Corte di Cassazione, quarta sezione penale, n. 113/2011: Infortuni sul lavoro, posizioni di garanzia e responsabilità penale.

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1 Corte di Cassazione, quarta sezione penale, n. 113/2011: Infortuni sul lavoro, posizioni di garanzia e responsabilità penale. A cura di Annaclara Viola La sicurezza sul luogo di lavoro rappresenta un valore ed un bene particolarmente importante nel nostro ordinamento, almeno sotto il profilo normativo e giurisprudenziale, attraverso cui ha ricevuto intensa attenzione con particolare riguardo alla necessaria ricostruzione penalistica. Con la recente sentenza n. 113/2011, 7 aprile 2011, la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, ha confermato e ribadito la natura colposa - omissiva della responsabilità imputabile al datore di lavoro ed al capo cantiere, titolari di autonome posizioni di garanzia in quanto egualmente destinatari, seppure a distinti livelli, dell obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. In particolare, la responsabilità per lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del dipendente è da ricondurre all omessa informazione dei rischi specifici inerenti all attività lavorativa svolta dall operaio infortunato ed all omessa adozione di qualsivoglia opera provvisionale antismottamento volta ad impedire i prevedibili franamenti del terreno argilloso, che, di fatto, hanno causato il verificarsi del danno lamentato dal lavoratore. Si tratta di una responsabilità riconducibile all art. 40 II comma c.p. che testualmente recita: non impedire un evento, che si ha l obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Tale disposizione, che prende anche il nome di clausola di equivalenza, consente di affiancare alle fattispecie commissive di parte speciale altrettante autonome fattispecie omissive improprie, ampliandosi in tal modo l ordinamento nel pieno rispetto del principio nullum crimen sine lege nel rispetto delle regole sul rapporto di causalità. Peraltro, la norma impone di individuare le c.d. posizioni di garanzia alle quali si ricollegano gli obblighi giuridici di impedire la verificazione di un certo evento in quanto il soggetto preposto deve risultare fornito dei necessari poteri volti ad impedire l offesa dei beni affidati alla sua tutela. 1. Il rapporto di causalità nei reati omissivi impropri. Il problema della causalità dell omissione si pone soltanto per i reati omissivi impropri che risultano caratterizzati dalla necessaria presenza di un evento in senso naturalistico, a differenza di quelli propri che, al contrario, vengono in rilievo per il mero non facere ossia per la semplice condotta negativa del reo, non essendo richiesto anche un ulteriore effetto di tale condotta. Tuttavia, occorre precisare che la causalità dei reati omissivi impropri va qualificata come normativa e non naturalistica poiché proprio dal punto di vista naturale ci si trova dinanzi ad un non facere che non può produrre alcunché con la conseguenza che l evento verificatosi è riconducibile a fattori diversi da quelli umani. 1

2 Pertanto, con riferimento all omissione si può parlare solo di causalità normativa in quanto è la legge che, attraverso il capoverso dell art. 40 c.p., equipara il non impedire l evento a cagionarlo. La causalità nell omissione si basa non già su un giudizio di realtà bensì su un giudizio ipotetico in quanto occorre verificare che l evento dannoso non si sarebbe verificato se l azione impeditiva (richiesta dalla legge) fosse stata tenuta. Tale causalità ipotetica ha, secondo autorevole dottrina, come corollario l assunto secondo cui l omissione dell azione impeditiva può essere equiparata alla causa umana dell evento quando, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, l evento sia conseguenza certa o altamente probabile di detta omissione in quanto l azione suddetta l avrebbe con certezza o alto grado di probabilità impedito. In giurisprudenza non è mancata la precisazione di tali concetti che sono stati, infatti, enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n , 11/09/2002, secondo cui, con riferimento al reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non si può ritenere sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l interferenza di decorsi causali alternativi, l evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Recentemente, la medesima Corte (sentenza 27/01/2006 n. 3380) ha compiuto uno sviluppo ulteriore, riconoscendo la sussistenza di una sostanziale affinità, sul piano dell accertamento del nesso causale, tra reato commissivo ed omissivo in quanto in entrambe le tipologie di reato sarebbero applicabili identici criteri di verifica. Infatti, nella condotta omissiva, nel violare le regole cautelari, il soggetto non sempre è assolutamente inerte, ponendo in essere non infrequentemente un comportamento diverso da quello dovuto ossia da quello doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia ed attenzione. L unico elemento differenziale avrebbe dunque ad oggetto le regole di accertamento della causalità commissiva e di quella omissiva in quanto nella seconda si ricorre ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico anziché fondato sui dati della realtà. L accertamento del nesso causale nei reati omissivi impropri presuppone la titolarità di una posizione di garanzia in capo ad alcuni soggetti determinati in quanto per equiparare il non impedire al cagionare non è sufficiente la materiale possibilità di impedire l evento poiché l esigere l intervento impeditivo da parte di ogni soggetto in grado materialmente di agire determinerebbe una grave interferenza nella sfera di libertà individuale di ciascuno, compromettendo, peraltro, l eccezionalità del reato omissivo improprio. Il requisito ulteriore richiesto per configurare una responsabilità omissiva è quello dell obbligo di impedire l evento. Tuttavia, la giurisprudenza ha sottolineato come la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di 2

