Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria
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- Rosalia Pagani
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1 Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria 1. Il ruolo della consulenza finanziaria secondo la finanza comportamentale La finanza comportamentale individua nella consulenza lo strumento che, più di ogni altro, è in grado di orientare le decisioni degli investitori arginando gli errori sistematici che possono inficiarne le scelte. Kahneman e Riepe (1998) sostengono, in particolare, che la consulenza è «l attività prescrittiva il cui obiettivo principale consiste nel guidare gli investitori nel processo decisionale nel loro migliore interesse». L educazione finanziaria e «comportamentale» e la trasparenza informativa, che assieme alla consulenza costituiscono il novero delle leve attivabili, sia dall industria sia dai regolatori dei mercati finanziari, per migliorare le decisioni di investimento, presentano infatti limiti di efficacia che possono essere superati solo attraverso la comunicazione verbale e l interazione tra consulente e investitore. In particolare, è oramai acquisito da un certo filone della letteratura il principio secondo il quale l investor education, sia quando si sostanzi nella divulgazione di nozioni sia quando, seguendo le prescrizioni della finanza comportamentale, si avvalga di tecniche di debiasing mirate a rendere gli individui consapevoli degli errori nei quali possono incappare nel corso di un processo decisionale, non può essere considerata uno strumento di policy risolutivo potendo rivelarsi inefficace o, in alcuni casi, addirittura contropruducente. L educazione finanziaria, infatti, può generare information overload, ossia incapacità da parte dei soggetti destinatari di acquisire ed elaborare le informazioni ricevute (Lacko e Pappalardo 2004); può altresì sanare alcuni Consob, Divisione Studi. Le opinioni espresse sono strettamente personali e non impegnano l istituzione di appartenenza. 1 Analisi Giuridica dell Economia - 1/2012
2 errori e alimentarne altri, ovvero rafforzare atteggiamenti di ottimismo, overconfidence e illusione del controllo che sono alla base di ulteriori distorsioni nella corretta percezione del rischio (Willis, 2008). Anche la trasparenza informativa, sebbene attraverso la semplificazione e la standardizzazione delle informazioni possa aiutare a comprendere le caratteristiche di rischio e rendimento di un dato strumento finanziario e a comparare opzioni di investimento alternative, può avere effetti poco significativi e può risultare inefficace a causa di deficit cognitivi e bias comportamentali. Al proposito, è di interesse citare l evidenza sperimentale sui fattori che influenzano le scelte di investimento dei risparmiatori retail raccolta in un rapporto della Commissione Europea (2010) 1. Tale Rapporto mostra, con riferimento a un campione di risparmiatori residenti in 8 paesi europei, che la comprensione delle caratteristiche dei prodotti finanziari è generalmente molto bassa, così come basso è il numero di alternative considerate prima di effettuare una scelta. In particolare, il processo decisionale sembrerebbe guidato soprattutto dalla familiarità con il prodotto e l intermediario distributore. L investor education e la trasparenza informativa, dunque, devono integrarsi con un servizio di consulenza orientato a rendere edotto l investitore degli errori che ne inficiano le scelte in via sistematica e ad aiutarlo a controllare l emotività. La tolleranza al rischio finanziario, infatti, dipende non solo dalle preferenze verso il rischio, definite rispetto alle caratteristiche di rischio e rendimento di una determinata opzione di investimento, tipicamente influenzate da fattori cognitivi, ma anche dall attitudine al rischio, intesa come l insieme delle componenti emotive e psicologiche che determinano la reazione di un individuo in circostanze rischiose 2. Come si vedrà più dettagliatamente in seguito, ciò richiede un affinamento degli strumenti (ossia dei questionari) comunemente utilizzati dai consulenti per la rilevazione delle informazioni utili a definire il profilo di rischio del cliente ai fini della formulazione di una raccomandazione di investimento, dovendosi 1 Il Rapporto è tra i documenti utilizzati dalla Commissione per l elaborazione delle proposte di regolamentazione dei cosiddetti prodotti «pre-assemblati» (Packaged retail investment products Prips) poste in consultazione nel 2010 e riguardanti, rispettivamente, la trasparenza pre-contrattuale e le regole di condotta da applicare nella fase di distribuzione dei prodotti stessi. 2 Cordell (2001) indica due ulteriori componenti della tolleranza al rischio: la capacità finanziaria e il livello di conoscenza finanziaria. 2
