Tre volte Beethoven per la primavera della Fenice

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1 Tre volte Beethoven per la primavera della Fenice di Chiara Squarcina Il monarca assoluto per quanto riguarda l intendimento, la percezione e la scansione del tempo musicale è, indiscutibilmente,. Era quindi comprensibile che la sua preoccupazione, aggravata dalla diffidenza causata dalla sordità, non condividesse l uso che della musica pote- va ricavare la categoria dei concertisti professionisti, cui la cattiva pratica delle gare e delle emulazioni esibizionistiche aveva finito per sostituire alla naturalzza artigiana del Settecento una capricciosa routine di saltimbanchi e gladiatori strumentali. A questi «pagliacci», come li definiva Beethoven, con il violino in mano, e a questi «leoni» della tastiera il nostro compositore preferiva di gran lunga la salda struttura mentale dei suoi nobili allievi dilettanti come la baronessa Erdmann e l Arciduca Rodolfo, in cui la poten- za dei mezzi tecnici si univa alla sobrietà dei gusti non inquinati dal professionismo commerciale. A loro aveva un senso offrire prescrizioni rigorose perché era sicuro che le avrebbero rispettate. Mendelssohn, ventunenne, durante il suo soggiorno a Milano e la visi- In aprile in programma anche le Varianti per violino solo, archi e legni di Luigi Nono, interpretate da Roberto Baraldi Luigi Nono 28 ta all imperiale e regio comandante della Piazza, barone Erdmann, sentirà dalla baronessa che tutto era fedelmente ricordato e rispettato. Quest ultima urgenza di precisazioni avrà dunque una quantità di motivi, non ultimo quello che, per essere lo stile ormai adulto e qua e là senescente, la musica non sempre nasceva con quel suggello inconfondibile del tempo giusto, riconoscibile come per un hegeliano «lega- me sottile, visibile all occhio dello spirito» nelle caratteristiche profonde del pezzo. Eppure c è ancora qualcosa di più. Con un ruolo simile a quello svolto da Michelangelo anche Beethoven porta lo stile all estrema maturità e ne delle sue li- perfeziol unità e la continuità del ritmo, inscindibili dalla rigorosa coerenza della modulazione. Le forme dello stile classico erano costruzioni risultanti dall equilibrio contrapposto di diverse dinamiche: mai lo spirito di un età si è trasfuso così inconsapevolmente e così pienamente in nee e al tempo stesso le forza e le deforma per via di enfasi, torsioni e tensioni che rendono labili le barriere dei «tempi» introducendovi all interno quei sommovimenti sismici che insidiano perfino una

2 forma artistica nuova come il senso dell uni- tà dialettica hegeliana nelle strutture dello stile classico. In queste forme la vera problematica esecutiva e interpretativa va ricercata al di là di qualsiasi contenuto emotivo di temi nell architettura e nella strutturva. Questa strut- compositizone di confine. La simmetria così si deforma. Il quieto battito di stabili pulsazioni accenna già a sciogliersi nel sisma instancabile fluente dei perpetui movimentura ha sempre, di regola, il suo centro di gravità nel centro quantitativo e temporale di ogni singolo tempo. Ora, invece, i tempi tendono a prolungarsi ed estremizzarsi verso le ti. È incontestabile quindi percepire ancora una volta che la morte di ogni stile avviene un attimo dopo il raggiungimento della sua più alta parabola. Così l ultima stagione beethoveniana ha la pienezza e il mistero dei grandi rivolgimenti artistici, dei terremoti predestinati e insondabili, anche a grande