GIOVANNI CASERTA GIUSEPPE ZANARDELLI: UN VIAGGIO NELLA TERRA IN CUI LA PAZIENZA FU PIÙ GRANDE DELLA MISERIA (14-30 SETTEMBRE 1902)

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1 GIOVANNI CASERTA GIUSEPPE ZANARDELLI: UN VIAGGIO NELLA TERRA IN CUI LA PAZIENZA FU PIÙ GRANDE DELLA MISERIA (14-30 SETTEMBRE 1902) 1. Una necessaria premessa: l «italianità» di Zanardelli (29 ottobre 1826 / 26 dicembre 1903) Che Giuseppe Zanardelli sia stato uomo e politico leale, sinceramente legato alla causa liberale e patriottica del Risorgimento italiano, lo dice tutta la sua vita. Assolutamente negato ad ogni forma di compromesso, fu uomo della Sinistra storica, schiettamente portato ad un rinnovamento, in senso democratico, dei costumi, della società, delle leggi e dell economia. Nato a Brescia il 26 dicembre 1826, frequentò la facoltà di giurisprudenza a Pavia. Nel 1848, scoppiati i moti liberali di Lombardia, prese parte alle dieci giornate di Brescia. Essendosi messo troppo in evidenza per la sua azione rivoluzionaria, fu dalla polizia tenuto sotto stretto controllo e perseguitato. Per tal motivo, decise di rifugiarsi in Toscana, ove rimase dal 1848 al Nel 1851 tornava a Brescia, reinserendosi attivamente tra i gruppi liberali e patriottici e dedicandosi al giornalismo. Scrisse per il giornale Il Crepuscolo (settimanale di scienze, lettere e arti, fondato da Carlo Tenca), e per Il Costituente. Si trattava, in prevalenza, di saggi di economia politica. Intanto allacciava stretti rapporti con l intellettualità lombarda, soprattutto milanese. In particolare, a parte Carlo Tenca, si mantenne in relazione con i Visconti-Venosta, Arrigo Boito, Iginio Tarchetti e, in un secondo momento, Giovanni Verga. Nel 1859, in prossimità dello scoppio della seconda guerra d indipendenza, fu costretto ad espatriare in Svizzera, fissan

2 do dimora a Lugano. Di qui, scoppiata la guerra, tornò in Italia, incontrandosi con Giuseppe Garibaldi e arruolandosi nei suoi Cacciatori delle Alpi. Lo stesso Garibaldi lo inviava a Brescia, affidandogli l incarico di prepararvi una insurrezione.dopo l annessione della Lombardia al Piemonte, fu eletto deputato. A tale carica fu rieletto in tutti gli anni successivi, fino alla morte. Nel 1866, dopo la terza guerra d indipendenza, e dopo l annessione del Piemonte, fu commissario del re a Belluno. Essendosi sempre dichiarato uomo di sinistra, non fu mai chiamato ad incarichi di governo fino al 1876, quando, essendo la Sinistra andata al governo, fu, col Ministero Depretis, ministro dei Lavori Pubblici. Successivamente ricoprì l incarico di ministro degli Interni (1878) e di Grazia e Giustizia ( e ). Dal 1892 al 1894, durante il Ministero Giolitti, fu chiamato alla prestigiosa carica di Presidente della Camera, che avrebbe ricoperto altre due volte. Nel 1897 tornò ad essere ministro di Grazia e Giustizia durante il Ministero Rudinì. Nel 1900, a Monza, sotto il pugnale dell anarchico Bresci, cadeva il re Umberto I. Gli succedeva Vittorio Emanuele III, il quale, dopo la caduta del governo Saracco, consapevole che alla guida del paese urgeva un uomo di sicura fede democratica, liberale e vicino alle istanze che venivano dal mondo del lavoro e dalle piazze, pensò di chiamare il vecchio Zanardelli, già settantacinquenne, alla formazione di un nuovo governo. Era il febbraio Nel settembre 1902 Zanardelli intraprendeva il suo viaggio per la Lucania-Basilicata; un anno dopo, a seguito di contrasti interni ed esterni, soprattutto con l Austria, e anche per le non buone condizioni di salute. rassegnava le dimissioni. Era l ottobre del 1903 e aveva settantasette anni. Ritiratosi nella sua villa di Maderno, presso Brescia, moriva il giorno dopo Natale, il 26 dicembre 1903, compianto da tutti, anche da coloro che l avevano avversato. Era stato -come si è detto- uomo di sicura fede democratica, rispettoso delle regole e della minoranza; ed era stato uomo di forte carattere e intransigente sui principi. Ciò lo rendeva abbastanza scomodo, perché contrario ad ogni forma di compromesso deteriore, ma anche autorevole e rispettato. Sinceramente convinto che l Italia avesse bisogno di un grande rinnovamento in senso economico, sociale, civile e culturale, pur non essendo socialista, fu attento al grido di dolore che si levava dalle plebi affamate, disperate e desiderose di giustizia. Perciò fu sempre contrario a qualunque forma di politica antioperaria e repressivamente poliziesca. Questo fu il motivo per

3 cui non volle mai collaborare con i governi di destra. E tuttavia, quando i governi di sinistra dimostrarono anch essi intolleranza o forme di immoralità amministrativa, seppe prendere le distanze, rassegnando le dimissioni. Lo fece nel 1882, protestando contro il trasformismo inaugurato da Depretis; la stessa cosa fece sotto il governo Rudinì. Fu naturalmente avverso al Pelloux e alla sua politica reazionaria e autoritaria, contro cui pronunziò forti e vibranti accuse. Al nome di Zanardelli furono legati importanti provvedimenti. Innanzitutto va ricordata la riforma del codice penale, nell ambito del quale era abolita la pena di morte. Non solo. Fu sancita la libertà di sciopero, riunione e associazione. Si perseguirono gli ecclesiastici che, avversi allo Stato unitario, spingevano alla ribellione e alla disubbidienza. Quanto ai provvedimenti di natura economica e sociale, notevoli furono l abolizione del dazio sulla farina e l introduzione di una rigorosa normativa sul lavoro minorile e femminile. Tentò inutilmente l introduzione del divorzio, presentando apposito disegno di legge. Come tutti gli uomini di alto rigore morale e intellettuale, ebbe nemici, sia a destra che a sinistra. Naturalmente contrari gli furono i cattolici. In compenso ebbe amici il Sud e gran parte dei parlamentari meridionali. Essendo, infatti, sinceramente aperto alle istanze sociali, ed essendo stato un combattente per il Risorgimento e l unità d Italia, fu sempre gran sostenitore dell unità nazionale e lontano da ogni diffidenza verso le popolazioni meridionali. Proprio mentre si diffondevano le pericolose teorie lombrosiane, di chiara significazione razzista, con grande schiettezza, da Montalbano Ionico, durante il suo faticoso viaggio per la Lucania- Basilicata, all on. Torraca che gli rivolgeva calorosi saluti, dopo aver premesso, con grande senso di responsabilità, che non intendeva parlare di problemi e provvedimenti se non dopo aver conosciuto approfonditamente la realtà che stava percorrendo, cosi dichiarò: Un impressione, però, voglio senza ambagi esprimere intiera, ed è che fui veramente edificato dalla nobile attitudine di queste popolazioni. Non una querimonia, non un espressione di animi concitati, non alcuna indiscretezza di pretese, ma una mera esposizione pacata ed amplissima delle proprie condizioni ed un fidente appello alla giustizia dello Stato e della nazione. Tale contegno, in tanta gravità di mali, è ciò che più mi ha commosso in questi sei giorni in cui percorsi la parte che può dirsi più misera della Lucania-Basilicata. Ciò mostra quanto sia più alto il sentire di queste