3 Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria distinguere nell ambito del processo di «profilatura» le preferenze verso il rischio (oggettivo) dalla capacità emotiva e dalla capacità finanziaria di assumere rischio e dovendo utilizzare, per ciascuna di queste componenti, opportuni accorgimenti (anche metodologici) atti a garantirne una rilevazione attendibile. 2. La domanda e l offerta della consulenza finanziaria ul piano prescrittivo, il ruolo del consulente finanziario è chiaro; sul piano positivo è tuttavia meno chiaro se i soggetti assistiti da un consulente detengono portafogli meglio diversificati e ottengono rendimenti netti più elevati di coloro che decidono in modo autonomo. Al proposito la scarsa evidenza empirica disponibile non fornisce indicazioni decisive. Uno studio su un campione di investitori israeliani mostra, ad esempio, che i portafogli assistiti da consulenti sarebbero meglio diversificati di quelli indipendenti (Shapira e Venezia, 2001); per contro, l evidenza relativa a un campione di investitori tedeschi documenta che le performance dei portafogli assistiti risultano peggiori e che i soggetti che si avvalgono della consulenza appartengono prevalentemente alla fascia degli investitori più anziani e più abbienti (Hackethal et al., 2009). In linea di principio sarebbe nell interesse del consulente cercare di correggere gli errori cognitivi e comportamentali che, alimentando un disallineamento tra le aspettative del cliente e i risultati realizzati (sulla base di una strategia di investimento «corretta», ossia aderente alle indicazioni normative della teoria standard), possono generare insoddisfazione e minare la stabilità del rapporto di consulenza. Non si può escludere, tuttavia, che gli stessi consulenti siano affetti da errori cognitivi e comportamentali. Alcune evidenze sperimentali mostrano, infatti, che anche i soggetti professionalmente più competenti subiscono le distorsioni derivanti da effetti di inquadramento 3 e dall applicazione di regole decisionali che semplificano (erroneamente) problemi complessi 4. 3 Il framing effect, legato alla sensibilità del nostro apparato percettivo alle modalità di presentazione delle opzioni di scelta, implica che possono registrarsi scelte diverse a seconda della presentazione di un dato problema; questo effetto sembrerebbe rilevante anche per i cosiddetti professionals (Roszkowski e Snelbecker, 1990). 4 Il riferimento è alle cosiddette euristiche, che includono le regole della familiarità, rappresentatitività e ancoraggio. La familiarità viene utilizzata per stimare la frequenza di un determinato evento sulla base della notorietà e della facilità con cui si possono costruire 3
4 Un ulteriore elemento che può indebolire il ruolo della consulenza è correlato a eventuali conflitti di interessi che originano dal sistema di incentivi (Inderst e Ottaviani, 2009), dalle caratteristiche strutturali e dalle dinamiche competitive del comparto dell intermediazione mobiliare (Krausz e Paroush, 2002). Alcuni contributi hanno indagato, a livello teorico, le possibili ricadute della presenza di conflitti di interessi sulle scelte di investimento dei clienti, indicando una eccessiva tendenza a delegare da parte degli investitori meno informati e quindi incapaci di percepire tali conflitti (Ottaviani, 2000), una attitudine a non seguire le raccomandazioni di investimento ricevute (Hacketal et al. 2009), una tendenza da parte dei consulenti a impegnarsi e a trasmettere più informazioni solo se i clienti sono informati ed esperti nelle materie finanziarie (Calcagno e Monticone, 2011; Bucker-Koenen e Koenen, 2011). In generale il basso livello di cultura finanziaria sembra scoraggiare il ricorso al servizio di consulenza, anche se al crescere della financial education aumentarebbe la propensione a decidere in autonomia, ossia a discostarsi dalle raccomandazioni ricevute dall intermediario preventivamente consultato. Calcagno e Monticone (2011) ottengono questo risultato con riguardo a un campione di