SENTENZA Tribunale Nola 11 settembre 2008 Est. Scermino

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1 SENTENZA Tribunale Nola 11 settembre 2008 Est. Scermino Fallimento - Competenza - In genere - Procedimento di verificazione del passivo - Giudizio promosso dal fallito per recuperare un credito contrattuale o extracontrattuale - Inapplicabilità - Individuazione del giudice competente in base alle regole generali - Necessità. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 24, 52) Interessi - Anatocismo - Clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi su conto corrente bancario - Nullità - Possibilità di operare in via sostitutiva una diversa capitalizzazione degli interessi su base semestrale o annuale - Insussistenza. c.c., art. 1283) 1. Il principio dettato dall art. 52 l. fall. della obbligatorietà ed esclusività del procedimento di verifica del passivo, quale peculiare strumento di cognizione attribuito al giudice del fallimento, riguarda soltanto l attuazione di domande intese a ottenere il riconoscimento di un diritto di partecipare al concorso o di un diritto reale o restitutorio su beni mobili acquisiti all attivo, mentre non può riferirsi alle pretese ivi svolte dai falliti, poiché il giudizio promosso per il recupero di un credito contrattuale o extracontrattuale del fallito vada trattato davanti al giudice per esso competente secondo le regole generali, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. 2. La clausola contrattuale che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi su contro corrente bancario è nulla ai sensi dell art c.c.: ciò comporta che il contratto debba dirsi ab origine difettante di una pattuizione sulla capitalizzazione sia essa trimestrale, semestrale o annuale, che non può essere in alcun modo surrogata perché, altrimenti, si forzerebbe il contenuto del contratto, andando ad inserirvi - del tutto arbitrariamente - qualcosa che precedentemente non c era affatto, violando ogni principio codicistico. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data la It. s.a.s. di M. Angelo &C., M. Angelo, M. Giovanni, M. Mario e Annunziata Filomena, esponevano : - che la It. s.a.s. intratteneva con la Banca M.P.S. conto corrente ordinario con apertura di credito n. XXXX.XX nonché conti anticipi su contratti e fatture, sempre con affidamento, n.ri XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX e XXXXXXX.XX; - che detti rapporti erano garantiti mediante fideiussione omnibus prestate dai sig.ri M. Angelo, M. Mario, M. Giovanni e Annunziata Filomena; - che in data la società esponente stipulava due mutui ipotecari con la Banca M.P.S. per la somma rispettivamente di L e L , entrambi da rimborsare nell arco di dieci anni mediante versamento di 120 ratei mensili, comprensivi di capitali ed interessi; - che, in ordine ai rapporti bancari n.ri n. XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX e XXXXXXX.XX, -la Banca aveva esercitato illegittimamente lo ius variandi delle condizioni di contratto, applicando tassi ultralegali più gravosi senza darne alcuna comunicazione alla debitrice principale; peraltro, la violazione degli oneri formali di cui all art. 118 TUB aveva prodotto il danno di impedire alla società attrice tempestivo recesso da rapporti non più convenienti: il che meritava idoneo risarcimento; - i contratti bancari in esame avevano altresì violato il divieto di anatocismo, prevedendo la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; - essi, poi, illegittimamente avevano applicato la c.m.s., la cui pattuizione andava ritenuta nulla per difetto di causa; -l eccessiva onerosità sopravvenuta dei rapporti giustificava una risoluzione degli stessi ex art c.c.; - la Banca, nella misura in cui aveva taciuto agli esponenti le effettive condizioni dei giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 1

2 costi applicati, aveva prodotto ulteriore danno agli stessi, pari alla differenza tra le competenza addebitate e quelle risultanti dalla corretta applicazione delle condizioni originariamente pattuite e legittimamente variate: ed anche tale danno andava ristorato; -la violazione di ogni canone di buona fede della Banca nella gestione dei rapporti giustificava la inefficacia delle fideiussioni prestate, in uno alla liberazione dei garanti dalle stesse ex art c.c.; - che, sotto altro profilo, con riguardo ai mutui stipulati, i tassi ultralegali non erano stati pattuiti per iscritto ed essi, sia in quanto corrispettivi che moratori, erano stati applicati in misura usuraria ex L. 108/96, con tutte quello che avrebbe dovuto conseguirne; - che illegittimamente, da ultimo, la Banca aveva segnalato alla Centrale Rischi la posizione «a sofferenza» degli attori, al solo fine di ottenere una più sollecita definizione della vertenza. Tanto premesso, convenivano in giudizio la Banca Monte di Paschi di Siena s.p.a. affinché: 1) in ordine ai rapporti bancari n.ri n. XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX e XXXXXXX.XX; - fosse accertata l inefficacia delle variazioni dei tassi di interessi, siccome realizzate in violazione dell art. 118 TUB, con relativa condanna della Banca al risarcimento del danno così cagionato; - fosse accertata la nullità parziale dei contratti bancari in relazione alla clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; - fosse rideterminato, all esito di tali accertamenti, il rapporto dare-avere con la Banca, con eventuale condanna di quest ultima alla restituzione di somme illegittimamente riscosse; - in via subordinata, fosse dichiarata la risoluzione dei contratti ex art c.c. ; - in via ulteriormente subordinata, fosse condannata la Banca al risarcimento dei danni da loro patiti per la condotta dolosa e scorretta dell Istituto; 2) con riferimento ai mutui del dicembre 1999, - fosse dichiarata la nullità delle clausole di determinazione dell interesse, siccome non pattuire per iscritto e comune usurarie ex L. 108/96, con irrogazione della sanzione ex art c. II c.c.; - fosse rideterminato anche in tal caso l esatto rapporto dare/avere tra le parti; 3) ed in ogni caso, infine: - fosse dichiarata l inefficacia delle fideiussioni rilasciate dai garanti, con conseguente loro liberazione ex art c.c.; - fosse disposta la condanna della Banca al risarcimento dei danni subiti dagli istanti per comportamento scorretto della Banca ex art. 1337, 1338, 1366 e 1376 c.c. e per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi. Con comparsa di costituzione e risposta depositata il si costituiva La Banca Monte dei Paschi di Siena. Essa dapprima contestava in termini articolati tutte le doglianze sollevate dagli attori, assumendo la piena legittimità dell operato della