3 colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione di una regola cautelare generica o specifica, sia della prevedibilità ed evitabilità dell evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (c.d. concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l evento dannoso (Cassazione penale 17/11/2009 n ). In tale panorama giurisprudenziale si inserisce una recente sentenza in tema di prevenzione infortuni sul lavoro secondo cui il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l evento lesivo non può essere desunto soltanto dall omessa previsione del rischio nel documento di cui all art. 4 II comma del d.lgs. 626/1994, dovendo tale rapporto essere accertato in concreto sulla base della relazione esistente tra gli effetti dell omissione e l evento che si è concretizzato (Cassazione penale n del 03/03/2010). 2. La posizione di garanzia. Come già sopra accennato, il primo elemento tipico della fattispecie omissiva impropria è costituito dalla posizione di garanzia consistente nell obbligo di impedire l evento come previsto dalle fonti formali (gli altri elementi tipici sono il presupposto di fatto, l astensione dall azione impeditiva idonea e possibile, l evento non impedito ed il nesso di causalità). Sono fonti formali dei doveri giuridici la legge penale, extra penale di diritto pubblico e di diritto privato; il contratto che, in base all art c.c. ha forza di legge e l assunzione volontaria dell obbligo che viene ricondotta nell ambito della negotiorum gestio di cui all art c.c. Con riguardo al soggetto che svolge un attività pericolosa (es. un attività industriale), occorre precisare che questi ha l obbligo, penalmente sanzionato, di osservare norme cautelari (antinfortunistica), la cui inosservanza non genererà un concorso tra causalità attiva ed omissiva, non essendovi un obbligo di garanzia, un obbligo cioè verso eventi dipendenti da forze esterne: l inosservanza di tale obbligo avrà come conseguenza la responsabilità penale del soggetto per il fatto stesso dell inosservanza nonché, a titolo di colpa, per gli eventuali eventi successivi verificatisi. Gli obblighi di garanzia sono classificabili in obblighi di protezione, che hanno lo scopo di difendere indeterminati beni da ogni fonte di pericolo che ne minacci l integrità ed in obblighi di controllo, che hanno lo scopo di neutralizzare determinate fonti di pericolo per proteggere tutti i beni ad esse esposti, non potendo i soggetti minacciati autoproteggersi senza una ingerenza nella sfera altrui. Tra gli obblighi di controllo di una determinata fonte di pericolo possono individuarsi quelli posti a carico degli esercenti attività pericolose o, più in generale, dei datori di lavoro che devono adottare le idonee misure di salvaguardia al fine di evitare che i propri dipendenti subiscano lesioni nello svolgimento dell attività lavorativa. In particolare, in forza della disposizione generale di cui all art c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall art. 40 comma II c.p. Ne segue che il datore di 3