4 popolazioni e conferma ciò che dissi a Napoli sulla natia bontà delle popolazioni meridionali. Si trattava di un atteggiamento di apertura, se non di amore, che non era omaggio dettato dal solo sentimento o dalla circostanza, ma era anche l espressione di un pensiero o filosofia politica ed economica, che, per fortuna, fu professata da non pochi uomini di governo del tempo, che avevano attivamente partecipato alla formazione dell Italia unita. E tutti erano per una politica solidale nei confronti delle popolazioni meno felici, forse anche perché, tra queste, non mancavano popolazioni settentrionali, come le genti del Veneto e non poche parti dell Italia centrale, come l Umbria, le Marche e la stessa Emilia e Romagna. Sta di fatto che, pochi giorni prima che a Montalbano Ionico, a Napoli, sempre nel 1902 e durante lo storico viaggio, con grande passione e amore aveva richiamato il famoso apologo di Menenio Agrippa, con cui spiegò l impegno suo e del suo governo per la realizzazione di un programma solidale, che investisse l Italia tutta. Utilizzando, infatti, un immagine che era stata già di Francesco De Sanctis, ebbe a dire, solennemente, che l infermità di alcune membra dell uomo fa soffrire anche le altre, [cioè fa] totumque corpus ad extremam tabem venire. E come la malattia, così, per converso, la forza, il vigore dei visceri essenziali risana, ingagliardisce l intero organismo. Per tali motivi tutti gli stimoli, gli aiuti, i benefizi che noi arrecheremo all Italia meridionale gioveranno immancabilmente all intera nazione. Era la cordiale e totale accettazione di quanto era stato detto in una mozione parlamentare che, votata il I dicembre del 1901, così recitava: La Camera, convinta che sia un alto dovere di Stato e di solidarietà nazionale cooperare a che tutte le parti d Italia si riavvicinino nella loro prosperità, contribuendo insieme a realizzare la grandezza della patria, confida che il Governo vorrà provvedere al più presto a restaurare, con proposte di legge e con atti economici e sociali, le condizioni non liete di Napoli, delle altre province del Mezzogiorno e delle Isole. Ma non c era solo una ragione di solidarietà o pietà o comprensione per le infelici condizioni delle popolazioni del Sud a spingere su queste posizioni di fraternità. Né c era solo un interesse nazionale. C era anche una ragione storica. Non si poteva nemmeno dimenticare, almeno da parte dei più illuminati uomini di Stato, tra i quali era Zanardelli, il notevole contributo che il Mezzogiorno, soprattutto nella parte rappresentata dal ceto intellettuale, aveva dato alla causa italiana. A Napoli, il 14 settembre del 1902, prima ancora di oltrepassare Eboli ed entrare in Lucania

5 Basilicata, Zanardelli si era fermato a considerare come molti meridionali erano nella sua Lombardia a difendere la sua Brescia; e ricordò come, nei mesi della prima guerra di indipendenza, a combattere contro lo straniero, c erano legioni napoletane, condotte da Guglielmo Pepe. Fra quei combattenti figuravano anche Cesare Rossaroli e Alessandro Poerio, periti eroicamente per la causa nazionale. Poi, a Montalbano Ionico, fra le molte cose che disse, non mancò di ricordare il contributo ideale che alla causa italiana aveva offerto Francesco Lomonaco, amico personale del Manzoni, sicché ben si poteva dire che egli costituiva quasi un legame di corrispondenza spirituale fra la terra lucana e la terra lombarda. Ancor più esplicitamente, qualche giorno prima, il 19 settembre, parlando a Corleto Perticara, aveva ricordato che lì, nel 1860, si erano dati convegno tutti i patrioti lucani, proclamando l unità d Italia e l annessione ad essa della Lucania-Basilicata, quando ancora Garibaldi non aveva oltrepassato lo stretto di Messina. Insomma -aggiunse con grande onestà-, se anche Garibaldi non si fosse recato nel continente, l insurrezione lucana era già decisa ed apparecchiata da mesi. 2. Un dibattito in Consiglio Provinciale e l interpellanza Ciccotti Stanti queste premesse, l idea di fare un viaggio nel Sud, per meglio conoscerlo e meglio provvedere ad esso, non fu né peregrina, né strana, e nemmeno spiegabile solo sul piano della sensibilità personale. Già in precedenza, come si è detto, Zanardelli era stato a Napoli. Era accaduto nel 1876, nel 1882 e nel In Lucania-Basilicata, invece, c era stato una sola volta, per una cerimonia ufficiale, quando, a Brienza, era andato a commemorare e ricordare Mario Pagano, inaugurandone un monumento. Ma il viaggio del 1902 era tutt altra cosa, perché era un viaggio di ricognizione, condotta sulla condizione del mondo lucano, e meridionale in genere. Non che essa fosse del tutto sconosciuta, perché, anche a voler ignorare l inchiesta di Massari e Castagnola, e poi quelle di Stefano Jacini e Leopoldo Franchetti, noti e diffusi, ormai, erano, fra gli altri, gli studi e le denunce di Francesco Saverio Nitti e Giustino Fortunato. Così stando le cose, si poteva credere che, almeno in astratto, Zanardelli sapesse o potesse sapere tutto sulle condizioni del Sud. Il suo viaggio, perciò, poté apparire, e di fatto apparve, agli occhi di non pochi avversari, come un viaggio inutile, ovvero