Banca. Successivamente, agiva in riconvenzionale richiedendo il pagamento dei seguenti crediti: L per saldo debitore del contratto di c/c 2487 acceso presso la Filiale di Nola e chiuso in data ; L per saldo debitore del contratto di c/c 2710 acceso presso la Filiale di Nola e chiuso in data ; L per credito portato da n. 10 effetti cambiari a suo tempo accolti allo sconto, insoluti alle rispettive scadenze, oltre interessi legali dalle singole scadenze; L , in dipendenza del contratto di mutuo n a rogito del notaio Lallo del , oltre interessi al tasso convenzionale; L , in dipendenza del contratto di mutuo n a rogito del notaio Lallo del , oltre interessi al tasso convenzionale. Tanto premesso, la Banca instava per il rigetto di ogni domanda attorea e l accoglimento delle proprie riconvenzionali, al fine di ottenere la definitiva condanna della It., quale debitrice principale, e dei sig.ri M., quali fideiussori, al solidale pagamento della complessiva somma di L (come analiticamente suddivisa), con interessi ai tassi e decorrenze indicate fino al saldo. Nel corso del giudizio (dichiarazione di udienza del ) si dava atto che erano giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 2

3 dichiarati falliti la società It. s.a.s. di Filomena Annunziata &C. e personalmente Filomena Annunziata, giusta sentenza n. 9/2003 emessa dal Tribunale di Marsala, nonché Giovanni M., giusta successiva sentenza del 17 giugno 2004: tanto che il giudizio era interrotto, per essere riassunto soltanto ed esclusivamente dai sig.ri M. Angelo e M. Mario. Ammessa ed espletata CTU a mezzo del dott. Gennaro di Domenico, il quale depositava in data elaborato peritale ed in data (direttamente in udienza) relazione di chiarimenti, le parti erano invitate alle conclusioni all udienza del , dove la causa era trattenuta in decisione con concessione dei termini (abbreviati a ) per il deposito degli scritti difensivi finali. La parte istante per la riassunzione, tuttavia, abbandonava di fatto il giudizio sin dall udienza del , non presentandosi più in Tribunale da quella data, nemmeno per precisare le proprie conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE I) Della procedibilità delle azioni Preliminarmente, sotto un profilo squisitamente processuale, deve darsi atto del potere del Tribunale di dirimere in questa sede la presente controversia, per quanto di ragione, dopo la dichiarazione di fallimento della società It. s.a.s. di Filomena Annunziata &C. e di Filomena Annunziata, giusta sentenza n. 9/2003 emessa dal Tribunale di Marsala nonché di Giovanni M., giusta successiva sentenza del 17 giugno 2004 (dichiarazione di udienza del ). Ebbene, a norma dell art. 24 della cosiddetta l. fall. (r.d. n. 267 del 1942) sono attratte dalla vis attractiva del foro fallimentare solo le azioni che derivano dal fallimento, dovendosi con tale accezione intendere, oltre a quelle che traggono origine dallo stato di dissesto, tutte quelle che possano costituire la premessa di una pretesa nei confronti della massa, incidendo in tal modo sul patrimonio del fallito (Cassazione civile, sez. III, 21 ottobre 2005, n ). Nella fattispecie, tuttavia, la It. s.a.s. di Filomena Annunziata, Filomena Annunziata nonché Giovanni, Angelo e Mario M. agivano in citazione soltanto per far accertare l entità dell effettivo debito gravante su di essi, in quanto titolari e/o garanti dei rapporti bancari allegati, e far valere, all esito delle verifiche invocate, una loro pretesa creditoria (anche di natura risarcitoria) nei confronti della Banca convenuta : per cui, essendosi richiesto, previa declaratoria di vari profili di nullità ed inefficacia dei contratti, un accertamento negativo del credito così come contabilizzato dalla banca, con sua conseguente condanna restitutoria e risarcitoria, ci si è mossi al di fuori dell ambito dell art. 24 L.F.. In sostanza, il principio dettato dall art. 52 della legge fallimentare della obbligatorietà ed esclusività del procedimento di verifica del passivo, quale peculiare strumento di cognizione attribuito al giudice del fallimento, riguarda soltanto l attuazione di domande intese a ottenere il riconoscimento di un diritto di partecipare al concorso o di un diritto reale o restitutorio su beni mobili acquisiti all attivo: mentre esso non poteva certo riferirsi alle pretese ivi svolte dai falliti (It. s.a.s., Annunziata Filomena e M. Giovanni), essendo noto che il giudizio promosso per il recupero di un credito contrattuale o extracontrattuale del fallito vada trattato davanti al giudice per esso competente secondo le regole generali, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria (cfr, Cassazione civile, sez. I, 22 maggio 2007, n Cassazione civile, sez. un., 10 dicembre 2004, n ; cfr. Cass. 16 giugno 2000, n. 8231; 26 luglio 2000, n. 9801; 14 dicembre 2000, n ; 19 aprile 2002, n. 5725). Tanto acclarato, va di contro rilevato come le domande riconvenzionali di condanna proposte dalla Banca nei confronti dei falliti It. s.a.s., Annunziata Filomena e M. Giovanni siano divenute improcedibili e tali debbano andare dichiarate. Infatti, la M.P.S. agiva in reconventio avverso i predetti attori proprio per far valere un suo credito di natura contrattuale derivante dagli scoperti di conto corrente n.ri 2487 e 2710, dallo sconto di n. 10 cambiali rimaste insolute alle rispettive scadenze nonché, da ultimo, dal dovuto adempimento dei contratti di mutuo n.ri XXXXXXXXX e XXXXXXXXX stipulati a rogito del notar G.Lallo il Laddove, tuttavia, nel sistema delineato dagli art. 52, 95 e 103 l. fall., qualsiasi ragione di credito nei confronti della procedura fallimentare deve essere dedotta, nel rispetto della regola del concorso, con le forme dell insinuazione al passivo. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 3

