D) Per i vasi sacri bizantini e per le montature occidentali.

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1 D) Per i vasi sacri bizantini e per le montature occidentali. Su questo argomenbto si vedano M.E.FRAZER, Smalti e oreficeria bizantina, in Il Tesoro di San Marco, Catalogo della mostra,cit., pp e.d.gaborit-chopin, La filigrana veneziana,ibidem, pp E richiesta la conoscenza di almeno tre schede del catalogo di Hahnloser o di quello della mostra di San Marco.Eventualmente lo studente può prepararsi su cinque schede ralative a questa parte e su tre relative ai reliquiari. Per comodità dello studente si fornisce inoltre questo breve ragguaglio sull argomento: Opere bizantine Oltre alle sacre reliquie i veneziani, nel periodo della durata dell Impero latino d oriente, andarono recando a Venezia tutta una straordinaria ricchezza di oreficerie sacre che vennero utilizzate nell arredo liturgico di San Marco. E da ricordare in questo senso che nel 1209, poco dopo la conclusione della crociata, venne rinnovata, a cura del doge Pietro Ziani succeduto a Enrico Dandolo, la Pala d oro,fatta a suo tempo eseguire nel 1105, evidentemente a Costantinopoli dal doge Ordelaffo Falier, che ancora oggi adorna l altare di San Marco (fig.16.per una buona documentazione fotografica si veda Il Tesoro p.45 e seguenti) La notizia ci è trasmessa da un iscrizione apposta sulla pala stessa in occasione del restauro eseguito nel 1345 a cura del doge Andrea Dandolo e per mano dell orafo Buoninsegna che la dotò della attuale splendida montatura aurea ad archeggiature gotiche e fulgide perle e gemme incastonate. Non sappiamo in che cosa sia consistito esattamente questo rinnovamento del 1209, ma è assai verosimile vada riferita a questo momento la realizzazione della parte superiore della pala dove figurano affiancate, con al centro l arcangelo Michele, sei formelle bizantine con terminazioni curvilinee con la rappresentazione in smalto di sei episodi della vita di Cristo corrispondenti a sei delle dodici più importanti feste dell anno liturgico. Poiché stilisticamente esse si rivelano posteriori al 1105, è da ritenere che, forse originariamente parte di un iconostasi cioè dell apparato figurativo apposto al setto divisorio tra la navata dove stavano i fedeli e il presbiterio riservato ai sacerdoti, siano state recate al termine della crociata a San Marco da una importante chiesa di Costantinopoli. Secondo una notizia tarda si sarebbe trattato di quella del Pantocrator dove aveva sede il

2 patriarca latino del nuovo impero d oriente che era appunto un veneziano.l aggiunta dovette intervenire a dare nuova maestà alla pala dando particolare risalto alla rappresentazione della vita di Cristo. Non sappiamo a tale proposito né se siano state aggiunte in questo momento o facessero parte della pala precendente né se siano di fattura costantinopolitana oppure veneziana le formelle con episodi della Vita di Cristo e della Vita di san Marco che corrono intorno alla parte inferiore della pala e che sono di qualità nettamente meno alta di quelle della parte centrale e senz altro bizantina della pala stessa. Ivi sono rappresentati, con raffinatezza estrema e con mirabile forza di concentrazione interiore, al centro il Redentore in trono e più sopra il trono dell Etimasia con il Vangelo e i simboli della Passione esposti, e ai lati, in tre ranghi sovrapposti, i Profeti simbolo dell antico testamento,gli Apostoli simbolo del Nuovo testamento e gli Angeli simbolo della Gloria eterna. In basso appare la Madonna orante con ai lati le immagini dell imperatrice Irene e del doge Ordelaffo Falier, quest ultima chiaramente posta a sostituirne un altra che doveva rappresentare l imperatore. Per quanto riguarda il resto delle opere bizantine, oggi nel tesoro di San Marco, è da pensare che l arrivo della maggior parte di esse sia posteriore all incendio del 1231 che distrusse gran parte del tesoro e anteriore al 1261, anno della caduta dell impero, quando nella fuga i veneziani poterono portare con sé le ultime e più preziose spoglie, magari appunto dalla chiesa del Pantocrator sede del patriarca veneziano di Costantinopoli. Più avanti è da ricordare che purtroppo numerosi pezzi, quelli che avevano un maggiore valore venale per la loro preziosità, andarono fusi o comunque smontati al tempo dell invasione francese del Solo le sacre icone e i più antichi vasi liturgici furono fortunatamente risparmiati venendo a costituire quella che si può senz altro considerare la più organica e illustre raccolta di oreficeria bizantina oggi esistente al mondo. I veneziani, al momento della crociata, non erano certo ignari dell arte bizantina, con cui avevano una lunga consuetudine, ma soltanto con il sacco dei palazzi imperiali e delle più importanti chiese di Costantinopoli essi poterono acquisire pezzi di qualità altissima e di età veneranda. Come è già stato notato infatti nel corso degli studi, i vasi sacri, le legature e le icone bizantini che i veneziani scelsero di recare a San Marco non risultano di fattura contemporanea ma assai più antichi e realizzati per la maggior parte in X-XI secolo quando l arte bizantina conobbe quel momento di grande splendore che si usa chiamare rinascenza macedone.

3 Si tratta infatti di una fase in cui gli artisti attivi per la committenza imperiale andarono ispirandosi a quella stagione aurea del linguaggio bizantino che si colloca ai suoi primordi e cioè nel VI secolo. Di tale momento, di cui si ha esemplare testimonianza nei mosaici di San Vitale a Ravenna, i maestri costantinopolitani della rinascenza macedone si proposero di imitare l altissima classe formale, il colore purissimo tutto intriso di luce, il fulgore incorrotto dell oro, delle perle, delle gemme preziose, delle pietre dure. Operando in quest ottica, e avvalendosi in particolare della tecnica dello smalto cloisonnè che in questo momento raggiunge una altissima perfezione, essi erano andati creando opere di straordinaria ricchezza e splendore che dovevano essere state conservate con grande venerazione nelle chiese costantinopolitane dove furono trovate dai latini. E nulla poteva davvero esservi di più consono al gusto dei veneziani che dopo la quarta crociata volevano proporsi come eredi della antica Costantinopoli, culla della cristianità e dell auctoritas imperiale. I vasi liturgici del tesoro di San Marco sono costituiti soprattutto da grandi calici per la consacrazione del vino nella celebrazione eucaristica e per la distribuzione della comunione sotto le due specie. Essi hanno coppe in pietra dura, di fattura tardoantica o costantinopolitana, racchiuse entro montature a stelo di argento dorato con smalti, raffiguranti Cristo, la Vergine e i santi, posti lungo l orlo del calice, o sulle cerniere della montatura o o sul piede. Essi sono circondati da perle imperniate o si alternano a pietre semipreziose tagliate a cabochon (taglio arrotondato) e incastonate. Si ricordano in particolare il calice cosidetto dei Patriarchi ( I metà sec.x) (fig.17.h.n. 40.T.16) con coppa in sardonica, il calice dell imperatore Romano I o II ( II metà sec.x) (fig.18 H.n.41.T.n.11) con coppa in sardonica, smalti lungo l orlo e iscrizione con il nome dell imperatore sul piede, il calice con coppa in sardonica e due manici con smalti sull orlo e sul piede appartenuto allo stesso imperatore (fig 19; H.n 43.T.n.10), il calice in sardonica (sec.x-xi) con smalti e pietre incastonate (fig.20.h.n.49; T.n.9). Nel Tesoro si trovano anche alcune grandi patene, piatti per la consacrazione del pane nella celebrazione eucaristica e per la distribuzione della comunione sotto le due specie, simili nella fattura ai calici. Si ricorda per esempio quella in steatite con pietre incastonate(fig. 21; H. 69;T.18). Oltre ai vasi sacri si devono ricordare le preziose legature che furono utilizzate in basilica per contenere dei libri liturgici veneziani trecenteschi