6 di semplice propaganda personale e politica, volto a rastrellare consensi per il suo partito e il suo governo. In realtà, è difficile pensare che Zanardelli, a settantasei anni, volesse fare un viaggio di semplice propaganda, come se la vita dovesse durare in eterno e come se, col prestigio di cui godeva, egli avesse ancora bisogno di siffatti meschini espedienti. Ciò, peraltro, sarebbe in netto contrasto col costume dell uomo che, per tutta la vita, aveva mostrato ben altra nobiltà d intenti. La verità è che un conto è lo scritto, altra cosa è la visione dal vivo. Che poi, all interno del Sud, Zanardelli scegliesse di visitare proprio la Lucania- Basilicata, che elettoralmente pesava molto meno delle altre regioni meridionali, può spiegarsi sia con la curiosità che gli avevano suscitato gli amici lucani (Nitti e Fortunato -si è detto-, ma anche Emanuele Gianturco, Lacava e Torraca), sia con la considerazione che la Lucania-Basilicata passava, ormai, come il cuore del Sud, ovvero, come si sarebbe detto dopo, come la Cenerentola del Sud, quasi un emblema. Peraltro, proprio in quei mesi la regione era teatro di notevoli sommovimenti sociali, durante i quali non erano mancati feriti e morti, che avevano interessato l intero governo e l intera collettività nazionale, tanto più che, sulla scena, erano apparsi infuocati rappresentanti del nascente socialismo, che tante preoccupazioni suscitava. Era stato proprio un deputato socialista, nativo di Potenza, ancorché eletto in un collegio napoletano, cioè Ettore Ciccotti, uomo di grande spessore culturale, a svolgere alla Camera, il 28 aprile del 1902, una appassionata e articolata interpellanza, che gli stessi avversari, e tra questi il Ministro delle Finanze Carcano, avevano definito come una vera e propria monografia delle condizioni politiche, igieniche, economiche e finanziarie della provincia di Lucania-Basilicata. Si trattava di un testo che, prima ancora di essere discusso in Parlamento, era stato diffuso attraverso la stampa socialista napoletana e La squilla potentina, anch essa socialista. Intorno se ne parlava. Anche per questo, il 2 marzo, il Presidente del Consiglio provinciale di Lucania-Basilicata, il sen. Carmine Senise, si era affrettato a convocare apposita riunione, per discutere dei provvedimenti da chiedere al Governo amico. Era stata anche nominata una Commissione, sui cui lavori, in data 23 aprile 1902, al momento della riunione del Consiglio provinciale, e prima che l interpellanza Ciccotti arrivasse in Parlamento, riferì il consigliere Perrelli. Nella discussione presero la parola il Presidente della Deputazione provinciale Vincenzo Lichinchi, di Palazzo San Gervasio, e, quindi, il consigliere Nicola Salomone, di Stigliano, il consigliere Francesco

7 Dagosto, di Moliterno, e il consigliere Fedele Zaccara, di Lauria, i quali tutti apportarono notevoli contributi di denunzia e approfondimenti. Il dato di partenza, in tutti quegli interventi, fu il massiccio fenomeno dell emigrazione, assunto a spia di una condizione di grande depressione e tragica desolazione, che ogni giorno -avrebbe detto Ciccotti in Parlamentostende la triste ombra sui campi, invade sempre più i villaggi, le borgate, i grossi Comuni. Quell emigrazione era un vero e proprio esodo, anzi, come aggiunse Ciccotti, era un esodo doloroso, quasi una fuga. Lo attestavano le cifre. La Lucania-Basilicata -si legge in Eugenio Sanjust- era allora una provincia divisa in 4 circondari. Comprendeva 124 Comuni: 44 nel circondario di Potenza, 38 nel circondario di Lagonegro, 19 in quello di Melfi e 22 in quello di Matera. Riguardo alla popolazione, secondo i dati del censimento 1901, e secondo quanto avrebbe riferito il consigliere Salomone durante la seduta del Consiglio provinciale- essa contava abitanti, con una diminuzione, rispetto al 1881, di ben individui, essendo questi, venti anni prima, In venti anni -in altre parole- erano andati via lucani, solo parzialmente compensati da un alto numero di nascite! Era il termometro della situazione. Si parlò anche, da parte del consigliere Salomone, e nella stessa seduta del Consiglio provinciale del 23 aprile 1902, nientemeno che di incettatori di carne umana, veri e propri negrieri e scafisti del tempo, che, sotto il nome di agenti per l emigrazione, rastrellavano miserabili da trasferire oltre oceano, come nella antica e contemporanea tratta degli schiavi. Il consigliere Francesco Dagosto si spinse addirittura a parlare di emigrazione dei fanciulli e della cosiddetta tratta di piccoli bianchi, in virtù della quale molti genitori letteralmente vendevano i propri bambini, non diversamente da come avrebbero fatto, un secolo dopo, albanesi, curdi e macedoni. Ma non per diletto o malvagità -sentì il bisogno di precisare e di correggere il Dagosto- i genitori [lucani] si inducevano a vendere le tenere carni dei propri figli, perché, aggiunse, quando non potevano mandarli con altri, la miseria li spingeva ad emigrare con essi. Dall emigrazione, e cioè dalla miseria, in Consiglio provinciale, sempre nella stessa seduta, si passò a parlare di una regione priva di strade e ferrovie, con molte aree esposte a frane e alluvioni, che mettevano a rischio l esistenza di almeno trenta Comuni (p. 90). Disastrose -si disse- erano le condizioni igienico-sanitarie. Moltissimi paesi, infatti, erano privi di acqua, mentre completamente assenti erano istituti di assistenza e cura. La malaria, in tale

8 contesto, costituiva un vero flagello. I morti per malaria, infatti, nel 1897, erano stati, 819, con una media di 166 su abitanti (contro gli 83,71 della Calabria, secondo la denuncia di Nicola Salomone). Assenti, infine, risultavano i capitali finanziari in circolazione, sicché molto diffusa risultava l usura. In quegli interventi e denunce, tuttavia, pochi cenni si fecero a riforme di struttura e, comunque, ad interventi che modificassero l organizzazione economica e sociale della regione. In verità, era assai difficile che, a porre problemi di tal genere, fossero parlamentari e consiglieri provinciali, che, nella quasi totalità, erano espressione o della ristretta classe dei proprietari terrieri, o di quella, più ampia, dei galantuomini, che detenevano, col potere economico, anche il potere politico e l egemonia culturale. L unica voce diversa, anche se non nettamente espressa, in quella seduta, fu quella del consigliere Francesco Dagosto, che parlò di tutto un nuovo ordine da creare. Premettendo infatti di volersi dare il ruolo di avvocato del diavolo, e dicendosi non d accordo con quanti erano affascinati dal miracolo delle ferrovie, precisò che una o più ferrovie non sarebbero valse a dare una vita rigogliosa alla [ ] regione (p. 118), perché ben altro urgeva. Parlò, di conseguenza, della necessità di una riforma agraria, da realizzarsi secondo le indicazioni che venivano dal prof. Maggiorino Ferraris, che un progetto in tal senso aveva presentato alla Camera. Per esso e con esso, si chiedeva un preciso e diretto intervento dello Stato, perché nelle campagne fossero realizzate finalmente, sull esempio della Toscana, opere di civiltà e bonifica, che non escludessero crediti ai coltivatori. Il tutto doveva essere rivolto all aumento della produzione e alla colonizzazione delle campagne, cioè alla creazione di diffuse case coloniche, che fossero sede stabile dei coltivatori dei campi. L agricoltura, infatti -si disse da parte di qualcuno-, si sarebbe ripresa, anche nel Sud, solo se gli agricoltori fossero stati residenti sul posto di lavoro. Era il parere anche dell on. Materi e -si vedrà- dell on. Ciccotti e altri. Del resto, lo stesso Zanardelli, alla fine del suo viaggio, a Potenza, non mancò di rilevare che impressionante e doloroso, oltre che incomprensibile, era stato per lui vedere, in sulla sera, nei circondarii di Matera e di Melfi, tornare a cavallo, o in carretto i contadini i più fortunati, uomini, donne, fanciulli, dai solchi lontanamente coltivati! Nello stesso dibattito provinciale non si mancò, significativamente, di far riferimento polemico anche alle conquiste coloniali e agli stanziamenti finanziari per l Abissinia, mentre nulla si faceva per l Italia più povera. Paragonateci, se

