IL FARAONE DELLE SABBIE

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1 Valerio Massimo Manfredi IL FARAONE DELLE SABBIE Romanzo 1998

2 A Marcella, Marzia, Valeria e Flavia Ed era il Signore che passava. Lo precedeva un vento così forte e violento da schiantare i monti e spezzare le rocce. Ma il Signore non era nel vento... (I Re, XIX, 11)

3 1 Gerusalemme, anno decimottavo del regno di Nabucodonosor, il nove del quarto mese. Undecimo del re di Giuda, Sedecia. Il profeta volse lo sguardo verso la valle gremita di fuochi e poi verso il cielo deserto e sospirò. Le trincee cingevano i fianchi di Sion, gli arieti e le macchine ossidionali minacciavano i suoi bastioni. Nelle case desolate i bambini piangevano chiedendo pane e non v era chi lo spezzasse per loro; i vecchi si trascinavano per le strade sfiniti dal digiuno e venivano meno nelle piazze della città. «È finita» disse rivolto al compagno che lo seguiva dappresso. «È finita, Baruc. Se il re non mi da ascolto non ci sarà salvezza per la sua casa né per la casa del Signore. Gli parlerò un ultima volta ma non ho molte speranze.» Riprese il cammino attraverso le strade vuote e si fermò dopo un poco per lasciar passare un gruppo di persone che trasportavano, senza pianto, un feretro con passo frettoloso. Solo la salma si distingueva nel buio per il colore chiaro del sudario che l avvolgeva. Li guardò per un poco scendere quasi trotterellando per la strada verso il cimitero che il re aveva fatto aprire a ridosso delle mura e che da tempo non era più sufficiente a contenere i cadaveri che la guerra, la fame e la carestia vi riversavano ogni giorno in grande numero. «Perché il Signore sorregge Nabucodonosor di Babilonia e gli consente di imporre un giogo di ferro a tutte le nazioni?» chiese Baruc mentre il profeta riprendeva il cammino. «Perché si allea con lui che è già il più forte?» Il palazzo si ergeva ormai a poca distanza da loro, presso la Torre di David. Il profeta si inoltrò nella spianata e si volse indietro mentre la luna si apriva un varco fra le nubi suscitando dal buio la mole silenziosa del Tempio di Salomone. Lo contemplò con gli occhi lucidi mentre la luce lunare brillava sulle grandi colonne, risplendeva sul mare di bronzo e sui pinnacoli dorati. Pensò ai riti solenni celebrati per secoli in quel cortile, alle folle che lo gremivano nei giorni di festa, al fumo delle vittime che saliva dagli altari per il Signore. Pensò che tutto sarebbe finito, che tutto sarebbe morto nel silenzio di tanti anni o di tanti secoli e trattenne a stento le lacrime. Baruc lo scosse: «Andiamo, rabbi, è tardi». Il re vegliava a notte inoltrata con i capi del suo esercito e con i suoi ministri tenendo consiglio. Il profeta avanzò verso di lui e tutti si volsero al suono del suo bastone che percuoteva le pietre del pavimento. «Hai chiesto di vedermi» disse il re. «Che cos hai da dirmi?» «Arrenditi» disse il profeta parandoglisi dinnanzi. «Vestiti di sacco, cospargiti il capo di cenere ed esci a piedi scalzi dalla città; prosternati ai suoi piedi e invoca il suo perdono. Il Signore mi ha detto: Io ho consegnato il paese in potere di Nabucodonosor, re di Babilonia, mio servo, perfino il bestiame dei campi gli ho

4 consegnato. Non c è scampo, o re. Consegnati e implora la sua clemenza. Forse egli risparmierà la tua famiglia e forse risparmierà la casa del Signore.» Il re abbassò il capo e restò a lungo senza parlare. Era smunto e smagrito e aveva le occhiaie scure e incavate. I re sono il cuore delle nazioni, pensava fra sé il profeta mentre lo scrutava attendendo la sua risposta e per natura sanno di avere molte corazze che li proteggono: confini e guarnigioni, fortezze e baluardi. Per questo, quando un re si sente raggiunto dal nemico il suo sgomento e il suo terrore crescono a dismisura, mille volte più che nel più povero e nel più umile dei suoi sudditi che da sempre sa di essere nudo. «Non mi arrenderò» disse il re alzando il capo. «Io non so se il Signore nostro Dio ti abbia veramente parlato, se veramente ti abbia detto che ha consegnato il suo popolo nelle mani di un tiranno straniero, di un adoratore d idoli. Io sono più propenso a credere che un servo del re di Babilonia o il re in persona ti abbia parlato, e abbia corrotto il tuo cuore. Tu parli a favore del nemico invasore contro il tuo re, unto del Signore.» «Menti» disse il profeta sdegnato. «Nabucodonosor ti aveva dato la sua fiducia facendoti pastore del suo popolo nella terra d Israele e tu lo hai tradito, hai tramato di nascosto con gli egiziani che un tempo tennero Israele in schiavitù.» Il re non reagì a quelle parole. Si avvicinò ad una finestra e tese l orecchio ad un sommesso brontolio di tuono. Il cielo si era richiuso sulle mura di Sion e il grande Tempio era solo un ombra nel buio. Si passò una mano sulla fronte sudata mentre il tuono si spegneva lontano verso il deserto di Giuda. Il silenzio era totale ora perché non c erano più cani né uccelli né alcun altro animale a Gerusalemme. Tutti li aveva divorati la fame. E alle donne era stato fatto divieto di piangere i morti affinché la città non risuonasse in perpetuo di lamenti. A un tratto disse: «Il Signore ci ha dato una terra eternamente contesa, stretta fra potenti vicini. Una terra che continuamente ci viene strappata e che noi, disperatamente, cerchiamo di riprenderci. E ogni volta dobbiamo macchiarci le mani di sangue». Il volto del re era pallido come quello di un cadavere ma gli occhi sembrarono per un momento ardere di sogni: «Se egli ci avesse dato un altro luogo, remoto e sicuro, ricco di frutti e di bestiame, stretto fra alti monti e sconosciuto alle nazioni della terra avrei forse tramato con il faraone? Sarei forse ricorso al suo aiuto per affrancare il mio popolo dal giogo di Babilonia? Rispondimi» disse. «E rispondimi presto perché non c è più tempo.» Il profeta lo guardò e vide che era perduto. «Non ho altro da dirti» rispose. «Il vero profeta è colui che consiglia la pace. Ma tu osi chiedere conto al Signore del suo operato, tu osi tentare il Signore Dio tuo. Addio, Sedecia. Non hai voluto darmi ascolto e per questo il tuo cammino sarà nelle tenebre.» Si volse al suo compagno e disse: «Andiamo, Baruc, qui non ci sono orecchie per le mie parole». Uscirono e il re ascoltò il rumore del bastone del profeta che si attenuava lontano nell atrio colonnato fino a dissolverei nel silenzio. Guardò i suoi