4 Qualora pertanto, a seguito della dichiarazione di fallimento, la parte che aveva agito in giudizio nei confronti del debitore coltivi la propria azione - come nel caso in esame - nei confronti del curatore, non davanti al Tribunale Fallimentare, ma nelle forme della cognizione ordinaria, la domanda non può che essere dichiarata improcedibile, in quanto inidonea a condurre ad una pronuncia di merito opponibile alla massa (per tutte, Cassazione civile, sez. I, 22 dicembre 2005, n ; Cassazione civile, sez. I, 02 aprile 2004, n. 6502). Peraltro, va ricordato che le questioni concernenti l autorità giudiziaria dinanzi alla quale va svolta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore dichiarato fallito costituiscono questioni attinenti al rito, che non implicano questioni di competenza; perciò, qualora una domanda sia diretta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta al regime del concorso, il giudice adito è tenuto a dichiarare non la propria incompetenza, bensì l improcedibilità della stessa, siccome semplicemente addotta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge (ex multis, Cassazione civile, sez. I, 18 maggio 2005, n ). In definitiva, deve darsi atto che, per effetto delle dichiarazioni di fallimento intervenute in corso di causa, se ci si potrà pronunciare sul merito di ogni istanza avanzata dagli attori, tanto non varrà per le riconvenzionali proposte dalla MPS avverso i soggetti falliti M. Giovanni, Annunziata Filomena e la It. s.a.s., essendo queste ultime divenute improcedibili. Sono rimaste, invece, suscettibili di essere decise le riconvenzionali avanzate dal M.P.S. nei confronti dei fideiussori M. Angelo e M. Mario (soggetti non falliti), visto che il fallimento del debitore principale (It. s.a.s.), verificatosi in pendenza del giudizio di pagamento proposto anche contro il fideiussore, non comporta il trasferimento della causa avanzata contro quest ultimo (nel caso M. Angelo e M. Mario) dinanzi al giudice fallimentare, stante il carattere solidale della responsabilità del medesimo e la conseguente autonomia dell azione di pagamento rispetto a quella proponibile contro il debitore principale (ex multis, Cassazione civile, sez. III, 26 settembre 2005, n ). II) Domande attoree II a) Oggetto del giudizio Gli istanti, premettendo che la Banca avanzava nei loro confronti un credito di notevole entità giusta svariati contratti bancari tra di essi intercorrenti, proponevano una articolata domanda giudiziale che, sostanzialmente, si poteva distinguere in due tronconi principali (salvo singoli ulteriori pretese su cui è preferibile qui soprassedere, per organicità della trattazione, ma che saranno oggetto comunque di attenzione nella pronuncia, es. azione risoluzione per eccessiva onerosità, ecc...). Sotto un primo profilo, in pratica, si adducevano vari profili di nullità e/o inefficacia del contratto di conto corrente n. XXXX.XX, dei «conti anticipi su contratti e fatture» n.ri XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX e n. XXXX.XX nonché dei due contratti di mutuo stipulati il , sostenendosi: -che lo ius variandi esercitato dalla Banca, per la modifica delle condizioni economiche regolanti tali rapporti, si era svolto in modo illegittimo; -che l addebito consistito nella capitalizzazione trimestrale degli interessi violava l art c.c.; -che la c.m.s. indicata nei contratti era priva di giustificazione causale, dovendo considerarsi nulla la relativa clausola negoziale; -che, con specifico riguardo ai contratti di mutuo ipotecario, il saggio applicato nel corso dei rapporti non era stato enunciato per iscritto ex art c.c. ed aveva ecceduto il tasso soglia ex L. 108/1996, dovendosi esso considerare usurario. Sotto un secondo profilo, poi, tali doglianze erano integrate da «intricate» ulteriori censure inerenti presunte responsabilità risarcitorie della Banca - di natura precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale - consistite, a dire degli attori: -nell aver tenuto l Istituto di credito un atteggiamento dolosamente silente nell applicare condizioni contrattuali diverse da quelle pattuite e/o comunicate; -nell aver, conseguentemente, esso violato la buona fede e la correttezza nel corso degli anni per aver preteso somme superiori a quelle contrattualmente dovute, tanto che le giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 4

5 fideiussioni omnibus concesse da M. Angelo, M. Mario, M. Giovanni e Annunziata Filomena dovevano considerarsi divenute inefficaci ex art c.c.; -nell avere, infine, la convenuta operato una segnalazione alla Centrale Rischi illegittima. Ciò posto, rileva il Tribunale come l impianto fondante di tutta la lite vada individuato prevalentemente nelle denunciate irregolarità negoziali asseritamente commesse dalla Banca nella costituzione, regolamentazione e gestione dei rapporti bancari indicati. Infatti, a ben vedere i profili risarcitori allegati dagli attori si ponevano per lo più in termini di tendenziale consequenzialità rispetto alle prime (illegittimo esercizio dello ius variandi, dolo della Banca, danno cagionato): onde appare opportuno che l attenzione del Giudice si appunti, preliminarmente, sulla prima tipologia di censure sollevate (nullità ed inefficacia), potendosi, solo all esito di un adeguato vaglio di queste, delibarsi meglio relativamente alle successive questioni addotte (risacitorie ed altro). Ora, non vi è dubbio che gli attori, nel contestare per gli aspetti ricordati (ius variandi, capitalizzazione, c.m.s., tasso usurario) i rapporti bancari indicati in citazione ed i relativi saldi maturati in favore dell Istituto di credito, abbiano svolto diverse domande di declaratoria di nullità e/o inefficacia, instando, conseguentemente, per l accertamento negativo del credito addebitato loro dalla convenuta: in tal modo, perciò, essi si assumevano l onere di provare ognuna delle loro allegazioni, dovendo dimostrare come ricorressero le invalidità contrattuali denunziate in uno alla circostanza che il saldo spettante all Istituto di credito fosse minore rispetto alla soglia pretesa dallo stesso (peraltro neanche precisamente indicata) ( per tutte, Cassazione civile, sez. III, 16 giugno 2005, n ). Sennonché, gli istanti non supportavano del benché minimo riscontro documentale la loro azione. Essi, infatti, non depositavano nessun documento in ordine ai rapporti bancari su cui avrebbe dovuto farsi luce. Mente va ricordato come, al fine di assolvere all onere della prova su di essa incombente, sarebbe state la parte attrice, che agiva per la nullità o inefficacia di alcune pattuizioni contrattuali e, in genere, reclamava la rideterminazione del reale saldo creditorio su rapporti di conto corrente dedotti in giudizio, a dover tempestivamente produrre i contratti di conto corrente de quibus, l estratto generale dei conti correnti stessi ovvero tutti i conti scalari (le cosiddette «staffe») relativi all intera durata dei rapporti. Già la sola mancanza dei conti scalari, infatti, avrebbe reso in ogni caso impossibile il compimento di un indagine peritale volta alla ricostruzione dei conti in contestazione: laddove si consideri che negli estratti conto, in occasione della capitalizzazione delle competenze, non risultano indicati in maniera differenziata gli interessi a credito ed a debito, le commissioni di massimo scoperto e le spese, trovandosi addebitata o accreditata soltanto la somma algebrica di tali voci. Parimenti opportuna, poi, sarebbe stata l acquisizione anche della leggenda delle causali utilizzate nel sistema informativo della singola Banca, in quanto le operazioni contabilizzate nei