2. a) Avvocati e tribunali nell antica Roma 1

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1 2. a) Avvocati e tribunali nell antica Roma 1 Nell accostarsi ad un orazione di Cicerone occorre tener presente che la figura dell avvocato in epoca romana era assai diversa da quella in epoca moderna, quanto meno per quel che riguarda l Italia, dove egli assomma in sé i ruoli svolti nell antica Roma da più figure, in particolare iuris peritus, orator e advocatus. Ma ciò che soprattutto è mutato è il motivo per cui un uomo decide di darsi all avvocatura: oggi si tratta per lo più di un lavoro da libero professionista come altri, probabile fonte di lauti guadagni. A Roma, al contrario, l aspetto del lucro era addirittura vietato dalla legge 2 e chi si accostava a questa attività lo faceva solo per l immagine, per la posizione sociale e l ascesa politica. Questo fatto determina la diversità di impostazione del lavoro: «quella dell orator ciceroniano è un impostazione prettamente retorica che utilizza tra l altro argomentazioni giuridiche...; quella dell avvocato moderno... è un impostazione prettamente giuridica che utilizza fra l altro strumenti retorici». Nel II secolo a.c. compare la figura del iuris peritus, erede in gran parte delle funzioni del pontifex di età regale: rigido interprete del testo della legge, egli dà responsi dotati di auctoritas, di forza logica e di stringatezza. Questi responsi «si limitano alla sola questione giuridica, colta nel suo aspetto generalizzante... Il perito trova il 1

2 diritto in base ad una fattispecie che egli stesso semplifica ed astrattizza attraverso un processo di continuo adattamento. La sua attività preminente consiste nello scegliere tra l elemento rilevante, qualificante del caso concreto e le caratteristiche accessorie che vengono tralasciate. Si scarnifica la realtà fino a giungere allo schema centrale, all essenziale.... Il giurista valuta e decide, quindi fa diritto. Ma non si addentra nella valutazione concreta dei fatti: questo compito è affidato a colui che deve giudicare e cioè al giudice». La sua figura diventa molto importante con l affermarsi, sempre nel II secolo A.C., del cosiddetto «sistema formulare»: quando il pretore sale in carica pubblica dei formulari (edictum perpetuum), cioè una sorta di elenco della posizione che il giudice dovrebbe assumere se... In qualche modo si tratta come di «risposte» prefatte a possibili domande. Tali formule vengono scritte appunto da giureconsulti, poiché il pretore solo raramente era esperto di diritto. Nella prima fase del processo, dunque, quando le parti avverse si rivolgono al pretore e gli espongono il loro caso, egli sceglie una delle formule processuali, «che riproduce l oggetto della lite in forma ipotetica... Questa formula serve come programma processuale per il giudice», nominato da un magistrato sulla base delle indicazioni delle parti in causa. Il processo come lo immaginiamo noi, con il dibattimento nel foro fra le parti di fronte al giudice (procedimento apud iudicem) costituisce la fase finale di una lunga serie di atti, e serve soprattutto ad accertare concretamente i fatti. È qui che entra in causa la retorica e 2

3 che viene ad operare il nostro orator. Ma prima di tutto occorre chiarire chi è il iudex. Nelle cause private (ma spesso anche nelle altre), egli è un privato cittadino scelto dalle parti in causa, chiamato ad emettere un giudizio che «non è altro che la sua personale opinione, sententia»; di fatto manca ogni forma di controllo sulle scelte del giudice, «ogni razionale verificabilità del risultato giudiziale» e l unico effettivo vincolo è costituito «dal giuramento dei giurati stessi, di decidere secondo la propria miglior scienza e coscienza». In questo quadro appare chiara l importanza che verrà ad assumere la retorica e la conoscenza dell arte oratoria per l avvocato, tanto che essa viene pian piano, da Catone in poi, a costituirsi in scienza autonoma. In origine col termine orator venivano indicate due diverse figure, quella del patronus, cioè di colui che testimonia a favore dell accusato; e quella dell advocatus nel senso più vicino a noi. In generale, dopo tutti i riti iniziali comprendenti anche il giuramento dei giudici, l accusatore spiegava quale accusa intendeva muovere. Quindi la parola passava all accusato o, almeno in età classica, al suo avvocato. Ogni parte aveva a disposizione un tempo fisso, che all epoca di Cicerone doveva essere di due ore per l accusa e tre per la difesa, rigidamente calcolate con l uso della clessidra. Seguivano quindi eventualmente un interrogatorio da parte del giudice e un dibattito fra le parti (altercatio), per approdare poi alla sentenza, emessa nella giornata stessa. In un processo così strutturato appare chiaro che lo scopo ultimo 3