5 consiglieri e li vide atterriti; i loro volti erano verdi per la stanchezza, la lunga veglia e la paura: «Ormai è giunto il momento,» disse «non possiamo più indugiare. Mettete in atto il piano che abbiamo preparato e radunate l esercito nel massimo silenzio. Distribuite di nascosto le ultime razioni di cibo, gli uomini avranno bisogno di tutte le energie». In quel momento giunse un ufficiale della guardia: «Re,» disse, «la breccia è quasi aperta. Un reparto dell esercito sotto il comando di Etan sta uscendo in questo momento dalla porta orientale per fare una sortita e attirare il nemico da quella parte. È ora.» Sedecia annuì. Si tolse il mantello reale e indossò l armatura, sospese la spada all omero: «Andiamo,» disse. Lo seguivano la regina madre Camutàl, le sue mogli, gli eunuchi, i suoi figli Eliei, Achis e Amasai, e i capi del suo esercito. Scesero le scale fino al quartiere delle donne e di là entrarono nel giardino della reggia. Un gruppo di tagliapietre aveva quasi terminato di aprire un varco nelle mura dalla parte della piscina di Siloe e due esploratori erano già scesi in gran silenzio per controllare che la via fosse sgombra. Il re attese che le ultime pietre fossero tolte poi uscì all aperto. Dalla valle saliva il vento caldo e secco che aveva attraversato il deserto ed egli.si appoggiò alle pietre delle mura cercando di dominare l ansia che lo soffocava. Gli ufficiali intanto facevano uscire in gran fretta gli uomini e li facevano mettere al riparo dietro le rocce. Di lontano giunse d un tratto il suono delle trombe e il clamore della battaglia: Etan aveva attaccato le linee d assedio babilonesi e subito squillarono i corni nella valle chiamando a raccolta i soldati di Nabucodonosor. Il re Sedeucia riprese coraggio: il sacrificio dei suoi uomini non sarebbe stato vano ed egli avrebbe forse potuto passare indenne attraverso le linee nemiche e raggiungere il deserto dove sarebbe stato al sicuro. Passò ancora del tempo e d un tratto una luce si accese in fondo alla valle, oscillò a destra e a sinistra tre volte. «Il segnale, finalmente!» disse il comandante dell esercito. «La via è sgombra, possiamo metterci in cammino.» Passò la parola d ordine agli altri ufficiali perché la passassero ai soldati e diede ordine di partire. Il re marciava al centro della fila e assieme a lui camminavano i figli più grandi: Eliei, il maggiore, che aveva dodici anni e Achis che ne aveva nove. Il più piccolo, Ama-sai, aveva soltanto cinque anni e lo teneva in braccio l aiutante di campo del re perché non piangesse e non li facesse scoprire se per caso si aggirassero nella zona delle spie nemiche. Raggiunsero il fondo della valle e il comandante tese l orecchio verso oriente: «Etan li sta impegnando ancora» disse «e forse ci permetterà di metterci in salvo. Che il Signore gli dia forza e dia forza agli eroi che si battono al suo fianco. Andiamo, ora, muoviamoci più in fretta che sia possibile». Presero verso meridione in direzione di Hebron con l intenzione di raggiungere Beer Sheva e di là cercare scampo in Egitto. Seguivano il re Sedecia circa millecinquecento uomini, tutti quelli che ancora erano in grado di portare le armi.

6 Ma gli uomini di Etan che erano stremati dagli stenti non poterono resistere a lungo al contrattacco dei babilonesi, numerosi, ben nutriti e bene armati e furono presto messi in rotta e massacrati. Molti di loro furono presi vivi e torturati a morte. Qualcuno, non sopportando le atroci sofferenze, rivelò il piano del re e subito Nabucodonosor ne fu avvertito. Dormiva nel suo padiglione su un letto di porpora circondato dalle sue concubine quando lo svegliò un ufficiale inviato dal suo comandante Nabuzardàn. Il re si levò dal letto e comandò agli eunuchi che lo vestissero, all aiutante di campo che gli portasse l armatura e facesse preparare il carro da guerra. «Fai preparare il mio carro e raduna la mia guardia» disse. «Non attenderò il ritorno di Nabuzardàn. Io stesso mi metterò sulle sue tracce.» L ufficiale si inchinò e uscì per dare ordine che fosse fatto ciò che il re aveva comandato. Poco dopo il re in persona uscì dal suo padiglione e salì sul carro. L auriga frustò e tutto lo squadrone seguì in colonna sollevando una densa nube di polvere. Verso oriente le nubi si erano diradate e il cielo cominciava ad impallidire per l approssimarsi dell alba. Il canto delle allodole saliva verso il sole che si affacciava lentamente all orizzonte. I prigionieri giudei vennero impalati. Il loro comandante Etan, per il grande valore che aveva dimostrato, fu crocefisso. Il re Sedecia giunse nella piana di Hebron che il sole splendeva già alto nel cielo e si sedette all ombra di una palma a bere un po d acqua e mangiare un poco di pane e di olive salate assieme ai suoi uomini per riprendere le forze. Intanto i suoi ufficiali cercavano dei cavalli e dei cammelli nelle stalle della città per potersi muovere più speditamente. Quando ebbe mangiato e bevuto il re si volse al comandante dell esercito: «Quanto tempo pensi che sarà necessario prima che i miei servi abbiano radunato in numero sufficiente cavalli, muli e cammelli che ci consentano di muoverci più veloci sulla strada per Beer Sheva? I miei figli sono stremati e non riescono più a camminare». Il comandante fece per rispondere ma restò d un tratto immobile tendendo l orecchio a un rumore lontano, come di tuono. «Lo senti anche tu, mio re?» «È il temporale che si avvicinava a Gerusalemme questa notte.» «No, Signore, quelle nubi sono ora sul mare. Questa non è la voce della tempesta...» e mentre pronunciava quelle parole il volto gli si riempì di sgomento e di terrore perché aveva visto, sulla sommità dell altopiano che sovrastava la città, una nube di polvere e dentro la nube, dispiegati in un vasto spazio, i carri da guerra dei babilonesi. «Mio re,» disse «siamo perduti. Non ci resta che morire da uomini con la spada in pugno.» «Io non voglio morire» disse Sedecia. «Io devo salvare il trono d Israele e i miei figli. Fai schierare l esercito e fammi portare subito dei cavalli: il Signore combatterà al vostro fianco e questa sera mi raggiungerete vincitori nell oasi di