distanza. Il concetto sinfonico beethoveniano è pertanto molto chiaro, così come emerge limpido e inequivocabile dalla partitura nel suo intento creativo. Lo sarà ancor di più in quest occasione proposta dal Teatro La Fenice che ci permetterà di valutare e consolidare, attraverso una sequenzialità esecutiva, una consapevolezza evolutiva della gigantesca rivoluzione compositiva di Beethoven e intuire come, attraverso due direzioni diverse, si possano accentuare peculiari aspetti espressivi senza, però, oscurare l impeto del linguaggio beethoveniano. Il maestro Eliahu Inbal dovrà confrontarsi con la vastità universale, l ampiezza di sentimento e la ricchezza d umanità della seconda, terza e quarta Sinfonia Ludwig 7 marzo, ore Mestre Teatro Toniolo 9 marzo, ore direttore Eliahu Inbal Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 Eroica 15 marzo, ore marzo, ore Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 Pastorale 4, 5 aprile, ore aprile, ore direttore Eliahu Inbal violino Roberto Beraldi Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60 Luigi Nono Varianti, musica per violino solo, archi e legni 29 van Beethoven dove si racchiude un intero mondo, complesso da definire e da rendere percepibile all ascoltatore. La bacchetta di Inbal è, come poche, incisiva e imperiosa riuscendo a trarre dalle pagine beethoveniane la massima intensità. C è molta attesa per Yuri Temirkanov, uno dei più ispirati ed quenti direttori elozione. Se non c è emozione, ma solo note, allora non c è musica». Lui, che ama dirigere a mani nude, ha più di una volta sottolineato che l essenza della direzione è «trovare il miglior contatto artistico e umano con i musicisti perché non esiste mag- soprattutto per la grande profondità emotiva con cui delinea le sue inter pretazioni (cfr. anche l articolo a p. 31). «La musica non è solo note, è un emogiore gratificazione del momento in cui i musicisti capiscono che hai il diritto di stare di fronte a loro». Entrambi, comunque, dovranno misurarsi con il codice beethoveniano dove nulla è lasciato al personalismo interpretativo perché ogni pausa, ogni accento è rigorosamente segnalato e sarà la forza dell umiltà direttoriale di ciascuno a doversi misurare con la grandezza di un musicista distintivo ed eloquente che imperiosamente si impone sul podio sempre e comunque. Sarà comunque interessante in aprile ascoltare la quarta e la settima Sinfonia affiancate alle Varianti di Luigi Nono interpretate dal violinista Roberto Baraldi: il puntillismo linguistico di Nono è ancora presente pur lasciando trapelare un materismo svolto tendenzialmente fuori del sistema temperato, già peculiare nella disposizione delle microstrutture.

3 Suonano meglio i russi? Tre i prossimi programmi della stagione sinfonica della Fenice affidati ai direttori Yuri Temirkanov (1938) nome ormai ben noto e apprezzato a Venezia e Andrei Boreyko (1957), dedicati soprattutto a Shostakovich, Cajkovskij e Musorgskij. Entrambi si formarono alla storica accademia musicale di San Pietroburgo, città che diede anche i natali a Boreyko. Temirkanov è la testimonianza della scuola di direzione d orchestra russa di San Pietroburgo, allievo del famoso Ilya Musin maestro che all accademia pietroburghese ebbe come allievi anche Gergiev, Bychkov, Barshai, Sinaisky poi assistente del grande Mravinsky, di cui fu successore dal 1988 nella direzione della rinomata orchestra filarmonica della città. Ma al rappresentare una tradizione autorevole si aggiunge l intuizione e la