4 oggi passati alla Biblioteca Marciana. Esse sono costituite di due piatti in argento dorato, con smalti raffiguranti sul piatto anteriore Cristo e sul piatto posteriore la Vergine con intorno busti di santi. La decorazione si completa di gemme, perle e talora incrostazioni vitree. All interno di questa specie di scatola preziosa il Vangelo stava come in un reliquiario e in effetti la Parola di Dio era considerata come la più preziosa delle reliquie. E stato comunque ipotizzato che originariamente tali due preziose oreficerie fossero in realtà delle icone a due piatti richiudibili a e che solo dopo il loro arrivo a Venezia siano state utilizzate come legature. La più antica di esse, situabile forse ancora nel tardo IX secolo (ca.900)(fig h.35.t.n.9) reca degli smalti cloisonné ancora molto primitivi realizzati all interno di formelle applicate sulla lamina d oro. Le formelle sono completamente riempite di smalto, i filamenti dorati interni alla pasta vitrea sono ancora pochi e poco articolati e il modellato delle figure ancora piuttosto rigido. A coprire la sutura tra le placchette e il fondo stanno dei fili di perle. La fascia che corre tutt intorno reca delle incrostazioni vitree dentro agli alveoli in lamina dorata dando dimostrazione di una tecnica più primitiva di quella dello smalto. Le laminette vitree, applicate a freddo, si sono molto spesso staccate, mentre gli smalti o si sono staccati completamente dalla placchetta o sono rimasti intatti.molto simili sono gli smalti di un altro prezioso pezzo di oreficeria bizantina di IX secolo oggi nel Tesoro marciano e cioè la corona votiva dell imperatore Leone VI ( ) usata a sostenere un cristallo di rocca a forma di tempietto con la figura della Vergine (fig 22.H.00;T.n..8).L uso più evoluto dello smalto cloissonné enfossé - cioè realizzato non entro formelle applicate alla lamina di fondo ma abbassando leggermente con il cesello la lamina stessa lungo il perimetro della figura e inserendo all interno i filamenti dorati e le polveri vitree da passare poi in forno si trova invece in un altra bellissima legatura ormai di X secolo (fig h.36.t.14). Appartiene invece al gruppo dei reliquari bizantini, realizzati al fine di proteggere le reliquie e non di ostentarle,la preziosa stauroteca (scatola per la crocce) priva oggi di reliquia e realizzata in argento dorato su anima di legno, con pietre incastonate a graffa smalti applicati e una Crocefissione in smalto cloisonné enfossé. Comunque i pezzi più straordinari dell oreficeria bizantina presenti nel Tesoro di San Marco sono le due icone dell Arcangelo Michele. Superba per qualità e ricchezza di tecniche è soprattutto quella di San Michele a mezzo busto (sec.x- XI) (fig.26.t.n.12).la lamina in argento dorato, di

5 particolare brillantezza, è lavorata con incredibile maestria in ogni sua parte. La testa, dai lineamenti quasi classici, e le mani dell angelo emergono decisamente dal fondo, cosa rarissima nell oreficeria bizantina, sbalzate come sono ad altorilievo, mentre sul busto la corazza è tutta come intessuta di pietre semipreziose incastonate e smalti su un fondo sottilmente filigranato e percorso di fili granulati. Le soprammaniche sono in smalto blu scuro e così le bellissime ali. L aureola di smalto si staglia su un fondo finissimamente filigranato come la corazza. Si tratta veramente del più complesso pezzo di oreficeria bizantina che si conosca, anche per il combinarsi delle tecniche dello sbalzo, dello smalto e della filigrana, e dovette essere grande privilegio dei veneziani esserne venuti in possesso.l effetto venne da essi ulteriormente esaltato L altra icona di San Michele, a tutta figura e sullo sfondo del giardino del Paradiso, ( fig.27;h.16. T.n.) è quasi contemporanea e tecnicamente è notevole soprattutto per il difficile uso dello smalto posto a coprire,nel volto, una vasta superficie ricurva. Una terza icona infine, a rilievi dorati con la Crocefissione (fig;28.t.n.36) su base circolare di lapislazulo fu arricchita di una cornice in filigrana veneziana (vedi qui di seguito. Montature e opere occidentali: Abbiamo già visto come la Croce di Enrico di Fiandra sia da considerare un opera di fattura renomosana, anche se probabilmente eseguita a Costantinopoli certo tra il 1206 e il 1216, anni in cui il destinatario e committente Enrico di Fiandra fu imperatore dell impero latino d oriente, e giunta a Venezia certo prima del In effetti dopo la crociata Venezia si aprì, più che precedentemente, ad un ampio orizzonte di rapporti internazionali anche in ragione degli stretti legami con il mondo crociato dell Impero latino di Oriente dove gli imperatori erano appunto originari delle Fiandre. Nel tesoro di San Marco esiste anche una legatura di Evangeliario in argento sbalzato con la figura di un Dio Padre in maestà tra i simboli degli evangelisti che, per il forte e scorrevole plasticismo e per l intensità emotiva, si deve considerare senza senza dubbio di fattura renomosana in un momento che è stato collocato intorno al 1240 (fig.29.).