7 Beer Sheva. Ho dato disposizione che la regina madre e le mie spose vi attendano in Hebron. Viaggeranno con voi più confortevolmente quando mi raggiungerete a Beer Sheva.» Il comandante fece come gli era stato ordinato e schierò l esercito, ma gli uomini si sentirono sciogliere le ginocchia appena videro centinaia di carri scendere a grande velocità verso di loro, quando videro lampeggiare le falci che sporgevano in fuori dagli assali per tagliare a pezzi chiunque incontrassero. Il terreno tremava come scosso dal terremoto e l aria si riempiva di un rombo di tuono, risuonava dei nitriti di migliaia di cavalli e del fragore dei cerehioni di bronzo sul terreno. Alcuni di loro si volsero indietro e videro il re che cercava di fuggire a cavallo assieme ai figli e gridarono: «Il re fugge! Il re ci abbandona!». E subito l esercito si sbandò e si sciolse e gli uomini si diedero alla fuga in tutte le direzioni. I guerrieri babilonesi li inseguivano sui carri come se cacciassero animali selvaggi nel deserto. Li trapassavano con le lance o li trafiggevano con le frecce come fossero gazzelle o antilopi. Il comandante Nabuzardàn vide Sedecia che fuggiva a cavallo assieme ai figli, tenendo il più piccolo stretto al petto davanti a sé sulla sua cavalcatura. Fece un segno con il suo stendardo e un gruppo di carri si allargò a semicerchio abbandonando la caccia ai fuggiaschi nella pianura. In breve Sedecia fu circondato e dovette fermarsi. I guerrieri babilonesi lo condussero alla presenza di Nabuzardàn che lo fece incatenare assieme ai suoi figli. Non fu dato loro né da mangiare né da bere, né fu concesso loro riposo. Il re fu trascinato attraverso la pianura cosparsa dei cadaveri dei suoi soldati e dovette marciare vicino agli altri che erano stati catturati e fatti prigionieri e lo guardavano con disprezzo e con odio perché li aveva abbandonati. La colonna dei carri si diresse nuovamente a settentrione verso Ribla dove il re Nabucodonosor li attendeva. Sedecia fu condotto alla sua presenza assieme ai figli. Il più grande, Eliei, cercava di consolare il piccolo Amasai che piangeva disperato con il volto sporco di muco, di polvere e di lacrime. Sedecia si prostrò con la faccia a terra: «Ti imploro,» disse «grande re. Per la mia inesperienza e per la mia debolezza ho ceduto alle lusinghe e alle minacce del re d Egitto e ho tradito la tua fiducia. Fai di me ciò che vuoi ma risparmia i miei figli. Sono dei bambini innocenti. Prendili con te a Babilonia, falli crescere nella vista del tuo splendore ed essi ti serviranno fedelmente». Il principe Eliei gridò: «Levati, padre! Levati o re d Israele, non sporcare la fronte nella polvere! Non temiamo la rabbia del tiranno, non umiliarti per noi». Il re di Babilonia sedeva all ombra di un sicomoro su un trono di legno di cedro e teneva i piedi su di uno sgabello d argento. La barba inanellata gli scendeva sul petto e portava in testa la tiara tempestata di pietre preziose. Faceva caldo ma il re non sudava, di tanto in tanto spirava un soffio di vento ma la sua barba e i suoi capelli ed anche i suoi abiti erano immobili come quelli di una statua; il re di Gerusalemme giaceva ai suoi piedi con la fronte nella polvere

8 ma egli aveva lo sguardo fisso all orizzonte come se sedesse solo in mezzo al deserto. Non disse nulla e non fece alcun cenno ma i suoi servi si mossero come se avesse parlato, come se avesse dato loro degli ordini precisi. Due di loro presero Sedecia per le braccia e lo alzarono, un terzo da dietro lo tenne per i capelli in modo che non potesse nascondere il volto. Un altro prese il principe Eliei e lo trascinò davanti a lui, lo fece piegare sulle ginocchia tenendolo da dietro per le braccia e calcandogli un piede sulla schiena. Il giovane principe non emise un gemito né implorò pietà; strinse le labbra quando il carnefice si avvicinò brandendo la sciabola ma non chiuse gli occhi. E aveva ancora gli occhi aperti quando la sua testa, spiccata dal busto, rotolò ai piedi del padre. Sedecia, stritolato dall orrore, era preda di un tremito convulso, inondato di un sudore sanguigno che gli grondava dalla fronte e dagli occhi fino alla radice del collo. Dalle sue viscere saliva un mugolìo informe e tremebondo, un singhiozzo frantumato e folle. Gli occhi roteavano senza controllo nelle orbite come se fuggissero dalla vista di quel tronco inerte che riversava sangue e sangue a inzuppare la polvere. E l urlo disperato del piccolo Amasai gli straziava l animo e la carne mentre i servi di Nabuco-donosor mettevano le mani addosso al secondo dei suoi figli, il principe Achis. Era anch egli poco più che un bambino, ma la vista di quell abominio aveva temprato il suo animo come acciaio, o forse il Signore Dio d Israele teneva in quel momento la sua mano sulla sua testa innocente. Anche sul suo capo calò la sciabola del boia e il suo corpo si accasciò d un tratto, il suo sangue si mescolò copioso a quello del fratello. Amasai era troppo piccolo per essere decapitato e così il servo del re gli aprì la gola come a un capretto immolato sull altare il giorno di Pesach. Il coltello spense in un gorgoglio il suo pianto infantile e le piccole membra inerti impallidirono nella polvere, le piccole labbra illividirono, gli occhi, ancora colmi di lacrime, s invetriarono e si spensero col fuggire della vita. Sedecia, senza più voce né forze, sembrò accasciarsi ma poi d un tratto, con un guizzo insospettato di energia, sfuggì dalle mani dei suoi custodi e, sfilato un pugnale dalla cintola di uno di essi, si avventò verso Nabucodonosor. Il sovrano non si mosse, restò immoto sul suo trono di cedro con le mani appoggiate sui braccioli mentre i suoi servi afferravano Sedecia e lo legavano al tronco di una palma. Il carnefice si avvicinò, lo afferrò per i capelli con una mano immobilizzandogli la testa contro il tronco dell albero e con l altra brandì un pugnale acuminato e gli cavò tutti e due gli occhi. Sedecia si sentì ardere in un lampo rosso e poi affondare in un buio senza fine mentre gli venivano in mente, in un residuo di coscienza, le parole del profeta. Si rese conto che da quel giorno avrebbe camminato in un luogo infinitamente più orribile della morte e che mai più, finché avesse avuto vita, avrebbe sentito le lacrime scorrere lungo le guance. * * *

9 Il re Nabucodonosor, compiuta la sua volontà, fece incatenare Sedecia con catene di bronzo e si mise in viaggio verso Babilonia. La notte dopo anche il profeta giunse a Ribla dopo aver attraversato le linee nemiche per un cammino noto a lui solo. Aveva visto, attraversando la notte, i corpi sfigurati dei soldati d Israele infissi su pali acuminati che li passavano da parte a parte e aveva visto il corpo di Etan pendere dalla croce, coperto da un nugolo di corvi e circondato da cani famelici che ne avevano denudato le ossa fino alle ginocchia. Aveva già l anima colma di orrore quando giunse a Ribla ma quando vide i corpi dilaniati e insepolti dei giovani principi, e quando seppe che il re era stato costretto ad assistere al loro supplizio prima che gli fossero strappati gli occhi, si gettò nella polvere e si abbandonò alla disperazione. In quel momento atroce egli pensò alle pene senza fine che il suo popolo doveva sopportare per essere stato scelto da Dio, pensò a quale carico intollerabile il Signore aveva posto sulle spalle d Israele mentre altre nazioni che vivevano nell idolatria godevano di ricchezze infinite, di agi e di potere ed erano lo strumento che egli sceglieva per flagellare gli sventurati discendenti di Abramo. In quel momento di profondo sconforto egli fu preso dalla tentazione, pensò che sarebbe stato meglio per il suo popolo perdere anche il ricordo di esistere, confondersi fra le genti della terra come una goccia d acqua nel mare, scomparire piuttosto che subire, ad ogni generazione, il dolore bruciante della frusta di Dio. Ripartì senza aver preso né cibo né bevanda con gli occhi pieni di lacrime, con l animo tormentato e riarso come le pietre del deserto. Nabuzardàn entrò pochi giorni dopo a Gerusalemme con le sue truppe e si insediò nel palazzo reale con i suoi ufficiali, gli eunuchi e le concubine. Alcune delle concubine di Sedecia che aveva trovato a Hebron, o che erano rimaste nel palazzo, le prese per sé e altre le distribuì ai suoi ufficiali. Le rimanenti furono inviate a Babilonia perché servissero come prostitute nel Tempio di Astarte. La regina madre Camutàl fu trattata invece con gli onori che competevano al suo rango e ospitata in una casa nei pressi della porta di Damasco. Per oltre un mese non accadde nulla: soltanto i servi di Nabuzardàn percorrevano le vie della città e censivano tutti gli abitanti superstiti, in particolare prendendo nota dei fabbri e dei maniscalchi. La popolazione riprese a sperare perché fu permesso ai contadini di fare affluire in città del cibo che gli abitanti poterono acquistare a caro prezzo. A nessuno però era permesso di uscire perché le porte erano sorvegliate dalle guardie giorno e notte e i pochi che tentarono di fuggire calandosi con delle funi dalle mura furono catturati e crocefissi sul luogo stesso in cui erano stati presi perché la loro sorte servisse di esempio. Gli Anziani erano angosciati, sicuri che il peggio non fosse ancora arrivato e il castigo inevitabile era tanto più spaventoso in quanto ancora sconosciuto e avvolto nel mistero.