capacità di andare subito a toccare i cardini di una partitura, di trovare soprattutto il respiro ideale per ogni frase e accento, nel perfetto equilibrio tra «dirigere» e «lasciar suonare». Ricordiamo di Temirkanov la forza rappresentativa di Alexander Nevsky al Palafenice, o quell incipit della Quarta di Brahms assetato di sospiro e sorpresa di alcuni anni fa al Malibran. Il 15 e 16 marzo aprirà il suo ritorno con due colonne 31 La cornice sinfonica Yuri Temirkanov e Andrey Boreyko sul podio della Fenice Ospiti del Teatro veneziano i due maestri russi per tre programmi sinfonici Andrey Boreyko Yuri Temirkanov 15, 16 marzo, ore , 22 marzo, ore Dmitrij Shostakovich Petr Il ic Ciajkovskij 28, 29, 30 marzo, ore Modest Musorgskij Dmitrij Shostakovich Modest Musorgskij direttore Andrey Boreyko di Mirko Schipilliti beethoveniane, quinta e sesta sinfonia nell ambito dell integrale che la Fenice sta proponendo con maestri diversi; ma il 21 e 22 si dedicherà a Shostakovich e Cajkovskij, fra modernità e tradizione. Pagina poco frequentata, il Concerto n. 2 per violoncello op. 126, del 1966, (solista sarà Mario Brunello) ci mostra un Shostakovich sapiente e abile nel gioco orchestrale e solistico, alleggerendo la scrittura sinfonica in tratti cameristici. La grande quinta di Cajkovskij è invece uno degli assi nella manica di Temirkanov, registrata ed eseguita innumerevoli volte, grande «classico» del repertorio, summa esemplare dell equilibrio tra istinto e ragione, emblema di uno stile che ha saputo sondare le inquietudini della coscienza, le involuzioni dello spirito, la contemplazione e la massima espansione lirica, attraverso una partitura accidentata e densa di contrasti, dove accanto all acceso sinfonismo si isolano momenti timbrici irripetibili affidati a interventi solistici. Il 28, 29 e 30 marzo sarà Boreyko a continuare il percorso con un altra opera della maturità di Shostakovich, L esecuzione di Stepan Razin op.119 per basso, coro misto e orchestra. Stenka Razin, avventuroso cosacco torturato e giustiziato nel 1671 dai moscoviti, alla guida delle rivolte contadine contro lo zar padre di Pietro il Grande, divenne nella tradizione popolare eroe simbolo di ribellione contro il potere brutale del governo centrale, difensore degli oppressi. Temi a sfondo storico erano stati interpretati già in alcune sinfonie (n. 2 «Ottobre», n. 3 «Primo Maggio», n. 7 «Leningrado», n.11 «Anno 1905», n.12 «Anno 1917», n.13 «Baby Yar» sulle persecuzioni contro gli ebrei), e questa cantata sembra legarsi allo spirito della Sinfonia n. 13 (anche lì il testo era di Evtusenko), mentre ora il compositore gioca simbolicamente con ambiguità su due piani, da un lato l indiretta celebrazione della rivoluzione, dall altra la rievocazione dell oppressione staliniana e sovietica, nella quale si celano la propria personale sofferenza di artista e il ruolo stesso dell arte nella società. Ancora Russia, con Musorgskij e l Alba sulla Moscova, preludio alla Khovanscina, opera lasciata in versione per canto e pianoforte, proposta nell orchestrazione di Shostakovich. Celeberrima è invece l orchestrazione di Ravel per i Quadri di un esposizione di Musorgskij originariamente per pianoforte, capolavoro non solo per le forti suggestioni extramusicali (i disegni e acquarelli dell architetto e pittore Viktor Hartmann, amico di Musorgskij morto nel 1873), ma anche per la forza con cui l orchestra enuclea e amplifica figure e segni musicali concepiti in una concentrata scrittura pianistica.