4 dell orator è il persuadere, scopo che può raggiungere «sia attraverso la prova (probare, docere),..., sia attraverso la benevolenza del giudice (conciliare...), sia attraverso il commovere, perturbare, flectere, cioè attraverso il momento affettivo, patetico». Col tempo il processo diventa un vero «spettacolo», di cui l orator è il protagonista, cfr. Cicerone, Brutus 290: volo hoc oratori contingat, ut cum auditum sit eum esse dicturum, locus in subselliis occupetur, compleatur tribunal, gratiosi scribae sint in dando et cedendo loco, corona multiplex, iudex erectus; cum surgat is qui dicturus sit, significetur a corona silentium, deinde crebrae adsensiones, multae admirationes; risus, cum velit, cum velit, fletus: ut, qui haec procul videat, etiam si quid agatur nesciat, at placere tamen et in scaena esse Roscium intellegat. «Voglio che all avvocato capiti questo, che quando si sente che ha intenzione di parlare, si prenda posto fra gli scanni, si riempia il tribunale, ci siano graziosi scrivani che indichino un posto libero o diano il loro, ci sia un ampia corona di pubblico, un giudice attento; se l oratore si alza, sia preteso dal pubblico il silenzio, quindi ci siano abbondanti e frequenti applausi di ammirazione, il riso quando l avvocato lo vuole, il pianto quando lo vuole, in modo che, chi assiste al tutto da lontano, anche se non sa di cosa si tratti, tuttavia possa intendere che in scena c è Roscio». L oratore dunque è uno che «si mette a disposizione», si adatta di volta in volta a situazioni ed esigenze diverse, senza mai 4

5 identificarsi con nessuna di esse, come un attore coi suoi personaggi; la maestria di Cicerone sta proprio nella sua capacità di cogliere sempre il «kairòs», di leggere perfettamente le varie situazioni: «nessuno sa meglio di Cicerone accostare al persuadere anche il movere ed il delectare, il patetico e l estetico sono momenti altrettanto decisivi quanto il razionale». Insomma nel rapporto fra retorica e diritto, potremmo dire che la prima «è il mezzo attraverso il quale l uomo opera per raggiungere la soluzione giusta», il secondo è il «risultato, depurato dalla soggettività e dalla contingenza del discorso» e stabilisce regole di comportamento oggettive. «Il pericolo del giurista... è quello di perdere il senso dell umano», di rimanere astratto e asettico; quello dell oratore invece «di perdere il senso della norma, di diventare sacerdote di una giustizia che tutto giustifica». Struttura del Tribunale Romano Il termine tribunal indica propriamente un luogo rialzato e solo in un secondo tempo è venuto ad indicare specificatamente la pedana su cui stavano giudice e suo entourage, assisi sulle loro sellae. Se in origine è probabile che codesta pedana si trovasse nel foro senza una particolare costruzione attorno, essa viene poi collocata dentro a quello che in principio era l edificio del mercato e dei commerci, cioè la basilica. Generalmente era costituita da un alta navata centrale e da due laterali più basse, separate da colonne o pilastri, e il tribunale si trovava in fondo alla navata centrale, in una sorta di 5