6 Vale la pena di ricordare qui come appunto a partire dall ultimo trentennio del XII secolo e poi lungo i primi decenni del XIII secolo fosse fiorita nella regione renomosana una straordinaria esperienza di oreficeria basata su un ampio uso dello sbalzo, e talora del tutto tondo come appunto nella Croce di Enrico di Fiandra, mediante il quale venivano create monumentali figure in bassorilievo con effetti di vera e propria scultura in materiale prezioso. Iniziatore di tale scuola era stato l orafo-scultore Nicolas de Verdun che, abbandonando le astrazioni del romanico e scegliendo una via estremamente innovativa, era andato creando figure caratterizzate appunto da un naturalizzato plasticismo, di gusto quasi classicheggiante, e da una straordinaria intensità emotiva. Tale linguaggio, nella sua fase finale, si trova appunto espresso nella sovracoperta argentea di San Marco e nella Croce di Enrico di Fiandra. Tra la fine del XII secolo e i primi decenni del Duecento nell area renomosana e più in generale in una larga zona estesa tra la Francia e il Reno si andò anche sviluppando largamente l uso di una filigrana assai appariscente a fili molto grossi e molto staccata dalla lamina di fondo con terminazioni a rosette, piccole pigne o palline e con applicazione di pietre preziose incastonate.(per alcuni esempi si veda Tesoro,pp.276, 278). Gli orafi veneziani adottarono a loro volta tale tecnica, che spesso si trova indicata negli inventari medievali come opus veneticum ad filum o con altre dizioni analoghe, servendosene a San Marco per montare vasi arabi o bizantini. Si vedano in questo senso una grande anfora araba in cristallo di rocca (fig. 30; H.n.123.T.n.37),l analoga anfora già in cristallo e ora in vetro moderna( fig.31; H.144;T.p.275 ),un anfora in cristallo più piccola (fig.32.t.p.279), un un ampollina costruita su una coppa in sardonica tardoantica o bizantina (fig 33.H.88; T.n.35). Non mancano inoltre vasi nella cui montatura gli orafi veneziani scelsero di ispirarsi a quella tematica ferina che pure caratterizzava l arte renomosana come ben appare per esempio nella montatura a brocca di un vaso arabo in cristallo dove manico e beccuccio sono modellati a forma di drago e dove anche la base esibisce volute serpentiformi(fig.33;h.86;t.32).. La consuetudine con i preziosi oggetti di oreficeria bizantina da un lato e occidentale dall altro stimolarono la nascita a Venezia di un artigianato artistico altamente qualificato. Si può ricordare in questo senso innanzitutto il taglio artistico del cristallo.in questo senso più che l esempio degli antichi e preziosi vasi arabi di cristallo,dove un unico grande pezzo di cristallo veniva scavato e modellato a vaso intagliato, il

7 principale punto di riferimento dovette essere la lavorazione medievale del cristallo che aveva potuto servirsi solo di piccoli blocchi del prezioso minerale scavati a tubulo per contenere delle reliquie o infilati entro un asta in modo da formare delle croci o dei candelieri. In questo senso i più esperti erano stati, ancora una volta, gli orefici renomosani. I veneziani, assumendo questa tecnica, la andarono tuttavia affinando mediante la sfacettatura dei cilindri e le sfere di cristallo come si vede in due candelieri del Tesoro di San Marco(fig.34; H.149.T.38-39). Ma soprattutto tecnica tipicamente veneziana fu quella del taglio del cristallo in lamine usate per fare delle eleganti croci di cristallo che, esportate in Italia e altrove, ci rimangono in notevole numero dando testimonianza di una attivissima produzione da parte dei cristelleri.a Venezia. Un altra invenzione tutta veneziana fu quella del taglio del cristallo in lamine sottilissime usate per ricoprire delle miniature a fondo oro che venivano inserite nelle croci di cristallo o in altri pezzi di oreficeria come economici sostituti degli smalti.la combinazione del cristallo intagliato e delle miniature si ravvisa per esempio nella croce veneziana, ormai di estremo Duecento, oggi conservata al Museo Nazionale di San Matteo a Pisa (fig.35) Altri oggetti più sfarzosi vennero eseguito mediante l uso combinato delle pietre dure, in particolare del diaspro tagliato in lastre più o meno piccole, delle perle infilate o imperniate, della filigrana grossa e con pietre semipreziose incastonate, e appunto delle miniature poste sotto sottili lamine di cristallo a imitazione povera degli smalti. Capolavoro di questa produzione è l altare portatile a due valve appartenuto al re Andrea III d Ungheria e oggi al Museo di Berna (fig.36-38). Andrea III detto il veneziano, nipote del re Andrea II, fu proclamato inaspettatamente re d Ungheria nel 1290 mentre sin dalla fanciullezza si trovava a Venezia presso la famiglia della madre Tommasina Morosini. Generalmente si ritiene che il dittico sia stato confezionato appunto in occasione della nomina, anche se recentemente è stato ipotizzato che l esecuzione possa essere precedente. L altarolo consta di due ante richiudibili a libro ed è completamente ricoperto, quasi una piccola Pala d oro, di preziose decorazioni e figurazioni. Al centro di ciascuna delle due valve del dittico sta una pietra dura nera con figurazioni a rilievo, rispettivamente di Dio Padre e della Crocefissione, evidenti imitazioni moderne delle pietre incise antiche e bizantine. Per il resto la superficie è interamente occupata, entro una montatura dove preziose filigrane con perle infilate e imperniate

8 e pietre incastonate si alternano a lastrine di diaspro, da una serie di miniature sotto cristallo con scene della vita di Cristo con busti di santi tra cui spiccano i santi ungheresi. E) Un prestigioso episodio della rinascenza paleocristiana a Venezia: i mosaici dell atrio di San Marco. Per i mosaici dell atrio marciano lo studio più qualificato è senza dubbio quello di O.DEMUS, The Mosaics of San Marco in Venice.2.The thirteenth Century,,The University of Chicago Press, Chicago and London, 1984,I, Text,pp.143-pp , II, Tavole a colori,nn ; figure Ad esso, disponibile in Dipartimento, si rimanda almeno per l apparato illustrativo. AllaGenesi Cotton, anche nei suoi rapporti con i mosaici, è stato dedicato uno studio fondamentale da K.WEITZMANN e H.L.KESSLER, The Cotton Genesis.British Libray Codex Cotton Otho B.VI, Princeton,1986; Per comodità degli studenti si fornisce un breve ragguagllio sulla questione. Qualche tempo dopo la conclusione vittoriosa della quarta crociata dovette giungere a Venezia un altra opera prestigiosa che dovette essere venerata come una preziosa reliquia di quel primo cristianesimo di cui Venezia si considerava l erede per avere il privilegio di conservare le spoglie di uno dei primi testimoni della Parola di Dio, l evangelista Marco, e per essere stata destinata da un disegno provvidenziale a sostituirsi a quell impero d Oriente che era depositario dell autorità dell impero cristiano di Costantino e nella cui capitale si conservavano le memorie del più antico cristianesimo. Il prezioso cimelio era una Bibbia greca di grande antichità, che conteneva i libri della Genesi completamente illustrati per mezzo di una vasta serie di vignette di alta classe stilistica. Essa oggi si trova alla British Library a Londra (ms.otho B VI) essendo stata donata alla nazione agli inizi del Settecento dagli eredi del grande bibliofilo inglese

