento intellettivo di competenza, i gruppi non solo devono avere questo aspetto di professionalità e competenza, e ognuna delle persone che lo compongono vogliono essere più competenti, ma poi diffondono nella comunità questa competenza, perché la coltivano, la mettono a disposizione, la condividono per farla crescere e farla diventare anche una forma non solo di promozione del gruppo, ma anche di prevenzione di problemi che ci sono, e che possono essere in qualche modo anche affrontati con mezzi diversi; non un diventare una professione certamente, ma inteso in senso intellettivo, cioè nel ridistribuire competenze e sostenerle. In questo è fondamentale che si creino delle prassi, perché vanno bene le disponibilità, sono sicura che sia Rao che Migliasso credono in queste cose, ma occorre che ci siano delle prassi condivise. Prima quasi tutti abbiamo citato i piani di zona, siamo nel secondo triennio, e sapete bene tutti che nel primo triennio il lavoro è stato fatto sul piano quantitativo relativamente ai bisogni e alle risorse presenti sul territorio; nel secondo triennio, io immagino, si lavorerà anche di più sul piano qualitativo di queste risorse. Allora diventa importante il riconoscimento reciproco e la collaborazione, perché sul piano della qualità, secondo me, anche i gruppi hanno moltissimo da dire, ma sempre in un ottica armonica di collaborazione, non di contrapposizione. In qualche zona i gruppi fanno paura perché vengono intesi come una forma di rivendicazione (in sala stanno dicendo che se i gruppi funzionano c è anche la rivendicazione) si è vero, ma non è fine a se stessa, cioè non è contrapporsi e basta, è un cercare di costruire meglio, e quindi l incontro con l altro è anche l istituzione, è fatta su quella base li. Prima parlavo di prassi perché per quei gruppi che invece vogliono essere più presenti, e hanno maturato la forza interna di costituirsi, ad es. in associazione, quindi sono organizzati e potrebbero fare le convenzioni col pubblico, diventa un problema iscriversi al registro regionale del volontariato in quanto sono una forma particolare. Io la contesto, perché secondo me il gruppo, è vero che nasce da bisogni - e poi come dicevano prima