9 volete, all Abissinia -disse ad alta voce il consigliere Nicola Salomone-, ma venite a spendere fra noi parte di quello che andate a spendere e forse senza profitto, in lontane contrade (p. 107). E Francesco Dagosto, dal suo canto, ancor più esplicitamente, aggiunse: Se si costruiscono strade ferrate ed ordinarie nella colonia Eritrea, non è chieder troppo se per la Basilicata invochiamo dal Governo provvedimenti di facilitazione per completare la rete della viabilità ordinaria (p. 124). Alla fine, concluso il dibattito, il Consiglio provinciale votò alcuni ordini del giorno da inviare -si disse- al Ministero liberale, presieduto [dalla] nobile e cavalleresca figura di Giuseppe Zanardelli. Con essi, seguendo le indicazioni puntuali venute dal consigliere Nicola Salomone, si chiesero i seguenti provvedimenti: -le ferrovie Grumo-Matera, Ferrandina-Padula e Lagonegro-Castrovillari; strade di serie; bonifiche; rimboschimenti; lavori di difesa degli abitati e frane; contributi ferroviari; freni all emigrazione; sistemazione delle finanze comunali; aiuti per il debito fondiario; una Corte di Appello; istituti d istruzione; modificazioni alle tariffe dei trasporti ferroviari... Intatto, come si vede, rimaneva il sistema economico-produttivo generale, che, come si è premesso, non era in discussione e si riteneva intangibile. E invece fu proprio su un piano politico più alto che, in data 28 aprile successivo, si collocò l intervento alla Camera dell on. Ettore Ciccotti, che, da socialista qual era, pose la questione in termini prima storici e poi di struttura. Anche lui, nel suo lungo intervento, partì dal tragico fenomeno dell emigrazione, riferendo, con dati leggermente differenti rispetto a quelli forniti dal consigliere Dagosto, che, su una popolazione di unità, dal 1882 al 1900 erano partiti ben lucani, sicché, malgrado il numero dei nati superasse quello dei morti di unità e più, la popolazione complessiva era diminuita di 34 mila abitanti. Sottolineò, in proposito, l insensibilità e l assenza del governo in carica, ma anche di quelli precedenti, adducendo come esempio il fenomeno politico-sociale del brigantaggio e il comportamento di chi allora gestiva il potere. Con molta acutezza, e da fine storico qual era, egli sottolineò come il nuovo Stato unitario, pur pronto e tempestivo nel reprimere nel sangue il brigantaggio, nulla aveva fatto per rimuovere le profonde cause sociali di esso. Per meglio illustrare le quali, l interpellante fece cenno all alta percentuale degli analfabeti (circa il 74% degli abitanti), alla assenza di scuole di arti e mestieri e alla giustizia, fondamento dei regni, che, mal amministrata, spesso era nelle mani di

10 magistrati, che, essendo del luogo, erano inevitabilmente compromessi con la parte peggiore della società. Non mancarono riferimenti alle condizioni igienico-sanitarie, alla distruzione dei boschi, alla malaria, per la quale si citarono gli studi condotti del dottor Raffaele Sarra, operante a Matera, intelligente medico e studioso, che sarebbe stato sindaco di Matera e che socialista non era. Altra attenzione fu dedicata all usura, al cosiddetto carnevale bancario, di cui aveva parlato Giustino Fortunato, e al rafforzamento del latifondo, che, purtroppo, si era esteso in modo smodato, nientemeno che a seguito della vendita dei beni ecclesiastici, accaparrati puntualmente dai vecchi proprietari terrieri, già ricchi, o dai cosiddetti galantuomini, dottori e avvocati, desiderosi di investire il ricavato della loro laurea in proprietà terriere. A fronte di tanti e così gravi mali, riprendendo un motivo che era stato presente anche nel discorso del consigliere provinciale Dagosto, Ettore Ciccotti non chiese lavori pubblici inutili, ma interventi a favore dell agricoltura e, più in genere, della terra, per il recupero della quale andavano programmati lavori di rimboschimento, bonifica e case coloniche. Era necessario, a tal fine -concluse-, un massiccio intervento in prima persona dello Stato, che, risparmiando ulteriori aggravi ai Comuni e alle Province, doveva, una volta per tutte, risolvere la questione demaniale, presentando un progetto completo di ricostituzione dell antico dominio collettivo. Insomma, e per concludere, bisognava capire, una volta per tutte, che la questione della Basilicata, come quella di tutto il Mezzogiorno, di cui essa era tanta parte, era in buona parte questione di ordine politico. Il Presidente Zanardelli, per impegni precedentemente assunti, non era presente al momento in cui Ciccotti discuteva così animatamente la sua interpellanza; erano invece presenti Giolitti (nella veste di Ministro dell Interno) e Carcano (nella veste di Ministro delle Finanze), che, complessivamente, non poterono non concordare con la diagnosi dei fatti compiuta dal Ciccotti, benché non riuscissero a renderlo soddisfatto per le risposte date e i rimedi proposti. Riprendendo, infatti, la parola dopo l intervento dei due ministri, così il Ciccotti concluse la sua calda arringa: La provincia di Basilicata -disse- è oggi nella condizione di un malato che mal si regge in gambe; e il Governo sapete cosa le dice? Mettetevi a correre con quelli che stanno perfettamente bene in gambe, fate prova di corsa e di forza [ ]. Onorevole ministro, tutto sta a farla questa corsa! (p. 1015)