9 sir Robert Cotton, morto nel 1631, che a suo tempo l aveva acquistata sul mercato antiquario. Purtroppo coinvolta nel grandissimo incendio che devastò la biblioteca nel 1731, la Bibbia si conserva ora semicombusta e l illustrazione ci è oggi nota soltanto da alcuni frammenti ancora leggibili, benchè deprivati della loro originaria ricchezza coloristica, da due acquerelli che ne avevano copiato due vignette tra il 1618 e il 1631 quando il codice si trovava a Parigi in vista di un facsimile, e da altri acquerelli che furono tratti dopo l incendio dai frammenti superstiti. Ciò nonostante riusciamo a farci un idea della straordinaria bellezza dell opera dove gli episodi della Genesi dovevano essere rappresentati uno per uno con grande fedeltà al testo mediante un linguaggio che aveva tutta la qualità di colore e la forza narrativa di un opera tardoantica. Numerosi indizi evidenziati dagli studiosi nel testo e nell immagine indicano quale luogo di esecuzione Alessandria d Egitto, secondo la tradizione luogo della predicazione e della sepoltura di San Marco, patria del grande teologo del primo cristianesimo Origene, e appartenente ai territori dell Impero di Oriente passati per diritto di conquista a Venezia. Forse per qualche memoria dell antica origine alessandrina filtrata nel tempo sir Robert Cotton, evidentemente su suggerimento di chi gliela aveva venduta, era convinto che la sua Bibbia fosse appartenuta proprio ad Origene. Se all inizio del Duecento la Genesi si trovava ancora nella sua sede originaria, certo essa dovette apparire ai veneziani come una veneranda testimonianza di quel primo cristianesimo che San Marco aveva diffuso in Egitto e su cui aveva meditato Origene che per primo aveva instaurato tutta una serie di corrispondenze tra l Antico e il Nuovo Testamento rintracciando in numerosi eventi e figure dell Antico i tipi, cioè le impronte e le prefigurazioni, di quelli del Nuovo. Della presenza della Genesi Cotton a Venezia nei primi decenni del Duecento sono testimonianza i mosaici per l appunto con Storie della Genesi realizzati sulle cupole e sugli arconi dell atrio che appunto allora, sulla scia dei nuovi trionfi veneziani, fu iniziato a costruire prima sulla fronte della basilica e poi, dopo la metà del secolo, lungo il braccio settentrionale dell edificio. In primo luogo si riscontra una straordinaria corrispondenza iconografica tra gli episodi raffigurati nei mosaici e quei frammenti superstiti della Bibbia che tali episodi rappresentano. In secondo luogo i caratteri stilistici degli affreschi della fronte dell atrio, che rappresentano assolutamente un unicum nel contesto del contemporaneo linguaggio figurativo europeo, mostrano di essere derivati per l appunto da quelli

10 dell illustrazione della Genesi Cotton quale dobbiamo immaginare fosse prima dell incendio del 1731 e quale soprattutto ci appare nei due acquerelli eseguiti prima dell incendio e oggi alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Le figure dei mosaici dell atrio marciano prodigiosamente risuscitano infatti il segreto dell arte tardoantica e paleocristiana che costruiva la forma tutta per forza di colore impregnato di luce e con un realismo ancora vivacissimo benchè come rarefatto appunto dal risolversi delle forme in colore. Come l arte tardoantica essi conferiscono sciolto ritmo narrativo agli episodi e come quel ramo dell arte tardoantica che è l arte paleocristiana essi danno vita ad un umanità affabile e dolcemente interiorizzata. Il fatto che si scegliesse di prendere una Genesi paleocristiana a modello dei mosaici della nuova prestigiosa costruzione in trodotta a completare la basilica dogale, va evidentemente inteso come un nuovo segno della volontà di Venezia di proclamarsi vera continuatrice dell autenticità e dello spirito del primo cristianesimo. La corrispondenza tra mosaici e la Genesi si coglie in modo esemplare nella prima cupola con la Creazione dove l episodio della Creazione delle piante, avvenuto il terzo giorno, rappresenta, con scelta iconografica non comune, il Creatore come Cristo imberbe con l aureola attraversata dal segno di croce e dove l episodio della creazione avviene alla presenza di tre giovani alati raffiguranti i tre giorni. L invenzione appare perfettamente coincidente a quella della Creazione delle piante raffigurata in uno dei due acquerelli parigini e anche la qualità della luce e del colore mostra di corrispondere perfettamente a quella che doveva essere della Genesi prima dell incendio, a quanto si può desumere dall eco, evidentemente impoverita, che ne dà la copia moderna. Un frammento superstite relativo alla Presentazione di Eva ad Adamo mostra, seppure in modo frammentario, un analoga coincidenza con il corrispondente episodio musivo. Si può quindi ritenere che tutti gli episodi della cupola fossero realizzati seguendo il modello della Genesi alessandrina.l effetto appare mirabile per la vivacità armonizzata del colore, per il ben cadenzato ritmo narrativo, per l affabile interiorizzazione dei personaggi, per la straordinaria poesia del rapporto creatore-natura-uomo, per la varietà felicissima delle invenzioni dove appaiono ancora evidenti tracce di scelte iconografiche del mondo pagano come l idea di rappresentare i giorni come giovani alati o l anima come una farfalla.si deve pensare a quale possa essere stato l ammirato stupore dei veneziani nel vedere apparire quasi prodigiosamente immagini di una natura vergine, colta con mirabile freschezza di realismo, dopo secoli di