investitori italiani; giungono alla stessa conclusione Bucker-Koenen e Koenen (2011), i quali trovano che la probabilità di accettare le proposte di investimento del consulente finanziario è negativamente correlata con il grado di financial education. Georgarakos e Inderst (2010) indicano la rilevanza di fattori ulteriori alle conoscenze delle materie finanziarie: la propensione a seguire le raccomandazioni di investimento di un consulente dipenderebbe anche dalla percezione delle proprie capacità e dal grado di fiducia nel corretto funzionamento dei mercati e nelle regole che lo disciplinano. Infatti, gli investitori con un basso livello di self-confidence tenderebbero ad affidarsi al servizio di consulenza e parteciperebbero al mercato azionario solo se hanno fiducia; viceversa, per i self-confident prevale la tendenza a decidere in autonomia e a investire in asset rischiosi se la fiducia nel sistema legale di tutela dei diritti degli investitori è elevato. scenari (recuperabilità); la rappresentatività induce a formulare giudizi di probabilità sulla base di stereotipi e situazioni familiari; l ancoraggio genera un effetto inerziale rispetto a un ipotesi iniziale o a un informazione saliente che agisce da ancora, inibendo gli aggiustamenti che si renderebbero necessari al sopraggiungere di nuova informazione (Linciano, 2010). L ancoraggio sarebbe alla base di una certa inerzia nell aggiornamento delle proprie opinioni da parte dei consulenti a fronte dell arrivo di nuove informazioni (Diacon, 2004). 4
5 Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria 3. Il caso italiano Le scelte di portafoglio delle famiglie italiane sembrano confermare la rilevanza concreta dei bias cognitivi e comportamentali che la ricerca teorica ed empirica ha diffusamente illustrato. Gli investitori italiani, infatti, si connotano per un basso livello di partecipazione ai mercati azionari e detengono portafogli poco diversificati, a prevalente componente obbligazionaria. Le obbligazioni bancarie, in particolare, continuano a essere tra gli strumenti finanziari ai quali viene mediamente destinata una quota della ricchezza finanziaria paragonabile, negli ultimi anni, a quella riferibile ai titoli di Stato. Come ampiamente documentato dalla Consob (sia in un Quaderno di Finanza del 2009 sia nell ultima Relazione annuale), tali obbligazioni sono nella maggior parte dei casi strumenti illiquidi (ossia non negoziati su mercati regolamentati o i sistemi multilaterali di negoziazione) e offrono un rendimento che, in media, non riflette adeguatamente il premio per il rischio di credito del soggetto emittente. Peraltro i rendimenti offerti agli investitori retail, ai quali sono destinati i collocamenti domestici, sono sensibilmente diversi da quelli offerti agli investitori istituzionali. In particolare, lo spread mediano fra i rendimenti a scadenza delle obbligazioni a tasso fisso e quelle dei Btp con vita residua simile è risultato sostanzialmente pari a zero nel 2010 e negativo di oltre 40 punti base nel 2011 per le emissioni domestiche, mentre nello stesso periodo gli investitori istituzionali hanno beneficiato di un rendimento superiore di oltre 60 punti base rispetto a quello dei Btp. Tale dato si registra anche con riferimento alle obbligazioni a tasso variabile, per le quali nel 2011 lo spread mediano sul tasso Euribor (al quale sono indicizzate tutte le emissioni) si è attestato a circa 50 punti base per gli investitori retail (a fronte di un valore sostanzialmente pari a zero nell anno precedente) e a 180 punti base per gli investitori istituzionali (110 nel 2010). Queste evidenze mettono in discussione gli assunti classici sul comportamento degli investitori in materia di scelte di portafoglio e sul trade-off rischio rendimento. Non è infatti chiaro perché gli investitori al dettaglio non richiedano un premio adeguato per il rischio emittente e di liquidità o perché accettino rendimenti inferiori a quelli dei titoli di Stato anche quando la banca emittente è assistita da un rating inferiore a quello della Repubblica Italiana. È verosimile che il fenomeno, oltre a discendere da anomalie nel processo produttivo e distributivo dei prodotti finanziari, sia correlato a significa- 5