11 3. Paese per paese, dal 14 al 29 settembre 1902 Che Ciccotti fosse un socialista, e quindi avverso al governo in carica, non significava che, da parte degli amici del governo, si ignorassero o sottovalutassero i problemi che quello tanto drammaticamente aveva posto. Gli onorevoli Pietro Lacava e Michele Torraca, infatti, sentiti gli amici di cordata presenti nel Consiglio provinciale, si fecero immediatamente carico di un loro intervento durante la seduta del 20 giugno successivo, essendo in discussione il programma governativo circa i Lavori Pubblici. Quella volta Zanardelli era presente e si lasciò trascinare dal quadro che i due deputati, suoi amici e sostenitori, gli fecero della loro provincia, che egli non conosceva affatto, perché come si è detto si era appena affacciato a Brienza, alcuni anni prima, compiendovi una visita assai fugace e circoscritta. Nulla, perciò, aveva potuto vedere e sentire di quanto, invece, riferirono in Parlamento Lacava e Torraca, del resto non molto diverso da quello che aveva detto Ciccotti, e che egli non aveva potuto ascoltare direttamente. Fu allora, su sollecitazione dei due parlamentari lucani, che egli maturò la decisione di fare un viaggio per la provincia di Lucania-Basilicata, per la quale, a Matera, alla presenza dei suoi elettori e nella giornata del 25 settembre, così lo ringraziava Michele Torraca. Io -disse- [ ] nell umile mia vita parlamentare devo segnare la giornata del 20 giugno come la mia più lieta. E aggiunse: Ho obbligo di singolare riconoscenza all on. Zanardelli ed altamente lo attesto. Egli non guardò a chi parlava; udì soltanto la voce del dolore. E decise di partire. Della intenzione dello Zanardelli a venire in Lucania-Basilicata si venne a sapere relativamente presto, nel mese di agosto. I paesi, allora, cominciarono a mobilitarsi, cercando di mettere a punto le richieste più urgenti da fare. Si pubblicò anche l itinerario, che, in un primo momento, così come riportato in data 16 settembre dal giornale quindicinale Quinto Orazio Flacco, di ispirazione cattolica e pubblicato a Venosa, era il seguente: - 17 settembre. Arrivo a Lagonegro Da Lagonegro a Moliterno. Nelle ore antimeridiane, gita al Lago Sirino e possibilmente a Sella Cavallo. Andata e ritorno 3 ore. (Da Lagonegro a Lago Sirino km 8. Da Lago Sirino a Sella Cavallo, Km 6). Col treno n. 966 delle 13,50, partenza per Montesano sulla Marcellana. Arrivo alla stazione di Montesano alle 14,38. Dalla stazione di Moliterno (km 32) ore 3. Arrivo a Moliterno alle

12 - 19. Da Moliterno a Corleto Perticara (Km 47). Partenza da Moliterno alle ore 12, arrivo a Corleto alle 17 ore circa Da Corleto a Stigliano (Km 51). Partenza da Corleto alle ore 11. Arrivo a Stigliano alle Da Stigliano a Montalbano (chilometri 57). Partenza da Stigliano alle ore 9. Arrivo a Craco alle ore 11,30 (30 Km). Si riprenderà il viaggio alle 15. Arrivo a Montalbano alle ore 17,30 circa Da Montalbano a Taranto. Da Montalbano partenza alle 9,30. Arrivo alla stazione di Montalbano alle ore 10,30 (Km 10). Con treno speciale partenza per Policoro. Si riprenderà il viaggio alle 14 con treno speciale per Taranto. Fermata presso Metaponto. Arrivo a Taranto verso le Da Taranto a Matera. Partenza da Taranto alle ore 8 con treno speciale. Arrivo ad Altamura alle 11. Partenza in carrozza per Matera alle 14. Arrivo alle 15,30 (Km 17) Da Matera a Rionero. Partenza da Matera alle ore 8,30. Arrivo alla stazione di Altamura alle ore 10,30. Partenza con treno speciale per Venosa. Colazione in treno. Fermata alla stazione di Palazzo San Gervasio. Arrivo alla stazione di Venosa alle 12,30. Si riprenderà il viaggio alle 15. Mezz ora di fermata alla stazione alla stazione di Rocchetta Sant Antonio. Arrivo a Melfi alle 16,30. Partenza sempre con treno speciale alle 21. Arrivo a Rionero alle 21, Fermata a Rionero Da Rionero a Potenza. Partenza alle 9,32 con treno n Arrivo a Potenza alle ore Partenza da Potenza con diretto n. 4 alle ore 9,10. Breve fermata alla stazione di Muro Lucano. Il viaggio, così minuziosamente organizzato, dovette però subire, come si vedrà in seguito, delle modifiche, che ne prolungarono la durata di due giorni. La partenza, invece, avvenne da Roma all ora e nel giorno fissato, cioè alle 8,35 del 14 settembre, con treno speciale. Il vecchio Presidente del Consiglio era diretto a Napoli, prima tappa. Lo accompagnavano il ministro Nasi, i sottosegretari Mazziotti e Roberto Talamo, il segretario capo della Presidenza del Consiglio, comm. Augusto Ciuffelli, e il segretario particolare cav. Pellegrini. C era anche un discreto numero di giornalisti, tra i quali: Vassallo del Secolo XIX, Sestini della Tribuna, Vasquez

13 del Corriere della sera, Libonati della Patria ), Ernesto Serao del Mattino, Pignatari del Roma, del Secolo e del Carlino. Lungo il tragitto, come è ovvio, tappa dopo tappa, il cav. Giuseppe Zanardelli fu sempre accolto dagli onorevoli rappresentanti del locale collegio elettorale, oltre che da sindaci e varie autorità. Non vedete -scriveva con amara ironia da Montalbano il corrispondente de «Il corriere di Napoli»- [ ] come i deputati di questi collegi lo accompagnano nei loro territorii, dove hanno tutto preparato: pranzi e dimostrazioni, e se lo consegnano a vicenda al confine di ciascun collegio?. Il viaggio, perciò, così come organizzato, rischiava di avere tutti i caratteri della solennità, con tutti i cerimoniali e i convenevoli del caso, del resto comprensibili. A dispetto, cioè, della onestà intellettuale e morale dell illustre visitatore, rischiava di diventare una coreografica passeggiata, alla ricerca di consensi per il governo e la propria parte politica. Su questa posizione di critica, per l appunto, si collocarono non pochi giornali di opposizione, sia nazionali che locali. Era, per fare un esempio, il caso del Guerin Meschino, che, il 14 settembre, attraverso sonetti satirici, da Milano scriveva che il buon Governo, si accingeva ad elargire, alla Lucania-Basilicata, solo una grande processione, con Zanardelli che fungeva da Padreterno. Nei baùli del Presidente -si aggiungeva- c era veramente di tutto: diminuzioni di gabelle e ponti, strade e indulgenze, miglia di ferrovia e croci, cordoni e persino il bel tempo e la pioggia. Intanto -si concludeva- in Lucania-Basilicata, Comune per Comune la tavola era già bella e preparata / per sentirlo parlar dopo il banchetto. Il viaggio, in effetti, fu, nella sua parte ufficiale, anche qualcosa di simile. Ed era pressoché inevitabile, considerato il tessuto sociale della Lucania- Basilicata del tempo, fatto in gran parte di gente tagliata fuori dal voto, dalla partecipazione e dalla semplice informazione. Il Presidente non poteva non essere, per così dire, sequestrato dalle persone che in regione esercitavano il potere: dal Prefetto ai carabinieri, dai presidenti dei Tribunali ai parlamentari, dai baroni ai conti e cavalieri. E ciò anche in senso tutto materiale, se si considera che, per mancanza pressoché totale di strutture alberghiere e di ristorazione, il Presidente fu quasi sempre costretto ad alloggiare in case di privati, che puntualmente erano, e non poteva essere diversamente, palazzi e castelli di onorevoli e signori di paese. I quali erano quasi sempre la stessa persona; e contro di essi Ciccotti, insieme con i pochi socialisti lucani, pretendeva di strappare provvedimenti governativi, quali confisca di terre

