Voci sotto la super ficie

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1 SUBWAY-LETTERATURA.ORG a cura di Davide Franzini, Oliviero Ponte di Pino e Davide Rondoni Voci sotto la super ficie Stampato in copie su carta riciclata al 100% da post-consumo Milano, 27 Marzo 2006 Subway, il Tabloid Davide Franzini Dopo cinque anni di letteratura nelle metropolitane di Milano, Roma e Napoli, Subway esce allo scoperto e diventa anche un Tabloid con due numeri unici dedicati alle città di Milano e di Roma, distribuiti gratuitamente nelle strade e in prossimità di luoghi d incontro, librerie, teatri, cinema. In questo numero abbiamo voluto tracciare uno spaccato letterario della nostra città quasi sempre monitorata dal punto di vista politico, economico, sociologico e troppo spesso trascurata, o marginalizzata, rispetto alla sua vitalità letteraria e creativa. Grazie ai contributi di scrittori affermati ed esordienti, di critici letterari e osservatori privilegiati del panorama culturale milanese siamo riusciti, credo, a comporre un mosaico rappresentativo delle trasformazioni che Milano ha consumato tra gli anni Novanta e il Duemila. Ci auguriamo che Subway- Tabloid possa offrire una galleria di storie, di parole e pensieri, in cui la città e i suoi abitanti potranno specchiarsi e magari scoprire un risvolto nascosto e sorprendente. Lo spunto da cui siamo partiti per ideare questo foglio letterario è stato il pamphlet di Luca Doninelli Il crollo delle aspettative - scritti insurrezionali su Milano intorno a cui abbiamo costruito due interviste, una allo stesso Doninelli e l altra ad Aldo Brandirali. Alessandro Zaccuri e Oliviero Ponte di Pino hanno realizzato due articoli di critica dedicati rispettivamente al romanzo e alla drammaturgia degli ultimi dieci anni. Due preziosi contributi a cui abbiamo idealmente accostato la ricerca sociologica di Enrico Finzi sulle varie tipologie di lettori (e non...). Un antologia di sette racconti, tutti inediti, si apre con I Lupi di Raul Montanari e prosegue alternando le firme di autori af fermati, quali Roberto Perrone, Enrico Mottinelli e Alessandro Bertante, con quelle di giovani esordienti scoperti nelle precedenti edizioni di Subway. La pagina dedicata alla Poesia, curata da Davide Rondoni, racchiude e racconta squarci di vita quotidiana visti dal carcere, dal finestrino di un tram o da un marciapiede bagnato dalla pioggia e si interroga, con un breve corsivo, dello stesso Rondoni, sui luoghi in cui fruire della Poesia. Le immagini fotografiche e le illustrazioni sono state inserite per associazione libera con i testi e forse costituiscono una storia nella storia, una sorta di ipertesto che potrà essere letto come l ottavo racconto del nostro viaggio attraverso Milano. Autori, racconti e pensieri su Milano Il crollo delle aspettative Incontro con Luca Doninelli Per te è stato facile fare lo scrittore a Milano? Rispetto ad altre realtà, o rispetto ad altri momenti nella storia della città... Ogni città ha le sue durezze, le sue refrattarietà, ma anche i suoi punti d ingresso. Uno scrittore dovrebbe conoscere queste cose quando parla di una città, soprattutto se questa città è la sua. Il mio ingresso letterario a Milano ha avuto una guida, un duca particolare: Giovanni Testori. Naturalmente la Milano di oggi non è quella di Testori (che lui stesso, peraltro, provvide a radere al suolo ne Gli angeli dello sterminio ), dopo di lui bisognava ricostruirla, anche letterariamente. Milano oggi è una città condominiale, come dice Albertini: ossia fatta di appartamenti, dunque appartata, fatta di gente appartata. L appartamento non solo come oggetto ma anche come azione. CONTINUA A PAG 2 Un Racconto inedito Io li ho visti. Marina ha sparato un colpo solo, e Francesco è caduto in ginocchio davanti a lei, come in preghiera, come se volesse chiederle qualcosa di prezioso. Nessuno capiva cosa stesse succedendo; nessuno ha pensato alla verità. Lui si è piegato lentamente in avanti, e anche lei lo ha fatto. Si è chinata e gli ha stretto le tempie fra le mani, appoggiando la fronte alla sua come una madre. Era più giovane di lui, ma il gesto che ha fatto è stato proprio quello di una madre. Quelli intorno a loro non l hanno capito. E poi? Poi tutti si sono alzati in piedi, e la confusione è cominciata. La notte prima del gran giorno, Francesco Alinei sognò una casa buia. C era una tavola imbandita, nella cantina della casa, e molte persone sedute intorno. Anche lui era seduto, in fondo alla tavola, e gli sembrava di essere tornato ragazzo. Mangiavano. Forse queste persone erano i suoi genitori e i suoi fratelli, ma le loro facce erano coperte da maschere mostruose che lui riusciva appena a intravedere perché la luce era spenta e la cantina rimaneva immersa in una tenebra senza scampo, rischiarata appena dal poco sole che filtrava Vagone metropolitana Poesia, respiro della città I lupi Raul Montanari attraverso una grata. A capotavola sedeva un uomo che doveva essere suo padre: grande, con le spalle larghe come le aveva avute prima della malattia. Sul volto portava la maschera di un lupo e Francesco aveva paura di lui più che di ogni altro. Nessuno parlava eppure si sentiva un mormorio, come in chiesa o in una sala da concerto prima che l orchestra cominci. Francesco si alzò, perché non sopportava più gli occhi gialli del lupo Cross your legs Amalia Violi Contro le case chiuse (della poesia) Davide Rondoni A PAG. 3 seduto là davanti, la vista del sugo della carne che gli colava fra le zanne, sul petto. Si accorse di piangere per la paura e per la nostalgia di quando suo padre gli aveva voluto bene e il futuro era pieno di promesse e sorrisi come un alba. Gli si avvicinò, mentre tutti lo guardavano. Con molto coraggio allungò le mani e afferrò la maschera, cercando di strappargliela. CONTINUA A PAG 14 Alessandro Belgiojoso Nuova creatività, nuove imprese Subway intervista Aldo Brandirali Aldo Brandirali è da cinque anni Assessore allo Sport e ai Giovani del Comune di Milano. Come responsabile delle Politiche Giovanili, segnatamente alle creatività, ha avuto modo di toccare da vicino i mutamenti della città, ma non solo. In questi anni sono accaduti molti eventi significativi su cui Subway ha voluto porre alcune domande. SUBWAY La Scorsa estate il Corriere della Sera ha pubblicato un inchiesta secondo cui a Milano c è un grande fermento; molte realtà culturali che però faticano a trovare sbocchi. In questi giorni, di nuovo, un articolo del Corriere della Sera denuncia che Milano non riesce a rendere produttiva la sua attività culturale così ricca e viva. C è uno scarto evidente fra i bisogni e le cose che fanno le persone, e la capacità delle istituzioni e delle imprese di valorizzare queste risorse. ALDO BRANDIRALI E un nodo grosso, centrale. Uno dei principali argomenti all ordine del giorno per quanto riguarda la creatività giovanile, in particolare a Milano per il tipo di cultura del fare che la caratterizza, è l utilità del proprio operato. Domanda devastante dal punto di vista della creatività e, allo stesso tempo, comprensibile perché il modello tradizionale e concettuale della società, della comunità e della città di Milano è sempre stato lo sviluppo. Quando si ragiona in termini di sviluppo, la creatività diventa un produttore dello sviluppo. CONTINUA A PAG 5 VOCI SOTTO LA SUPERFICIE Incontro pubblico tra gli autori e i lettori di Subway-Tabloid 1 aprile 2006 ore Sala delle Conferenze, Palazzo Reale Piazza del Duomo 12 - INGRESSO LIBERO - Con il Patrocinio e il Contributo di Partner di Subway-Letteratura 2006 Settore Giovani I N F O R M A G I O V A N I Vicolo Calusca, 10 - Via Laghetto, 2 Tel

2 .2 Milano, il crollo delle aspettative? Una città, tra speranza e disillusione, in cerca di una nuova identità INCONTRO CON DONINELLI SEGUE DA PAG 1 Questo contrasta -anche nella confusione di idee che domina nella testa dei nostri politici, sia di destra che di sinistra- con la natura sociale della città, con la sua secolare sensibilità alle questioni sociali. Però le cose esistono entrambe. A Milano i grandi temi s incontrano nel compiere le azioni quotidiane, il fermento è nello spicciolame della vita. Che cosa può (o deve) dare uno scrittore alla sua città? Deve amarla, oppure odiarla ma con lo stesso struggimento e la stessa intensità dell amore. Io non ho nulla contro il cinismo, che a volte serve, ma credo che un testo letterario privo di un po di pietà, di amore, o anche di odio ma in qualche modo amoroso sia un testo al massimo esibizionista, senza grandezza. Voglio ricordare che esistono sentimenti (come la nostalgia dei bei tempi andati o anche il cinismo finto-oggettivo) che sulle prime sembrano fare letteratura più di altri. Ma è un illusione. A Milano i grandi temi s incontrano nel compiere le azioni quotidiane, il fermento è nello spicciolame della vita Hai dedicato un saggio, Il crollo delle aspettative, all attuale situazione milanese. Perché hai sentito il bisogno di farlo proprio in questo momento? Che cosa sta succedendo a Milano in questi anni? Da molti anni avevo in mente di scrivere un libro su Milano. E una città interessante per uno scrittore perché è piena di cose nascoste. Una città con molti interni e pochi esterni, insomma mette curiosità, voglia di conoscere. Una vita non basterebbe a conoscere Roma, tuttavia quando si cammina per Roma è come se tutta la città fosse lì, presente. Per Milano è diverso, c è sempre qualcosa che sfugge, e questo aizza lo scrittore. Tuttavia un libro su una città va fatto al momento giusto: quando cioè dentro la caligine si comincia a intravedere qualcosa che brilla. Non si scrive un libro su una città per dire che fa schifo. Si scrive un libro su una città perché in essa c è qualcosa che comincia a non fare più schifo. Ho grandi amici milanesi, che ci vivono e hanno scelto di non andarsene. Sono queste presenze positive che svegliano la coscienza di una metropoli. C è gente che usa Milano come sua proprietà privata, infischiandosene dei cittadini, comprando e vendendo pezzi di città come prosciutto dal salumiere. Una città viva si ribella a tutto questo, insorge. Ma per svegliarla bisogna che in essa ci sia già qualcosa di vivo. Nei tuoi romanzi e racconti Milano ha un ruolo molto importante: i quartieri, le strade, i paesaggi sono una presenza costante e molto incisiva. Anche ne Il crollo delle aspettative ci sono diversi straordinari sguardi sulla città. Che rapporto c è nel tuo lavoro tra la scrittura narrativa e la scrittura saggistica e I Sette Palazzi Celesti - Anselm Kiefer alla Bicocca magari l attività critica e giornalistica? Ti poni davanti alla scrittura con un atteggiamento diverso? Questi vari generi e destinazioni dei tuoi testi fanno parte dello stesso percorso? Il persorso è uno, questo va da sé. Ma le diverse scritture, con i loro diversi statuti, aiutano a stabilire diversi punti di osservazione sulle cose. La scrittura saggistica, ad esempio, è la più lieve, la più duttile, la meno sporca. Aiuta a lavare il pensiero e il linguaggio, però non se ne deve abusare, perché è anche il tipo di scrittura meno compromesso con il corpo della realtà. La realtà nel saggio entra come dato, come elemento statistico, mentre nel romanzo entra come corpo reale, con cui è necessario