6 abside o esedra, spesso rialzata, con colonne sul davanti. Di fatto esso viene ad assumere l aspetto del teatro, con gli spalti per il pubblico, poiché in certa misura per i romani andare ad ascoltare oratori del calibro di Cicerone era davvero un divertimento. Di grande aiuto per comprendere come doveva svolgersi un processo a Roma è un epistola di Plinio il Giovane (VI 33): sul tribunal sedevano giudice (o giudici) e magistrati, spesso invitati dal giudice stesso, mentre avvocati, accusati e accusatori, testimoni, stavano ai piedi di questo palco, seduti su specie di banchi detti subsellia. Il pubblico stava tutt attorno a corona, talora disponendosi anche al secondo piano della basilica dove probabilmente esisteva una sorta di matroneo, cioè di spazio riservato alle donne. Spesso più cause venivano dibattute contemporaneamente, una a fianco dell altra, il che generava una confusione incredibile, tanto che più volte si cercò di porre delle regole. In età imperiale, da simbolo dell autonomia dell urbs, la basilica diventa simbolo del potere assoluto dell imperatore, addirittura usata spesso come santuario del culto imperiale, anche se continua ad esser sede anche di attività giuridiche e soprattutto commerciali. Quaestiones perpetuae Si tratta dei processi per abusi di potere o riguardanti l operato dei governatori delle province. Addirittura sembra che la prima quaestio perpetua sia nata proprio con l approvazione della prima legge de pecuniis repetundis, fatta votare dal tribuno L. Calpurnio Pisone nel 6

7 149 a.c. Ma è con Silla che questi processi trovano un loro assetto definitivo. Si distinguono sei quaestiones almeno, ma il numero era probabilmente molto maggiore: repetundarum, «di concussione», ovvero per la riscossione di denari estorto ingiustamente da un governatore di provincia durante la sua carica, presieduta da un pretore; ambitus, «broglio elettorale», presieduta da un pretore o da un questore; peculatus, «peculato», sotto un pretore; maiestatis, «lesa maestà» e de sicariis et veneficis, «di omicidi e avvelenamenti», entrambe affidate o a un pretore o a un questore. Come presidenti del processo potevano essere scelti uno dei pretori; un presidente, preso fra i giudici dal pretore urbano, e detto quaesitor; il iudex quaestionis rerum capitalium, esistente almeno dal 98 a.c., ma dalle funzioni poco note. In generale l accusatore (che poteva esser affiancato da subscriptores, «coaccusatori») fa davanti al magistrato la postulatio, cioè chiede di poter sporgere una denuncia (postulare nominis delationem). Il magistrato, valutato velocemente il caso, dà il suo nulla osta ed accorda la nominis delatio, che doveva contenere l anno ed il giorno, il nome dell accusatore, dell accusato e la legge invocata, nonché una breve descrizione del crimine imputato. La causa viene registrata dal pretore nelle sue tabulae (inscriptio o nomen recipere), momento da cui l accusato diventa reus. Segue l interrogatio e, se l accusato intende difendersi, il 7

8 processo in senso stretto, con l indizione del giorno del dibattito (diei dictio), di norma dopo circa dieci giorni dall interrogatio. Il pretore costituisce intanto la giuria. Lo svolgimento del processo è poi analogo a quanto detto prima: l accusa spiega la sua posizione, la parola passa alla difesa, in mezzo o alla fine possono esserci altercationes, «dibattiti» fra le due parti e domande del giudice. Dopo che l araldo ha annunciato la fine del dibattito (che poteva durare più giorni) con l espressione tecnica dixere / dixerunt, i giudici si ritirano per votare, in segreto (ire in consilium). Ogni giudice depone un voto in un urna (sitella); in generale si dovevano usare due simboli, A per absolvo e C per condemno. Segue la sententia in base ai voti letti, con l espressione fecisse / non fecisse videtur. 1. Per la scheda mi sono servita ampiamente del saggio di G. Broggini, Cicerone avvocato, in AA.VV., Cicerone Oratore. Rendiconti del corso di aggiornamento per docenti di latino e greco del Canton Ticino. Lugano settembre 1987, Lugano, Giampiero Casagrande editore/e.u.s.i. 1990, pp Cfr. lex Cincia (204 a.c.) ne quis ob causam orandam pecuniam donumve accipiant. 8