14 demaniali e giuste tasse, giusti contratti agrari e giusti salari, in modo da smantellare si disse nel Congresso socialista tenuto a Potenza il 24 novembre 1902, quel feudalesimo economico, amministrativo [e] politico, che ancora imperversava nella regione. Non è meraviglia, perciò, se, esattamente come aveva previsto il Guerin meschino, molto tempo del viaggio di Zanardelli fu dedicato a brindisi e cerimoniali. In questo contesto, le stesse autorità locali, sindaci e consiglieri provinciali, di paese in paese, non seppero se non chiedere la ferrovia, grande mito del secolo, insieme con strade, rimboschimento e incanalamento delle acque, per contenere il fenomeno della malaria. Né diversi furono gli atteggiamenti e le richieste delle cosiddette Società operaie, puntualmente ricevute dal Presidente, ovunque ne fosse attestata l esistenza. Giova ricordare, infatti, che, nel Sud, come anche in Lucania-Basilicata, esse erano fortemente avversate dal socialista Ettore Ciccotti, essendo tutt altro che organizzazioni per dir così proletarie, perché, mancando le fabbriche, mancavano anche gli operai. Quelle Società, in altre parole, che avevano uno scopo prevalentemente assistenziale, finivano col raccogliere tutta la molteplicità variopinta della società meridionale del tempo: artigiani e commercianti, galantuomini e persino proprietari terrieri e nobili, soci onorari quasi di diritto. Non avevano, in altre parole, nessuna connotazione di classe e di lotta, ché, anzi, erano docili strumenti nelle mani dei potenti, sempre disponibili ad ogni manovra clientelare, elettorale e trasformistica. Così stando le cose, come già si è lasciato intendere, tutte le rivendicazioni si incentrarono intorno ai lavori pubblici e agli interventi straordinari, pur se riferiti ad un quadro di degrado e di miseria, e sempre mescolati alle glorie letterarie, culturali e patriottiche che i singoli campanili potevano vantare. Il tutto si svolgeva, come si è detto, sempre ambienti ufficiali e comunque selezionati e ovattati, e sempre con la preoccupazione di tener lontano dagli occhi e dalle orecchie del Presidente quanto potesse turbarlo con manifestazioni rumorose, che i socialisti in particolare, o qualche esaltato, avrebbero potuto organizzare e, talvolta, riuscirono anche ad organizzare. Si temeva, insomma, la voce diretta del popolo e il contatto diretto con esso e tutto ciò che non fossero bandiere e canti e archi di trionfo. Fu quanto ebbero a denunziare 555 lavoratori di Potenza, che, in data 26 settembre 1902, polemicamente, scrissero al Presidente, giunto alla fine del suo viaggio: L Eccellenza Vostra -si legge in quel documento- sarà attorniata da una quantità di funzionari. Le chiederanno forse costruzioni di strade e di pub

15 blici edifici, soccorsi a Comuni che si trovano impotenti a sostenere gli obblighi assunti e la pubblica azienda, cercando in tal modo di risolvere il gravissimo problema economico della nostra provincia. Dimostrando di essere più lungimiranti dei vari Lichinchi e Salomone, ma anche dei Lacava e Torraca, quei 555 lavoratori, forse idealmente ricollegandosi ai Ciccotti, e ai Pignatari di quegli anni, così, invece, continuavano: Ma questi rimedi non ci riguardano; essi non riflettono l agricoltura, madre e nutrice di tutte le nazioni di cui noi siamo miseri figli. Che ci può importare della costruzione delle strade, quando i prodotti da esportare mancano, quando l esattore viene a sequestrarci perfino la pelle che ricopre il nostro corpo?. Si trattava, invero, di discorso assai diverso da quello che, in data 28 agosto 1902, in apposito Consiglio comunale, aveva fatto il Sindaco di Craco, che, nel mentre lamentava l isolamento del suo paese ( Noi siamo esiliati da Dio e segregati si può dire dal Consorzio umano per mancanza di strade ), ricalcava con convinzione un locus communis di quegli anni, attribuendo alle strade e alla ferrovia un potere quasi miracoloso, perché risolutivo di ogni problema. Quando infatti -disse in quella seduta- è interdetta la libera comunicazione, il commercio, il quale è la fonte delle ricchezze dei paesi, manca e quindi le belle derrate, che producono questi terreni, restano ammonticchiate nei magazzini e, se vendonsi, il loro prezzo deve essere assolutamente inferiore al corrente sugli altri mercati, poiché il transito non solo è lungo, ma diviene nella stagione invernale interdetto dal fiume Salandrella ed il meschino trasporto, che si fa a schiena di muli, è più dispendioso di quello della ruota. La difficoltà o impossibilità di far commercio -continuava il Sindaco- era il movente primitivo della continuata emigrazione, poiché l abbiente, non potendo liberamente utilizzare il prodotto delle sue terre, abbandonava la sua proprietà ed emigrava in cerca di migliorare le sue finanze. Un tale abbandono spingeva anche il contadino a lasciare il focolare natio, rendendosi così ancora insufficienti le braccia per coltivare i fondi dei pochi che restavano. Era per ottenere strade di congiungimento a Pisticci, e alla sua stazione soprattutto, che il Sindaco, al fine di accattivarsi le simpatie e i favori del Presidente, chiedeva al Consiglio lo stanziamento di una somma di L , con cui fare buona accoglienza all illustre ospite e non essere secondo agli altri paesi. Cosa che fu fatta Come si vede, i 555 lavoratori di Potenza erano su posizioni decisamente diverse, perché, a loro parere, a mancare non erano le strade, ma, piuttosto,