10 Una notte Baruc fu svegliato da uno dei servi del Tempio: «Levati,» gli disse «il profeta ti manda a dire di raggiungerlo presso la casa del venditore di legumi». Baruc capì che cosa significava quel messaggio che altre volte aveva ricevuto quando era stato necessario incontrare il suo maestro in un luogo isolato e al riparo da occhi indiscreti. Si vestì, cinse la cintura e si mise in cammino nella città buia e deserta. Seguiva percorsi solo a lui noti, passando spesso attraverso le case di persone fidate o camminando sopra i tetti o nei sotterranei per non incontrare le ronde dei soldati babilonesi che pattugliavano la città. Raggiunse il luogo dell appuntamento, una casa mezza in rovina che era stata di un venditore di legumi al tempo del re loaikim e che poi era caduta in abbandono per mancanza di eredi. Il profeta uscì dall oscurità. «Che il Signore ti protegga, Baruc,» gli disse «seguimi perché ci attende un lungo viaggio.» «Ma, rabbi,» disse Baruc «lascia che torni a casa per prendere una bisaccia e un poco di provviste. Non sapevo di dover partire.» Il profeta disse: «Non c è più tempo, Baruc, dobbiamo partire ora perché l ira del re di Babilonia sta per scatenarsi sulla città e sul Tempio. Presto, seguimi». Attraversò in fretta la strada e imboccò un vicolo che conduceva alla base del Tempio. L immenso edificio si parò loro di fronte quando svoltarono nella piazza che ne fiancheggiava il bastione occidentale. Il profeta si volse per essere sicuro che Baruc lo seguisse e poi imboccò un altro vicolo che sembrava allontanarsi dalla piazza. Si fermò davanti a una soglia e bussò. Si udì uno scalpiccio e poco dopo un uomo venne ad aprire. Il profeta lo salutò e lo benedisse ed egli prese una lucerna e s incamminò, guidandoli lungo un corridoio che si addentrava nella casa. Alla fine del corridoio trovarono una scala tagliata nella roccia che scendeva sotto terra di parecchi gradini e quando furono giunti al fondo l uomo che li guidava si fermò. Raschiò il terreno con una pala e scoprì un anello di ferro e una botola. Infilò nell anello il manico della pala e fece forza. La botola si sollevò scoprendo un altra gradinata, ancora più stretta e buia della prima e un soffio d aria esalò dall apertura agitando la fiamma della lucerna. «Addio, rabbi» disse l uomo «che il Signore ti assista.» Il profeta prese la lucerna dalla sua mano e cominciò a scendere nel sotterraneo ma mentre scendeva si udì un grido in lontananza, e poi un altro e presto il sotterraneo echeggiò di un coro di lamenti, attutito dalle spesse mura dell antica casa. Baruc trasalì e si volse indietro. «Non voltarti» disse il profeta. «Il Signore nostro Dio ha distolto gli occhi dal suo popolo, ha distolto lo sguardo da Sion e l ha data in potere dei suoi nemici.» Gli tremava la voce e la luce della lampada trasformava i suoi lineamenti in una maschera di sofferenza. «Seguimi, non c è più tempo.» Baruc lo seguì e la botola si richiuse dietro di loro. «Come farà quell uomo a tornare indietro?» chiese «Abbiamo noi la sua lampada.» «Troverà certamente la via» rispose il profeta. «È cieco.»

11 Il corridoio era così stretto che a volte era necessario mettersi di lato e avanzare di fianco, e così basso che spesso si doveva curvare la schiena. Baruc si sentiva soffocare come se lo avessero rinchiuso vivo in una tomba e il cuore gli batteva in petto tumultuosamente per l oppressione intollerabile ma continuava a seguire il passo uguale del profeta che sembrava conoscere molto bene quella via segreta nelle viscere della terra. Finalmente un po di chiarore cominciò a diffondersi davanti a loro e si trovarono, dopo un poco, in una camera sotterranea che prendeva luce da una griglia di ferro sul soffitto. «Siamo dentro alla vecchia cisterna sotto il portico del cortile interno» disse. «Vieni, siamo quasi arrivati.» Si portò al fondo della grande camera ipogea ed aprì una porticina ferrata che dava in un altro corridoio stretto e basso come il primo. Baruc cercava di capire in che direzione stavano procedendo e ben presto si rese conto che il suo maestro lo stava guidando verso un luogo sacro e inaccessibile, verso il cuore stesso del Tempio, la dimora del Dio degli Eserciti. Salirono ancora una scala di sasso e quando furono giunti alla sommità il profeta fece scorrere all indietro una lastra di pietra e si volse verso di lui: «Seguimi, ora,» disse «e fai ciò che ti dico». Baruc si guardò intorno e il cuore gli si riempì di stupore e di meraviglia: si trovava all interno del Santuario, dietro il velo di bisso che copriva la gloria del Signore! Davanti a lui c era l Arca dell Alleanza e su di essa due cherubini d oro, inginocchiati, sostenevano fra le ali il trono invisibile dell Altissimo. Ora le grida di disperazione della città giungevano più nette e vicine, ingrandite dall eco fra i portici deserti degli sterminati cortili. «Prendi tutti i vasi sacri» disse il profeta «perché non siano profanati e mettili in una cesta che troverai in quell armadio. Io farò lo stesso.» Presero i vasi e, attraversato il piccolo spazio del Santuario, raggiunsero un altro ambiente nell alloggio del Sommo Sacerdote. «Ora torniamo indietro» disse il profeta. «Dobbiamo prendere l Arca.» «L Arca?» disse Baruc. «Ma non riusciremo mai a portarla via.» «Nulla è impossibile al Signore» disse il profeta. «Vieni, aiutami. Quando torneremo indietro troveremo qui due animali da soma.» Raggiunsero di nuovo il Santuario, infilarono le stanghe di legno di acacia nelle anelle dell Arca e la sollevarono non senza sforzo. Ormai le grida riempivano i cortili esterni del Tempio ed erano grida straniere di uomini ubriachi di vino e di violenza. Il profeta camminava con fatica perché le sue membra non avevano più il vigore di un tempo e il sacro cimelio dell Esodo aveva il peso dell oro e del legno. Baruc non si stupì quando vide, nella camera in cui avevano riposto i vasi sacri, due asini con il basto legati ad un anella che pendeva dal muro. Il profeta li incitò con il bastone e questi si misero a tirare con forza finché l anella sembrò svellersi dal muro. Si udì uno scatto e una parte della parete ruotò su se stessa scoprendo un altro passaggio buio che scendeva sotto terra. Il profeta allora sciolse i due animali, li mise uno davanti all altro poi collegò i due basti con