11 consuetudine con le astrazioni bizantine e poi romaniche.al tempo stesso la Creazione della cupola, e prima della Genesi, è ricca di invenzioni nate da una attenta riflessione teologica come quella, cui si è accennato, di rappresentare il Creatore come Cristo, giovane imberbe e la cui aureola è attraversata dalla croce: l idea infatti di intendere la creazione come manifestazione della Parola di Dio e di intendere il Figlio, cioè Cristo, come Parola di Dio è proprio di una riflessione teologica già avviata nel vangelo di Giovanni e sviluppata da Origene.Nell atrio marciano, come nella Genesi, il racconto continua con le Storie di Adamo ed Eva e di Caino e Abele (dove Abele è rappresentato con l agnello sulle spalle quasi a prefigurazione del Buon Pastore) e poi, nell arcone a destra dell ingresso, con quelle del Diluvio splendide di vivacissimo colore e di rappresentazioni realistiche degli animali salvati dalle acque, e di Noè e dei figli. Sull arcone a sinistra la narrazione prosegue con le rappresentazioni della Costruzione della torre di Babele e della Confusione delle lingue, segni primi della divisione tra le genti e simbolo dell abisso in cui l umanità era piombata a causa del peccato.non a caso il colore, pur restando freschissimo, si smorza passando dai toni vivaci e festosi della Creazione e delle Storie di Abramo, a raffinate tonalità di azzurro, blu, rosato ed ocra. Subito dopo il racconto di questa sciagura ha inizio la storia della salvezza con la storia di Abramo chiamato ad abbandonare il paese di Ur per raggiungere la terra promessa. Il rivelarsi di Dio ad Abramo è simbolicamente significato dal protendersi della mano divina al di fuori di una falce di cielo stellato, come era nella Genesi Cotton, a quanto ci testimonia il secondo degli acquerelli rimasti raffigurante appunto la chiamata di Abramo, e come ritroviamo nel già ricordato rilievo delle reliquie. Mentre la cupola della Creazione era completamente coperta di figurazioni qui il fondo della cupola è lasciato completamente libero all oro e le storie si dispongono solo lungo il perimetro librandosi liberamente sul fondo dell oro accompagnate da scarne indicazioni spaziali.il colore si schiarisce vieppiù distendendosi in una raffinata gamma di bianchi e di rosati. E come se la rivelazione divina fosse intervenuta a togliere materialità alla vicenda e alla sua rappresentazione immergendola in una dimensione luminosa simbolo appunto dell entrare dello Spirito nella storia secondo quella identificazione tra Dio e Luce (ossia assenza di materia) che Platone aveva proposto e che i primi esegeti cristiani avevano accolto con entusiasmo. Non è facile capire se questo procedimento comparisse già nella Genesi ma ciò è molto probabile,

12 come sembra di poter intendere dalla rarefazione spaziale dell acquerello con la Chiamata di Abramo. Che comunque la cupola dipendesse ancora dalla Genesi è dimostrato dal confronto con alcuni frammenti del manoscritto dove la presentazione di Agar ad Abramo e quella di Agar confortata dall angelo corrispondono in modo significativo. Nel mosaico il viaggio di Abramo è narrato con ritmo lento e sicuro, segnato tutto dagli interventi della mano divina, come appunto si conveniva ad un evento voluto da un disegno provvidenziale ma il racconto trova un suo gustoso sapore soprattutto nella storia d amore di Abramo e Sara angosciata dalla sventura di non avere figli e salvata dall intervento divino cui nulla è impossibile di ciò che impossibile pare. Ed ecco allora Sara che, per garantire ad Abramo una discendenza gli consegna la sua schiava Agar affinchè abbia un figlio da lei, ed ecco Abramo che gliela restituisce incinta, ecco Agar fuggita nel deserto per sfuggire alla insorta gelosia di Sarah e confortata dall angelo, ed ecco ancora la nascita e la circoncisione del piccolo Ismaele.Il racconto continua con la narrazione dell arrivo dei tre angeli che, ospitati da Abramo, durante il pranzo gli annunciano che Sara avrà un figlio suscitando l ilarità di Sara stessa nascosta dietro una tenda.ma la profezia si avvererà e Sarah avrà il suo unico figlio Isacco capostipite del popolo ebraico. Che le sto La cupola succesiva è dedicata all inizio delle storie di Giuseppe, uno dei dodici figli di Giacobbe figlio di Isacco. Amatissimo dal padre e per invidia dai fratelli prima precipitato in un pozzo e poi venduto ai mercanti che lo avrebbero recato in Egitto dove avrebbe più tardi dato salvezza alla sua famiglia affamata dalla carestia, nell esegesi cristiana Giuseppe è simbolo di Cristo tradito dal suo popolo che egli per altro non esiterà a salvare.in quest ultima cupola della fronte di San Marco lo spazio si fa ancora più rarefatto e le figure galleggiano come sospese nell oro. Il ciclo sarebbe poi continuato, ormai nella seconda metà del secolo, sul braccio settentrionale dell atrio, con linguaggio fattosi più maturo benchè sempre partendo dallo stesso modello, ma il fascino di queste prime esperienze di rinascita protocristiana era destinato a rimanere insuperato.

13 F) I libri liturgici della basilica di San Marco Sull argomento gli studi più importanti sono i seguenti: G.CATTIN, Musica e liturgia a San Marco,I, Descrizione delle fonti con interventi di G.MARIANI CANOVA,La miniatura nei libri liturgici marciani; S.MARCON, I codici liturgici di San Marco. A tale studio si rimanda almeno per il corredo fotografico. Per l Epistolario della cattedrale di Padova e per il maestro del Gaibana l opera ancora fondamentale è C.BELLINATI, S.BETTINI,L Epistolario miniato di Giovanni da Gaibana, Vicenza 1968 con annesso facsimile cui si rimanda per l apparato forografico. Il seguente ragguaglio sintetizza e precisa quanto detto a lezione. Per completare il quadro delle esperienze artistiche condotte a San Marco dopo la crociata si deve fare cenno anche ai pregevoli libri liturgici adorni di miniature approntati per la basilica in un arco di tempo iniziato tra fine XII-inizi XIII secolo e protrattosi fin poco dopo la metà del Duecento. Si tratta di un gruppo di manoscritti individuati in tempi abbastanza recenti nella Biblioteca Marciana o in altre raccolte e che per una serie di motivi, che qui indicheremo caso per caso, sono appunto riconoscibili come eseguiti per San Marco.Va detto prima di tutto che la basilica,pur non essendo sede vescovile, aveva tuttavia una comunità di sacerdoti stabilmente addetti al culto che nel loro insieme formavano quello che in linguaggio ecclesiastico si chiama capitolo. Tale comunità era tenuta, come ancora oggi d obbligo per ogni chiesa dove vi sia un capitolo e per ogni monastero o convento dove vi sia una comunità, a ritrovarsi quotidianamente a determinate ore per leggere e cantare insieme il cosiddetto ufficio divino e cioé quella serie di letture bibliche che ogni sacerdote ha il dovere (officium ) di fare ogni giorno individualmente. Le ore erano, e sono, il mattutino, le lodi, terza, nona, vespro e compieta. Attualmente le letture d obbligo sono molto più abbreviate rispetto al Medioevo, quando erano lunghissime e necessitavano di più tipi di libri per seguirle. In tale ambito si possono distinguere pertanto, per la prosa, i Lezionari, contenenti le vere e proprie lectiones ossia le letture di brani della Sacra scrittura o dei Padri della chiesa o delle vite dei santi