fare i conti fino alla lotta fisica. Perciò ci vuole un po di astuzia, capire quando stai diventando astratto, quando in nome dei tuoi sublimi pensieri stai facendo fuori la dura realtà dei corpi. Ne Il crollo delle aspettative, che è un saggio più che un romanzo, la mia ambizione era quella di trattenere il corpo della città: scrivere, cioè, un libro che fosse un saggio nella forma ma che nella sostanza rimanesse un romanzo. le, buono (forse) per l Italia di un secolo fa. Quando si dice Tizio è un intellettuale di sinistra si fa riferimento a un mondo gramsciano, in cui l intellettuale è parte di un progetto politico. Non si scrive un libro su una città per dire che fa schifo. Si scrive un libro su una città perché in essa c è qualcosa che comincia a non fare più schifo Questo mondo è finito, e se qualcuno lo vuol tenere in piedi lo fa solo per raccogliere gli spiccioli di una rendita politica. Uno scrittore ha un solo ruolo: quello di scrivere libri importanti, capaci di dare inquietudine, malessere, ma anche vera felicità: tutte cose che destabilizzano, costringendo lo scrittore stesso e il lettore a uscire -a proprio rischio e pericolo- dal recinto del già detto e del già sentito. Tante volte apro un romanzo, leggo qualche pagina e mi accorgo che sono tutte parole già note, volti e pensieri già conosciuti. Uno scrittore dovrebbe produrre terremoti, piccoli o grandi che siano. Quanto ai professionisti della politica e affini, mi auguro che facciano bene il loro lavoro, ossia con passione, curiosità, gusto della vita e soprattutto delle novità. Tra politica e cultura è finito, spero per sempre, il tempo delle linee politiche, è cominciato quello del gioco di sponda, che è un gioco necessariamente trasversale, dove non ci si scontra più, dove non si dice più questo è dei nostri, questo no, dove si gioca al rilancio, come nel poker. Un ultima Nei tuoi romanzi tendi ad affrontare temi più intimi, legati all interiorità dei tuoi personaggi. Il crollo delle aspettative è senz altro un libro civile, politico. Verrebbe da dire impegnato. Che cosa può e deve dire uno scrittore alla società in cui vive? Che ruolo, che autorevolezza può avere rispetto ai professionisti della politica e ai tecnici dei diversi settori? Mi sembra che ci troviamo alla fine di una lunga (troppo lunga) epoca in cui la questione del ruolo dell intellettuale e dello scrittore è stata argomento di primo piano. Siamo alla fine, e spero sia una fine definitiva, del modello gramsciano, che è e resta un modello post-risorgimentaconsiderazione: so perfettamente di dire queste cose in un momento in cui sembra succedere l opposto, e tutti cercano di accasarsi da qualche parte; forse perché i soldi sono pochi, e si danno volentieri alle persone fidate. Ma sono certo che è solo un fuoco di sbarramento delle vecchie rendite di fronte alle domande nuove che la realtà ci pone. Alessandro Belgiojoso Nel sottotitolo del tuo libro parli di insurrezione. Quali effetti speravi ottenere con il tuo pamphlet? E quali hai ottenuto? Speravo che si cominciasse a parlare di Milano in termini che non fossero solo quelli soliti: capitale morale, politici corrotti, viabilità, sicurezza e via dicendo. Il problema degli immigrati -che sono, oggi, un ingente forza economica oltre che sociale di questa città- è stato trattato solo come un problema di ordine pubblico (basti pensare a quella povera gente che passa le notti all addiaccio davanti alla questura e perfino agli uffici postali per poter ritirare un modulo) mentre la gestione degli alloggi e della vita sociale è stata lasciata agli avvoltoi. Una città che si comporta così di fronte a un problema è una città senza idee, che non si sa ritrovare, con una classe dirigente completamente staccata dal resto della popolazione. Questo speravo, e in parte l ho ottenuto, anche se non sempre le risposte mi sono venute da dove mi sarei aspettato. Ma questo è il destino dei libri. De Il crollo delle aspettative si è molto discusso e si continua a discutere. C è qualcosa che adesso, diversi mesi dopo l uscita del libro, non scriveresti più, o non scriveresti più allo stesso modo? E c è qualche tema con cui arricchiresti una nuova edizione? Non ho mai pensato a quello che non riscriverei più. A quel libro ho pensato per anni, l ho scritto, l ho riveduto e, pubblicandolo, mi sono assunto tutte le responsabilità: perciò non ritiro niente. Se mai, aggiungerei un paio di capitoli. Uno sugli ospedali, un grande tour nell universo del dolore, non per amore di sociologia ma perché il rapporto con la sofferenza è un rapporto che caratterizza la storia di questa città: pensiamo a San Carlo Borromeo, vescovo controriformista e tradizionalista e, al tempo stesso, promotore di iniziative sociali di ogni tipo e vero padre del cattolicesimo sociale, ben prima di Leone XIII. Una figura molto imbarazzante per i benpensanti della cultura. L altro capitolo lo dedicherei al lavoro, alla sua storia a Milano negli ultimi trent anni. Sono certo che la cultura del lavoro a Milano è stata rasa al suolo dall importazione di modelli aziendali americani: tale problema però nel libro é solo accennato. Gli anni Ottanta in questo sono stati un crocevia essenziale. Il crollo delle aspettative ha avuto un inizio e una fine. Nel libro, mi occupo più dell inizio, che situo alla metà degli anni Sessanta, mentre una seria indagine sul mondo del lavoro ci aiuterebbe a stabilire meglio anche la seconda data. Un consiglio a un giovane scrittore che vive nella nostra città? Scrivere libri belli e avvincenti. Milano rinasce non perché si continua a parlare di Milano (questa è una fase, niente di più) ma perché da qui escono cose interessanti per il mondo intero. Se posso aggiungere un altro consiglio: non fate troppo i fighetta e sporcatevi le mani con la realtà, amandola anche e soprattutto quando è sporca. SUBWAY-TABLOID Un progetto editoriale ideato e promosso dalla Associazione Laboratorio-E20 con il patrocinio e il contributo del Settore Giovani del Comune di Milano CURATORI Davide Franzini Oliviero Ponte di Pino Davide Rondoni REDAZIONE Andrea Chiurato Concetta Simona Piccolo PROGETTO GRAFICO Solaris Comunicazione Michele Marchesi - Art Director RELAZIONI ESTERNE E UFFICIO STAMPA Cantiere di Comunicazione Si ringrazia Olivia Agostini, Nadia Baratella, Gisella Biroli, Elena Filicori, Antonella Fornaro, Piero Frova, Manuela Kron, Alessandra Medolago Albani, David Muldoom, Lorenzo Nannariello, Federica Pala, Andrea G. Pinketts.

3 Poesie inedite.3 Poesia, respiro della città Tre poesie dal carcere Milo De Angelis presenta Vladimiro Cislaghi L incontro con Vladimiro Cislaghi è stato il più importante che ho avuto in questi anni di insegnamento presso il Carcere di Opera. Ho subito colto in lui il talento di un poeta, l amore per la singola parola, lo scavo nei suoi chiaroscuri e nei suoi abissi. Lontano da tanto vittimismo della scrittura carceraria, ma anche lontano dal diario, la poesia di Vladimiro tocca i grandi temi dell infanzia e della perdita, della morte e della salvezza. E una poesia verticale, orfica, asciutta, percorsa da alcune ossessioni a cui rimane strenuamente fedele. Una di queste -e lo possiamo vedere nei testi qui proposti- è proprio la parola poetica, nella sua immensa forza, nella sua capacità di dare significato all esistenza, di trovarne il nucleo essenziale: essa è la voce che ci raccoglie, come scrive Vladimiro in un limpido attacco, ci consente di dare espressione a ciò che sembrava inesprimibile, di comporre in una provvisoria figura i frammenti della nostra vita. Un accento mi attraversa, ritaglia un tempo, una cadenza, un colore tra le scarpe di chi è apparso. Solo tu, mia poesia, nel respiro che raccoglie l inverno, nel tuo scuro abito da sempre * * * tra le foglie e un intesa di bende, mentre un attesa mi dimentica. Via Dante Contro le case chiuse (della poesia) Il corsivo di Davide Rondoni Edoardo F. Tavola Un nuovo spettro si aggira per le nostre città. Il Casismo. Ovvero la tendenza a inaugurare case per la letteratura, case per la musica, per il jazz, per arti di ogni genere. Eccetto le arti più facili al guadagno che le case (e sontuose) se le fanno da sole, grazie a galleristi, mercanti e collezionisti. C'è qualcosa di sinistro in questa apparente generosità delle pubbliche amministrazioni verso le arti. Non solo perchè tali case ricordano lievemente l'esistenza dei sindacati sovietici degli scrittori etc., ma soprattutto per la tendenza di incasellare le cose. Cosa significa che le iniziative della Casa della poesia hanno più valore pubblico di altre? Che è, un marchio di utilità pubblica? E siamo sicuri che ci sia bisogno di una casa intesa come spazio e non piuttosto di biblioteche specializzate, borse di studio per giovani che vogliano fare ricerca seria, supporti alla traduzione, agli scambi internazionali etc.? Inaugurare una Casa della poesia (quando la poesia ama stare fuori casa, ovunque, nei metrò, nei bar, nelle redazioni, nelle cucine) è un modo un po' sbrigativo di preoccuparsi di cultura. Fa un po' scena, ma la vera utilità? E finita la pioggia stanotte Davide Rondoni E finita la pioggia stanotte ma non la sospensione di qualcosa tra il cielo così di luminoso argento e la terra non è la luce, non è la materia aerea del giorno, non l attesa d un ritorno che già si [conosce non è la prima nebbia della sera, né il leggero silenzio di settembre, né il respiro del viale finalmente vuoto. Che suggerimento ignoto, che strana bandiera vederti passare nell ora che si dovrebbe sognare, e invece resto con gli occhi di brace a fissare l aria e il suo lampo muto, che più di ogni cosa mi piace, la memoria piena di prodigi, e sì, vedere Milano nell acqua Vieni ti prego, ma prima del sogno sii la sua porta, poiché dopo non ricordo più niente e non voglio andare nel buio senza un volto negli occhi né risvegliarmi senza ricordare in tutta questa guerra che stendardi aveva l amore Tra un oretta un ora una carezza Valerio Grutt tra un oretta un ora una carezza il sole si addiziona ombra o ventosa tre baci tre alberi mano nella mano scivoliamo milano bionda come non mai o luce latte mare come sale come andare mimosa immaginare con poca chiarezza la stessa cosa. * * * Lei corre senza guardare La voce mi ha raccolto, tra il gesto e le ombre, mentre il buio entra nelle ore, nel vuoto e nel colore del nostro tempo, nel pallido chiarore di questo respiro. Queste tre poesie di Vladimiro Cislaghi fanno parte del libro Madre e baratro, di prossima uscita nella collana Niebo, diretta da Milo De Angelis per le Edizioni La Vita Felice. Solitude 4 Alessandro Belgiojoso Daniele Mencarelli Lei corre senza guardare attraversa la strada spinta da una forza, noi immobili sul tram che viaggia la guardiamo venirci sotto come si guarda uno spettacolo già scritto, tenta il tram di aggrapparsi alle rotaie scintilla mentre gente urla oppure cade, lei ricompare intatta dall altra parte, eccolo il centro di tutta la sua furia un uomo forse il marito magari l amante lo colpisce lo sradica lo inginocchia poi col suo corpo lo copre. Rimangono così mentre noi ci allontaniamo ognuno ritorna a pensare al suo arrivo, loro chi saranno stati quale amore li avrà messi l uno contro l altro poi insieme come singola cosa sull asfalto.