4 Il tocco preciso e libero di Ramin Bahrami Alla Fenice, il 31 marzo, l «Arte della fuga» di Bach di Arianna Silvestrini Ramin Bahrami, grande interprete delle musiche di Bach, sarà alla Fenice il 31 marzo nell ambito degli appuntamenti organizzati dalla Società Veneziana di Concerti. Gli chiediamo di tratteggiarci la sua vicenda di musicista Ho avuto la fortuna di nascere 31 anni fa a Teheran in una casa cosmopolita, da un padre per metà tedesco e per metà iraniano e da una mamma iraniana di origini russo-turche; la musica classica occidentale era la prima lingua Da ragazzino ascoltavo le sinfonie di Beethoven dirette da von Karajan, montavo sul tavolo e facevo finta di essere un direttore d orchestra... Quando avevo due anni ci fu il cambio di regime e vennero al potere delle persone davvero poco tolleranti. La guerra devastante contro l Iraq durò otto anni, e mi ricordo bene quei tempi. Non erano pomeriggi felici, perché ogni tanto la mia armonia ascoltare Bach, Brahms, Beethoven ma anche Frank Sinatra, Elvis Presley e Charles Aznavour veniva bruscamente interrotta dall allarme per i missili di Saddam Hussein, che di lì a poco avrebbero colpito una casa vicina o lontana. Io avevo la musica a cui aggrapparmi, anche se ricordo di non aver vissuto troppo male il fatto di dover correre a rifugiarmi durante gli attacchi: lo vivevo nel modo misterioso dei bambini. A sei Ramin Bahrami anni sono entrato in contatto con la musica di Bach grazie a un incisione di Glenn Gould, la VI Partita, la cosa più bella che mi fosse mai capitata. Così mi sono deciso a intraprendere questa vita, la missione di suonare Bach. E con il tempo questa è diventata una necessità sempre più impellente. Grazie a una videocassetta sono stato ammesso alla Hochschule für Musik di Francoforte ero lo studente più giovane ma dati i problemi economici che dopo la rivoluzione erano subentrati nella nostra famiglia, non ho potuto accettare. In seguito c è stato il generoso sostegno dell Ambasciata italiana e dell Italimpianti di Genova, che mi hanno permesso di venire a studiare al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano. È stata la mia salvezza, in un certo senso, perché ho potuto dare voce alla mia musica, studiando con uno dei massimi maestri europei, Piero Rattalino, e poi all Accademia di Imola dove ho potuto avvicinare grandi interpreti bachiani come András Schiff e Rosalyn Tureck; lì ho incontrato anche Alexis Weissenberg, che mi ha dato consigli estremamente importanti. La sua musica è contraddistinta da grande tensione, precisione, rigore e libertà. Credo fermamente che la ragione non parli una lingua diversa dall emozione; se queste due sono combinate abbiamo Bach. Nella sua epoca l ars musica non era considerata semplicemente un arte, bensì un arte scientifica. Alla Fenice suonerà l Arte della fuga. Quali sono, per un pianista, le differenze con le Variazioni Goldberg? Le Variazioni sono pezzi più vicini alla terra, più mondani, mentre l Arte della fuga è un viaggio nell aldilà, è una summa di tutte le emozioni e di tutta la musica, non solo di Johann Sebastian Bach. In Bach c è tutta la musica, come in Platone c è tutta la filosofia Lei ha espresso il desiderio di suonare Bach in Iran. Desidero che il mio Paese torni a essere consapevole dei suoi 7000 anni di storia, di quello che noi persiani abbiamo rappresentato per la civiltà internazionale, e che sopra tutto riscopra i valori di tolleranza e di libertà che sono assolutamente andati persi. Ho la speranza di ritornare in un Iran democratico, e quando questo sarà possibile lo farò. Quali sono i suoi progetti futuri? A marzo uscirà un omaggio al vostro meraviglioso Paese, che mi ha benevolmente accolto: un mio nuovo disco per la Decca intitolato Concerto italiano, una raccolta di tutti i pezzi di Bach che hanno una matrice italiana. Nel 2009 poi uscirà l integrale delle Sonate di Beethoven e inizierà una collaborazione artistica molto importante con Riccardo Chailly, con cui eseguirò due concerti «bachiani» con l orchestra della Gewandhaus di Lipsia. Nel 2010 spero di realizzare un disco dedicato a Frescobaldi. Le confesso un mio segreto: spero di fare il Clavicembalo ben temperato prima dei quarant anni. È un sogno. 33