14 commemorati lungo il corso dell anno liturgico e le Bibbie recanti l Antico e il Nuovo testamento nella loro completezza; per il canto si avevano i cosiddetti Antifonari ossia libri contenenti testo e musica delle antifone e dei responsori, cioè brevi frasi tratte dalla Bibbia o elaborate su testi biblici, che appunto venivano cantate, come ancora oggi si fa nelle comunità più addestrate, e i Salteri che contenevano i salmi, in gran parte non musicati poiché non era necessario visto che ogni sacerdote veniva fin dalla giovinezza istruito a conoscere i salmi e a cantarli. Il clero addetto a ogni chiesa, e quindi anche alla basilica marciana, poteva inoltre partecipare alla celebrazione della messa cantando in coro alcune parti che si trovavano scritte e musicate in un apposito libro chiamato Graduale. Come si diceva, fino circa al 1980 si riteneva che tutti i più antichi libri liturgici di San Marco fossero andati perduti ad eccezione di una grande Bibbia miniata in quattro volumi conservata alla Biblioteca Marciana e ben riconoscibile per una esplicita nota di possesso che segna la sua originaria appartenenza alla basilica. Si dubitava anzi che fossero realmente esistiti a Venezia dei pregevoli manoscritti liturgici recanti quelle miniature di cui nel Medioevo si usavano corredarli per dare loro una dignitas conveniente ad onorare la e a rendere meglio comprensibile, per mezzo dell immagine, la Parola di Dio. La miniatura veneziana del Duecento era terra incognita e si era arrivati a supporre che i veneziani fossero troppo occupati nei loro traffici per attendere alla cura del libro. Il primo indizio dell esistenza di libri marciani venne dato dal riconoscimento che doveva essere appartenuto a San Marco un Antifonario duecentesco di proprietà privata i cui testi e la cui illustrazione rimandavano appunto alla basilica. Su questa traccia si fecero ulteriori sondaggi che portarono al riconoscimento di tre Lezionari ancora più antichi, perché collocabili tra la fine del XII e i primi inizi del XIII secolo Essi furono individuati alla Biblioteca Marciana sulla traccia di una specie di indice delle letture contenute nei libri liturgici della basilica steso nel tardo Cinquecento e oggi conservato alla Biblioteca del Museo Correr. In esso era indicata chiaramente l esistenza a San Marco di alcuni Lezionari con rimando alle pagine in cui si trovavano in essi le diverse letture. Nacque allora l idea di prendere in esame tutti i Lezionari di sconosciuta provenienza conservati alla Biblioteca Marciana, dove già si trovava la Bibbia, e si ebbe la sorpresa di constatare che le letture menzionate nell Indice cinquecentesco apparivano, esattamente alle pagine cui esso faceva riferimento, in tre Lezionari appartenenti alla fine del XII o all inizio del XIII secolo

15 (.ms.lat.z.356=1609; mss.lat.ix, 27, 28=2797, 2798) (Cattin,tavv.I-VII). Non si era mai pensato che essi potessero essere appartenuti alla basilica perché si era andata cercando, per i possibili libri marciani, una miniatura alla bizantina mentre i tre Lezionari in questione recano una illustrazione di tipo del tutto occidentale. In realtà non poteva essere che così poiché le letture liturgiche di una chiesa italiana come San Marco erano in latino e appartenevano alla tradizione latina e non a quella greca con cui non avevano nulla a che fare. Quindi i modelli che i calligrafi e i miniatori dovevano avere presenti erano modelli dell Occidente latino e non modelli greci. Quanto poi ai testi liturgici fu interessante la constatazione che essi appartenevano ad una antica liturgia di tipo romano e non con connotazioni di origine germanica come quella aquileiese diffusa nell entroterra veneto. Evidentemente i veneziani, nella loro rivalità con la chiesa di Aquileia, si astennero dall adottarne gli usi liturgici mantenendosi fedele alla vecchi liturgia di tipo romano in quella volontà di proclamare la propria particolare continuità con la chiesa degli apostoli e degli evangelisti di cui l arrivo, per disegno provvidenziale, del corpo di San Marco a Venezia era segno. Evidentemente questa scelta non era fatto duecentesco ma assai più antico e cioè risalente appunto al tempo dell arrivo del corpo dell evangelista a San Marco. Quanto all adozione di usi occidentali nella realizzazione delle iniziali dei libri marciani, essa sta a testimoniare ancora una volta come Venezia nel primo Duecento avesse una vasta gamma di orizzonti spaziando dal mondo tardoantico a quello bizantino, da quello mitteleuropeo a quello dell entroterra italiano. Passando all esame di questi più antichi libri di San Marco troviamo che nei tre Lezionari l illustrazione è costituita, come era ampiamente nell uso della miniatura medievale europea, da un corredo di iniziali ornate, ciascuna posta all inizio delle letture corrispondenti alle diverse ricorrenze dell anno liturgico, in modo da renderle più facili da individuare al lettore. Il tipo di queste iniziali si riconduce in modo assai generico a quello che si chiama stile geometrico, vale a dire a un tipo di ornato i cui inizi si collocano in età romanica, a partire dalla fine dell XI secolo, e in ambiente centroitaliano e che ebbe poi larga diffusione anche nell Italia padana.si tratta di un ornato, costituito da iniziali a filetti gialli e corpo vuoto riempite da motivi a treccia e in un secondo momento anche a mosaico. All interno delle asole si hanno poi motivi a tralcio in un primo momento