4 .4 Milano Novantamila Cosa è successo nel passaggio fra gli anni Novanta e il Duemila? Alessandro Zaccuri Abitavano nella stessa zona, a ridosso o comunque non lontano da corso Buenos Aires. Erano Emilio Tadini, Giuseppe Pontiggia, Giovanni Raboni. L artista, il romanziere, il poeta. Capaci di scambiarsi le parti, quando se ne presentasse l occasione, testimoni di una Milano verace e mai conciliata con se stessa. Tadini era La tempesta di Shakespeare ricondotta alla sua location originaria, Pontiggia rievocava il grigiore di un istituto bancario da attraversare come in un rito iniziatico, Raboni eleggeva la geografia minima di via Lazzaretto e dintorni a sfondo di una commedia più che umana. Se ne sono andati tutti e tre in un paio d anni, fra il 2002 e il 2004, preceduti in ordine di sparizione da Giovanni Testori, morto già nel 1993, nel pieno del marasma che avrebbe dovuto portare la metropoli chissà dove e invece l ha riportata qui, più o meno al punto di partenza. Anche per questo bisogna cominciare dalla fine. Se davvero vogliamo capire che cosa è successo alla Milano letteraria nel concitato passaggio fra gli anni Novanta e il Duemila, dobbiamo anzitutto stilare un bilancio delle perdite. Non abbiamo più l eleganza e l ironia di Tadini, dunque, né la profondità geometrica di Pontiggia. Non abbiamo più la pronuncia esatta di Raboni né la forza visionaria di Testori, che nel 1992, alla vigilia del congedo, consegnava alle pagine incandescenti de Gli angeli dello sterminio il resoconto di una città soggiogata da un apocalittica orda di motociclisti, in marcia verso le macerie del Duomo devastato. E non abbiamo neanche -a voler completare l elenco dei necrologi- la presenza discreta di Luigi Santucci, scomparso nel 1999, esempio insuperato di un narratore nutrito dalle ragioni più autentiche della Milano novecentesca. Ma il Novecento è finito e nei nostri anni Novantamila (non più Novanta, non ancora Duemila). A dominare è anzitutto lo spaesamento, l inappartenenza, il sospetto appunto di essere Piazza Fontana postumi rispetto a ciò che Milano è stata e, forse, avrebbe potuto essere. È sufficiente mettere uno in fila all altro i libri apparsi negli ultimi anni per rendersi conto che il segno prevalente è quello della negazione, se non addirittura del disconoscimento. Si va dal perentorio Milano non è Milano dell ex cannibale Aldo Nove al polemico Post-Milano dell ex assessore Salvatore Carrubba, passando per la pungente constatazione che Giovanna Zoboli sceglie come titolo di una sua intensa raccolta poetica: A Milano nessuno è milanese. Un senso di estraneità che sembra mettere in discussione la stessa possibilità del racconto, quasi obbligando un autore come Luca Doninelli a prediligere il terreno della riflessione saggistica, sia pure attraverso la mediazione di una prosa narrativamente motivata. Molto apprezzati e dibattuti, gli scritti insurrezionali del suo Il crollo delle aspettative sono una cronaca tutt altro che rassegnata della transizione imperfetta e delle sue conseguenze. In altre parole, un saggio che lascia intravedere la sinopia di un impossibile romanzo milanese contemporaneo. Ma è davvero così improponibile l idea di raccontare Milano Novantamila? A prima vista, in effetti, sembrerebbe l esatto contrario. Perché, nel punto esatto in cui il mainstream e la stessa riflessione saggistica si arrestano, entrano in gioco -e di prepotenza- i generi. Mai stati così tanti, i thriller di rito ambrosiano. Mai stata più fonda, la notte del noir meneghino. Con sfumature e intenzioni differenti, questo sì, anche se tutte in qualche modo riconducibili al magistero di Giorgio Scerbanenco, che negli anni Sessanta aveva raffigurato in Duca Lamberti un cinico e credibile antieroe metropolitano. In questa direzione, Piero Colaprico (già narratore in proprio con il notevole Kriminalbar ) ha prima lavorato con Pietro Valpreda alle indagini dell ex maresciallo Binda, poi ha affidato all ispettore Bagni le indagini di Trilogia della città di M., rimanendo sempre fedele a un impostazione sociologica del romanzo poliziesco. Una prospettiva radicalmente diversa da quella, scanzonata e provocatoria, perseguita da Edoardo F. Tavola Andrea G. Pinketts attraverso le ormai numerose avventure dell anomalo investigatore Lazzaro Santandrea (la più recente è L assenza dell Assenzio ), oltre che nelle tappe di una beffarda autobiografia improntata alla più sfacciata epica metropolitana. Marginale e contraddittorio è pure il Gorilla di Sandrone Dazieri, da poco arrivato anche sul grande schermo nell interpretazione di Claudio Bisio ( La cura del Gorilla, per la regia di Carlo Sigon). Detective con un passato, neppure troppo remoto, di militante del centro sociale Leoncavallo, nel corso delle sue indagini deve vedersela con l ingombrante presenza del Socio, il doppio schizofrenico che gli subentra durante il sonno. Chiamato in servizio per la prima volta in Catrame, l ispettore Guido Lopez è invece il cattivo poliziotto ideato da Giuseppe Genna, che a partire da Nel nome di Ishmael lo ha reso protagonista della trilogia composta poi da Non toccare la pelle del drago e Grande Madre Rossa, nella quale Milano si trasforma in epicentro di una cospirazione planetaria. Lo stesso Genna rappresenta però il punto di contatto fra la metropoli del thriller e la città della letteratura, come confermano i testi di Assalto a un tempo devastato e vile e più ancora negli scenari neoborghesi de L anno luce e nella magmatica narrazione multipla dell imminente Dies Irae. A voler guardare con attenzione, del resto, il vero anello di congiunzione tra la Milano dei generi e quella del romanzo è costituito dal tempestoso progetto de I demoni, straniata riscrittura collettiva del capolavoro di Dostoevskij in chiave contemporanea. Un esperimento che ha coinvolto, oltre il già ricordato Genna e il milanese d importazione Michele Monina, anche il padre nobile Ferruccio Parazzoli, che in questi anni si è a sua volta impegnato in una personalissima ricognizione nelle contraddizioni della metropoli. Di nuovo, la Milano Novantamila di Parazzoli è attraversata dalla bisettrice di corso Buenos Aires, attorno alla quale si allestisce la trama di Per queste vie familiari e feroci. Ma è piazzale Loreto a fare da perno al composito racconto morale di MM Rossa, di L evacuazione e, infine, di Piazza bella piazza, i tre romanzi brevi ai quali Parazzoli consegna il profilo di una Milano allucinata e a tratti addirittura dantesca. Un paesaggio urbano che richiama alla memoria, aggiornandola con le inquietudini del dopo, la città che già nel 1962 Luciano Bianciardi descriveva ne La vita agra. Magari sarà soltanto un impressione, ma il libro che meglio di ogni altro aiuta a comprendere la Milano imperfetta di questi anni è proprio L antimeridiano che combattivamente ripropone l opera narrativa dello scrittore grossetano scomparso nel Uno che all affaccio commerciale di corso Buenos Aires preferiva gli anfratti di Brera. E che, come molti milanesi di oggi, diffidava dei grattacieli. O meglio, dei torracchioni. Alessandro Zaccuri, critico letterario e conduttore de Il Grande Talk (SAT2000) Oliviero Ponte di Pino Milano è senz altro una delle capitali teatrali d Italia, con un attività ricca e articolata, dalle grandi istituzioni come la Scala e il Piccolo Teatro ai mega-palazzetti che ospitano i grandi show, da quella rete che ha caratterizzato il sistema teatrale milanese degli ultimi decenni al proliferare di piccole sale che stanno ridisegnando il panorama dello spettacolo cittadino fino ai cabaret. Ma, in questa ricchezza di spazi ed esperienze, Milano riesce a raccontarsi? Da un certo punto di vista ci riesce senz altro: nella ricchezza degli spazi e dell offerta, nella molteplicità dei generi e dei linguaggi, la città si presenta come una metropoli europea in grado di conciliare i classici e la modernità, l impegno e l evasione, il divo della tv e la giovane promessa dell off, l avanguardia internazionale e gli stabili nostrani. E però, forse per la sua antica ritrosia o forse perché, come continua a ripetere Luca Doninelli, la città non si ama abbastanza, Milano sembra faticare a raccontarsi sulla scena. Magari perché resta difficile confrontarsi con due pesi massimi come Gadda e Testori, i due massimi cantori della Milano novecentesca -quella borghese e quella delle periferie- che non a caso tornano spesso nei cartelloni dei nostri teatri (ma a colpa della città, va notato che la versione teatrale di Quer Pasticciaccio brutto de via Merulana, ovvero Gadda riletto da Ronconi, a Milano non è mai arrivataanche se era un Gadda romano...). Una città che fa scena Per una nuova drammaturgia milanese Intanto qualcosa è successo e continua a succedere. Forse il tentativo più ambizioso di far raccontare la città alla città è stata la Maratona di Milano (nel ), ovvero 24 ore della vita della città attraverso altrettanti microdrammi di una ventina di minuti ciascuno, con 24 drammaturghi (scrittori affermati come Raboni e Tadini, Alda Merini e Paola Capriolo, ma anche giovani scrittori) e 24 compagnie (con le musiche dei La Cruz) impegnate in un megaspettacolo che -nella versione definitiva- è durato una notte intera, nell officina dell ATM di via Teodosio. Perché forse la ricchezza peculiare della città è proprio nella frammentarietà, in un mosaico che è difficile comprendere in un disegno unitario (si può ricordare che il fortunato monologo di Renato Sarti Mai morti con Bebo Storti ha debuttato in quella occasione). Un altra interessante esperienza milanese di questi anni (non certo l unica, basti pensare allo sforzo di una realtà milanese come Outis, da sempre impegnata a sostegno della drammaturgia) è quella di Città in condominio : un gruppo di drammaturghi attivi a Milano (tra cui Renata Ciaravino, Renata Molinari, Renato Gabrielli, Giampaolo Spinato, Roberto Traverso) che negli scorsi anni ha organizzato una serie di incontri a scadenza regolare in cui presentare e discutere i propri lavori, un work in progress in grado di misurarsi con la