4 lavoro, seppure in una situazione di illegittimità, ha il dovere di accertarsi che l ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l opera (SS.UU. 11/03/1999 n. 5). Tale obbligo di salvaguardia sussiste anche in caso di assenza temporanea, avendo il datore di lavoro l obbligo di predisporre tutte le cautele idonee a svolgere funzioni di prevenzione per tutte quelle lavorazioni che, pur potendo svolgersi in sua assenza, sono da lui conosciute e le cui potenzialità di rischio infortunistico devono, pertanto, essere preventivamente valutate (Cassazione penale, sentenza n. 11/06/2008 n ). Il principio di affidamento che connota la materia è immanente in quanto il datore di lavoro prende materialmente in affidamento i lavoratori per il tempo di svolgimento delle mansioni convenute ed è tenuto a valutare i rischi ed a prevenirli, non potendo invocare a propria discolpa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui. Tale profilo è particolarmente evidente nella recente sentenza in commento secondo cui l omessa informazione dei rischi specifici connessi all attività lavorativa svolta dall operaio leso è fonte di responsabilità congiunta e solidale del datore di lavoro e del capo cantiere. Sul punto, giova precisare che se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell obbligo di impedire l evento, ciascuno è per intero destinatario dell obbligo di tutela imposto dalla legge fino a quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia (Cassazione penale n. 8593, 22/01/2008). Dalle considerazioni sopra esposte emerge il ruolo che l ordinamento affida alla legislazione antinfortunistica e a coloro, datori di lavoro direttori dei lavori dirigenti etc., che risultano affidatari e responsabili della piena e corretta applicazione della normativa a tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori. Per comprendere compiutamente le finalità perseguite dal legislatore e gli orientamenti espressi dalla prevalente giurisprudenza si può prendere in considerazione prioritaria quanto enunciato dalla nostra Costituzione che, all art. 41, recita così: L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Si afferma così un limite all iniziativa privata in nome della sicurezza e della dignità umana. Conformemente il Codice Civile, all articolo 2087, prevede dettagliatamente che: L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. 4

5 Il carattere generale di questa norma consente di includere nel suo ambito di cogenza tutte quelle situazioni eventualmente non previste dalle specifiche normative che impongono precipui obblighi di sicurezza a tutela dei lavoratori. La Corte di Cassazione (sez. lav., 20 agosto 2003 n ) ne ha confermato la ampia applicazione, affermando che: La responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore discende sia da norme specifiche, sia dalla norma di ordine generale dell'art c.c., che impone all'imprenditore l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelarne l'integrità fisica; l'eventuale condotta colposa del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti il carattere dell'abnormità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, e, in difetto di tali caratteri, il comportamento colposo del lavoratore - che può sussistere anche qualora l'imprenditore non abbia adottato le misure antinfortunistiche del caso - può soltanto comportare la riduzione, in misura proporzionale, del risarcimento del danno. Ne deriva che l articolo 2087 c.c. impone ogni tipo di cautela utile a prevenire la verificazione di danni nell ambiente di lavoro. Il diritto penale si è parimenti preoccupato di disciplinare le fattispecie inerenti le situazioni che mettono in pericolo la sicurezza del lavoro attraverso la previsione degli articoli 437 e 451 c.p. che riguardano, nel primo caso, la rimozione o l omissione dolosa di cautele atte a prevenire gli infortuni sul lavoro e, nel secondo caso, l omissione colposa di cautele e difese contro disastri o infortuni sul lavoro. Espressamente l articolo 437 c.p. recita: Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni. Il successivo articolo 451 c.p. stabilisce invece: Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 euro a 516 euro. Si tratta di reati di pericolo presunto in quanto atti di per sé a prevenire una situazione contraria alla legge che non necessita di essere dimostrata caso per caso. L elemento differenziale tra i reati previsti de quibus consiste nel fatto che con la prima di dette norme il legislatore ha inteso prevenire disastri o infortuni nel lavoro, mentre con la seconda si è posto il fine di limitare i danni derivanti da incendio, disastro o infortunio già verificatisi. Ne deriva l assoluta impossibilità di accostamento analogico tra le due suddette norme, sussistendo una profonda diversità di oggetto. 5