6 tive carenze di tipo cognitivo, che ostacolano la piena comprensione delle caratteristiche anche dei titoli più semplici e impediscono di coglierne la convenienza rispetto a forme di investimento alternative e a minor rischio. Gli investitori potrebbero non essere in grado di comprendere le diverse componenti di rischio sottese a un opzione di investimento né i relativi indicatori (basti pensare, ad esempio, al rischio emittente e al rating), ovvero, pur essendo in astratto familiari con tali nozioni, ritenere nel concreto che l emittente sia solido e affidabile e che il titolo offerto sia «sicuro». Ad accentuare tali deficit cognitivi ed errori di valutazione potrebbero concorrere i processi di percezione e valutazione del rischio che, secondo gli studiosi della finanza comportamentale, determinano deviazioni sistematiche delle scelte individuali dalle prescrizioni della teoria neoclassica, basata sull ipotesi di razionalità degli agenti. L euristica della familiarità, ad esempio, potrebbe giocare un ruolo importante soprattutto nel caso di obbligazioni emesse e proposte da banche con le quali si intrattengono rapporti commerciali, e contribuire a distorcere la percezione del trade-off fra rischio e rendimento. Potrebbe rilevare, inoltre, la propensione a valutare in modo asimmetrico i guadagni e le perdite, così come sostenuto dalla teoria del prospetto (Kahneman e Tversky, 1979) 5. L investimento in obbligazioni bancarie è una decisione che afferisce al dominio dei guadagni e l eventuale differenziale negativo di rendimento rispetto al titolo di Stato equivalente, anche se correttamente percepito, potrebbe tuttavia essere «tollerato» in quanto configurabile come un minore guadagno rispetto al benchmark di riferimento. Più significativo potrebbe essere invece il medesimo spread riferito a un contratto di finanziamento (ad esempio un mutuo ipotecario), in quanto esso rappresenterebbe un maggior costo, ossia una perdita. La bassa propensione all investimento azionario, che aveva conosciuto una parziale inversione di tendenza anche per effetto della riduzione dei rendimenti dei titoli pubblici conseguente all ingresso nell Area euro, è stata di recente rafforzata dal susseguirsi di crisi finanziarie. In generale l aumento dell avversione al rischio legata all attuale fase congiunturale negativa ha influenzato negativamente la partecipazione delle famiglie ai mercati finanziari: secondo i dati di sondaggio della società 5 Secondo tale teoria, la sensibilità degli individui ai guadagni sarebbe inferiore rispetto alla sensibilità alle perdite, poiché la «funzione di valore» (equivalente alla funzione di utilità della teoria classica) sarebbe concava nel dominio dei guadagni e convessa nel dominio delle perdite. A parità di valore assoluto, dunque, una perdita avrebbe un impatto negativo maggiore di un guadagno. 6
7 Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria GfK Eurisko, riportati nella Relazione annuale per il 2011 della Consob, la percentuale di famiglie che investono in strumenti finanziari rischiosi (azioni, obbligazioni, risparmio gestito e polizze vita) è diminuita di 3 punti percentuali nell ultimo anno, attestandosi al 17 per cento. In particolare la percentuale degli investitori retail che detengono prodotti del risparmio gestito è passata dall 11 al 9 per cento circa, mentre la quota di famiglie che possiedono azioni od obbligazioni è diminuita dal 16 al 14 per cento. Con riguardo alla distribuzione della ricchezza tra i vari asset, nel 2011 è cresciuto il peso degli investimenti in depositi e risparmio postale (circa due punti percentuali) e, seppur lievemente, il peso delle obbligazioni (da 14,1 a 14,7 per cento); sono diminuite invece la quota di prodotti del risparmio gestito (dal 16 al 14 per cento circa) e la quota di azioni (dal 7,3 al 5,6 per cento). Le evidenze appena citate lasciano intravedere, quindi, ampi margini di miglioramento che un servizio di consulenza, orientato a servire il cliente nel suo miglior interesse, potrebbe mettere a frutto. L evidenza empirica mostra, tuttavia, che gli investitori retail sono poco propensi a delegare a gestori professionali le scelte di investimento; tale propensione è più elevata per le famiglie residenti nelle regioni del Centro e del Nord e, in generale, sembra correlata positivamente con la dimensione del patrimonio da gestire e con l avversione al rischio (Gentile et al., 2006). I dati più recenti, tratti dalla Relazione annuale per il 2011 della Consob, confermano lo scarso ricorso al servizio di consulenza. La quota di famiglie che decidono in autonomia