prospetti sono descritte non in chiaro, ma mediante il riferimento ad un codice numerico. Ancora, si consideri come sul conto corrente bancario vengono appostati addebitamenti di vario tipo: ordini su traenza di assegni, ordini di giro, operazioni di sconto, anticipi su fatture, ecc., operazioni che comunque concorrono alla compensazione del saldo di conto e quindi sarebbero stati indispensabili al Consulente per la quantificazione degli interessi. Insomma, la grave lacuna probatoria della articolata azione avrebbe dovuto condurre all integrale rigetto della domanda. Né poteva soccorrere in aiuto degli attori l ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., pur richiesto in citazione. Deve al riguardo tenersi presente come: -l istanza di esibizione di documenti, a norma dell art. 94 disp. att. c.p.c., deve contenere la specifica indicazione dei documenti medesimi e la precisazione del contenuto degli stessi, sicché essi si palesino utili a provare il fatto controverso: non era perciò ammissibile, come di contro è stato fatto, inoltrate un istanza di esibizione di «tutta la documentazione contabile»; giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 5

6 -l ordine di esibizione deve dirigersi in via diretta ed immediata all accertamento dei fatti rilevanti per la decisione della causa, e non può tendere a scopi meramente esplorativi, idest a verificare se i documenti eventualmente supportino la tesi difensiva dell attrice (nella specie, applicazione di tassi di interessi ultralegali non validamente pattuiti, capitalizzazione degli interessi, ecc.); -è, comunque, affatto da escludere che l esibizione di tale documentazione sia davvero indispensabile, e cioè che la prova in questione non poteva essere fornita dagli istanti i suoi garanti con alcun altro mezzo ed in alcuna altra maniera, se non appunto mediante l esibizione, ben potendo la correntista ed i fideiussori, sicuramente onerati della prova dei fatti costitutivi della loro pretesa, provvedere a fornire le scritture inerenti il rapporto intrattenuto; il comma 4 dell art. 119 del d.lg. n. 385 del 1993 contempla, infatti, il diritto del cliente di ottenere dall istituto bancario, a sue spese, la consegna di copia della documentazione relativa a ciascuna operazione registrata sull estratto conto nell ultimo decennio, indipendentemente dall adempimento del dovere di informazione da parte della banca e anche dopo lo scioglimento del rapporto; diritto che si configura come un diritto sostanziale, la cui tutela è riconosciuta come situazione giuridica finale e non strumentale, onde per il suo riconoscimento non assume alcun rilievo l utilizzazione che il cliente intende fare della documentazione, una volta ottenutala. E neanche avrebbe potuto sopperirsi alle carenze decoumentali de quibus onerando di particolare ricerche il consulente tecnico d ufficio, atteso che tale mezzo istruttorio ha la propria finalità nell aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, ma non può certamente essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ovvero di supplire alla deficienza delle allegazioni o delle offerte di prove, o allo scopo di compiere un attività esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (per tutte, Cassazione civile, sez. III, 28 febbraio 2007, n. 4743; Cassazione civile, sez. lav., 14 luglio 2004, n ; Cassazione civile, sez. I, 08 settembre 1999, n. 9514). Sennonché, se non si perveniva all immediato ed integrale rigetto della domanda era solo ed esclusivamente in quanto la controparte (e soltanto essa) depositava congrua documentazione (contratti, estratti conto, ecc...) relativamente ai conti correnti n.ri XXXX.XX e XXXX.XX ed ai mutui del intercorsi tra le parti nonché alle fideiussioni di cui si reclamava l inefficacia, azionandosi tali titoli in riconvenzionale per il pagamento dei crediti su di essi maturati. Tanto, allora, consentiva al Tribunale di riscontrare le questioni di nullità ed inefficacia addotte in via principale dagli attori, quantomeno in relazione ai predetti rapporti documentati, laddove è evidente che le domande di accertamento e restituzione afferenti ai conti n.ri XXXX.XX, XXXX.XX, XXXX.XX e XXXX.XX rimanevano definitivamente sfornite di prova, non potendo che andare rigettate per questo. Il giudizio di accertamento, perciò, riguarderà solo i conti XXXX.XX e XXXX.XX ed i mutui del , con relative fideiussioni. II b) Questioni dedotte e questioni rilevabili Nel presente procedimento si dovranno verificare esclusivamente i profili di invalidità dedotti dagli attori nell atto introduttivo, senza che si possa estendere il potere di cognizione del Tribunale su aspetti di irregolarità negoziale non specificamente sollevati dagli interessati. Infatti, va ricordato che quando - come nella fattispecie - sia la parte attrice a chiedere la dichiarazione di invalidità o di inefficacia di un atto ad essa pregiudizievole, la pronuncia del Giudice deve essere circoscritta alle sole ragioni di illegittimità denunciate, senza potersi fondare su elementi rilevati d ufficio o tardivamente indicati, giacché in tal caso l invalidità dell atto si pone come elemento costitutivo della domanda attorea, operando a riguardo rigorosamente il principio dispositivo (ex pluribus, Cassazione civile, sez. I, 22 dicembre 2006, n ; Cassazione civile, 14 gennaio 2003, n. 435). Per la verità, tale principio (art. 112 c.p.c.) avrebbe potuto essere superato in ragione del fatto che nei confronti degli attori era poi stata svolta riconvenzionale di pagamento sulla base dei medesimi rapporti oggetto di domanda di nullità. Sicché, poiché parte convenuta aveva inteso far valere diritti di pagamento che giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 6