12 le stanghe che reggevano l Arca e su quelle la fissò riponendo i vasi sacri nelle bisacce che pendevano dai basti. «Tu vieni dietro,» disse a Baruc «fai attenzione che non perdiamo nulla e richiudi dietro di noi i passaggi che io aprirò. Cammineremo ancora a lungo nel buio, ma alla fine usciremo al sicuro. Questi animali non ci tradiranno: sono abituati a camminare sotto terra.» S inoltrarono nel passaggio e cominciarono a scendere una rampa scavata nella roccia e completamente immersa nell oscurità. Camminavano molto lentamente e Baruc sentiva il bastone del suo compagno che tentava il terreno davanti a sé prima di ogni passo. L aria era immobile all interno dell ipogeo e aveva l odore penetrante degli escrementi di pipistrello. Passò molto tempo e la rampa divenne quasi completamente orizzontale: il passaggio doveva aver raggiunto il livello della valle sottostante la città. Camminarono in silenzio per quasi tutta la notte finché, sul far dell alba, si trovarono di fronte le pietre di un muro a secco fra cui filtravano le primi luci del nuovo giorno. Baruc le smosse una per una cosicché il piccolo convoglio potè oltrepassare la soglia e trovarsi all interno di una grotticella. «Dove siamo, rabbi?» chiese. «Al sicuro, ormai» rispose il profeta. «Abbiamo superato le linee d assedio dei babilonesi. A poca distanza da qui passa la strada per Hebron e Beer Sheva. Aspettami e non ti muovere e intanto rimetti le pietre al loro posto in modo che non si possa riconoscere il passaggio. Io tornerò fra breve.» Uscì all aperto e Baruc fece quanto gli era stato ordinato. Quando ebbe finito si affacciò all imbocco della grotticella, mascherato da cespugli di ginestra e di tamerice e vide il suo compagno che gli faceva cenno di scendere. A lato del sentiero c era un carretto pieno di paglia. Baruc discese, nascose sotto la paglia gli arredi del Tempio e l Arca, poi aggiogò gli asini. Montarono tutti e due sul carretto, simili a due contadini che vanno al lavoro e si rimisero in viaggio. Percorsero sentieri fuori mano e mulattiere impervie evitando le strade più battute e le città finché si addentrarono nel deserto. Il profeta sembrava seguire una direzione ben conosciuta e un itinerario preciso. A volte si fermava a osservare il paesaggio, a volte scendeva dal carretto e si inerpicava sui fianchi di una collina o fin sulla cima di una montagna per osservare il territorio da un punto dominante, poi ridiscendeva per riprendere il cammino. E Baruc lo osservava mentre camminava sulle creste scabre con passo veloce, mentre avanzava nelle pietraie di nere selci roventi sotto il sole, mentre camminava senza timore nel dominio degli scorpioni e dei serpenti. Trascorsero sei giorni e sei notti quasi senza parlare perché avevano il cuore oppresso dalla tristezza pensando alla sorte di Gerusalemme e del suo popolo, finché giunsero nella valle di un largo torrente secco. A destra e a sinistra si estendevano due dorsali montuose completamente brulle e i fianchi delle colline e della montagne erano scavati da profonde solcature biancastre in fondo alle quali verdeggiavano magri e radi cespugli di pruno del deserto.

13 A un tratto, sulla loro sinistra, Baruc notò una montagna dalla strana forma a piramide, una forma così perfetta e scolpita da sembrare opera dell uomo. «Dove stiamo andando non troveremo né acqua né cibo, rabbi» disse. «È ancora molto lontana la nostra meta?» «No» rispose il profeta. «Siamo quasi arrivati» e tirò le redini. «Arrivati... dove?» chiese Baruc. «Alla Montagna Sacra. Al Sinai.» Baruc spalancò gli occhi: «Il Sinai è qui?». «Sì, ma tu non lo vedrai. Aiutami a caricare l Arca e i vasi sacri su uno solo dei giumenti così che io possa condurlo per la cavezza. Tu resta qui con l altro giumento. Aspettami per un giorno e una notte. Se dopo quel tempo non mi avrai visto tornare vattene e torna indietro.» «Ma, rabbi, se tu non dovessi tornare l Arca non verrà mai più ritrovata e il popolo l avrà perduta per sempre...» Il profeta abbassò il capo. Il luogo era immerso nel silenzio più profondo, non si vedeva una sola creatura muoversi per quanto lo sguardo poteva spaziare sulla pietraia infinita, soltanto un aquila roteava nel cielo in ampi cerchi lasciandosi portare dal vento. «E se così fosse? Il Signore la susciterebbe comunque dalle viscere della terra quando venisse di nuovo il momento di guidare il popolo verso il suo ultimo destino. Ma ora il mio compito è di riportarla là dove ebbe origine. Non osare seguirmi, Baruc. Dai tempi dell Esodo soltanto a un uomo ogni generazione è stato rivelato dove si trovava la Montagna Sacra e soltanto un uomo ogni quattro generazioni ha potuto farvi ritorno. Prima di me l ultimo fu Elia ma soltanto io, dai tempi dell Esodo, accederò al luogo più segreto di tutta la terra per nascondervi l Arca. «Se Dio vorrà mi vedrai tornare dopo un giorno e una notte, se non mi vedrai tornare, vorrà dire che la mia vita è stata il prezzo che il Signore nostro Dio ha chiesto per la salvaguardia del segreto. Non muoverti di qui, Baruc, per nessun motivo, e non cercare in alcun modo di seguirmi perché ti è fatto divieto di calpestare questa terra. E ora, aiutami.» Baruc lo aiutò a someggiare, fra i due animali, quello che pareva il più robusto e ricoprì tutto con il suo mantello. Disse: «Ma come farai, rabbi, da solo? Sei debole e avanti negli anni...». «Il Signore mi darà la forza. Addio, mio buon amico.» Si incamminò nella pietraia desolata fra le due file di montagne e Baruc restò immobile sotto il sole cocente a guardarlo e mentre si allontanava capì perché aveva voluto andare con un solo giumento, senza il carro. Egli camminava sulla pietraia in modo da non lasciare dietro di sé alcuna traccia. Baruc ebbe paura, pensò che il simbolo stesso dell esistenza d Israele si allontanava verso un luogo sconosciuto, e forse svaniva per sempre nel nulla. Guardò sgomento il suo maestro diventare sempre più piccolo man mano che si allontanava finché scomparve del tutto alla vista. * * *