velocità delle trasformazioni della città e magari anche con l incalzare della cronaca. Alcuni degli autori di Città in condominio hanno esplorato negli ultimi anni alcuni degli aspetti della vita cittadina: per esempio l universo giovanile (da parte di Renata Ciaravino, con Molti amori (diversi odii) o il mondo del lavoro, da parte di Renato Gabrielli, con Curriculum vitae ). Una delle funzioni del teatro è proprio quella di esplorare le trasformazioni del tessuto sociale, dei comportamenti, dei linguaggi, per portarle sulla scena e renderle visibili : in questo l attività di molti gruppi teatrali e giovani drammaturghi rappresentano un utilissimo indicatore. Un operazione ambiziosa -e articolata in un percorso durato diversi anni- è la teatralizzazione di Canti del caos, il torrenziale e discusso romanzo di Antonio Moresco da parte di Renzo Martinelli e del suo Teatro Aperto: un testo -e uno spettacolo- che cercano di scavare nelle contraddizioni del presente. Anche questa è una delle funzioni da sempre più determinanti del teatro, quella civile: portare alla consapevolezza collettiva le contraddizioni che attraversano il corpo sociale, anche quelle in apparenza più radicali, come per l appunto quelle affrontate da Moresco. Su un versante solo in apparenza più leggero, non si può dimenticare che da anni uno sguardo teatrale sulla città arriva anche dai comici: a cominciare da Dario Fo, se fosse solo un comico. Non è un caso che Paolo Rossi e la sua ghenga abbiano prodotto nel 1994 uno spettacolo come Milanon Milanin, che riprendeva e rilanciava (trent anni dopo) uno spettacolo-manifesto del Piccolo Teatro come Milanin Milanon (con Milly e soci a raccontare la cultura popolare cittadina in forma di spettacolo. E di recente Walter Leonardi, attore-autore cresciuto nell off-off della comicità cittadina (perché ora che lo Zelig è diventato un istituzione da prima serata, anche il cabaret milanese ha un off e un off-off), in Milano a 70 all ora ha raccontato i drammatici -e insieme entusiasmantianni Settanta della nostra città. Un ultima annotazione. A Milano è attiva anche un effervescente attività musicale, dove brilla l attivismo di un gruppo fuori dagli schemi come Sentieri Selvaggi. Nell ultima edizione di Crea-Mi (2005) proprio Sentieri Selvaggi si è fatto promotore di una iniziativa di grande interesse che ha coinvolto anche Subway: quattro opere musicali di giovani compositori che hanno utilizzato come libretti altrettanti racconti di giovani autori selezionati e pubblicati da Subway. Perché la vitalità della cultura milanese nasce anche da questo: dalla capacità di far incontrare persone ed esperienze diverse, per far nascere il nuovo. I melologhi di Sentieri Selvaggi INSONNIA di Stefano Taglietti su testo di Tiziana Regine Insonnia, Subway Novembre, ore 21 Teatro Litta TWENTYFOUR di Mauro Montalbetti su testo di Luca Fumagalli 24 ore su 24, Subway Novembre, ore 18 NABA L OCEANO, COSTA E VOLTJEK di Federico Cumar su testo di Vincenzo Gallico Costa+Voltjek=L oceano, Subway Novembre, ore 20 NABA POSTE ITALIANE di Matteo Malavasi su testo di Dino Campari Poste italiane, Subway Novembre, ore 12 Teatro Litta Coord. generale: Filippo Del Corno /

5 .5 Nuova creatività, nuove imprese Politica e cultura, un equilibrio difficile ma possibile INTERVISTA A BRANDIRALI SEGUE DA PAG 1 Tutto questo accadeva dopo la grande epoca della plastica e dell enorme investimento creativo connesso alle possibilità tecniche di innovazione dei materiali. Gli anni Settanta e Ottanta, un momento storico in cui la creatività si sposava ancora con la produttività e l utilità. Oggi, di fronte al tasso di crescita della Cina o dell India, per esempio, ci troviamo davanti a una sfida sul tema concepire lo sviluppo : il tema qualitativo, in sostanza. Alla provocazione del critico che si domanda sull utilità dell opera creativa rispondo con una preoccupazione sostanziale: oggi l Occidente compete a livello mondiale con le dinamiche dell Oriente, con una sola possibilità di vittoria. Sappiamo che il progresso quantitativo ha un punto di crisi fondamentale: si può copiare all infinito, ma copiare non dà alla luce l innovazione. L Europa ha questa carta da giocare: contrapporre alla dinamica quantitativa quella dell innovazione. L Oriente ha una produzione di massa, con prezzi imbattibili. L unica risposta è un alto tasso di creatività e novità dei prodotti italiani. Questo presuppone tre cose: che questa creatività diffusa in qualche modo esista, che la si sappia riconoscere, che la si sappia indirizzare nei canali giusti. Chiaramente, quindi, il tema centrale non è l indice di sviluppo, ma l indice di modificazione, di novità. L enfasi sul cambiamento è l unica vera attrattiva che il modello europeo può offrire ai suoi partner mondiali. Un tipo di rapporto con l arte contemporanea e con la creatività che metta in discussione la persona umana e il suo desiderio: conquistare l attenzione con il desiderio di cambiare modello di vita. Portare innovazione nella qualità della vita. È un grande tema, che riguarda il compimento e l estensione dell umano, l approfondimento del mistero dell Io, l apice della conoscenza della scienza. È chiaro che la creatività dell opera gioca un ruolo indipendente dalla sua utilità. Gioca un ruolo di sorpresa, di stupore, di capacità di catturare interesse. Nella capacità di creare stupore, l opera suggerisce che si ha a che fare con l umano; suggerisce un compimento, un cambiamento di qualitativo. Spazio, dunque, alla creatività perché può indicare una nuova way of life. El domm de milan Quali sono i principali contenuti, i tratti distintivi del panorama culturale giovanile? Ho fatto l assessore, ma la particolare divisione del lavoro del Comune di Milano ripartisce le competenze riguardo ai giovani in diversi settori. Il mio riguardava specificamente la produzione culturale. La specificità mi ha permesso di insistere particolarmente su questo aspetto, anche se i mezzi a disposizione erano decisamente ridotti. La promozione del giovanile costituisce solo una piccola parte della produzione culturale tout court; l atteggiamento dell amministrazione e la sua capacità nel promuovere l arte contemporanea erano questioni più grosse di me. La mia non poteva che essere un azione di stimolo, di punta. Tale azione ha fatto acquisire il convincimento generale che l Assessore ai Giovani del Comune di Milano promuovesse e sostenesse l arte contemporanea. Quando ho iniziato il mio compito, rispetto agli eventi di cui ho parlato e che ho sostenuto, ho tentato innanzitutto di chiarire quale fosse la posizione del mio assessorato. L Assessorato allo Sport e ai Giovani non ha il compito di produrre realtà, ma di riconoscere e sostenere quelle già esistenti. Il rischio, altrimenti, è che le cose accadano in modo artificiale, che assumano un volto non reale. Non reale, a volte persino burocratico. Succede che si indirizzino in questo senso, ad esempio, rapporti stabili da anni: diamo sempre gli stessi soldi alle stesse associazioni che fanno sempre le stesse cose. Anche se sono gloriose strutture di sinistra, fanno cose noiose. Dunque, le iniziative diventano noiose e burocratiche e le associazioni non sono il luogo in cui è possibile cercare l emergere della novità o della creatività. Con questo obiettivo, ho lavorato molto più con i contributi che con i finanziamenti diretti. Dando contributi, è evidente che i soggetti interessati dovevano essere in grado di mettere in piedi qualcosa. Questo processo è stato rischioso perché, oggettivamente, l associazionismo giovanile non c è quasi più. Non esiste realmente una pluralità di soggetti capaci di proporre uno sguardo attento sulla vita dei giovani. Non esiste una società civile composta come comunità consapevole. Ci sono invece isole, nuclei, contesti, grappoli di vitalità, parti di comunità più o meno consapevoli. Io sono comunque soddisfatto dell evidenza che la realtà milanese risulti piena di proposte positive e di presenze interessanti. Non saprei rispondere al Corriere della Sera che afferma una Milano meno di Roma. L articolo si riferiva a una cosa molto precisa: alle persone che lavorano nelle aziende, ai mestieri creativi dentro le aziende che, percentualmente, sono meno che a Roma e a Napoli. Non si riferiva al tipo di persone di cui ti sei occupato o alle iniziative di cui parli, ma alle persone che lavorano nella moda e nella ricerca. E siamo di nuovo al punto di partenza. Se per creatività a Milano si intende la lettura dei designer milanesi degli anni Ottanta, allora è vero: non c è più la produzione del design. Ma c è l enorme valore internazionale delle scuole di design milanesi, note in tutto il mondo. Quindi, data l esistenza di scuole come lo IED o il notevole lavoro dell Accademia di Brera, come si può sostenere che Milano sia meno creativa di Roma? Non sono assolutamente dell opinione che ci sia una simile aridità nella nostra città. C è, è vero, un enorme problema politico. La città non ha una classe dirigente che la interpreti, né a destra né a sinistra. Perché è peggio parlare dell Io piuttosto che del Noi? Il presente parla dell Io Probabilmente è un problema generale, non solo milanese. Forse. In generale la politica è degenerata, a Milano più che altrove. Milano è stata devastata nella storia della sua classe dirigente. Personaggi formati e strutturati sono scomparsi e ne sono apparsi altri, completamente nuovi alla vita pubblica. Ignorano la bellezza e la profondità della politica. La politica è innanzitutto l arte di saper riconoscere le dinamiche della realtà e di tenere insieme la complessità di tali dinamiche. La politica non è programmazione, né progetto, né dirigismo. Chi pensa il fallimento della politica come mancanza di progettualità è in errore. Nel nostro caso, se una città come Milano non ha un grande progetto, la responsabilità è anche delle sue forze economiche e culturali. Non è solo un problema di governo, ma di interpretazione della città. Da questo punto di vista Milano perde i colpi nel non sapersi riconoscere