16 in risparmiato, cioè bianchi su fondo colorato, e poi anche colorati. In un primo tempo la lettera si campisce libera sul fondo bianco della pergamena, mentre in un secondo tempo, nel cosidetto tardo stile geometrico, intorno alla lettera compare un riquadro di fondo blu o anche bicolore. Nel caso dei Lezionari marciani ci troviamo di fronte a esperienze soprattutto di tipo tardogeometrico, con tralci ormai colorati e campi di fondo blu, caratterizzate per altro da un colore più armonizzato rispetto a quello acido e squillante dei codici centro italiani. Quando esattamente siano stati realizzati questi Lezionari è difficile dire. Potrebbe trattarsi della fine del XII così come dell inizio del XIII secolo e in questo caso anch essi sarebbero da inserire nella vasta impresa di rinnovamento della basilica e delle sue suppellettili seguito alla conclusione vittoriosa della quarta crociata. Si tratta tuttavia di un impresa dal punto di vista qualitativo abbastanza modesta, mentre dello splendido rinnovamento del linguaggio figurativo in basilica si ha più evidente traccia in una parte che, per la differenza della scrittura, risulta chiaramente aggiunta al terzo Lezionario e che è senza dubbio duecentesca, poiché vi figura la festa di Sant Omobono canonizzato nel In questo settore appaiono delle iniziali, certo di mano diversa dal resto, nelle quali lo stile geometrico viene abbandonato per uno splendido ornato di tipo animalistico costituito da straordinarie figure di draghi, di smagliante colore blu o rosso con striature gialle e bianche, poste ad accompagnare le iniziali e talora a formarle (Cattin,tav.X). L uso dell iniziale zoomorfa è in periodo romanico tipica soprattutto dell area mitteleuropea e padana e potrebbe essere filtrata a Venezia anche attraverso i libri del monastero benedettino di San Cipriano di Murano, dipendente dal grande monastero di San Benedetto in Polirone sede di un importantissimo scriptorium. Tuttavia nei manoscritti di San Cipriano la fauna introdotta nelle iniziali è quasi sempre costituita da agili uccelli(cattin,tav.8*). mentre qui siamo di fronte ad un bestiario crudamente ferino che sembra ricondurre piuttosto a modelli mitteleuropei mediati dalla miniatura tardoromanica o anche dall oreficeria di tipo renomosano. In questo senso può essere significativa la già ricordata brocca araba, con montatura in argento a forma di draghi nel collo e nel manico, che abbiamo già ricordato nel Tesoro di San Marco e che abbiamo detto derivata da modelli di oreficeria renomosana. Al tempo stesso l accensione coloristica delle miniature ricorda lo splendido colore della cupola della Creazione nell atrio marciano e i mosaici con la Madonna, l Emmanuele e i Profeti eseguiti circa nello stesso momento

17 nella navata marciana. Pertanto per queste miniature potrebbe suggerirsi una datazione tra primo e secondo quarto del Duecento. La stessa mano che eseguì le aggiunte al Lezionario si trova attiva in un altro codice proveniente da San Marco e oggi alla Marciana(ms.Lat.Z.506=1611) che contiene un Tractatus sul vangelo di san Marco. Si tratta di un testo che doveva essere stato composto nello stesso ambiente della basilica visto che non se ne ha alcun riscontro in altro luogo. Qui le iniziali acquistano una maggiore preziosità rispetto a quelle delle aggiunte al Lezionario avvivandosi di scintillanti lamine d oro, di preziosi blu profondi puntinati a biacca nei campi di fondo, di animali realizzati con fulgidi colori rossi, verdi, bianchi e gialli come di smalto (Cattin,tav.XIV-XVIII). Sono uccelli dai lunghi becchi, draghi a corpo tozzo e bocche spalancate o draghi a corpo allungato e volteggianti attorno alla lettera, che ancora una volta dimostrano di avere ascendenze mitteleuropee e che nello stesso tempo, per lo splendore del colore, ben si accordano con le contemporanee esperienze del mosaico marciano. Un sentore della miniatura bizantina si può comunque ravvisare nei tralci blu profilati a biacca e nei leggiadri trifogli filettati come le palmette nei codici bizantini.esemplare in questo senso la prima grande iniziale dove sottili tralci filettati a biacca con trifogli terminali fuoriescono da una protome ferina. I Lezionari marciani recano un un ornato puramente decorativo mentre la miniatura figurata a San Marco è inaugurata da un Antifonario oggi di proprietà privata che probabilmente fu venduto nell Ottocento quando la basilica si trovava in grandissime difficoltà finanziarie. Nel corale, di dimensioni ancora piuttosto piccole come i più antichi esemplari del Duecento, l illustrazione è costituita di un nutrito gruppo di iniziali, talora figurate e talora solo ornate, poste a capo delle antifone da cantare nelle diverse ricorrenze dell anno liturgico. Il testo è relativo al periodo dell anno che va dalla Pasqua all Avvento e quindi il corale doveva averne un altro gemello e ora perduto che doveva comprendere il periodo dall Avvento alla Pasqua esclusa. L originaria appartenenza a San Marco è attestata dalla presenza delle più importanti feste della basilica e dalla raffigurazione in un iniziale di San Marco vestito da vescovo e con il libro del vangelo in mano(cattin,tav.xxiiia) e in un altra iniziale di Sant Ermacora(Cattin,tav.XXIIIb) il vescovo di Aquileia secondo la tradizione scelto da San Marco stesso e consacrato da San Pietro. Al primo posto e in corrispondenza alla festa di Pasqua appare una grande

18 iniziale con Le Marie al sepolcro (Cattin, tav.xxii) mentre più avanti si susseguono via via figure di santi come la Maddalena (Cattin, tav.xxiiic),valeriano (Cattin,tav.XXXIIId), padre di santa Eufemia, molto venerata a Venezia, San Lorenzo (tav.xxivd ),e figure di Cristo (Cattin,tav.XXIV a, XXVa), della Vergine (tav.xxivb) e dei profeti ( tav.xxv b,c). L idea di introdurre delle iniziali con figure di Cristo e dei santi ritratte a tre quarti di figura e in vari atteggiamenti è tutta europea e italiana, ma il modo di realizzare le immagini, poste su fondo oro, è chiaramente alla greca nelle fisionomie e nell uso del verdaccio di fondo per gli incarnati. Del resto non poteva essere che così perché per lunghissima tradizione le consuetudini pittoriche veneziane dovevano essere legate all oriente bizantino e dell esistenza di una pittura veneto-bizantina a San Marco, verso la fine del XIII secolo; è testimonianza un affresco superstite a San Marco con la Madonna orante tra angeli. Al tempo stesso la fragrante affabilità dei personaggi e il loro interiorizzato patetismo riconducono al clima dei mosaici dell atrio marciano benchè ivi l elemento alla bizantina manchi nel totale rispetto della Genesi paleocristiana. Così è in sintonia con i mosaici anche la ricerca di intridere di luce e di colore le vesti e gli stesi incarnati che, pur olivastri, sono rischiarati da tocchi di colore luminoso.. L effetto ricorda quello di certi aulici codici costantinopolitani di XI secolo situabili nell ambito della cosiddetta rinascenza macedone mirata per l appunto a resuscitare il pittoricismo dell arte protobizantina di V-VI secolo. Si veda per esempio il Vangelo gr.70 della Bibliothèque Nationale di Parigi dove le vesti degli evangelisti sono tutte intrise di luce e dove i volti sono vividamente animati (fig.). Tuttavia alla mirabile aulicità dell esemplare bizantino si sostituisce una quotidianità disinvolta dei personaggi che richiama appunto il mondo dei mosaici dell atrio. Anche l Antifonario quindi rientra a suo modo in quella renovatio paleocristiana di Venezia; di cui già si è detto in varie occasioni,e la sua datazione va con ogni probabilità collocata all interno del secondo quarto del Duecento. Al di là di ciò è certo che nostro manoscritto, senza dubbio uno dei primissimi esempi di libro corale miniato in Italia, mostra a modo tutto suo di perseguire quelle ricerche di immagine nobile, dignitosa e vividamente interiorizzata che caratterizza le ricerche del Duecento europeo e che in Francia porterà, benchè su una lunghezza d onda differente, alla costituzione del gotico. Accanto all Antifonario marciano di proprietà privata dobbiamo ricordare anche un Graduale della basilica oggi alla Staatsbibliothek Preussischer