5 A Treviso nuovi dialoghi tra violoncello e pianoforte Enrico Dindo e Pietro De Maria per Beethoven, Rachmaninov e Prokofiev di Carlo De Pirro Vienna, primavera 1815: «Caro Linke, mi faccia il favore di venire da me domattina, all ora che preferisce, ma non più tardi delle sette e mezza Porti l archetto di violoncello, ho qualcosa da discutere con Lei. Il suo devotissimo servitore». Capito? Alle sette e mezzo, quando noi annaspiamo con lo spazzolino in mano, Beethoven limava le sue sonate per violoncello! Non Conservatorio di Mosca lo spinsero ad accelerare il diploma. In sole tre settimane lo fece con lode, passò gli esami di composizione, poi terminò il suo Primo concerto per pianoforte e orchestra, scrisse una composizione per pianoforte a sei mani, compose una Sinfonia, ne abbozzò una successiva e un poema sinfonico. Dentro questo tourbillon fece a tempo a scrivere anche un Preludio in Fa maggiore, che pochi mesi dopo divenne, con l aggiunta del violoncello, il primo movimento dell op.2. Se paragonati al Concerto, Preludio e Danza Enrico Dindo Pietro De Maria si esagera considerandolo l inventore della sua immagine romantica. Perché uno strumento che fino ad allora vantava solo glorie virtuosistiche boccheriniane, trovò la sua «voce» un po come si stava per fare in teatro con i colori baritonali. La Sonata op. 69 ebbe la sua prima il 5 marzo Se vi concentrate sull inizio capirete tutto. La tecnica è quella antifonale, ma ciò che propone il violoncello e ciò che risponde il pianoforte sono l inizio di un dialogo forte e carezzevole, pronto a trasformarsi in danza sincopata nello Scherzo e in vortice nell Allegro vivace. Le 7 Variazioni sul Flauto magico WoO 46 sono del 1801, dedica al conte Johann Georg von Browne, piccole, deliziose miniature ben superiori al puro omaggio floreale. Anche perché Beethoven era un ruminante, le idee se le portava in animo per anni. Poco tempo prima aveva annunciato di voler mettere in musica l Ode An die Freude di Schiller. Considerate che il Flauto magico è modello archetipo per il finale della Nona e capirete cosa possa sbocciare a distanza. Nel 1891 Sergej Rachmaninov era una vera furia. Gli mancavano due anni per diplomarsi in pianoforte. Dissidi fra Ziloti, suo insegnante, e il nuovo direttore del Treviso Teatro Comunale 31 marzo, ore Orientale sembrano due acquarelli di maniera. Bisogna immaginare che il pubblico a cui erano destinati subisse le stesse suggestioni di un diciottenne, l oriente filtrato dai racconti di Puškin da godersi, in forma A-B-A, in comodi salotti. A Sergej Prokof ev il violoncello piaceva. Scrisse due Concerti (op.56, concluso nel 1938, e op.132, concluso nel 1952, poi completato da Mstislav Rostropovich, che ne diede la prima esecuzione nel 1960), la Sonata op. 119 (venne interpretata per la prima volta a Mosca l 1 marzo 1950 da Rostropovich e Richter), progettò un opera per violoncello solo di cui rimangono unicamente sei pagine manoscritte. L ombra che aleggia cupa dietro la Sonata è purtroppo quella del Comitato Centrale del Partito Comunista datato 10 febbraio 1948, con la sua messa all indice dei compositori «formalisti», rei di rappresentare «l estetica della decadenza borghese». Stalin non solo gli rovinò la serenità degli ultimi anni (di cui la Sonata è, nel bene e nel male, risposta pratica a come sopravvivere). Beffardamente volle morire (5 marzo 1953) lo stesso giorno di Prokof ev, a cui furono riservati funerali in sordina. Detto questo la Sonata è un tenero, rapsodico omaggio al violoncello, il cui incipit solista iniziale (come l op.69 di Beethoven), riaffiora come un tumultuoso fiume carsico nell Allegro ma non troppo che sigilla l opera.

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