come metropoli. Milano continua a considerarsi un comune, un piccolo paese, con la conseguenza demenziale che l area milanese non è governata. Demenziale, perché i grandi interventi sono connessi a questo livello della questione: gestire la grande area milanese nel suo complesso. Consapevolezza che manca alle forze economiche. Gianni Zardin Quali sono le difficoltà che i giovani, lavorando con le associazioni, incontrano interfacciandosi con la pubblica amministrazione? La prima grande difficoltà che esprime il tipo creativo in una città come Milano è quella degli spazi. Tutti cercano lo spazio dove poter essere produttori e sperimentatori. La città è estremamente condensata su un territorio piccolo, da ciò deriva una grande richiesta di strutture. A Milano non è accaduto ciò che è accaduto in molte città europee. Le ex aree industriali, che dismettevano uno spazio, decidevano di dare in affitto i box trasformandoli in un nuovo tipo di struttura. È accaduto solo in due o tre situazioni, qui. La storia delle città europee è andata nell oggettiva direzione di trasformazione da città industriali a luoghi di pensiero e ha chiamato tutte le città occidentali a riflettere su questa possibilità. Milano è rimasta indietro da questo punto di vista e ora la paga cara. Così, rivolge la sua offerta al mondo per avere allievi nelle proprie realtà culturali ma non ha il luogo dove ospitarli. L esempio drammatico sono i quarantamila studenti universitari fuori sede che non riescono a trovare un posto letto o che lo trovano solo sul mercato nero. Questa è la capacità ospitale della città. Inoltre bisogna considerare la capacità di mettere a disposizione spazi a prezzi intermedi. Le persone possono reggere un certo tipo di impatto, ma non possono concorrere con le multinazionali. Quindi, lo spazio costituisce un problema terribile. Cento volte all anno ho dovuto dire: No, non ho lo spazio. La seconda difficoltà riguarda l istituzione comunale ed è il passaggio dal Settore Giovanile al Settore Culturale, inteso tout court. La cultura milanese è gestita in chiave rigida e conservatrice. Le nuove presenze non riescono a farsi riconoscere. Restano il più possibile nel Settore Giovani perché non riescono a fare il salto nel Settore Cultura. L esempio tipico è Milano Film Festival. Persone che hanno lavorato benissimo, che continuano a lavorare benissimo e che hanno il diritto di essere riconosciute come realtà culturale. La terza difficoltà è che il nuovo modello di impresa non ha un interpretazione associativa. L associazionismo giovanile non è sostenuto, né aiutato, né protetto. Fare impresa oggi richiede, innanzitutto, che istituzioni come Assolombarda prendano coscienza delle nuove imprese. Le realtà aziendali che nascono ora non sono le arti e i mestieri tradizionali, sono nuovi mestieri e nuove arti. Riconoscere quelle che sono le nuove imprese. Siccome a Milano questo è un problema effettivamente più presente che altrove, diventa l argomento all ordine del giorno. Saper interpretare la città. Hai individuato un minimo comune denominatore fra le proposte che sono arrivate sulla tua scrivania? E inoltre: quali sono le aspettative, le aspirazioni, le tendenze espressive di queste proposte? L indagine delle tendenze. Questo è un argomento molto interessante perché c è un vecchiume oggettivo mascherato da ipermoderno e carico di pregiudizi. Non è vero che l arte giovanile è un arte ribelle. Non è vero che il problema è dissacrare e rompere le forme per essere più liberi. Almeno, non tutta l arte giovanile. Questi sono assunti preistorici, che hanno fatto il loro tempo. I giovani sono figli di questa esperienza preistorica. La conseguenza è che i giovani di oggi sono tutti alla ricerca del segno, dell approfondimento di sé. Può dunque sembrare, in apparenza, che nella loro opera creativa e nella loro arte ci sia meno impegno sociale, meno senso della collettività e della comunità. Sono pagine bianche che si stanno riscrivendo. Pagine sull Io, sull amore, sulle emozioni, sull essere. Io sono entusiasta di questo. Le tendenze sono, poi, molto diverse fra loro: alcune sono conservatrici, altre innovatrici. Anche i racconti che arrivano alla redazione di Subway, per la maggior parte, non appartengono al genere di racconto sociale o di analisi del sociale. C è sempre un Io dominante. Perché è peggio parlare dell Io piuttosto che del Noi? Non si può dire che è peggio, si può valutare che è il presente. Il presente parla dell Io. La domanda, semmai, è: ha quest Io gli strumenti necessari per portare fino in fondo la sua ricerca? L altra grande questione è che l Io, quando si pone, cerca un maestro. Oggi, con chi può porsi? Con chi può confrontarsi? È come se si fosse rotto il filo di collegamento con i maestri. Proprio in occasione di Subway, abbiamo potuto assistere a un confronto fra scrittori affermati e giovani esordienti, ma è una formula unica che ci siamo inventati. Non c è altro. La ricerca dell Io oggi avviene senza padri nè maestri. Se tu dovessi scrivere un racconto su Milano, come lo intitoleresti e che cosa ti piacerebbe narrare? Mi piacerebbe raccontare la mia storia. Ho vissuto cercando sempre di mantenere la fiamma viva, la passione, lo spirito del divertimento, nel suo senso più alto. Anche attraverso la storia di Milano? Può sembrare strano ma mi sono divertito molto facendo l assessore. Certo la fortuna ha avuto la sua parte, nel mio lavoro. Ma il valore della mia storia sta proprio in una certa concezione della libertà. Una libertà che qui a Milano bisogna sempre giocare fino in fondo. Ho giocato a Milano, perché solo Milano poteva garantirmi questo.

6 .6 Un Racconto inedito La mia squadra di basket (una favola sportiva metropolitana) Roberto Perrone Sono diventato padre a cinquant anni. Il fatto, in sé, può non apparire straordinario o fuori dal normale. C è chi è diventato e diventa padre anche a ottanta. Avessi detto madre a cinquant anni, forse avrei suscitato più curiosità, anche se mi rendo conto che anche questa non è più un impresa. Il fatto è che io sono diventato padre di una ragazza di 12 anni. Così, da un giorno all altro. Non l ho vista nascere, non ho trepidato in una sala parto, non ho passato notti in bianco, non ho cambiato pannolini, non le ho fatto credere che Gesù Bambino (o Babbo Natale) mette i regali sotto l albero, non l ho accompagnata al suo primo giorno di scuola. Ho saputo di avere una figlia e l ho incontrata per la prima volta quando aveva 12 anni. Io sono un uomo ricco. Molto ricco. Non è sempre stato così, ma questa non è la storia di come sono diventato ricco. E la storia di come sono diventato padre e di come sono diventato presidente di una squadra di basket che ha appena vinto lo scudetto. Il mio mestiere è fare soldi con i soldi e in questo sono molto bravo. Sono un broker. Insomma uno di quei signori che ricevono i denari di qualcuno e li fanno fruttare, trattenendo una percentuale. Il segreto è che chi mi dà i soldi a volte vince e a volte perde. Io non perdo mai. Vivo in una grande casa nel centro di Milano, davanti al parco. La mattina, prima che l autista mi porti in ufficio -ho due auto, ma non mi piace guidare a meno che non sia strettamente necessario- faccio due passi nel parco. E il Parco Venezia. C è molta gente che fa jogging a quell ora, prima delle sette. Ormai ci conosciamo, loro, almeno conoscono me perché sono l unico con giacca, cravatta e paltò d inverno, e con un completo di fresco di lana o di lino d estate. Loro invece sono in tuta. Io non ho mai fatto sport. Mi sono infilato la mia prima tuta a cinquant anni, un mese dopo aver conosciuto Anna. Anna è mia figlia. Un giorno è squillato il telefono del mio ufficio. La mia segretaria -ma sarebbe più giusto definirla assistente per il ruolo che svolge- che si chiama Claudia, mi ha detto, con un tono di voce divertito: Sai chi c è al telefono? C è Daniela e vorrebbe parlare con te. Claudia lavora con me da quando ho aperto questo ufficio. Mi conosce, mi sopporta, mi aiuta. Io sono diventato ricco e anche lei è diventata ricca. Meno di me, ma ricca. Se lo merita. E brava. Anche Daniela aveva cominciato con me. Anche lei era brava. Io e le due ragazze. Daniela, però, tredici anni fa se n è andata. Così, dall oggi al domani. Un giorno è venuta in ufficio, mi ha dato una lettera e mi ha detto: Sono le mie dimissioni. Ho sempre pensato che avesse preso la decisione per quello che era successo tra di noi. Non sono un uomo brutto. Sono alto, magro, sempre elegante. Ho dei bei capelli che porto quasi sempre spettinati. Con Daniela abbiamo avuto una storia. Una sera ci eravamo fermati a lavorare in ufficio. La prossimità, la complicità, uno sguardo, l accensione del desiderio. E andata avanti per tre mesi. Poi lei è venuta con la lettera di dimissioni. Non c era niente su di noi in quella lettera, solo che se ne andava dall ufficio. Non ho fatto nulla per trattenerla. Tredici anni dopo mi ha chiamato. Ha voluto incontrarmi. Ci siamo visti in centro, in un bel bar dietro via Montenapoleone. Lei è ancora bella. L ho pensato appena l ho vista. E ho guardato l anulare. Niente fede. Si è seduta davanti a me, ha ordinato un cappuccino (prendeva cappuccini a ogni ora anche quando lavorava da me). Ciao. Ciao Mario. Voglio subito dirti che mi dispiace disturbarti, ma mi sento in colpa con una persona molto importante per me e voglio rimediare. Non ho detto nulla. Io so ascoltare. Ha tirato fuori una foto dalla borsa e me l ha fatta vedere. Una ragazzina sorrideva all obbiettivo. Carina, alta, magra e con il naso leggermente arcuato. Come il mio. Questa è Anna, mia figlia e tua figlia. Non sono un uomo che si emoziona. Ma qualcosa, da qualche parte, dentro di me, ha creato una specie di vuoto d aria, come quando, in volo, ci sono le turbolenze. Non ho detto nulla neanche questa volta. Ho guardato la foto. Neanche per un attimo ho pensato che fosse un invenzione. Daniela ha continuato: Sono rimasta incinta di te, tredici anni fa. Per questo me ne sono andata. Tu non sei cattivo, ma sei un uomo inafferrabile, Mario. Io