14 Il profeta avanzava ora nella desolazione del deserto, camminava nel regno dei serpenti velenosi e degli scorpioni e sentiva su di sé l occhio rovente di Dio scrutarlo fin nelle viscere. Giunse in un punto in cui la valle si apriva, dominata da destra da una montagna che sembrava una sfinge accucciata e da sinistra da un altra che sembrava una piramide. In quel momento un vento impetuoso lo investì, quasi lo travolse, ed egli dovette stringere saldamente la cavezza del suo giumento perché non fuggisse. Continuò ad avanzare a gran fatica finché lo sforzo e il dolore che gli ferivano l animo lo precipitarono in una sorta di delirio in cui gli pareva di sentire la terra tremare sotto i piedi come se fosse scossa dal terremoto, e poi di essere come avvolto da vampe di fuoco che lo divoravano. Sapeva che tutto ciò doveva accadere, come già un tempo era accaduto ad Elia. Il profeta si trovò a un tratto, come in un sogno, all ingresso di una grotta, ai piedi di una montagna brulla e bruciata dal sole e cominciò a salire verso la sommità. Quando fu arrivato a mezzo della salita vide un segno inciso sulla roccia che rappresentava una verga con accanto un serpente: si volse allora a scrutare la valle e distinse chiaro un disegno sul fondo, un disegno fatto da pietre collocate a formare una figura rettangolare. Quella figura lo rese certo di trovarsi nel luogo più umile e recondito d Israele, nel luogo in cui Dio aveva per la prima volta scelto la sua dimora fra gli uomini. Ridiscese all ingresso della grotta, prese una lama di selce e cominciò a scavare all interno finché non scoprì una lastra che copriva una rampa coperta di polvere finissima e bianca. Con gran fatica trascinò giù prima l Arca, che depose in una nicchia scavata nella parete, e poi i vasi sacri. Stava per ritornare sui suoi passi quando scivolò urtando il fondo della galleria sotterranea e sentì un rimbombo, come se ci fosse, dall altra parte, un altra cavità. Temendo che qualcuno potesse trovare un altra via d accesso al suo nascondiglio, accese una torcia di pece, la conficcò in un anfratto per avere un po di luce e poi prese la selce e colpì ripetutamente la parete che sentiva rimbombare sempre più forte. A un tratto udì come uno scatto secco e subito dopo un gran fragore, la parete cedette ed egli fu trascinato in basso come da una valanga e per un momento, accecato com era, e mezzo sepolto nei detriti, pensò che fosse giunta la sua ultima ora. Quando riaprì gli occhi e potè vedere attraverso il polverìo sospeso nel sotterraneo, il suo volto si contrasse in una smorfia di orrore perché aveva visto ciò che per nulla al mondo avrebbe mai voluto vedere. Gridò in preda alla disperazione e il suo grido uscì dalla bocca del sotterraneo come il ruggito di una fiera in trappola echeggiando sulle vette nude e solitàrie della Montagna di Dio. Baruc si svegliò di soprassalto nel mezzo della notte, certo di aver udito un grido: la voce del suo maestro rotta dal pianto. E vegliò a lungo in preghiera. Il giorno dopo, non vedendolo ancora arrivare, si rimise in cammino per attraversare il deserto in direzione di Beer Sheva e poi di Hebron. Rientrò a Gerusalemme per la stessa via da cui ne era uscito.

15 La città era vuota! Tutti gli abitanti erano stati strappati alle loro case e condotti via dai babilonesi. Il Tempio era stato distrutto e dato alle fiamme, il palazzo reale demolito, le poderose mura dell antica fortezza gebusea, smantellate. Egli attese, tuttavia, contando il numero dei giorni che il profeta era rimasto assente, come per calcolare la distanza che poteva aver percorso, finché lo vide riapparire, lacero e smagrito, presso la casa del venditore di legumi. Gli si avvicinò, cercando di trattenerlo per le vesti: «Rab-bi,» gli disse «hai visto la desolazione di Sion? È vuota la città un tempo piena di popolo, i suoi principi sono dispersi fra le genti». Il profeta si volse verso di lui e Baruc ne rimase sconvolto: aveva la faccia bruciata e le mani ferite e aveva una luce sinistra negli occhi come se fosse stato precipitato vivo nelle viscere dello She ol. In quel momento egli fu certo che non era la vista dell annientamento di Gerusalemme, conseguenza della volontà del Signore, a gettarlo in quella fosca disperazione: era qualcosa che aveva visto. Qualcosa di così terribile da offuscare la distruzione di una nazione intera, la deportazione e lo sradicamento del suo popolo, il massacro dei suoi principi. «Che cosa hai visto nel deserto, rabbi? Che cosa ha turbato così profondamente la tua mente?» Il profeta volse gli occhi verso la notte che avanzava da settentrione: IlI nulla...» mormorò. «Il trovarsi d un tratto soli, senza principio e senza fine, senza luogo, senza scopo né causa...» Fece per allontanarsi ma Baruc lo trattenne ancora per la veste: «Rabbi, ti scongiuro, rivelami dove hai nascosto l Arca del Signore perché io credo che un giorno Egli richiamerà il suo popolo dall esilio di Babilonia. Io ti ho obbedito e ho distolto il mio sguardo dai tuoi passi, ma tu dimmi dove l hai nascosta, ti imploro...». Il profeta lo guardò con occhi pieni di tenebre e di lacrime: «È tutto inutile... ma se il Signore un giorno chiamerà qualcuno, egli dovrà camminare oltre la piramide e oltre la sfinge, e dovrà attraversare il vento, il terremoto e il fuoco finché il Signore gli mostrerà dove è nascosta... Ma non sarai tu, Baruc, e forse nessun altro mai... Io ho visto ciò che nessuno avrebbe mai dovuto vedere». Si sciolse dalle sue mani e si mise in cammino scomparendo presto alla vista dietro un cumulo di rovine. Baruc lo guardò mentre si allontanava e notò una sua strana andatura ondeggiante perché era scalzo da un piede. Cercò ancora di corrergli dietro ma quando si affacciò dall altra parte era scomparso, e per quanto si sforzasse non gli riuscì in alcun modo di ritrovarlo. Non lo rivide mai più.