6 3. Legislazione antinfortunistica e applicazioni giurisprudenziali. Le condotte specifiche attinenti alla sicurezza, alla prevenzione ed all organizzazione del lavoro sicuro sono invece contenute nel testo normativo offerto dal d. lgs. 19 settembre 1994 n Trattasi di un testo normativo fondamentale, introdotto nella legislazione italiana a seguito di numerose e precedenti direttive comunitarie che hanno imposto agli Stati membri di adottare precise norme in tema di sicurezza. La peculiarità della legge in questione si traduce nel disciplinare l intera vita organizzativa aziendale, non limitandosi ad imporre mere prescrizioni di natura tecnica in quanto la sicurezza del lavoro impone un coinvolgimento ed un adattamento integrale dei modelli di programmazione e gestione aziendale alla luce dei superiori beni da tutelare. L art. 1 del decreto de quo introduce un principio fondamentale in base al quale il datore di lavoro non può delegare gli obblighi basilari a tutela della sicurezza che ineriscono la valutazione del rischio, il conseguente piano di prevenzione nonché la nomina delle figure professionali competenti per l attuazione della sicurezza. Una figura cardine del sistema antinfortunistico è quella del responsabile del servizio di prevenzione e sicurezza. Si tratta di una figura di supporto tecnico che coadiuva il datore di lavoro nell adempimento degli obblighi imposti, la cui scelta compete a quest ultimo purché in possesso di specifici requisiti, capacità e attitudini professionali. Non meno importante è la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza che funge in qualche modo da contraddittore o controllore dell operato del datore di lavoro in quanto rappresenta la posizione dei soggetti lavoratori interessati alla tutela. Come già notato, la sicurezza in azienda è fondata sulle precise responsabilità e sugli specifici ruoli ricoperti da figure professionali concepite ed identificate all uopo dalla legge. Tale nuovo modello normativo spiega il nucleo fondamentale dell attività di tutela posta a carico degli imprenditori datori di lavoro e rappresentata dal processo di valutazione dei rischi e dalla conseguente programmazione della prevenzione. I rispettivi e concreti compiti vengono individuati dal successivo articolo 4 (obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto) che provvede a definirli in maniera chiara e precisa tanto da tradursi, in primo luogo, nell obbligo del datore di lavoro di compilare una dettagliata relazione sulla valutazione dei rischi sulla base di un apposita individuazione ed indicazione delle norme da osservare. Tale compito preliminare deve essere completato dalla stesura di un apposito documento contenente il programma di prevenzione. La funzione di queste prescrizioni non lascia margini di incertezza in quanto, in caso di infortunio, non sarà difficile individuare così le eventuali responsabilità qualora i rischi siano stati individuati ma non affrontati o addirittura non si sia provveduto neppure alla loro individuazione preliminare. L aspetto valutativo ed informativo dei rischi connessi ad una certa attività lavorativa è particolarmente importante, come messo in luce dalla sentenza in commento, in quanto l omessa informazione dei rischi specifici nei confronti del lavoratore 6