rimane stabile, dal 2008, attorno al 25 per cento. Le restanti famiglie, pur dichiarando di avere un consulente di fiducia, in realtà non ricevono alcuna proposta di investimento (49 per cento dei casi), ovvero ricevono proposte che non si riferiscono a uno specifico strumento finanziario (17 per cento circa a dicembre 2011 contro il 18 per cento nell anno precedente). La percentuale di investitori retail che si avvalgono di un servizio di consulenza basato su proposte di investimento personalizzate e riferite a uno specifico strumento finanziario si attesta solo attorno all 8 per cento circa, in calo di due punti percentuali rispetto al dato del 2008, successivo al default di Lehman. All interno di questo sotto-campione, solo il 4 per cento afferma di ricevere il servizio a seguito di una sua specifica richiesta, mentre negli altri casi le famiglie sembrerebbero aver deciso di farsi assistere su iniziativa dell intermediario (40 per cento circa del totale), ovvero (dato ancor più preoccupante) non sono in grado di ricordare/distinguere le modalità con le quali hanno ricevuto il servizio (56 per cento circa). 7
8 Le famiglie che ricorrono al servizio di consulenza sembrano diversificare meglio il proprio portafoglio: circa il 44 per cento detiene almeno un prodotto finanziario rischioso (che nella definizione seguita nella Relazione Annuale Consob include, oltre ad azioni e obbligazioni, anche i prodotti del risparmio gestito), rispetto a meno del 6 per cento registrato per le famiglie che decidono in autonomia. In letteratura la domanda del servizio di consulenza viene spiegata da vari fattori, tra i quali il livello di educazione finanziaria, la fiducia nel proprio consulente e il grado di soddisfazione per il servizio ricevuto. Questi fattori sembrerebbero giocare un ruolo anche per le famiglie italiane. Sempre dall ultima Relazione Consob emerge, infatti, che una maggiore istruzione (intesa come proxy del livello di financial education) si associa a una maggiore propensione a detenere strumenti rischiosi e a investire con il supporto di un intermediario. A dicembre 2011 la percentuale di famiglie che aveva usufruito di servizi di consulenza risultava pari al 15 per cento circa per i soggetti laureati (il linea con il dato del 2007), a fronte dell 8 per cento riferibile ai soggetti con titolo di studio inferiore (in calo di quasi 2 punti percentuali rispetto al 2007). Per quanto riguarda il livello di fiducia nel consulente, a dicembre 2011 il 19 per cento delle famiglie riteneva che l intermediario agisse in conflitto di interesse (in diminuzione rispetto al 2007 quando tale percezione era riferibile a circa una famiglia su quattro); sfiora infine il 30 per cento la quota di investitori che dichiarano un basso livello di soddisfazione per il servizio ricevuto. 4. Potenziare il ruolo della consulenza finanziaria Il potenziamento della consulenza finanziaria può avvalersi di alcuni strumenti riconducibili ad almeno due direttrici d azione. La prima dovrebbe riguardare l offerta di consulenza e, in particolare, i fattori che, alimentando la percezione di un basso livello qualitativo del servizio, ne scoraggiano la domanda. Per migliorare la fiducia degli investitori nei consulenti è necessario intervenire in materia di conflitti di interesse, nonché migliorare gli strumenti e le procedure che stimolano lo sviluppo di una consulenza resa nel migliore interesse dei clienti. Con riguardo ai conflitti di interesse, si possono imporre forme di trasparenza ovvero stimolare la nascita di un servizio di consulenza indipendente. L efficacia di queste misure, tuttavia, non è scontata. Dati sperimentali mostrano, infatti, che la disclosure dei conflitti di interesse può passare 8
9 Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria inosservata, salvo che non venga effettuata con modalità molto evidenti (simili agli health warning), che finiscono con l ingenerare reazioni di totale sfiducia da parte dell investitore e, quindi, di rifiuto aprioristico di seguire le raccomandazioni del consulente anche quando sarebbe opportuno farlo (cosiddetto knee-jerk effect; European Commission, 2010). D altra parte lo sviluppo del comparto della consulenza indipendente può avere un impatto marginale se, a fronte della scarsa efficacia o degli effetti addirittura controproducenti delle misure di trasparenza dei conflitti di interesse, essa non concorre a migliorare