7 siamo tutti perlomeno famigliari di qualcuno che ha un problema -, però non è fine a se stesso, è sempre una proiezione verso l esterno. Una volta si diceva che i gruppi si moltiplicano, si diffondono e fanno conoscere il loro lavoro, e questo fatto è importante perché consente a tutte le persone che vogliono entrarvi di farvi parte; poi è anche un modo per fare politica in fondo, politica intendo nel senso alto del termine, che è quello di essere partecipi, non solo al proprio problema, ma anche a quello della comunità. Per noi quindi è importante anche darci delle prassi, darci la possibilità di essere presenti riconosciuti attraverso, non solo la sensibilità di alcuni direttori dei consorzi, ma proprio come dice la legge 1, cioè in maniera diffusa dappertutto. Paolo Fausto Barcucci In attesa di revisione da parte del relatore Nara Velluto Facilitatrice AMA, Consiglio direttivo C.A.M.A.P. Mi riallaccio all intervento di Annalisa Sala e continuo il suo discorso, e ve lo faccio dalla parte in cui sto io, e cioè quella del volontariato. E nato a Biella il tavolo provinciale IL MOTORE DEL GRUPPO che raggruppa appunto un certo numero di associazioni di volontariato piccole come la mia, ma anche grandi come il Fondo Edo Tempia, i due consorzi e l agenzia sanitaria locale. Questo tavolo si è formato proprio dall intuizione, dall idea di Annalisa Sala. Io invece sono nata perché sono stata invitata a far parte a questo tavolo, quando ancora noi non eravamo neanche un associazione, ma eravamo un gruppo spontaneo. Adesso sono tre anni e più che lavoriamo insieme, certo all inizio non è stato semplice, abbiamo avuto delle difficoltà, però comunque adesso stiamo facendo un bel lavoro di collaborazione tra di noi e adesso siamo proiettati sulla promozione, sul farci conoscere, far conoscere quel che c è sul territorio di gruppi di auto mutuo aiuto, e ce ne sono tantissimi, però poco conosciuti. Quel che è molto bello, è che sino adesso tra di noi non c è competizione. Le associazioni di volontariato hanno i loro gruppi e le istituzioni hanno i loro, almeno io non lo sento personalmente, e credo che nessuno dei partecipanti lo senta, di essere considerati in serie B, piuttosto che in serie A. Invece ho sentito, anche in questi giorni, da qualche contatto personale che c è questa sofferenza un pochino, parlo del volontariato che si sente un po sottovalutato rispetto ai gruppi così detti istituzionali, o col conduttore che è un esperto. Comunque il tavolo ha, alla fine, un grosso supporto del centro servizi del volontariato. Cioè le istituzioni in questo caso hanno avuto l idea e ci mettono le persone, che secondo me investono tantissimo a livello personale, sia dal punto di vista di energia e di tempo, di voglia di fare, ma basta, perché poi tutto il resto arriva dal centro servizi del volontariato. Il resto, che sono i soldi per fare le cose in pratica, vengono dal volontariato, attualmente è così, e guai se non ci fosse, altrimenti avremmo fatto ben poco sino adesso. Quindi il volontariato ha un peso che deve essere maggiormente riconosciuto, anche perché anche la formazione viene fatta dal volontariato Elvezio Pirfo Medico Psichiatra La maggior parte dei finanziamenti erogati dagli enti in genere sono orientati all acquisto di strutture, all acquisto di cose rigide, di contenitori, mi si passi il brutto termine, mentre invece forse uno spazio sempre più moderno e sempre più utile sarebbe lavorare tutti insieme a quello che è l accreditamento dei percorsi, dove quindi non c è più un problema del legame dei finanziamenti alle strutture ma ai risultati che bisogna raggiungere: in sintesi quindi ci si aspetterebbe dai decisori politici, un forte impegno anche verso l auto mutuo aiuto. Io condivido pienamente quel che ha detto l assessore Migliasso nel suo primo intervento. Qui non si tratta di formalizzare l auto mutuo aiuto, perché appena lo si formalizza ne si declina evidentemente la scomparsa. Il problema però è che è sempre più importante all interno dei percorsi del prendersi cura, che anche istanze che non abbiano quelle caratteristiche strutturali possano essere garantite. Quindi al di là del problema che le risorse sono diminuite, quello che si può chiedere ai decisori politici è di prendere in considerazione sempre di più, e con sempre maggior fermezza questo aspetto. Perché uso il termine fermezza? Perché se non c è una fermezza legislativa e normativa, l interpretazione funzionariale poi tende a posizionarsi sulla valutazione delle strutture perché è più facile valutarle, e quindi è meno complicato dire come funziona una struttura rispetto ad un percorso. La strada non può che essere quella con un elemento su cui è necessario compiere una riflessione collettiva: negli Stati Uniti

8 calcolano che tra venticinque anni tutti i finanziamenti della sanità e dei servizi socio-assistenziali saranno utilizzati solo per la popolazione anziana malata. Nel senso che, con i sistemi attuali di finanziamento, i soldi automaticamente si spostano su quel tipo di popolazione, per cui sarà necessario che si prendano delle decisioni su chi deve essere curato, e quante risorse economiche debbono essere attribuite a questi percorsi di cura, visto che i finanziamenti non basteranno per tutti. Le ultime leggi lo dimostrano, il problema è però che non ci sono solo gli anziani non autosufficienti, ci sono moltissime altre categorie, immagino i bambini tanto per cominciare, e ai decisori politici io chiederei non solo un ragionamento sull accreditamento dei percorsi, ma un ragionamento sulla distribuzione delle risorse rispetto a questi percorsi.

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