non volevo un uomo che mi pagasse regolarmente il mantenimento di mia figlia, perché so che tu l avresti fatto e anche generosamente, ma che non facesse realmente il padre. Non sapevo come ti saresti comportato e non volevo correre rischi e causarle delle sofferenze. Ho pensato che fosse meglio che mia figlia credesse che suo padre fosse sparito. E cos è cambiato?. Un piccolo velo (Di commozione? Di orgoglio?) è passato nei suoi occhi. Adesso Anna è una ragazzina splendida, intelligente che non si accontenta più di sapere che suo padre se n è andato. Vuole sapere. E io mi sono sentita in colpa, per averle mentito. Oggi confesso i miei peccati e saldo i miei debiti. L ho detto a te e -ha guardato l orologio- tra un ora lo dirò a lei. Vorrei che v incontraste. Sabato pomeriggio, lei gioca una partita di basket alla palestra Forza e Coraggio, giù al Vigentino. Perché non vai a prenderla? State insieme, rispondi alle sue domande. Non ti chiedo di farle da padre, ma almeno d incontrarla. Le Trottoir Daniela si è sbagliata. Non sono inafferrabile. Sono andato con il mio Suv. Una roba enorme, tedesca. Non so neanche perché l ho comprata. Ma l altra auto che ho è una Jaguar, forse un po esagerata. Almeno questa ha l aria del gippone, apparentemente più sportiva. Ho parcheggiato davanti al complesso. Intorno a me, genitori e bambini, gente in tuta, strade di periferia, palazzi, bar, pizzerie. Non ho trovato l ingresso. Prima mi sono infilato in una palestra piena di ragazzini e ragazzine che facevano ginnastica. Poi sono entrato sul campo di basket, ma dalla parte sbagliata. Ho dovuto percorrere tutto il perimetro del campo, ma nessuno si è accorto di me. Una trentina di persone seguiva la partita. Mi sono seduto in tribuna. La gente tifava, ma tranquillamente. Mia figlia svettava sulle altre, con una treccia che le scendeva sulla schiena. Il suo numero era il 5. Non so niente di sport, ma mi è parso subito chiaro che la sua squadra fosse inferiore all altra. Si battevano ma le altre infilavano più spesso il pallone nel canestro. A un certo punto ho cercato con lo sguardo il punteggio. Lassù in alto c era il conta punti: C è stato il tempo per un altro canestro, poi la partita è finita: Le ragazzine si sono salutate sportivamente, ma a me è dispiaciuto per la sconfitta della squadra di Anna. L ho aspettata fuori. Anna portava una giacca a vento sopra la tuta e in testa aveva un berretto di lana. Mi ha squadrato. Mi sembra di stare allo specchio ha detto. Le ho fatto strada verso l auto. Ha messo la borsa nel bagagliaio e si è seduta davanti. Bella questa macchina, la mamma me l aveva detto che eri ricco. E cos altro ti ha detto?. Che non te n eri andato, che era una bugia. In realtà non ti aveva mai detto che esistevo. Ne parlava tranquilla, serena, come se fosse una storia naturale. Aveva uno sguardo intelligente, sveglio e quel vuoto d aria, quella turbolenza, si agitava sempre di più dentro in me. Cosa vuoi che facciamo?. Ho un po di fame. Erano le cinque del pomeriggio. Un pezzo di pizza, un panino? Dimmi tu. Possiamo andare da McDonalds?. Possiamo fare tutto quello che vogliamo. Siamo andati da McDonalds. Credo sia stata la prima volta che ci sono entrato. Quando siamo usciti Anna mi ha detto: Non lo dire alla mamma, però, lei non mi ci porta mai, ma a me piace. Ogni tanto possiamo andare, ma non sempre, sei d accordo?. Sarà il nostro segreto. Tutti i sabati ero a vedere la partita di basket, spesso andavo anche ai due allenamenti durante la settimana. Poi io e mia figlia andavamo a mangiare una pizza. Dopo un mese, mentre aspettavo Anna, il coach si è avvicinato e mi ha chiesto se potevamo parlare. Si è presentato. Giuseppe Stancanelli. Come il nome della squadra, F.Stancanelli, gli ho fatto notare. E dedicata a mia sorella Fiorenza. Giocava a basket, era promettente, ma venne investita da un auto pirata e morì dopo alcuni giorni di coma. Così mio padre ha fondato la squadra. Ho fatto un cenno come dire che avevo capito. Lui sembrava imbarazzato. Mi scusi se glielo chiedo, ma ho visto che lei viene sempre alla partita e che ha quella grossa macchina. Mi accompagnerebbe a Como a prendere del materiale?. Materiale?. Noi non abbiamo grandi risorse, così alcune società di serie A ci aiutano. Ci passano palloni, magliette, altre cose che ci occorrono. A volte facciamo due viaggi, ma lei ha una macchina così grande. Siamo andati un venerdì sera. E venuta anche Anna. Coach Stancanelli (si chiamano così, senza articolo davanti) mi ha spiegato che non hanno una palestra loro, ma girano, ospiti di altre società o di strutture comunali. Ho scoperto un mondo che non conoscevo, quello di uomini, donne, ragazzi che s impegnano senza nessun guadagno per squadrette di ragazzini. Solo passione, in perdita. Per me, che ho sempre vinto, è stata una scoperta sensazionale. E ho scoperto il gusto che si prova a dare una mano senza ricevere nulla in cambio. O meglio, ricevendo moltissimo. Ho cominciato a fare l assistente del coach. Il secondo. Andavo in panchina (in tuta), passavo l acqua alle ragazze, ascoltavo il coach che dettava gli schemi (mi sono comprato dei libri per capire), davo il cinque a chi entrava e a chi usciva. Un giorno è venuta Daniela e, quando mi ha visto in panchina con la tuta, è sbiancata. Ma non ha detto nulla. Mi sarebbe piaciuto parlarle, ma lei si è sempre mantenuta distante, lontana. Non è mai entrata nel rapporto tra me e Anna, come se la cosa non la riguardasse. Però so che è soddisfatta della scelta di averci detto tutto. E arrivato Natale e ho voluto fare un regalo a mia figlia. Non solo a lei, veramente, ma a tutta la squadra. Ho chiesto aiuto a uno dei miei clienti, un immobiliarista, e lui mi ha trovato un area industriale dismessa tra Milano e San Donato, poco oltre il Corvetto. In mezzo c era un capannone in buone condizioni. Ho comprato tutto e non mi è costato neanche tanto. La sera della pizza natalizia della squadra mi sono offerto di organizzare io e li ho portati tutti lì. Genitori e figli. C era anche il padre del coach, il signor Stancanelli, il presidente. E c era anche la pizza (e non solo): in mezzo al capannone avevo organizzato un bel buffet. Tutti si guardavano intorno stupiti. Ho consegnato le chiavi del capannone al signor Stancanelli. Questo sarà il campo della Stancanelli, naturalmente dopo che l avremo fatto mettere a posto. Non possiamo accettare ha detto il signor Stancanelli. E un regalo per mia figlia era la prima volta che la chiamavo così e Anna mi ha sorriso Lei crede molto a questa squadra e a questo sport. E quindi ci credo anch io. Voglio che la Stancanelli abbia una sede, un luogo dove possa lavorare Edoardo F. Tavola in pace. Basta su e giù per Milano, basta viaggi in giro per la Lombardia a cercare materiale. Se lo meritano le ragazze e ve lo meritate voi per i sacrifici che avete fatto in questi anni. Il signor Stancanelli mi ha dato la sua mano da stringere. Accetto, ma a una condizione. Il nome Fiorenza Stancanelli resterà, ma il presidente sarà lei. Senta, io. Mi ha interrotto. No, ascolti me. Noi abbiamo mosso i primi passi, ma ora che questa società si sta trasformando, ci vuole un presidente all altezza. Non parlo solo dei soldi. Lei ha entusiasmo, mio figlio me l ha detto. Può fare molto. Ho guardato mia figlia che con lo sguardo mi chiedeva di accettare. Ci siamo stretti la mano tra gli applausi. Anna è seduta sul divano e sta mangiando un Big Mac. Abbiamo fatto un patto, dieci anni fa. Quando segna più di venti punti in una partita, la porto da McDonalds. Mangiamo lì, oppure prendiamo un take-away. Oggi ne ha fatti 26 e grazie a lei, ma anche alle due americane che abbiamo messo sotto contratto l estate scorsa, durante il nostro abituale viaggio negli Stati Uniti, la Stancanelli ha vinto il suo primo scudetto. Con Anna, che ora è alta un metro e ottantacinque, stiamo guardando i servizi sulla vittoria nella gara-5 di finale nel palazzetto che ha sostituito il capannone nell area industriale. La Stancanelli si chiama ancora così, senza sponsor. L ho fatto mettere nello statuto, come il Barcellona: la maglia rossa è intonsa, c è solo scritto Fiorenza Stancanelli. Non che gli sponsor non ci siano, ma non esiste lo sponsor principale, quello che, nel basket, prende il posto del nome originario. Per tre quinti del quintetto base la Stancanelli è ancora la squadra di un tempo e il nostro settore giovanile sforna atlete fortissime. C è la lista di attesa per entrare. Il comune e il prefetto mi avevano chiesto di giocare la finale in un impianto più grande. Gli ho risposto di no. L ultima ristrutturazione ha portato la capienza a posti. E il nostro stadio e qui giochiamo. In molti, politici, imprenditori, mi hanno chiesto cosa possono fare per noi. Vogliono aiutarci. Investite a fondo perso. Anzi, non perso, basta vedere i 300 ragazzini che ruotano attorno alla Stancanelli. Investite nello sport di base senza pensare al ritorno economico. Fate come gli Stancanelli e come me. Io non pensavo di vincere lo scudetto, ma volevo un luogo pulito, organizzato, accogliente dove mia figlia e le sue compagne potessero praticare il basket. Qualcosa mi è arrivato, molti non li ho più visti. I giornalisti parlano di favola, di miracolo. Sullo schermo io sto rispondendo a un giornalista che vuole sapere da cosa è cominciato tutto. Dalla prima volta che sono andato a vedere mia figlia. La sua squadra perse 70-8 e io ci rimasi male. Non era giusto. Forse è cominciato tutto da lì. Anna è sorpresa. E vero?. Insomma, alla cinquantesima intervista non sapevo più che dire. La verità è che il basket è stato un modo per recuperare i dodici anni della mia vita senza di te. Però è anche vero che mi era dispiaciuto per quella sconfitta. Allora meno male che non ne abbiamo mai discusso. Perché?. Perché la società avversaria si era sbagliata, avevano schierato la squadra di una categoria superiore. Noi, quella partita, l abbiamo vinta a tavolino. Roberto Perrone, giornalista sportivo e scrittore, ha pubblicato il romanzo Zamora, edizioni Garzanti 2003.