16 le derrate perché depressa e inadeguata era l agricoltura, anche da loro considerata fonte prima, e anzi unica, di ogni ricchezza e riscatto. Un esempio -dicevano- ne abbiamo nella nostra città, dove strade non ne mancano, eppure è la più povera di tutta la Provincia, è quella dove l emigrazione è maggiore, dove la nostra classe soffre i maggiori disagi. In definitiva -sottolineavano- non è nel mondo ufficiale che l Eccellenza vostra può conoscere i veri bisogni di questa città e della nostra classe, che è quella che dovrebbe dar vita, ma nelle nostre case. Venga l Eccellenza Vostra, venga nelle nostre case, e vedrà lo stato miserevole in cui siamo, vedrà che non vita di uomini, ma quasi di bestie meniamo, vedrà la miseria grande, la pazienza più grande ancora della miseria. E Zanardelli, nei limiti del possibile e dell età, seppe ascoltarli e fu d accordo con loro. 4. Tra terre desolate e vestiti di cenci Infatti, pur circondato da funzionari, ministri e giornalisti, quasi sempre condiscendenti essi pure, il viaggio non mancò di offrire, in presa diretta, il dramma che la regione di Lucania-Basilicata, con le sue popolazioni, viveva. Tra visite ufficiali e rituali brindisi, per squarci improvvisi, la vita reale si affacciò. E si affacciarono i visi, le rughe e i cenci che erano degli uomini, ma anche la devastazione e la malattia che erano nei luoghi. Il viaggio, certo, era cominciato con un treno speciale, che, già di per sé, isolava l illustre viaggiatore. Ma era difficile che si decidesse diversamente. Oggi si sarebbe partiti con un corteo di macchine. Il treno, dopo Roma, passò per Ceccano, poi per Roccasecca, Caianello, Teano, Cassino, Pignataro, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Caserta. Secondo l agenzia della stampa ufficiale, già in questo primo tratto e, anzi, soprattutto in esso, il viaggio ebbe tutti i caratteri di una marcia trionfale, fra stazioni imbandierate, fanfare e cartelli inneggianti al Presidente liberale. Tutto si svolgeva secondo una attenta regìa e secondo programma. In testa alle folle era sempre un Sindaco, insieme con le autorità più rappresentative. Così fino alle ore 14,30 del 14 settembre, quando, dopo sei ore esatte di viaggio, il treno entrò in Napoli. Ad accogliere il Presidente c era una nutrita schiera di senatori, oltre che, naturalmente, il Sindaco, sen. Miraglia, con consiglieri comunali, provinciali, componenti della giunta, magistrati e altri. A cena, a sera, intervennero oltre 120 onorevoli, fra deputati e senatori del Regno. In tutto, gli invitati furono 420, compresi i rappresentanti del tribunale, dell e

17 sercito e le autorità accademiche. Il luogo scelto per il banchetto fu il gran salone del Circolo delle Varietà. Qui, alle 21,20, il Sindaco Miraglia pronunciò un discorso di saluto, pieno di omaggi e ringraziamenti, cui il Presidente rispose, con altri omaggi, ringraziamenti e impegni, che riguardavano l Acquedotto Pugliese e, naturalmente, strade, ferrovie e, soprattutto, il risanamento della città. Tuttavia, secondo una illuminata convinzione che era soprattutto di Francesco Saverio Nitti, furono assunti anche impegni per l industrializzazione dell area napoletana, perché -si legge nelle cronache del tempo- dall industria soltanto, regina del mondo moderno, potevano derivare e derivavano progresso e sviluppo. Altro impegno riguardò l abolizione del dazio sopra il pane e le paste. La cena terminò alle ore 22,42. Il giorno dopo, 15 settembre, il Presidente partiva per Capri e, quindi, nel pomeriggio, alle ore 19,30, raggiungeva Sorrento, dove passò la notte. Il 16 settembre, da Sorrento raggiungeva il Comune di Meta, da cui rientrava verso mezzogiorno, per poi raggiungere, nel pomeriggio, Massa Lubrense e l Eremitaggio di Sant Agata. Da Sorrento, la sera stessa, si imbarcava per tornare a Napoli. Di qui partiva il giorno dopo, 17 settembre, alle ore 7,55, in treno, per raggiungere, in giornata, la Lucania-Basilicata. Il treno passò per Torre Annunziata, per Nocera, dove, ad attendere il Presidente, fra gli altri, insieme con non pochi sindaci del circondario, c era il Prefetto di Salerno. Dopo una fermata a Cava dei Tirreni, si arrivò a Salerno. Il tutto, sempre, ad ogni fermata, tra acclamazioni di gente plaudente, con bandiere, fanfare e cartelli inneggianti. La stessa scena si ripeté ad Eboli e a Sicignano, donde ci sarebbe stato il salto verso la Lucania-Basilicata. Ad accogliere il Presidente, perciò, oltre che le autorità del posto, erano arrivati anche alcuni rappresentanti parlamentari della Lucania-Basilicata. Ci fu il solito banchetto, con i brindisi di circostanza. Fu a questo punto che si levò l onorevole Pietro Lacava, giunto a far da guida all illustre visitatore e a introdurlo, quasi novello Virgilio, in una terra sconosciuta. Nuove note ormai si sarebbero sentite E dolenti tanto, che l onorevole Lacava sentì il dovere di preparare il Presidente, preannunciandogli che una nuova realtà si sarebbe parata davanti ai suoi occhi, assai diversa da quella di Capri e Sorrento. Non era ancora giunto Carlo Levi a dire, in forma icastica, che Cristo si era fermato a Eboli; ma il senso delle parole del Lacava fu proprio quello, tanto che, a sentire quel discorso, Zanardelli, uomo di cultura, intelligente e sincero, oltre che abile, ebbe a dire: Melius ire ad domum luctus quam ad domum convivii ( Meglio andare nella casa del dolore che in

18 quella del banchetto ). E forse furono proprie le parole di Lacava a spingere il Presidente a compiere un immediato atto di indisciplina, e fuori del protocollo prestabilito, perché, inaspettatamente, giunto a Lagonegro lo stesso 17 settembre, alle ore 17, e ricevuto dal Sindaco Pesce, dopo essere andato dormire, il giorno dopo, il 18 settembre, dichiarò che intendeva ricevere liberamente quanti avessero voluto presentarsi da lui. Anche gente umile. Tale decisione -raccontano le cronache- fu simpaticamente e favorevolmente commentata [ ]. Tutto il paese fu in festa e straordinariamente animato. Il tempo era bello. I paesani, quasi increduli, indossavano il loro caratteristico costume. Appartenenti a tutte le condizioni sociali, furono accolti con grande cordialità e -si legge- con schietta dimestichezza. Il Presidente, uomo laico, volle sentire anche i parroci, che, normalmente, sono ed erano coloro che della realtà di ogni paese conoscono la misura più esatta. E tra gli incontri più significativi, ci fu persino quello con il parroco don Antonio Amalfi, figura di prete coraggioso, che, rappresentante di una sorta di Chiesa del dissenso ante litteram, ebbe il coraggio, quando il Presidente presentò la legge sul divorzio, di schierarsi con lui, rifiutandosi di firmare un documento di protesta contro di essa. Prete impegnato e libero, e quindi più sensibile di altri preti alle questioni politico-sociali del Mezzogiorno, non è meraviglia che proprio lui, don Antonio Amalfi, si facesse carico -dicono le cronache- di riaffermare i propri sentimenti liberali, non solo, ma anche e soprattutto segnalare le miserevoli condizioni delle classi lavoratrici, che determinavano così allarmante il fenomeno della emigrazione a Lagonegro. Il Presidente ascoltò anche, oltre che il Consiglio comunale, anche i rappresentanti delle associazioni operaie, minuziosamente informandosi circa le condizioni della viabilità, i movimenti dell emigrazione e sullo stato delle industrie locali. Di tutto prese nota per iscritto. Quindi, a piedi, volle fare il giro del paese. E forse perché impressionato da questo primo impatto con una realtà, di cui aveva solo sentito parlare, maturò la convinzione che il viaggio andava prolungato. Al giornalista Sensini, infatti, corrispondente della Tribuna, manifestò l intenzione di prolungare di un giorno la sosta a Corleto Perticara e, forse, di un altro giorno a Taranto. Lo stesso 18 settembre, quindi, alle ore 13,50, lasciato il treno, partiva per Montesano, ritornando per un tratto in Campania. Quel tragitto ebbe il potere di rafforzare ancor di più l immagine di una terra dolente e affranta