7 presupponevano la validità dei negozi in esame, i relativi profili (rectius: tutti i profili) di nullità divenivano rilevabili di ufficio, atteso che quella validità veniva a configurare un elemento costitutivo della pretesa avanzata in reconventio, indipendentemente dall attività assertiva delle parti (cfr, giurisprudenza granitica, ex pluribus, Cassazione civile, sez. II, 06 ottobre 2006, n ; Cassazione civile, sez. I, 11 gennaio 2005, n. 350; Cassazione civile, sez. lav., 17 febbraio 2003, n. 2354). Ma a tale conclusione non poteva addivenirsi. Va rimarcato, infatti, come in questa sede le uniche riconvenzionali rimaste procedibili - e che avrebbero, perciò, consentito una estensione del potere di cognizione del Giudice mediante i rilievi ufficiosi ex artt. 99, 112 c.p.c. e 1418 c.c. prima ricordati - erano solo quelle svolte nei confronti dei due fideiussori M. Angelo e M. Mario (supra, par. I), intendendo con esse la banca far valere la rispettiva posizione di garanti dei crediti maturati e richiesti in pagamento (contratti di fideiussione allegati in atti). Tuttavia, a ben vedere la natura della responsabilità contrattuale azionata avverso i M. non consentiva in radice agli stessi obbligati di avvalersi di tutte le questioni di nullità ed inefficacia sollevate relativamente ai rapporti garantiti. Ed in tal modo rimaneva contestualmente eliso anche il potere di rilevazione ufficiosa del Giudice a riguardo. E qui vanno operate le dovute precisazioni. L obbligazione del fideiussore è delineata dagli artt e 1942 c.c. come obbligazione tipicamente accessoria, il cui oggetto, per la sorte capitale e per gli accessori, è identico a quello dell obbligazione principale. Se nulla è detto, allora, nel contratto di garanzia, la prestazione dovuta dal fideiussore corrisponde perfettamente a quella del debitore principale, anche per quanto riguardi la misura degli interessi, delle commissioni e delle spese. Qualora sia stata prestata, perciò, una fideiussione a garanzia di una esposizione debitoria bancaria in conto corrente, le risultanze degli estratti conto non impugnati tempestivamente dal correntista, debitore principale, divengono vincolanti pure per il fideiussore, che non può pertanto più contestare l ammontare del credito della banca nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo o in altro giudizio di cognizione. Resterebbe ugualmente salva al fideiussore, invero, la possibilità di contestare la validità e l efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano, ciò che si avrebbe, ad esempio, ove il fideiussore rilevasse - come nel caso - l illegittimo esercizio dello ius variandi, la nullità della c.m.s. per difetto di causa, l illegittima applicazione dell anatocismo vietato ex art c.c. (Cass. 29 ottobre 1998, n ; Cass. 9 dicembre 1997, n ; Cass. 11 marzo 1996, n. 1978, in Giust. civ. 1997, I, 2592; Cass. 30 gennaio 1995 n. 1101; Cass. 20 agosto 1992, n. 9719, in Giur. it. 1993, I, 1, 1256; Cass. 22 maggio 1990 n. 4617; Cass. 24 marzo 1975, n. 1107). Tuttavia, nelle condizioni generali delle fideiussioni prestate da M. Angelo e M. Mario in favore della Banca M.P.S. era inserito non solo l obbligo dei garanti di pagare «a semplice richiesta» quanto dovuto, ma pure una clausola di deroga all art c.c., secondo cui la fideiussione manteneva tutti i suoi effetti «anche se le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide» intendendosi «estesa a garanzia dell obbligo di restituzione delle somme comunque erogate». Orbene, se da un lato non residuano dubbi sulla validità della clausola con la quale il fideiussore, in deroga all art c.c., rinunci ad eccepire nei confronti del creditore l eventuale invalidità dell obbligazione principale, dall altra una simile convenzione, nella prassi definita «clausola di sopravvivenza», era incompatibile con il contratto tipico di fideiussione, che è intriso di accessorietà e non può considerarsi valido se l obbligazione principale sia nulla. Ne discende la ravvisabilità nella fattispecie non tanto del modello di garanzia personale fideiussoria delineato dal codice civile, ma di una forma atipica di garanzia, che realizza l interesse meritevole di tutela della banca a rendere la garanzia stessa sempre operativa con riferimento all obbligo di restituzione della prestazione già ricevuta dal cliente, non intendendosi assicurare tanto l adempimento dell obbligazione principale, quanto il soddisfacimento in ogni caso della pretesa creditoria del garantito. La garanzia corredata da «clausola di sopravvivenza», dunque, si qualifica autonoma giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 7

8 perché convenzionalmente disciplinata in modo tale da non risentire delle vicende relative al rapporto tra beneficiario e debitore principale, comportando prioritariamente che il garante non possa opporre, in sede di escussione, le eccezioni fondate su quest ultimo rapporto, essendo tenuto in ogni caso ad erogare la prestazione restitutoria (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n del 28/02/2007; Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n del 03/10/2005; Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 52 del 07/01/2004; Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n del 31/07/2002). La qualificazione in termini di autonomia della garanzia azionata in giudizio, per l effetto, incideva sulla deducibilità delle questioni di nullità sollevate (anche) dai garanti nonché sulla rilevabilità di queste ex officio da parte del Giudice. In altri termini, essendo stata esclusa la facoltà dei garanti di opporre al creditore le eccezioni che spettavano al debitore principale in ordine alla validità del contratto da cui derivava l obbligazione principale (e non anche, però, le eccezioni attinenti alla validità dello stesso contratto di garanzia), le nullità dei rapporti bancari non inficiavano l operatività della garanzia (eccezion fatta per la previsione di interessi usurari, sulla quale si veda appresso Cfr. Cass. 7 marzo 2002, n. 3326). Per cui, una volta che in via riconvenzionale la Banca azionava la garanzia autonoma avverso i sig.ri M., nessuna questione di nullità delle obbligazioni garantite aveva più rilevanza, essendo rimasto fuori dalla causa petendi addotta (contratto autonomo di garanzia) ogni profilo di validità dei debiti principali. Onde, le relative doglianze non solo non erano deducibili in via di eccezione dai predetti convenuti in reconventio, ma nemmeno rimanevano rilevabili di ufficio dal Giudice, siccome estranei alla causa petendi posta a fondamento della domanda avanzata dalla MPS. Perciò, su tali aspetti il Tribunale non poteva pronunciarsi di ufficio. ******** In definitiva: -i motivi di nullità e/o di inefficacia addotti in via principale dalla parte attrice saranno delibati così come allegati in citazione, non potendosi fuoriuscire da quel thema decidendum ex art. 99 e 112 c.p.c.; -ulteriori profili di nullità e/o inefficacia dei negozi in esame non saranno rilevabili di ufficio dal Tribunale perché le uniche riconvenzionali di condanna rimaste procedibili in giudizio riguardano soggetti obbligati in virtù di garanzia autonoma, la quale prescinde dalla validità delle obbligazioni garantite, estromettendo perciò tale aspetto dalla causa petendi allegata dalla Banca. II c) Ius variandi Parte attrice deduceva, preliminarmente, un illegittimo esercizio dello ius variandi da parte della Banca la quale, a dire degli istanti, aveva applicato condizioni di conto peggiorative nel corso dei rapporti, senza dare adeguata comunicazione ex art. 118 TUB alla società It. : da tanto, sarebbe derivata l inefficacia delle variazioni operate e la necessità di