7 interessato si pone come causa determinante il mancato impedimento dell evento dannoso temuto, rappresentato dall infortunio in concreto sofferto. Al riguardo, il decreto legislativo 626/94 impone al datore di lavoro di fornire, in via prioritaria, ai lavoratori la necessaria formazione ed informazione in tema di sicurezza sul lavoro (articolo 21 e 22 d.lgs. 626/94). Pertanto, la configurabilità della responsabilità penale per fattispecie collegate alla sicurezza sul lavoro presuppone: un attenta analisi della struttura aziendale per verificare la suddivisione dei compiti, dei poteri nonché l esistenza di deleghe; una puntuale ricostruzione dell organizzazione del lavoro per verificare, da un lato, l idoneità dell organizzazione a favorire la prevenzione dei sinistri e dall altro per individuare in concreto le attribuzioni dei soggetti responsabili (verificandone i poteri, disponibilità di spesa, preparazione professionale e attitudine); l esame degli adempimenti previsti dalla legge 626/94 attraverso la verifica dei documenti programmatici di rilevazione dei rischi e di programmazione della prevenzione. Sul tema, con la pronuncia n /2008, la Cassazione ha affermato, con vigore, che a fondamento della responsabilità del datore di lavoro vi è il precetto di cui all art c.c. che, con riferimento al settore del lavoro, impone al garante di ottemperare non soltanto alle regole cautelari scritte ma anche alle norme precauzionali che una figura-modello di buon imprenditore è in grado di ricavare dall esperienza secondo i canoni di diligenza, prudenza e perizia. Il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della miglior scienza ed esperienza affinché il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. La sentenza offre un interpretazione degli obblighi di sicurezza in capo al datore di lavoro alquanto rigida, in particolare in relazione agli obblighi di prevenzione e valutazione dei rischi nonché alla formazione dei dipendenti. In particolare si legge che non assolve né costituisce adempimento dell obbligo formativo l apprendimento diretto e personale del lavoratore, soprattutto se apprendista, in relazione al quale l obbligo di formazione deve essere più pregnante. Non basta ai fini di tale formazione l essere accompagnato e seguito da lavoratore esperto che operi da tempo sul campo in quanto le informazioni e le conoscenze operative, sebbene fornite con particolare diligenza e tali da sensibilizzare il dipendente sui rischi giornalieri dell operare, risultano insufficienti se non accompagnate da una seria e approfondita formazione conoscitiva ed operativa sui pericoli che lo svolgimento dell attività lavorativa comporta. Il binomio informazione/formazione è costituito da entità logico-funzionali complementari ed imprescindibili. Ma vi è di più visto che la Corte ha, infatti, ribadito che, in ogni caso, anche una diligente formazione ed informazione non dispensa il datore di lavoro dagli obblighi di controllo e vigilanza affinché il lavoratore, soprattutto se poco esperto essendo apprendista, non corra il rischio di eventi lesivi. Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza deve operare un controllo continuo e pressante affinché i lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarsi alle prescrizioni normative ed alle 7

8 raccomandazioni dirigenziali con la conseguenza di instaurare prassi di lavoro non corrette ed illegali. La responsabilità per reato omissivo di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica va esclusa in presenza di condotta abnorme del lavoratore che costituisce elemento eccezionale e straordinario tale da porsi come causa unica ed esclusiva del danno verificatosi. La sentenza in commento esclude la configurabilità di un comportamento abnorme da parte del dipendente infortunato sebbene, in linea generale, le censure mosse dai ricorrenti si risolvano in censure di merito come tali sottratte al sindacato di legittimità con la conseguenza di dovere dichiarare la manifesta infondatezza (inammissibilità) dei ricorsi proposti. Tuttavia, precisa la Corte che la motivazione, inerente la valutazione dei mezzi di prova, appare logica e congruamente articolata, esprimendo così un indiretto giudizio positivo sulla sentenza d appello contestata. Il profilo della condotta abnorme merita però alcune osservazioni di carattere generale che permettono di inquadrare correttamente tutto il tema della responsabilità penale per infortuni sul luogo di lavoro. Al riguardo è stato infatti osservato che la ravvisabilità di una esclusiva responsabilità penale del lavoratore a causa dell infortunio sofferto, da imputare al mancato o negligente utilizzo ad esempio della cintura di sicurezza nonostante l impartito ordine del relativo impiego, sia da escludere posto che la stessa Corte Suprema è pervenuta alla conclusione secondo cui tale condotta (omissiva o negligente) del lavoratore non esonera il datore di lavoro dalla sua posizione di garanzia e dai conseguenti obblighi di tutela dell incolumità fisica dei lavoratori. Com è noto, la questione è quella di riconoscere nel comportamento imprudente del lavoratore la natura di causa sopravenuta da sola sufficiente a determinare l evento che, ai sensi dell art. 41 comma II c.p., determinando l interruzione del nesso causale tra l azione (o l omissione) e l evento, esclude che quest ultimo possa essere ricondotto al fatto commissivo od omissivo posto in essere dal datore di lavoro. Il tema, assai delicato e dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza, sembra essere pervenuto ad un esito certo: perché possa parlarsi di causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o la sua interruzione) si deve trattare di un percorso causale ricollegato all azione (od omissione) dell agente completamente atipica, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili. Facendo, quindi, coerente applicazione di questo principio nel campo degli infortuni sul lavoro e, segnatamente, con riguardo al comportamento del lavoratore, la Corte esclude la ricorrenza di dette caratteristiche di abnormità per il comportamento, sebbene imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle attribuzioni svolte nel segmento di lavoro attribuitogli. Aggiunge il Supremo Collegio che, anche ammesso che la condotta del lavoratore sia stata contraria ad una norma cautelare, ciò non sarebbe sufficiente a ritenere la relativa condotta connotata da abnormità, essendo l osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore. 8