la percezione degli investitori o se questi ultimi, pur rivolgendosi al consulente, decidono poi di agire in autonomia. Inoltre, lo sviluppo della consulenza indipendente presuppone forme di remunerazione dei consulenti del tipo up front fee, più visibili e più agevolmente quantificabili delle commissioni parametrate al volume e alla tipologia di strumenti finanziari distribuiti dalle reti di vendita (che possono passare inosservate). L evidenza empirica mostra, tuttavia, che tali forme di remunerazione possono non essere gradite agli investitori poiché esse sono percepite come una perdita secca (Consob, 2011; European Commission, 2010). In generale, razionalità limitata, atteggiamenti di inerzia, overconfidence, avversione alle perdite, bassi livelli di cultura finanziaria incidono negativamente sulla domanda di servizi di consulenza e sulla propensione a seguire i consigli del consulente eventualmente consultato. Per mitigare questi fenomeni sarebbero importanti iniziative di investor education mirate ad aumentare la consapevolezza dei vantaggi che la consulenza (resa nel miglior interesse del cliente) può generare sul piano della migliore diversificazione e della migliore performance di portafoglio. L efficacia della consulenza nell orientare correttamente le scelte degli investitori può incontrare un ulteriore limite nelle modalità e nella tipologia di informazioni comunemente acquisite dai consulenti ai fini della classificazione del cliente e della individuazione dei prodotti più adeguati dati la sua tolleranza al rischio, la situazione finanziaria e gli obiettivi di investimento. Come si evince dai contributi della letteratura economica, i questionari generalmente utilizzati dagli intermediari per «profilare» i clienti consentono di valutare la capacità economica di sopportare il rischio ma non la tolleranza al rischio (Cordell, 2001; Holzhauer e McLeod, 2009; Yook e Everett, 2003; Roszkowski et al., 2008). Gli strumenti di rilevazione dell attitudine al rischio e delle preferenze intertemporali suggeriti in letteratura sono riconducibili a due categorie. 9
10 La prima, di tipo economico/quantitativa, attinge all impianto teorico dell economia classica e della finanza comportamentale e ai metodi di analisi empirica affinati nell ambito dell economia sperimentale; la seconda fa capo alla psicologia e alla psicometria, ossia alla scienza che studia la misurazione di grandezze psicologiche. L approccio economico/quantitativo si basa su tecniche di analisi che presuppongono la specificazione di una funzione di utilità e la successiva stima dei parametri della funzione stessa che consentono di misurare l avversione al rischio e il tasso di sconto soggettivo. La stima utilizza dati raccolti nell ambito di esperimenti di laboratorio, oppure attraverso rilevazioni sul «campo» (cosiddetti field data, raccolti ad esempio via web) o tramite la somministrazione di un questionario a un campione di soggetti (survey data). La funzione di utilità può essere specificata attingendo al paradigma classico dell utilità attesa, oppure alla famiglia di funzioni proposte dalla finanza comportamentale per la rappresentazione di bias sistematici e forme di incoerenza dinamica. Tra gli strumenti più impiegati si ricorda la cosiddetta Multiple price list (Mpl), consistente in una sequenza di coppie di lotterie/opzioni rischiose costruite in modo da poter stimare (sulla base delle scelte effettuate dal soggetto intervistato) un intervallo del livello di avversione al rischio. Nell ambito della Mpl, lo strumento più diffuso è quello elaborato da Holt e Laury (2002). La Mpl di Holt e Laury è basata su una sequenza di dieci coppie di lotterie. Tali lotterie prevedono ciascuna la possibilità di ottenere un importo basso e uno elevato con un grado di variabilità differente che, per costruzione, è sempre minore, ad esempio, per la prima lotteria. Quest ultima è quindi l opzione più sicura e dovrebbe essere quella preferita da un soggetto avverso al rischio; tuttavia poiché man mano che si procede lungo la coppia di lotterie (da uno a dieci) la probabilità di conseguire l importo elevato aumenta, ad un certo punto (cosiddetto crossover) la lotteria meno sicura diventa più appetibile. Il punto di crossover corrisponde a un intervallo di stima del livello di avversione al rischio del soggetto. In particolare, se il passaggio avviene in corrispondenza della quinta lotteria, l individuo è avverso al rischio; se avviene dopo la quinta lotteria è neutrale al rischio. La rilevazione dell avversione al rischio tramite il metodo della Mpl è esposta al framing effect (Manon e Perali, 2011) e, in assenza di opportuni accorgimenti, è distorta verso la neutralità al rischio. Come emerso nell ambito di alcuni esperimenti di laboratorio, i soggetti intervistati tendono infatti a scegliere, tra le coppie di lotterie proposte, quella centrale; tale comportamento è tanto più frequente quanto minore è la comprensione 10