ricalcolo del saldo. La deduzione si è rivelata fondata, per quanto di ragione. E noto come lo ius variandi, declinato in ambito creditizio, consista nella pratica invalsa tra le banche di apportare delle modifiche ai contratti di durata stipulati con terzi soggetti, modifiche che solitamente danno origine per questi ultimi a conseguenze peggiorative. Più precisamente, tale pratica permette alle banche di modificare unilateralmente le condizioni previamente stabilite nei suddetti contratti, a condizione che il cliente abbia sottoscritto la relativa clausola vessatoria (art. 117, 5 c., Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n TUB) e che le variazioni vengano comunicate a tale soggetto nei modi e nei termini stabiliti dal CICR (art. 118, 1 c., Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n TUB). Tuttavia, l art. 118 TUB - nella formulazione originaria applicabile ratione temporis ai rapporti di conto in esame - sanciva come, ove fosse stata convenuta nei contratti di durata (come nel caso, punto 16 contratti n. XXXX e XXXX) la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni, «le variazioni sfavorevoli dovessero essere comunicate al cliente nei modi e nei termini stabiliti dal CICR» e che «entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione scritta, ovvero dell effettuazione di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1, il cliente aveva diritto di recedere dal contratto giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 8

9 senza penalità e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l applicazione delle condizioni precedentemente praticate». Nondimeno, il CICR dava seguito al disposto di cui all art. 118 cit. solo dopo diversi anni dall entrata in vigore del TUB, andando a disciplinare le predette modalità di comunicazione delle variazioni negoziali effettuate dalla Banche solo con la Delibera del 4 marzo Quest ultima, peraltro, prevedeva sia che «le variazioni sfavorevoli al cliente, riguardanti tassi di interesse, prezzi e altre condizioni delle operazioni e dei servizi, fossero comunicate al cliente con la chiara evidenziazione delle variazioni intervenute», sia che «variazioni sfavorevoli generalizzate potessero essere comunicate alla clientela in modo impersonale, mediante apposite inserzioni nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, anche ai fini dell esercizio del diritto di recesso previsto dall articolo 118, comma 3, del testo unico bancario», salvo però ad essere poi «comunicate individualmente al cliente alla prima occasione utile, nell ambito delle comunicazioni periodiche o di quelle riguardanti operazioni specifiche». In ogni caso, fermo l art. 118 cit., per il periodo precedente al 2003 (quello in esame ai fini che ci occupano, essendosi i rapporti chiusi al 2001),mancava una delibera del CICR che regolamentasse espressamente la fattispecie. Ciononostante, non può revocarsi in dubbio come, anche in assenza di tale deliberato, fosse pur sempre imprescindibile onere della Banche comunicare per iscritto le modificazioni peggiorative unilateralmente disposte a carico dei clienti nel corso del rapporto. Ciò, infatti, è facilmente desumibile dallo stesso disposto dell art. 118 c. 3 cit., il quale, nel riconoscere un diritto di recesso dal contratto al cliente «entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione scritta ovvero dell effettuazione di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1», poneva già di per sé in capo alla Banca (quanto meno) l onere formale minimo dell informazione cartacea a favore del cliente, sempre che non intervenisse (...ovvero...) una successiva delibera del CICR a regolare diversamente - ma pur sempre secondo canoni di trasparenza - la procedura da rispettare. Peraltro, una tale interpretazione appare l unica a rispondere ai canoni di trasparenza dei rapporti bancari, in uno alle ragioni di più efficace tutela del contraente debole, che hanno caratterizzato la legislazione del settore bancario sin dalla L. 154/1992, tanto più che tali principi di chiarezza e salvaguardia hanno continuato a permeare - forse in termini ancora più incisivi - pure le scelte legislative più recenti. Infatti, non solo la predetta delibera CICR del 2003, ma la stessa successiva L. n. 248/06 (che ha convertito, con modifiche, il decreto legge del 4 luglio 2006, n c.d. decreto Bersani- modificativo dell art. 118 cit.) non hanno giammai inteso prescindere dall obbligo minimo a carico delle Banche di comunicare per iscritto e personalmente al cliente tutte le «Modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali». Per cui, anche alla luce delle sopravvenienze normative de quibus, deve assumersi come già il solo art. 118 cit. esprimesse, sin dalla sua entrata in vigore, uno specifico onere di informazione scritta del cliente in caso di variazioni negoziali unilateralmente disposte dalla Banca: e ciò a pena di inefficacia delle stesse. Tanto acclarato in termini generali, su precisa indicazione di questo Giudice il CTU accertava come «soltanto per il conto corrente n. XXXX.XX lo ius variandi non era stato correttamente esercitato» (relazione di chiarimenti), essendo mancato in atti il dovuto riscontro cartaceo delle comunicazioni a farsi per le modificazioni effettivamente operate in conto da parte della Banca M.P.S.. Per cui, essendo queste ultime rimaste inefficaci ex art. 118 c. 2 cit., si ricalcolava il saldo del conto n. XXXX(nella misura che verrà indicata globalmente in seguito) facendosi applicazione solo dei saggi migliorativi che la Banca aveva accordato nel corso del rapporto. Nessuna illegittimità ex art. 118 cit., di contro, emergeva per il conto n. XXXX. II d) Anatocismo II d 1: Nullità ) Parte attrice deduceva la illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, sollevando relativo motivo di nullità dei negozi bancari allegati. La doglianza è fondata. In effetti, l art. 7 di entrambi i contratti in esame (conforme al modello delle Norme giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 9