9 Sullo stesso argomento, è stato invece qualificato abnorme il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Cass. pen., sez. IV, n del 23/02/2010, I. e altri, in Ced Cass ), precisandosi, peraltro, che nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Cass. pen., Sez. IV, n del 21/10/2005, P.C. in proc. F., in Ced Cass ). Detti principi di diritto sono stati ritenuti applicabili a molteplici fattispecie, non potendosi considerare abnorme la condotta dell operaio deceduto in quanto è del tutto prevedibile e avviene purtroppo frequentemente che un lavoratore non utilizzi i mezzi di protezione individuale per le più svariate ragioni, sicché sussiste per il datore di lavoro l obbligo di osservare le cautele ulteriori che possono consentire di ovviare alle disattenzioni e anche alle volontarie omissioni del lavoratore imprudente (Cassazione penale, sez. IV, sentenza 22 novembre 2010, n ). La sensibilità mostrata dalla Corte di Cassazione si evince infine nella sentenza datata 11 agosto 2010 attraverso cui è stata posta l attenzione sulla sussistenza o meno della responsabilità del datore di lavoro per infortunio del proprio dipendente verificatosi nell esecuzione dell attività lavorativa. Il Tribunale competente, in seguito al puntuale esame dell accaduto, era giunto alla condanna del datore di lavoro posto che dall esame della fattispecie era emersa la mancata indicazione nel piano di sicurezza di tutti i rischi connessi al montaggio dei parapetti nonché la mancata fornitura ai lavoratori di tutte quelle specifiche misure di sicurezza particolarmente indicate per il lavoro da svolgere. L elemento principale della questione sottoposta al sindacato della Corte è costituito dall esame della delicata e complessa posizione rivestita dal datore di lavoro che va dall istruzione dei lavoratori in merito ai rischi collegati allo svolgimento di determinati lavori sino alla predisposizione di specifiche misure che, ove consistano in particolari strumenti, devono essere effettivamente messi a disposizione dei lavoratori. Il datore di lavoro non può, pertanto, limitarsi alla mera informazione rivolta ai lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste ma deve attivarsi e controllare che le stesse siano concretamente e costantemente rispettate dai propri dipendenti nello svolgimento dell attività lavorativa. Come correttamente evidenziato, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno come obiettivo primario quello di evitare che si verifichino eventi lesivi dell incolumità fisica. Dall esame di quanto evidenziato deriva l incontestabile responsabilità del datore di lavoro quando, senza alcuna giustificazione valida e comprovata, omette di dotare i 9

10 propri dipendenti delle attrezzature necessarie nonché di indicare i rischi conseguenti allo svolgimento dell attività lavorativa nel competente Piano di Sicurezza dei Rischi. Orbene, sulla base delle considerazioni svolte è possibile evidenziare come il legislatore e, di seguito, la giurisprudenza si preoccupino di dare effettività alle norme cautelari antinfortunistiche in quanto entrano in gioco valori fondamentali degli individui quali la salute e l integrità morale e fisica, il cui pregiudizio nello svolgimento delle mansioni lavorative appare così riprovevole da giustificare la strutturazione dei reati de quibus come di pericolo presunto, in talune circostanze, ovvero come fattispecie omissive improprie aggravate dall inosservanza della normativa sulla sicurezza affinché tutte le vicende penalmente rilevanti possano ricevere adeguata disciplina e repressione. 10

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