7 Un Racconto inedito.7 (Via) Fiamma, al 5 Enrico Mottinelli Ai valorosi di Monticelli - maggio 1918 è scritto su una medaglietta quadrata appuntata sul cappello del V Reggimento Alpini di mio nonno Giacomo, unico cimelio che ha lasciato oltre a qualche fotografia, ma che non aveva conservato lui, morto troppo presto per avere il tempo di pensare a cose del genere. E poi non era nemmeno il tipo. Gioviale, la battuta sempre pronta, doveva averne viste abbastanza durante la guerra, la prima, quella Grande, per lasciarsi impressionare da qualcosa, tanto meno dalla morte, così stupida e sempre troppo a portata di mano per darsene pensiero. Le cose passate, per lui, dovevano essere soltanto dei buoni spunti per delle storie, da tirare fuori al momento opportuno e da reinventare secondo l occorrenza: le prove materiali, oggettive, l avrebbero messo in difficoltà, costringendolo a un aderenza ai fatti che avrebbe imbrigliato la sua fantasia. E questo, secondo lui, non doveva essere un buon modo per rendere migliore la vita. La medaglietta celebra l ultima offensiva italiana, quella decisiva, sull Adamello, quando finalmente, dopo quattro anni di battaglie estenuanti e per lo più inutili, gli alpini riuscirono a conquistare la cresta del Monticelli, che domina il Passo del Tonale, controllando così uno dei varchi principali attraverso il quale il generale Conrad aveva ipotizzato di sfondare il fronte italiano: da lì a piazza del Duomo a Milano ci avrebbe messo sì e no un paio d ore. Giacomo, quella volta, c era anche lui. La sua compagnia, la 52, aveva il compito di assaltare il Passo del Paradiso attaccandolo dal Castellaccio e di neutralizzare le postazioni austriache che nel Settembre del 17 avevano raso al suolo Ponte di Legno. Era un sergente, aveva ventisette anni, e non dovette mettercene molto di entusiasmo, mentre attraversava la pietraia correndo incontro al nemico. Gli era toccato troppo spesso, infatti, scendendo in paese, di dover passare a casa di questo o quel soldato per comunicare ai familiari che il loro caro era morto; da eroe, ovviamente, anche quando, invece, si era beccato una pallottola in fronte perché aveva acceso una sigaretta di notte, come dire al cecchino sono qui. Durante l attacco, mentre qualche ragazzino esaltato urlava il suo Avanti, Savoia!, immagino che Giacomo avrà più coscienziosamente imprecato contro il governo e contro il re. Col suo fucile modello 91, quattro chili e due con la baionetta inastata, e il suo cappello infilato nello zaino e l elmetto in testa, e sperando che Dio gliela mandasse buona anche quella volta, Giacomo mise piede sul Paradiso, da conquistatore, lì dove, Fermata metropolitana soltanto quattro anni addietro, ci veniva a fare le sue gite, prima che qualcuno decidesse che basta, da quel momento per salire in montagna bisognava ammazzare della gente. In una tasca della giubba, con le due stellette sotto il mento e la fila di bottoni sul davanti, scommetto aveva una delle lettere che da qualche tempo una certa ragazza di Milano gli spediva con una buona regolarità. La prima, credo, dovette riceverla poco dopo il Natale del 16, dopo la storia del mulo, al Mandrone. Enrica ha quindici anni, nel 16, quando partecipa alle riunioni di un gruppo di Dame della Carità insieme a sua madre. Vive con la famiglia a Milano, in via Fiamma, al 5, in un palazzo che oggi mette un po di tristezza, con la congestione di auto parcheggiate che gli mordono i piedi, la facciata piatta, senza espressione. Dalle finestre di casa vede il fianco della chiesa di Santa Maria del Suffragio, al di là della piazza, e la infastidisce lo sferragliare del tram che va su e giù per il corso XXII Marzo, disturbandola quando si esercita al pianoforte. Contempla atterrita, sulla copertina della Domenica del Corriere, le tavole a colori che raffigurano le azioni di guerra svolte durante la settimana. Qualche volta ci sono anche gli alpini. Sollecitate dalla propaganda governativa, che punta a diffondere un minimo di spirito patriottico perché la popolazione accetti una guerra che non ha voluto, le Dame si sono organizzate per portare conforto ai soldati al fronte. Il gruppo di Enrica sceglie, come destinatari delle proprie cure, gli alpini del V Reggimento Alpini, e per il secondo Natale di guerra confeziona pacchi da inviare al fronte con tacchino ripieno di castagne, panettoni, torrone e vino buono. Un bendiddio da risuscitare un La sento, Milano, odo la sua vocina flebile di città dolorante, trattata come una puttana, invece pulsa ancora di vita, quando si smette di usarla soltanto morto. Già, se riuscisse ad arrivare a destinazione, perché l inverno del 16 è uno dei più nevosi che si ricordi. E al Mandrone, dove Giacomo è dislocato con la 52 sotto dieci metri di neve, non arriva un bel niente, perché l unico modo per mandarci qualcosa è la teleferica che, però, ha il cavo spezzato. Così, per non morire di freddo e di fame, gli alpini della 52, la sera della vigilia di Natale, in pentola ci mettono un mulo. Sanno di sfidare la sorte, perché quello che stanno facendo è contro il regolamento e rischiano di finire tutti quanti, capitano in testa, davanti al tribunale militare. Ma morire assiderati e con la pancia vuota, o fucilati, non fa una grande differenza: Che ci venissero i parrucconi del tribunale, su al Mandrone, col regolamento in mano, a fare la predica! Quando finalmente il cavo della teleferica viene sostituito, la vita ricomincia, e con essa, naturalmente, la guerra. E sulla faccenda del mulo qualcuno, al comando, ha evidentemente deciso di chiudere un occhio: vuoi vedere che quel povero animale è morto di freddo? Il V Alpini è stato fondato a Milano da poco più di trent anni, nel 1882, e qui ha sede il comando. Ci sono passati Cesare Battisti, arruolato volontario come soldato semplice e assegnato alla 52, e Carlo Emilio Gadda, nominato sottotenente della milizia territoriale e destinato al Magazzino di Edolo, a due passi dalla casa che il padre di Giacomo ha finito di costruire con le proprie mani solo tre anni prima, e che tutt oggi è ancora lì. Non costa molto perciò, alle Dame del gruppo di Enrica, farsi dare i nominativi dei loro assistiti. Li vogliono, e li ottengono, perché adesso faranno le madrine di guerra. Ognuna di loro riceverà il nome di un soldato e si impegnerà a rincuorarlo con le parole, magari suggerite dal parroco, perché non sia mai che qualche ragazzotto in divisa si faccia venire strani pensieri. A Enrica tocca un sergente della 52 compagnia del Battaglione Edolo, e inizia a scrivergli. Non si lascia scoraggiare dal fatto che il suo alpino non risponde. Scrive altre lettere, che piano piano fanno breccia. Giacomo, dopo aver fiutato l odore di sagrestia appiccicato a quelle buste e averne infilate più d una nella bocca della stufa, a un certo punto comincia invece ad aspettarle. Gli fanno compagnia. Per qualche ora lo portano via da lì, dal freddo, dalla paura, dalla vita primitiva e feroce che gli tocca fare nelle trincee scavate a tremila metri. Quelle parole scritte con cura, eleganti, messe in fila come Dio comanda, sono musica che gli intenerisce il cuore. Alla prima licenza buona perciò, all inizio della primavera, Giacomo scende dalla montagna, si ferma in paese a salutare i suoi, e poi via, a Milano, a conoscere quella ragazza tenace e delicata. L indirizzo lo conosce: via Fiamma, al 5, vicino alla chiesa di Santa Maria del Suffragio. Ci si arriva col tram, volendo. È nervoso, non sa bene come dovrà comportarsi, non è abituato a frequentare le case della gente di città. In mano, nascoste dentro il cappello piumato che si è già tolto, ha due stelle alpine, raccolte apposta per l occasione. Cammina su e giù lungo il marciapiede davanti al palazzo. Non sa decidersi. Tutto il coraggio col quale è riuscito a cavarsela fin lì nel furore delle battaglie e nel rigore dell inverno sulle cime si è squagliato al tiepido sole milanese. Alla fine si riscuote - non può mica tornare indietro!-, chiama a raccolta tutta la forza d animo di cui dispone, poi Avanti, Savoia!, mormora tra sé, ed entra nel portone. È gioia mista d incertezza e di desiderio che m agita il sangue nelle vene! Potessi vedere nell avvenire!, scriverà Enrica nel suo diario, infilando a quella pagina le due stelle alpine. Forse ho capito qualcosa nei tuoi sguardi, e nelle tue mani stringenti le mie, credo aver sentito un fremito, una vampata di sangue ardentissimo! L anno prossimo, di quest epoca, saranno trascorsi novant anni giusti giusti da quando Enrica e Giacomo si conobbero, al 5 di via Fiamma (che per me non è più, ormai, il cognome di Galvano, cronista milanese , ma un fatto). Ogni volta che mi capita di passarci, davanti al 5, me lo vedo lì, mio nonno, tremebondo e ingessato nella sua divisa di sergente, che tormenta agitato il cappello, poco prima di salire le scale di quel palazzo, suonare il campanello ed essere sopraffatto dall entusiasmo della sua Enrichetta che gli getterà le braccia al collo al grido Il mio alpino, il mio alpino. Se non lo avesse fatto io non esisterei. Un pensiero banale, certo, però quando mi viene in mente, Milano mi appare diversa, finalmente un po mia, e io stesso riesco a considerarmi un milanese, da sempre, da prima di immaginarmi che lo sarei diventato; uno che a Milano non ci abita per caso o per necessità, ma ci vive. La sento, Milano, odo la sua vocina flebile di città dolorante, zittita, trattata come una puttana (paghi e ci fai quello che vuoi) e che invece pulsa ancora di vita, di memoria e di futuro, quando le si toglie il bavaglio e per un istante si smette di usarla soltanto. A volte mi viene la fantasia di portare in via Fiamma, per fargli fare un giro, il cappello da alpino di Giacomo, che adesso è mio, insieme con la sua medaglietta. Tanto sui marciapiedi di Milano si incontra di tutto, dalla quantità indicibile di merda di cane alle auto-alloggio: chi lo noterebbe uno come me che porta a spasso un cappello gualcito? Magari a Giacomo e a Enrica, in qualunque posto siano andati a finire, sia pure il nulla, strapperei un sorriso. Rimetterei in circolo vampate di sangue ardentissimo. E anche Milano, forse, per qualche minuto, riprenderebbe coraggio, e si potrebbe sentirla fremere di avvenire. Amalia Violi Enrico Mottinelli ha pubblicato il romanzo Lontano Padre, edizioni E/O 2005.