10 ABI) prevedeva che «i conti che risultino anche saltuariamente debitori vengono chiusi contabilmente in via normale trimestralmente, applicando agli interessi dovuti dal correntista e alle competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto», aggiungendosi poi che «agli interessi dovuti dal correntista producono a loro volta interessi in pari misura». Tale pattuizione era nulla per violazione dell art c.c., essendo ormai sin troppo risaputo il percorso che ha caratterizzato la giurisprudenza della Cassazione con riguardo alle clausole delle Norme Bancarie Uniformi dei conti correnti di corrispondenza relativamente alla capitalizzazione trimestrale degli interessi sulle somme prestate dalle banche ai clienti. Stando all art c.c., «in mancanza di usi contrari» (usi normativi, che operano cioè sullo stesso piano della norma derogata e che il giudice deve applicare attingendone in ogni modo la conoscenza), gli interessi scaduti, dovuti almeno per sei mesi, possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza. In quest ultimo caso, deve trattarsi di convenzione scritta ed esplicita, in maniera che dalla stessa risulti la piena consapevolezza del debitore in ordine alla assunzione del relativo obbligo. Altrimenti, la condanna al pagamento degli interessi anatocistici presuppone che la parte, cui l effetto di capitalizzazione profitta, li chieda in giudizio con una domanda specificamente rivolta ad ottenere la condanna al pagamento di quegli interessi che gli interessi già scaduti, ovverosia il corrispondente capitale, di lì in poi produrranno. Fino al 1998, i giudici di legittimità avevano appunto individuato, nell ambito delle operazioni di dare e avere intercorrenti tra istituti di credito e clienti, un uso normativo, ai sensi dell art. 8 disp. prel. c.c., riferibile pure agli interessi moratori, volto al generale ricorso all anatocismo, tale da consentire la percezione degli interessi secondo il sistema della capitalizzazione trimestrale, quale eccezione al generale principio di cui all art c.c. (e quindi anche al limite temporale semestrale). Era facile leggere nelle sentenze: «sia le banche sia i clienti chiedono e riconoscono (nel vario atteggiarsi dei singoli rapporti attivi e passivi che possono in concreto realizzarsi) come legittima la pretesa degli interessi da conteggiarsi alla scadenza non solo sull originario importo della somma versata, ma sugli interessi da questa prodotti, e ciò anche a prescindere dai requisiti richiesti dall art c.c. Questo dato di comune esperienza ben può essere utilizzato per identificare la consuetudine...». L anatocismo nelle operazioni bancarie si svolgeva insomma, secondo i giudici, attraverso comportamenti costanti e duraturi della generalità degli interessati, osservati con il convincimento di adempiere ad un precetto di diritto (Cass. 15 dicembre 1981 n. 6631, in Vita not. 1982, 738; in Giust. civ. 1982, I, 380; nello stesso senso, Cass. 19 agosto 1983 n. 5409; Cass. 5 giugno 1987 n. 4920, in Banca borsa tit. cred. 1988, II, 578; in Vita not. 1987, 725; Cass. 30 maggio 1989 n. 2644, in Giust. civ. 1989, I, 2034; in Foro it. 1989, I, 3127; Cass. 20 giugno 1992 n. 7571, in Banca borsa tit. cred. 1993, II, 358; Cass. 18 dicembre 1998, n , secondo cui, peraltro, tale uso normativo, per il suo carattere derogatorio, poteva trovare applicazione limitata alla categoria di soggetti tra i quali si riteneva formato). Anche su questo tema, all interpretazione prescelta dalla Cassazione non faceva affatto eco un coro di unanime consenso da parte di dottrina e corti di merito. La prima partiva con l evidenziare l eccezionalità dell art c.c., unico caso in cui una norma imperativa ammette la propria derogabilità mediante usi normativi, quale effetto di una complicata operazione di sintesi tra l art del codice civile del 1865 e gli artt. 345 e 347 del codice di commercio del Avrebbero potuto perciò reputarsi sottratti al divieto di anatocismo solo quegli usi del mondo bancario che risultassero già in vigore al momento in cui entrò in vigore il codice del Per di più, la sistematica inserzione nei contratti tra banche e clienti di una clausola di capitalizzazione trimestrale deponeva piuttosto per la ravvisabilità di un uso non normativo, ma negoziale, peraltro contrastante con il divieto imperativo di legge. Voci assonanti si levavano da qualche Tribunale. Secondo il Tribunale di Vercelli, ad esempio, «gli usi bancari possono ben prevedere l anatocismo, ma il Collegio pone in discussione che il cliente della Banca, rectius : la generalità dei clienti delle Banche di una determinata zona o dell intero territorio nazionale, nel momento in cui addivengono alla stipulazione di giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 10

11 un contratto di finanziamento (sotto qualsiasi forma, di mutuo o di apertura di corrente o che altro), ovviamente spinti dalla necessità di ottenere danaro in prestito dal contraente istituzionalmente a ciò deputato, siano intimamente convinti di obbedire ad un imperativo giuridico nell accettare la clausola che preveda l anatocismo, e non si trovino, in realtà, nella tipica condizione del contraente debole... In altre parole, ciò che si vuol dire è che, molto probabilmente, le clausole sull anatocismo hanno più la valenza di clausole d uso (usi negoziali) imposte ai privati, che non quella di usi normativi, accettati dai medesimi come norme di diritto» (Trib. Vercelli 21 luglio 1994, in Giur. it. 1995, I, 2, 408; successivamente, nello stesso senso, Trib. Busto Arsizio 15 giugno 1998, in Foro it. 1998, I, 2997; Trib. Monza 23 febbraio 1999, in Banca, borsa, tit. cred. 1999, II, 390. Trib. Roma 21 gennaio 2000, in Banca borsa tit. cred. 2000, II, 207 ha poi qualificato vessatorie le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi). Nella primavera del 1999, in ogni caso, la Cassazione, «anche alla luce delle obiezioni sollevate da una parte della dottrina e della giurisprudenza», dichiarava d emblèe di dover rivedere il tradizionale orientamento, ammettendo che «l esistenza di un uso normativo idoneo a derogare ai limiti di ammissibilità dell anatocismo previsti dalla legge appare più oggetto di un affermazione, basato su un incontrollabile dato di comune esperienza, che di una convincente dimostrazione». La Suprema Corte negava natura di usi normativi alla Norme bancarie uniformi predisposte dall Associazione bancaria italiana, trattandosi piuttosto di condizioni generali di contratto aventi rilievo pattizio nel singolo contratto; e, interrogandosi sull elemento storico della norma consuetudinaria, giungeva a concludere che la capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti a debito del cliente era stata introdotta nelle medesime Norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza soltanto con effetto dal 1 gennaio 1952, senza che in alcuna raccolta pubblica risultasse la preesistenza di un equipollente uso normativo nazionale o locale. Gli usi in materia commerciale conosciuti prima dell entrata in vigore del nuovo Codice Civile sembravano infatti nel senso che gli interessi scaduti potevano capitalizzarsi solo al saldo annuale o semestrale del conto. Né dell uso normativo di capitalizzazione trimestrale appariva alla Corte dimostrato l atteggiamento psicologico dell opinio iuris ac necessitatis, non potendosi con esso confondere l adesione subita dai clienti rispetto alle condizioni generali predisposte dall ABI ed in suscettibili di negoziazione individuale (Cass. 16 marzo 1999 n. 2374; uniformi al nuovo orientamento Cass. 30 marzo 1999 n. 3096; Cass. 11 novembre 1999 n ; Cass. 17 aprile 1999 n. 3845; Cass. 4 maggio 2001, n. 6263). Ora, questo Giudice non può che condividere l arresto interpretativo cui è pervenuta la nuova giurisprudenza di legittimità, soprattutto considerato che esso è stato successivamente consacrato anche dalle S.U. della Cassazione (sentenza n del 7.10/ ) e che il Giudice di Legittimità sembra essersi definitivamente consolidato sul punto. Perciò, l illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all art c.c. e non trasfusa in un uso normativo, costituisce valido motivo di conseguente nullità ex tunc ex artt. 1283/1284/1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento giurisprudenziale avvenuto nel 1999 ( cfr. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n del 19/03/2007 ; Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n del 05/05/2006; Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n del 22/02/2005 ; Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n del 14/05/2005). ******** Non può poi condividersi l assunto secondo cui l anatocismo trimestrale a favore della banca avrebbe costituito non tanto un uso normativo derogatorio rispetto all art c.c., bensì la naturale conseguenza della periodica chiusura del conto corrente ex art c.c.. Secondo tale prospettazione, la mancata richiesta di pagamento del saldo al verificarsi della chiusura trimestrale (convenzionalmente fissata) del conto corrente avrebbe posto il saldo stesso quale prima rimessa di un nuovo rapporto di conto corrente, con rinnovazione del contratto a tempo indeterminato ai sensi dell art comma 2 c.c., sulla quale, a mente giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 11

12 dell art c.c., decorrono gli interessi convenzionali o, in mancanza, quelli legali (Trib. Roma 14 aprile 1999, in Foro it. 1999, I, 2370; Trib. Roma 26 maggio 1999). Di applicazione analogica dell art c.c. al contratto di conto corrente bancario (con correlata legittimità delle clausole con cui si conviene la chiusura contabile trimestrale dei conti «che risultino anche saltuariamente debitori»), discorreva pure parte della dottrina, secondo la quale «la liquidazione e la capitalizzazione degli interessi sono legate, nella struttura del conto corrente, sia ordinario che bancario, alla chiusura del conto, momento in cui il saldo può essere liquidato oppure può andare a costituire la prima partita del conto. Gli interessi maturati, ovviamente, vanno a far parte del saldo e vengono così capitalizzati, in base all art c.c., alle scadenze stabilite dal contratto e, in mancanza, al termine di ogni semestre, computabile alla data del contratto. L art produce così il duplice effetto della liquidazione del saldo e della capitalizzazione degli interessi». Tale interpretazione, tuttavia, pur sposata dalle banche costituitesi nel giudizio di illegittimità costituzionale dell art. 25, comma 3, d. Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, era dapprima dichiarata infondata dalla Corte Costituzionale. Successivamente, la stessa Suprema Corte, intervenuta anche su questo profilo, la bocciava definitivamente, chiarendo come in tema di capitalizzazione degli interessi, il rapporto di conto corrente bancario fosse soggetto ai soli principi generali di cui all art cod. civ. e ad esso non fosse applicabile l art cod. civ., il quale si riferisce solo alla chiusura del conto corrente ordinario. Si osservava, infatti, come nel conto corrente bancario la chiusura del conto non comporti un automatica liquidazione del saldo per il noto principio della disponibilità dello stesso in qualsiasi momento (art c.c.) ; e ciò spiegherebbe perché l art c.c. non richiami l art c.c., secondo il quale la chiusura del conto avviene a scadenze stabilite proprio per consentire la periodica liquidazione del saldo, che nel conto corrente ordinario è indisponibile ed inesigibile fino alla chiusura. Ne consegue che nel conto corrente bancario il credito del cliente verso la banca è in qualsiasi momento disponibile ed esigibile, come stabilito dalla norma fondamentale in materia (art c.c.), mentre all opposto il principale effetto del conto corrente ordinario è l indisponibilità ed inesigibilità dei crediti sino alla chiusura del conto come stabilito dall art c.c. Di qui, l ultima ed ulteriore diversità del conto corrente bancario, nel quale i debiti ed i crediti maturati dalla banca in seguito alle operazioni da essa eseguite per conto del cliente non si pongono mai in rapporto di reciprocità con i debiti e crediti dei clienti verso la banca. L estratto del conto corrente bancario determina, infatti, esclusivamente il credito o il debito (e le variazioni del credito e del debito) del cliente verso la banca. Per cui, da questo regime giuridico così nettamente differenziato, derivano fondamentali differenze in ordine alla cosiddetta liquidazione degli interessi. Mentre nel conto corrente ordinario è necessario dar vita ad una periodica chiusura del conto per rendere finalmente disponibile ed esigibile il saldo a favore dell uno o dell altro correntista ordinario, nel conto corrente bancario non vi è alcuna necessità di una chiusura periodica del conto, in quanto in qualsiasi momento, in base all art c.c., il cliente correntista ha la piena disponibilità del conto e delle somme a suo credito in esso annotate. Ne discende che, nel conto corrente bancario, la cosiddetta chiusura periodica (trimestrale, semestrale, annuale) del conto svolge solo ed unicamente la funzione di conteggiare gli interessi e le spese, addebitandoli o accreditandoli sul conto, in guisa che gli interessi addebitati vengano ad accrescere il preesistente debito per capitale (per interessi già capitalizzati) e gli interessi accreditati costituiscano somme che rappresentano una nuova giacenza del conto. In definitiva, il contratto di conto corrente bancario va ritenuto diverso per struttura e funzione dal contratto di conto corrente ordinario, tale da alimentarsi di meccanismi di funzionamento tutti suoi propri e da sottrarsi all applicazione del meccanismo di cui all art c.c., difatti non richiamato dall art c.c. (cfr, Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n del 05/07/2007; Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 870 del 18/01/2006 ; Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n del 22/03/2005 ). La questione, perciò, sembra essere stata efficacemente superata. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 12

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