11 Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria dell esperimento e quanto maggiore è la paura di commettere errori. L applicazione della Mpl richiede, quindi, controlli di coerenza delle risposte raccolte e la verifica di una piena comprensione da parte degli individui intervistati. Menon e Perali (2011) hanno somministrato la Mpl di Hault e Laury (2002) a un gruppo di studenti universitari e della scuola secondaria per la stima dell avversione al rischio e del tasso di sconto soggettivo. Secondo gli autori, questa metodologia potrebbe essere utilizzata anche dagli intermediari ai fini della definizione del profilo del rischio del cliente purché vengano rispettati alcuni importanti accorgimenti. Il contesto rispetto al quale viene effettuata la «profilatura» dovrebbe essere il più circoscritto possibile, poiché la tolleranza al rischio e il grado di impazienza possono cambiare in modo significativo a seconda della tipologia e della durata dell investimento; reddito e ricchezza individuali, poiché fortemente correlati con le preferenze verso il rischio e il tempo, dovrebbero essere rilevati nel modo più accurato possibile; la misurazione dell avversione al rischio e del tasso di sconto soggettivo andrebbe aggiornata rispetto a cambiamenti delle condizioni demografiche ed economiche che possono incidere sulle preferenze individuali. Agli strumenti di tipo economico/quantitativo si affiancano, come si è già ricordato, le modalità di rilevazione della tolleranza al rischio suggerite dalla psicologia e dalla psicometria. Tali discipline hanno fornito diversi strumenti per la rilevazione dei tratti psicologici dell individuo, con particolare riferimento all attitudine ad assumere rischi e al grado di impazienza/impulsività. La «sensation seeking scale» elaborata da Zuckerman negli anni 60 si fonda su un questionario che esplora le esperienze fatte dall individuo e le intenzioni rispetto a possibili esperienze future al fine di verificare la propensione a ricercare sensazioni forti e, conseguentemente, situazioni rischiose. Un altro strumento, originariamente proposto da Bechara et al. (1994), è l Iowa gambling task (IGT) associato all ipotesi di marcatore somatico. L IGT è un test psicologico basato sul gioco d azzardo e originariamente utilizzato per analizzare la capacità di scelta in pazienti con lesioni prefrontali e della corteccia orbitofrontale. Il marcatore somatico si fonda sull assunzione che le emozioni (associabili con una certa regolarità a segnali somatici quali, ad esempio, alterazioni della pressione sanguigna e della conduttanza cutanea) guidino le scelte in condizione di incertezza. Di conseguenza, sottoponendo gli individui all IGT (che simula decisioni reali) e alla contemporanea rilevazione di un marcatore somatico (quale 11
12 la modifica della conduttanza cutanea) è possibile ottenere una rilevazione non distorta dell avversione al rischio. La psicometria fornisce anche criteri e strumenti analitici per la definizione di un questionario «valido», essendo tale uno strumento che misura realmente ciò che si è prefissato di misurare (validità) e che consente di ottenere una misura caratterizzata da un margine di errore contenuto (attendibilità) (Roszkowski et al., 2008). La psicometria suggerisce anche alcuni test per misurare la validità e l attendibilità di un questionario. Il dibattito sulla tipologia di strumenti da utilizzare per la rilevazione della tolleranza al rischio è aperto. L enfasi sulla componente cognitiva del processo decisionale implica una maggiore attenzione verso la misurazione delle preferenze verso il rischio e dunque verso l approccio economico/ quantitativo. Viceversa qualora si reputino i fattori emotivi più rilevanti della componente cognitiva, l attenzione si sposta verso i metodi psicologici, non essendo validi gli strumenti che si avvalgono di nozioni, quali le