16 2 Chicago, Stati Uniti d America, fine del secondo millennio dopo Cristo. William Blake si svegliò con fatica e con un sapore acido in bocca, residuo di una notte agitata, di un sonno indotto dal tranquillante e di una digestione difficile e si trascinò in bagno. Lo specchio gli rimandò, illuminata dalla luce frontale del tubo al neon, una faccia verdastra, due occhi infossati e una testa arruffata. Tirò fuori la lingua coperta da una patina biancastra e subito la ringoiò con una smorfia di disgusto. Aveva voglia di piangere. La doccia bollente gli sciolse i crampi nello stomaco e nei muscoli e dissolse le sue residue energie in un languore profondo, in una debolezza estrema che lo accasciò sul pavimento quasi privo di sensi. Giacque a lungo sotto lo scroscio fumante poi, con grande sforzo, allungò la mano al miscelatore e girò di scatto la manopola verso il blu. L acqua zampillò gelata ed egli sussultò come se lo avessero frustato ma cercò di resistere abbastanza per riacquistare tono e lucidità, per riguadagnare la stazione eretta e la coscienza della miseria in cui era precipitato. Si frizionò a lungo con l accappatoio e tornò davanti allo specchio, si insaponò accuratamente il viso, si rase e si massaggiò con una lozione di buona marca, uno dei pochi residui del suo passato tenore di vita. Poi, come un guerriero che indossa l armatura, scelse la giacca e i pantaloni, la camicia e la cravatta, le calze e le scarpe, provando ripetutamente gli accostamenti più indicati prima di decidersi che cosa indossare. Non aveva niente nello stomaco quando versò un bicchiere di bourbon nel caffé nero bollente e ne trangugiò alcune sorsate. Quella potente pozione avrebbe sostituito il prozac di cui aveva abusato anche troppo e lo avrebbe spinto ad affrontare con la sola forza di volontà le ultime tappe del suo calvario in programma per quella giornata: la seduta dal giudice di pace che avrebbe sancito il suo divorzio da Judy O Neil, e l appuntamento, nel pomeriggio, con il Rettore e il Dean dell Oriental Institute che aspettavano le sue dimissioni. Squillò il telefono mentre si apprestava ad uscire e Blake alzò la cornetta: «Will» disse una voce dall altra parte. Era Bob Olsen, uno dei pochi amici che gli erano rimasti da quando la sorte gli aveva voltato le spalle. «Salve, Bob. Sei stato gentile a chiamare.» «Sono in partenza, ma non volevo andarmene senza salutarti. Pranzo con il mio vecchio a Evanston per fargli gli auguri di Natale e poi prendo l aereo per Il Cairo.» «Beato te» disse Blake con voce spenta. «Non prenderla così, amico mio. Lasciamo passare qualche mese in modo che si plachino le acque e poi riprendiamo in mano tutta la faccenda: il consiglio di facoltà dovrà riesaminare il tuo caso, dovranno per forza ascoltare le tue ragioni.»

17 «E come? Io non ho ragioni da portare. Non ho testimoni, non ho niente...» «Senti, devi tirarti su. Devi batterti perché ne hai motivo: io posso muovermi in completa libertà in Egitto. Raccoglierò informazioni, farò indagini in ogni momento libero dal mio lavoro e se riuscirò a trovare qualcuno che possa testimoniare in tuo favore lo porterò qua, dovessi pagargli il viaggio di tasca mia.» «Ti ringrazio, Bob, ti ringrazio per queste parole anche se non credo che potrai fare molto. Grazie comunque. Fai buon viaggio.» «Allora... posso partire tranquillo?» «Sì, certo,» disse Blake «puoi stare tranquillo...» Riagganciò, prese la sua tazza di caffé e uscì in strada. Sul marciapiede innevato lo accolse un Santa Claus scampanellante con barba e cappuccio e una folata di vento tagliente che doveva aver accarezzato da un capo all altro la superficie ghiacciata del lago. Raggiunse la macchina parcheggiata due isolati più in là, sempre tenendo in mano la sua tazza fumante, aprì la portiera, si sedette e mise in moto dirigendosi verso il centro. Michigan Avenue era addobbata splendidamente per le festività natalizie e gli alberi spogli, rivestiti di migliaia di lampadine, davano l impressione di una meravigliosa fioritura fuori stagione. Si accese una sigaretta mentre assaporava il tepore che cominciava a riscaldare l abitacolo, la musica della radio, il profumo del tabacco, del whisky e del caffé. Quelle modeste sensazioni di piacere gli restituirono un po di coraggio, gli indussero il pensiero che la sorte avrebbe pur dovuto cambiare; che, toccato il fondo, avrebbe pur dovuto cominciare a risalire. E il fare in un colpo solo tutte quelle cose per anni proibite dalla convivenza con sua moglie e dalle sue frequentazioni salutiste, come bere alcol a stomaco vuoto e fumare in automobile, gli facevano quasi sembrare tollerabile la sua abiezione e il rammarico profondo per la perdita di una moglie che pure amava profondamente e del lavoro senza il quale non riusciva nemmeno a pensare di poter vivere. Sua moglie Judy era molto elegante, perfettamente truccata e fresca di parrucchiere, più o meno come quando la portava fuori a cena da «Charlie Trotter», il suo ristorante preferito, o a un concerto a Me Cormick Piace. Gli fece rabbia, pensò che di lì a poche settimane, o a pochi giorni, avrebbe usato le sue seduzioni, le scollature, il modo di accavallare le gambe, l impostazione della voce, per piacere a qualcun altro, per farsi invitare fuori a cena e per farsi portare a letto. E non riusciva a evitare di pensare a ciò che avrebbe fatto, a letto, con quell altro, e, pensandoci, immaginava che avrebbe fatto di più e meglio. Tutto mentre il giudice li invitava a sedere e chiedeva loro se sussisteva qualche possibilità di ricomporre il dissidio che li aveva condotti alla separazione. Avrebbe voluto dire che sì, che per lui non era cambiato nulla, che l amava come la prima volta che l aveva vista, che la sua vita sarebbe stata uno schifo senza di lei, che le mancava mortalmente, che avrebbe voluto gettarsi ai suoi piedi e scongiurarla di non lasciarlo, che la sera prima aveva trovato, dimenticata in fondo a un cassetto, una sua sottoveste e che l aveva accostata al viso per aspirarne il

18 profumo, che non gliene fregava niente della sua dignità, che si sarebbe fatto camminare sulla pancia purché lei tornasse da lui. Disse: «Questa separazione è meditata e accettata da ciascuno di noi due, vostro onore; ambedue siamo consensuali nella richiesta di divorzio». Anche Judy assentì e poco dopo firmavano a turno gli atti della separazione e il contratto per gli alimenti, peraltro del tutto aleatorio, visto che da tempo non aveva più un lavoro e che fra poche ore le sue dimissioni sarebbero state ufficialmente sancite. Presero l ascensore insieme e discesero per due estenuanti minuti. Blake avrebbe voluto dire qualcosa di bello, di importante; una frase che lei non potesse più dimenticare e, mentre i numeri dei piani scorrevano inesorabili nel display, si rendeva conto che non gli sarebbe venuta alcuna frase importante e che comunque ormai non aveva più nessun senso. Ma quando lei uscì e si incamminò nell atrio senza nemmeno salutarlo, le andò dietro e le disse: «Ma perché, Judy? A tutti può capitare una disgrazia, una serie di coincidenze negative... ora che tutto è finito, dimmi almeno il perché». Judy lo guardò un istante senza mostrare alcun sentimento, nemmeno indifferenza: «Non c è un perché, Bill». Detestava quando lei lo chiamava «Bill». «Dopo l estate viene l autunno e poi l inverno, senza un perché. Buona fortuna.» Se ne andò e lui rimase davanti alla porta a vetri dell edificio, immobile come un pupazzo in mezzo alla neve che scendeva a grandi falde. In terra, seduto su un cartone vicino al muro c era un tizio infagottato in un cappotto militare, con la barba lunga e i capelli sporchi che chiedeva l elemosina: «Dammi qualcosa, fratello. Sono un veterano del Vietnam. Dammi qualche soldo perché possa mettere qualcosa di caldo nello stomaco la notte di Natale». «Anch io sono un veterano del Vietnam» mentì «però non rompo i coglioni.» Ma quando lo guardò negli occhi per un istante, pensò che perfino nello sguardo di quel disgraziato c era sicuramente più dignità di quanta non ce ne fosse nel suo. Trovò un quarto di dollaro nella tasca della giacca: «Scusami, non volevo offenderti» gli disse gettandolo nel cappello che aveva davanti. «Il fatto è che è una gran brutta giornata.» «Buon Natale» disse l uomo ma William Blake non l udì perché era già lontano e perché anch egli in quel momento turbinava nell aria gelata come un fiocco di neve fra i tanti, senza peso e senza destino. Camminò a lungo senza che gli venisse in mente di un luogo in cui avrebbe voluto trovarsi volentieri, di una persona con cui avrebbe voluto parlare, tranne il suo amico e collega Bob Olsen, che lo aveva sostenuto e incoraggiato in quelle sue ultime vicissitudini e che forse avrebbe saputo inventare qualche pietosa menzogna che lo tirasse un po su di morale. Ma Olsen a quell ora era in partenza per l Egitto, andava al caldo e al lavoro. Beato lui. Si fermò quando le gambe non lo reggevano più, quando si rese conto che fra poco sarebbe caduto nella poltiglia di neve che infradiciava l asfalto e che le auto gli sarebbero passate sopra. In quel momento pensò che il giudice di pace doveva aver lasciato l aula vuota e il palazzo ormai deserto per raggiungere la casa dove