19 Kulturbesitz (Mus. ms 40608)(Cattin, tav.xix-xxi) e che fu pure probabilmente venduto nell Ottocento.L origine marciana si deduce sia dai testi liturgici ivi contenuti sia dall apparato illustrativo che è costituito da una serie di iniziali che riprendono lo stile del già ricordato Tractatus sul Vangelo di San Giovanni ma rendendo più plastico l apparato ornamentale e volgendo la gamma cromatica verso l azzurro. Particolare spicco hanno le figure dei draghi che assumono un nuovo rilievo e nello steso tempo una maggiore snellezza. Supremo prodotto della miniatura in Veneto nel Duecento è comunque il superbo Epistolario esemplato, come dice la sottoscrizione, nel 1259 per la cattedrale di Padova dal calligrafo Giovanni da Gaibana, un ecclesiastico che i documenti segnalano primamente a Ferrara e poi a Padova dove figura in cattedrale, in qualità di mansionarius, cioè addetto alle funzioni liturgiche, fino alla morte avvenuta nel Il prezioso libro, eseguito quando appena la città e la chiesa di Padova si erano liberate dalla tirannia di Ezzelino III da Romano, morto nello stesso 1259, appare miniato da uno straordinario maestro, certo il più grande attivo in area padana nel Duecento. Egli a lungo è stato considerato padovano finchè una illuminante ricerca ne ha rivelato la cultura per l appunto essenzialmente veneziana oggi ancora meglio chiarita dal ritrovamento dell Antifonario e del Graduale che chiaramente ne costituiscono un antecedente.. Nell Epistolario) il Maestro del Gaibana abbina l uso delle grandi pagine istoriate, con la rappresentazione su splendente fondo oro delle grandi feste cristiane, a quello delle iniziali figurate, poste a capo di ciascuna lettura e recanti l immagine a mezzo busto dell apostolo o del profeta autore della lettura stessa o altra raffigurazione analoga (si veda per tutta la serie il facsimile del manoscritto disponibile in Dipartimento). Le miniature a piena pagina sono visibilmente concepite alla greca, nell impianto iconografico e anche nella facies stessa della pittura, ma non mancano delle invenzioni nuove e la realizzazione è condotta con una densità di volume e di articolazione formale, una forza squillante di colore, un nerbo linearistico, un energico impeto espressivo, una affiorante cortesia laica che fanno dell Epistolario, miniato nello stesso momento in cui Nicola Pisano concludeva il pulpito del battistero di Pisa, uno dei fatti pù importanti del Duecento italiano. Alla base del linguaggio si scorge chiaramente la lezione dell Antifonario marciano le cui fragili figure e il cui ben armonizzato colore appaiono tuttavia qui virare verso una costruzione più salda e corposa e verso una gamma cromatica più accesa mentre da un intimistico patetismo si passa ad una decisa espressività e

20 talora ad un inedita eleganza laica.al tempo stesso anche la componente zoomorfa, fatta di draghi e uccelli, che caratterizzava le prime espressioni della miniatura veneziana trova preciso riscontro nell Epistolario alle cui iniziali si accompagna un bestiario che nelle figure dei draghi ricorda da vicino il Graduale. Al tempo stesso la capacità di invenzione del maestro è straordinaria. Così se l impianto della Natività è molto bizantino, l Adorazione dei magi richiama modelli occidentali ottoniani e nella rappresentazione delle Marie al sepolcro l invenzione è pure occidentale anche se l angelo può essere utilmente paragonato all Angelo seduto sulla tomba vuota di Cristo della chiesa di Mileseva. A questo virare del linguaggio veneziano, che si riscontra anche nelle cupole con le Storie di Giuseppe del braccio settentrionale dell atrio marciano, possono essere concorsi vari fattori. Da un lato il diffondersi di una fase monumentale della pittura provinciale bizantina, con particolare riferimento alla Serbia e appunto agli affreschi della chiesa di Mileseva (ca 1235), e dall altro una sensibilizzazione del maestro del Gaibana sull espressionismo della pittura e della miniatura bassotedesca con cui egli potrebbe essere venuto in contatto a Padova dove è possibile abbia incontrato un alto prelato tedesco, Vladislao di Breslavia, che già dalla fine degli anni cinquanta doveva essere presente a studiare all università. Non è anzi da escludere, come vedremo, che egli lo abbia seguito al di là delle Alpi quando Vladislao nel 1265 fu raggiunto a Padova dalla nomina a vescovo di Passau e immediatamente dopo di Salisburgo.Infatti curiosamente il più autentico seguito della lezione dell Epistolario non si riscontra, come vedremo, tra Venezia e Padova, ma a nord nella bassa Germania e in ambiti legati per l appunto a Vladislao. E possibile quindi che egli, tornando in Germania, recasse con sè delle maestranze conosciute in città. In questo senso è innanzitutto significativo il Salterio oggi al Fiztwilliam Museum di Cambridge (ms ) che, in base ad indicazioni fornite dal testo, si può supporre eseguito per Elena, figlia di Albrecht di Sassonia e sposa nel 1457 di Enrico III di Slesia-Breslavia, fratello maggiore di Vladislao. Nelle sue raffinatissime pagine il veemente linguaggio dell Epistolario padovano appare stemperarsi in chiave più delicatamente affinata svolgendosi in morbidi ritmi lineari e virando verso un clima sentimentale di affabile dolcezza così da fare presagire già il gotico( Cattin,tav.27*).. Molto gaibaneschi, ma di mano diversa, il ricchissimo Messale del monastero di Admont in diocesi di Salisburgo (Lisbona, Museu Calouste Gulbekian, Lat.222)(Cattin,tav.28*a ) e quello del monastero di Seitenstetten (New York, Pierpont Morgan Library, M.855).

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