probabilità o la massima perdita possibile o la varianza, che rilevano solo nella sfera cognitiva ma non in quella emotiva (Loewenstein et al., 2001). Non mancano, infine, posizioni di compromesso come quella di Roszokowski (1992) che suggerisce l utilizzo congiunto di entrambi gli strumenti e la composizione dei risultati corrispondenti in un indicatore sintetico. Si tratta di una questione di difficile definizione, che si riveste di ulteriori profili di complessità alla luce delle evidenze sul divario tra attitudine dichiarata nei confronti del rischio e attitudine reale verso il rischio, quest ultima intesa come volontà effettiva di intraprendere un attività rischiosa. Moreschi (2005) misura l attitudine effettiva somministrando a un campione di individui australiani un questionario valido (secondo i principi della psicometria) e la pone a confronto con la misura dichiarata dai soggetti intervistati. L autore conclude che l errore di autovalutazione si riduce per gli uomini e al crescere del grado di istruzione; l età ha un effetto ambiguo mentre il reddito e la ricchezza non hanno alcun impatto. Lucarelli e Brighetti (2010) misurano la tolleranza effettiva di 445 investitori italiani con l IGT e individuano i soggetti che si dichiarano avversi al rischio pur essendone emotivamente attratti. Tale «incoerenza» sembrerebbe poco rilevante sul piano pratico, poiché gli individui appaiono assumere rischio finanziario sulla base dell auto-valutazione piuttosto che della tolleranza emotiva del rischio. Ciò non esclude, tuttavia, che in circostanze eccezionali di crisi o di bolle sui mercati finanziari l emotività, come una sorta di sleeping factor che si risveglia, possa avere il sopravven- 12
13 Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria to, stimolando reazioni inadeguate in termini di eccessiva assunzione di rischio. L età, la propensione a decidere in modo impulsivo e l estraneità al mondo della finanza sarebbero tra i principali elementi in grado di alimentare la discrasia tra auto-valutazione e attrazione effettiva verso il rischio; sarebbero altresì rilevanti il grado di autostima e l immagine di sé che si vuole fornire agli altri, la difficoltà ad auto-rappresentarsi e le aspettative di rendimento connesse a una certa auto-rappresentazione. Anche il modello decisionale sembrerebbe giocare un ruolo cruciale: gli individui più esposti all emotività decidono sulla base dei suggerimenti di amici, colleghi e parenti e si caratterizzano per bassi livelli di conoscenza finanziaria; viceversa i soggetti che scelgono in autonomia tenderebbero a rischiare di più, mentre gli investitori che si avvalgono dei servizi di consulenza sembrerebbero più equilibrati (Lucarelli, 2011). Riferimenti bibliografici Bechara, A., A.R. Damasio, H. Damasio, S.W. Anderson (1994), Insensitivity to Future Consequences Following Damage to Human Prefrontal Cortex, in «Cognition», 1004, n. 50, pp Bucker-Koenen, T., J. Koenen (2011), Do Smarters Consumers Get Better Advice? An Analytical Framework and Evidence from German Private Pensions, CDSE Discussion Paper n. 105, University of Mannheim. Calcagno, R., C. Monticone, (2011), Financial Literacy and the Demand for Financial Advice, ssrn.com/abstract= Consob (anni vari), Relazione annuale, Cordell, D.M. (2001), RISKPACK: How to Evaluate Risk Tolerance, in «Journal of Financial Planning», 2001, pp De Palma, A., N. Picard (2010), Evaluation of MiFID Questionnaires in France, Study for the AMF, www. amf-france.org. Diacon, S. (2004), Investment Risk Perceptions: Do Consumers and Advisers Agree?, in «The International Journal of Bank Marketing», 2004, n. 3, pp European Commission (2010), «Consumer Decision-Making in Retail Investment Services: A Behavioural Economics Perspective», november Gentile, M., N. Linciano, G. Siciliano (2006), Le scelte di portafoglio delle famiglie italiane e la diffusione del risparmio gestito, in «Banca Impresa Società», 2006, n. 3, pp Georgarakos, D., R. Inderst (2010), Financial Advice and Stock Market Participation, europa.eu/events/conferences. Hacketal, A., M. Haliassos, T. Jappelli (2009), Financial Advisors: A Case of Babysitters?, CEPR Discussion Paper 7235, March Hanna, S.D., M. Gutter, J. Fan (1998), A Theory Based Measure of Risk Tolerance, Columbus, OH: The Ohio State University, Department of Consumer and Textiles Science. 13
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