19 aveva probabilmente una moglie ai fornelli, dei bambini seduti davanti alla tv quasi certamente un cane, e un albero di Natale pieno di palle. Eppure, nonostante tutto questo, la neve, e il giudice, la moglie e le auto, le palle dell albero di Natale, il divorzio e il whisky nel caffé nero, il Vietnam e la pace in terra agli uomini di buona volontà, nonostante tutto questo, l istinto lo aveva guidato, come il senso d orientamento guida un vecchio cavallo alla stalla, fino all Università. La biblioteca dell Oriental Institute era a due passi sulla sua destra. Che ora era? Erano le quattordici e trenta. Era perfino in orario. Non aveva che da salire quelle scale fino al secondo piano, bussare all ufficio del Rettore, salutare la vecchia mummia e il Dean e star lì come un imbecille ad ascoltare le loro stronzate e poi rassegnare le dimissioni che loro, stanti le presenti circostanze, non avevano altra scelta che accettare. E poi spararsi nelle palle, o in bocca, che differenza c era? Nessuna differenza. «Che ci fai qui, a quest ora, William Blake?» Era già successo. Non aveva più un lavoro, l unico lavoro che su questa terra avesse un senso per lui e probabilmente non l avrebbe riavuto mai più, e qualcuno aveva il coraggio di chiedergli che ci fai qui a quest ora, William Blake. «Perché, che ora è?» «Sono le sei del pomeriggio. È un freddo fottuto e tu sei blu e hai l aspetto di uno che sta per morire.» «Lasciami perdere. Non è aria, dottor Husseini.» «Non ci penso nemmeno. Su, vieni. Abito qui a due passi. Ci facciamo una tazza di caffé bollente.» Blake cercò di divincolarsi ma l uomo insistette: «Se preferisci chiamo un ambulanza e ti faccio portare al Cook County, visto che non hai più un assicurazione. Su, non fare lo scemo e ringrazia il cielo che solo un figlio di Allah poteva essere in giro a quest ora invece che stare con la sua famigliola vicino all albero di Natale». L appartamento di Husseini era ben riscaldato e aveva un buon odore di incenso, di spezie e di tappeti. «Togliti le scarpe» gli disse. E lui se le tolse e si lasciò andare sui cuscini che contornavano il living room mentre il suo ospite si metteva ai fornelli. Husseini mescolò una manciata di chicchi di caffé assieme ai chiodi di garofano e a un po di cannella e la stanza si riempì di un profumo penetrante, poi cominciò a pestare il caffé nel mortaio con un ritmo vario e tamburellante, come una musica, accompagnando quel bizzarro scampanio ligneo con il moto della testa. «Sai che cos è questo ritmo? È un richiamo. Quando il beduino pesta il caffé nel suo mortaio fa questo rumore che si spande a grande distanza e chiunque passi, qualunque pellegrino si aggiri nella solitudine e nell immensità del deserto, sa che un tazza di caffé e una parola ospitale lo attendono sotto la tenda.»

20 «Bello,» annuì William Blake che cominciava a riprendersi lentamente «commovente. Il nobile figlio di Allah fa risuonare il suo mortaio di legno nel deserto urbano e salva da morte sicura il reietto abbandonato dalla cinica e decadente civiltà occidentale.» «Non dire stronzate» disse Husseini. «Bevi. Questo ti tirerà su e ti farà circolare un po di sangue nelle vene. Giuro che stavi per morire assiderato quando ti ho trovato. Tu forse non te ne sei accorto ma ti sono passati davanti almeno due dei tuoi colleghi e non ti hanno nemmeno degnato di un saluto. Ti hanno visto inebetito e mezzo morto per il freddo, seduto su una lastra di pietra gelata, rigido come uno stoccafisso, e non ti hanno nemmeno chiesto se ti serviva aiuto.» «Be, forse andavano di fretta. È la vigilia di Natale. Molti non hanno fatto a tempo a terminare le compere... i regali per i bambini, il cheesecake per il dopo cena. Sai com è...» «Già» disse Husseini. «È la vigilia di Natale.» Prese il caffé che aveva pestato nel mortaio con le spezie e lo verso nel bricco di acqua che bolliva sul fuoco e l aroma si fece più intenso ma più morbido e penetrante. Blake si rese conto che era quel sentore di spezie e di caffé che impregnava i tappeti sul pavimento assieme all odore di incenso indiano. Husseini gli allungò una tazza fumante e gli offrì una sigaretta e si sedette in terra sui talloni di fronte a lui fumando in silenzio e sorbendo dalla sua tazza la bevanda forte e aromatica. «È così sotto la tua tenda nel deserto?» chiese Blake. «Oh, no. Sotto la mia tenda ci sono belle donne, e datteri grossi così. E c è il vento dell est che porta il profumo dei fiori dell altopiano e c è il belato degli agnelli e quando esco vedo davanti a me i colonnati di Apamea pallidi nell alba e rossi nel tramonto. Quando il vento rinforza, suonano come le canne degli organi nelle vostre chiese.» Blake annuì e bevve ancora e aspirò una boccata di fumo: «E allora» disse «perché non te ne sei stato sotto la tua fottuta tenda nel deserto? Che sei venuto a fare qui se ti fa tanto schifo?». «Non ho detto che mi fa schifo. Ho detto che è diverso. E l ho detto perché me lo hai chiesto. E se vuoi sapere la verità io sono sempre vissuto in un campo profughi del Libano meridionale fin dall età di cinque anni: un posto fetido e lercio con fogne a cielo aperto, dove noi bambini giocavamo fra i topi e le immondizie.» «Ma... e le colonne di Apamea pallide nell alba e rosse nel tramonto che suonano nel vento come canne d organo?» «Le ho soltanto sognate. Così le descriveva mio nonno, Abdallah al Husseini, che Allah lo benedica ma io... io non le ho mai viste.» Restarono ancora a lungo in silenzio. «Non ho capito perché ti hanno cacciato» chiese Husseini. «A quanto ne so eri uno dei migliori nel tuo mestiere.» «Puoi dirlo forte» rispose Blake tendendo la tazza per avere ancora del caffé. Husseini gliela riempì, poi riprese:

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