19 Facendo a meno della scorta di quattro carabinieri, e tolto al trasferimento ogni carattere di ufficialità, il Presidente procedette su una carrozza trainata da tre robusti cavalli. Lo spettacolo di così importante uomo in visita fra terre da sempre abbandonate, che avevano conosciuto, con la miseria e la malaria, solo i soldati, i carabinieri e i briganti, era del tutto insolito. Perciò, al passaggio del lungo corteo di carrozze, [che era] chiuso da una grande carrozza carica di bagagli -raccontano le cronache-, accorrevano dai campi e dai rari casolari i contadini attoniti, stupiti, salutando. Quasi tutti [ ] avevano l aspetto emaciato, il colore terreo; si vedeva bene, purtroppo, che quella gente si nutriva poco e male. Né mancò un episodio di intensa emozione, in quel contesto di speranze e gratitudine per un personaggio tanto importante, che appariva quasi divinità benevolmente discesa agli inferi. Presso un gruppetto di misere capanne, fu visto un vecchio calvo, vestito di brandelli, [che] agitava una strana bandiera fatta di fazzoletti di vari colori: quando le carrozze passarono egli gridò «Viva Zanardelli» e coloro i quali lo circondavano ridettero il grido. La permanenza a Montesano durò giusto il tempo necessario per incontrare il Sindaco e la Giunta; quindi, nel pomeriggio, il Presidente partì per Moliterno, ove giunse in serata. Il paesaggio attraversato fu un altra conferma del mondo di sofferenza in cui il viaggio, ormai, si stava svolgendo. Si procedeva, infatti -secondo il racconto dei giornalisti al seguito-, a traverso montagne completamente brulle o assai mal coltivate, segno evidente della grande miseria di quei contadini. Sembrava di attraversare l Agro Romano, che a quell epoca era non meno desolante e desolato. Ma c era una differenza - annotava il cronista: le terre lucane, in tempi non lontani, ebbero rigogliosa vegetazione; ora sono lasciate in triste abbandono per la scarsità del danaro e per la conseguente continua diminuzione di braccia da adibire al lavoro, che invece emigrano. Sta di fatto che, a dire del cronista, lo spettacolo impressionò l on. Zanardelli. Per fortuna, a rasserenare gli animi, il paesaggio cambiò al momento in cui ci si avvicinò al paese di Moliterno, in prossimità del quale venne avanti l on. Lovito, potente rappresentante di quella comunità in Parlamento. Con lui era il Sindaco. Il Presidente si diresse verso il palazzo del Lovito, dove avrebbe alloggiato. Tutto era stato organizzato e predisposto alla perfezione. Si camminava a piedi, tra case imbandierate, accerchiati e festeggiati dai popolani vestiti nei loro abiti di festa gli uomini in velluto nero con le ghette di velluto anch esse, le donne all incirca come le avrebbe viste anche

20 Carlo Levi, cioè tutte di nero con ampi fazzoletti di grave panno nero pendenti dalla testa sulle spalle alla foggia monastica. Il palazzo Lovito era abbastanza ampio, tanto da poter accogliere venticinque coperti, oltre che un concertino di arpe e violini, suonati dai raminghi suonatori viggianesi, famosi in tutto il mondo. Si sturò anche una bottiglia di champagne. Sembrava tutta una festa. Eppure fu proprio a Moliterno che, nel pieno clima della festa, il Sindaco ebbe a lanciare quel drammatico saluto, che avrebbe fatto il giro dell Italia e sarebbe stato ricordato in tutti gli studi condotti sulla questione emigrazione. Caro Presidente -disse all incirca quel Sindaco, in forma quanto mai secca e memorabile-, ti salutano qui ottomila moliternesi: tremila sono emigrati in America; gli altri cinquemila si accingono a farlo. Il giorno dopo, 19 settembre, dopo aver ricevuto, le autorità del luogo, compresi ancora una volta i sacerdoti, e dopo aver a lungo conversato con il cav. Lichinchi, presidente della Deputazione provinciale di Lucania- Basilicata, intorno alle ore 13 il Presidente partiva per Corleto Perticara, dove giungeva nel tardo pomeriggio di una giornata mite, ma non meno triste per gli squallidi luoghi per cui si dovette passare. Anzi, insieme ai due successivi, quel percorso fu il più triste che avesse fatto il Presidente. La campagna -ricorda La tribuna - si presentò quasi affatto priva di vegetazione ; in lontananza si vedeva la corona dell Appennino lucano, con paesi le cui case sembravano le celle di un alveare. Il collegio elettorale di Corleto Perticara era dominio assoluto dell on. Pietro Lacava, potente personaggio, che, vicino a Zanardelli, insieme con Michele Torraca, come si è visto, fu suggeritore del suo viaggio. Perciò l arrivo del Presidente avvenne ancora tra case imbandierate, carabinieri a cavallo, folle di uomini e persino signore a cavallo, fuochi pirotecnici. Come a Moliterno, le donne erano vestite a festa, con la testa ricoperta del caratteristico panno nero, riccamente guarnito da rabeschi e nastri in oro. La permanenza in paese fu tutta una reciproca glorificazione, anche in virtù del fatto che Corleto Perticara era stata il centro dell insurrezione lucana nell agosto del 1860, quando, prima regione dell Italia meridionale, e prima ancora che arrivasse Garibaldi, la Lucania-Basilicata si liberò dei Borboni e proclamò la propria annessione all Italia unita. A Corleto, perciò, Zanardelli, tra un brindisi e l altro, potette ascoltare la parola di Carmine Senise, vero eroe di quelle giornate. Tutto avveniva nel sontuoso palazzo di Pietro Lacava. A far gli onori di casa c era la signora Giulia Lacava,

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