8 .8 I Lettori italiani Indagine su un lettore al di sopra di ogni sospetto Enrico Finzi Mi é stato chiesto un contributo sul rapporto tra i nostri connazionali e la lettura dei libri. Accetto volentieri l invito facendo la sola cosa che so fare bene: riferire i risultati di ricerche sociali e di marketing da me coordinate; in questo caso di un indagine demoscopica svolta qualche tempo fa per Harlequin. Se prendiamo in considerazione i 47,4 milioni di italiani 14-79enni (esclusi i non residenti ed i membri delle convivenze: ospedali, ospizi, carceri, caserme, ecc.) ben 25,2 milioni -cioè il 53,2%- non amano o non sanno leggere libri. Molti di costoro non leggono perché non possono farlo: a parte i non vedenti che non utilizzano l alfabeto Braille, ancora circa 9,8 milioni di adulti (esclusi i meno che 14enni e gli ultra 79enni) non ce la fanno a leggere in quanto analfabeti o semi-analfabeti, oppure in quanto in grado di compitare testi brevi ma non di affrontare un testo relativamente lungo e complesso, o ancora in quanto impossibilitati a farlo per motivi di reddito (non disponendo peraltro della possibilità di ottenere libri in prestito o comunque gratuitamente). libri ed il 13,1% della popolazione tra i 14 ed i 79 anni d età: per lo più maschi, meno che 45enni ed in particolare 18-34enni; residenti al Sud (ma poco in Abruzzo e Molise) oltre che nel Lazio e nel Friuli Venezia Giulia/Veneto, pressoché equidistribuiti nei comuni di tutte le dimensioni; disoccupati e salariati di livello basso, con molti lavoratori autonomi e in parte impiegati pur essi bassi (e con diversi studenti degli istituti tecnici e professionali, piccoli imprenditori, casalinghe); di classe media o inferiore, con la licenza media o -più raramente- il diploma superiore; ascoltatori medi della tv e lettori non regolari sia di quotidiani (specie sportivi ed a volte locali) sia di mensili connessi a specifici consumi (auto, moto, salute, fitness, ecc.); con Forza della Personalità medio-bassa. Si tratta d una novità radicale, almeno dal punto di vista delle ricerche sociali e di marketing, emersa per la prima volta nel 1996 in occasione dell indagine realizzata da Astra Ricerche per conto dell Associazione Italiana Piccoli Editori. libri che costoro propongono é rabbrividente: un individuo presuntuoso, anaffettivo, introverso, negativamente pieno di dubbi e sfumature, intellettualistico, complicato. Totale e rivendicato con forza é qui il rigetto di tutto ciò che richiede approfondimento e dunque fatica, di ciò che non si brucia in un breve attimo, al fondo del pensare (sostituito dal sentire: spesso passivo perché indotto dalla tv, dal cinema, dalla pubblicità non fruiti con spirito critico). Colpiscono l intensità e la diffusione delle istanze anti-intellettuali che hanno accompagnato tanta parte del populismo reazionario del 900 e che qui si ripresentano con allegra aggressività: stanno riemergendo i veleni dell odio antico per la ragione, il rigetto d ogni attività di scavo dei problemi, la mitizzazione della semplicità, un edonismo superficiale privo d ogni cultura dell investimento (a partire da quello personale del conoscere per crescere, produrre, avere successo). L inadeguatezza percepita dell offerta dà, naturalmente, una mano: con i prezzi dei libri descritti All opposto, in Italia, tra i 14-79enni il 46,8% ama leggere libri (sono esclusi dal novero quelli indispensabili come i manuali scolastici e le pubblicazioni tecniche necessarie al lavoro): si tratta d un mondo variegato, composto da 22,2 milioni di adulti, in media 25-54enni; residenti nel Nord-Est (in particolare in Emilia Romagna) e in Lombardia; laureati e -meno- diplomati; di classe medio-alta/alta ed anche media (per l esattezza la fascia alta di tale classe socio-economica); singles; imprenditori/dirigenti/professionisti e studenti più molti impiegati/quadri/docenti; lettori di quotidiani e periodici; medio-deboli ascoltatori tv (in media 1,4 ore al dì); forti spettatori cinematografici; con elevata Forza della Personalità. All interno di questo universo si può individuare un nucleo forte di lettori intensi (circa 6,2 milioni di adulti), che non supera il 28% di tale mondo e -intorno- una sorta di corona circolare, più ampia, che vale il 72% (16,0 milioni di persone), ove dominano largamente le donne; i 18-1 Sviluppare un offerta di libri facili (il che non significa cattivi ), ossia ben scritti (e tradotti), comprensibili, ben stampati e non troppo lunghi, leggibili per brevi moduli. 2 Accrescere l offerta di libri coinvolgenti, offrenti emozioni forti e semplici, appassionanti (in senso stretto) e costruiti con tecnica cinematografica o televisiva (ben nota ai lettori potenziali). 3 Cavalcare il bisogno -assai crescente specie tra le donne- di conoscenza by emotions e di emozioni colte, di nuovo mix di sapere e di intensità affettiva: laddove il pensare e l approfondire non sono alternative al sentire col cuore e con la pancia, ma anzi si integrano e si rilanciano a vicenda in un esperienza totale, più forte di tante altre esperienze di consumo e di vita. 4 Intersecare maggiormente massmedia (tv, radio, cinema, stampa, internet, ecc.) e libri, tramite un rinvio continuo degli uni agli altri e viceversa, in modo da far vivere la lettura d un libro come un esperienza preziosa ma accessibile, non avulsa dalla vita d oggi. 22% NON SANNO O NON POSSONO LEGGERE 18% POSSONO MA NON VOGLIONO LEGGERE 13% VORREBBERO MA NON POSSONO LEGGERE 34% LEGGONO POCO 13% LEGGONO MOLTO Quest Italia marginale costituisce una realtà pesante e difficilmente aggredibile: ed é un Italia specialmente tardoadulta e senile (cioè 55-79enne); senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare (più raramente con la licenza media); residente al Sud e nel Lazio oltre che nei comuni al di sotto dei 30mila abitanti e nelle metropoli; con reddito e consumi bassi ed anche medio-bassi; composta in prevalenza da pensionati e casalinghe ma con presenza anche di salariati e lavoratori autonomi (più diversi disoccupati giovani meridionali); teledipendente (guarda la tv quattro o più ore al giorno) e non lettrice di quotidiani e periodici; di cultura arcaica o proto-industriale; con infima Forza della Personalità (ossia incapace di influenzare gli altri). Con un aggiunta: qui maschi e femmine quasi si equivalgono, malgrado le lei siano più favorevoli alla lettura di libri (e ciò perché in Italia le donne in passato studiavano meno a lungo e lavoravano assai meno fuori casa). Ma c è un altra e crescente fetta della torta dei non lettori di libri che avrebbe la capacità di farlo ma si rifiuta ed anzi teorizza tale rifiuto presentandolo come una scelta consapevole e positiva. Stiamo parlando di circa 6,2 milioni di adulti, ossia un quarto dei non lettori di Sino ad allora, appunto, le ricerche vedevano il non-lettore di libri in posizione difensiva, tutto teso a giustificare tale sua colpa (poiché avvertiva la riprovazione sociale del suo comportamento). Ma da qualche anno il legger libri é identificato spesso con l assenza del piacere, anzi come un ostacolo al piacere; come noia e fatica senza senso e senza riscatto; come frigida solitudine senza calde interazioni sociali; come vecchia, triste, stressante espressione del rifiuto della modernità. Molti non lettori di libri rivendicano orgogliosamente la loro scelta, accusando i libri d esser perdenti sui due terreni dell informazione rapida e dello svago euforizzante; di far perder tempo; d esser estranei alla cultura contemporanea della velocità, del ritmo incalzante, del consumo rapido di micromoduli non complessi. L immagine del lettore di come troppo elevati, specie rispetto alla qualità percepita dei prodotti; con la distribuzione insufficiente quantitativamente e qualitativamente e cioè in termini di servizio al cliente; con la latitanza d un moderno e noto sistema di biblioteche pubbliche eccetera. Esiste, poi, un terzo partito di non lettori ed é quello di coloro che amerebbero dedicarsi a quest attività ma non ne hanno il tempo: si tratta di 8,7 milioni di adulti (il 18,4% del totale adulti), prevalentemente donne, 25-64enni ed in particolare 25-44enni; residenti nel Centro- Nord (salvo il Lazio) e nei comuni da 100mila abitanti in su; diplomate; di classe media; impiegate e lavoratrici autonome ma anche salariate e neo-casalinghe; lettrici di quotidiani e periodici, ascoltatrici medie e medio-basse della televisione; con Forza della Personalità quasi media. Subway - by SolariS 44enni; diplomati (ma si trovano pure soggetti con la licenza media o la laurea); gli studenti e gli attivi nell industria ed ancor più nei servizi, con diverse neocasalinghe (specie nel Lazio e al Sud); i residenti nei comuni con più di 10mila abitanti (il picco é tra i 30mila ed i 250mila); le classi dalla medio-bassa alla medio-alta; gli ascoltatori della tv (in media 2,3 ore al giorno), i lettori regolari di quotidiani e periodici; i soggetti con medio-alta Forza della Personalità. Ebbene, due sono i macro-problemi dell editoria libraria in questo Paese: restringere l area della non lettura ed intensificare la lettura dei lettori deboli. Alla luce delle indagini svolte da Astra Ricerche é possibile, con tutti i limiti del caso, individuare un insieme di must, di operazioni da fare: insieme che qui di seguito presentiamo sotto forma di decalogo (i 10 Comandamenti...). 5 Considerare cultura a pieno titolo la cosiddetta editoria di consumo, ricordando che l 82% dei lettori forti ed alti legge anche libri facili, mentre nel 67% dei casi iniziare a consumar libri partendo dal basso spinge via via ad incamminarsi sulle strade che portano verso libri via via più complessi, sofisticati, difficili. 6 Modificare -anche tramite la comunicazione- l immagine del lettore, presentandolo come un individuo moderno, socievole, positivo, che cerca e trova emozioni e passioni, che ama vivere intensamente e amare e divertirsi, poliedrico ed anche perciò ricercante momenti di coinvolgimento potente e di riflessione non depressiva. 7 Contenere i prezzi e specialmente comunicarli, in modo che il consumatore potenziale sia in grado di riposizionare il libro nella scala prezzi dei diversi beni e servizi a lui noti. 8 Rendere diffusa, vicina e semplice la distribuzione nel suo scalino d ingresso, per poi aiutare l upgrading verso librerie moderne e non respingenti. 9 Favorire tutto ciò che -anzitutto nell organizzazione sociale- può dare tempo ai nostri connazionali ed in primo luogo alle donne, dal momento che l Italia arcaica ed ignorante é quasi impossibile da scalfire; che la povertà materiale -connessa alla diseguaglianza sociale- é ardua da ridurre (e comunque solo dopo parecchio tempo dalla sua scomparsa consente un incremento del consumo di libri) e che invece é proprio la vera nuova povertà, quella di tempo, a strozzare la lettura dei libri e -appena si riduce- a liberare risorse investibili subito in tale attività. 10 Sviluppare la lettura gratuita o quasi, tramite lo sviluppo -come all estero- di un efficiente e capillare sistema di biblioteche (pubbliche e non), anche circolanti o con servizio a domicilio.

9 .9 Generi dal sottosuolo Breve viaggio attraverso cinque anni di Subway Andrea Chiurato Un fenomeno in particolare meriterebbe l attenzione di ricercatori e studiosi. Potete osservarlo anche voi. L esperimento che vi proponiamo è semplice e relativamente poco costoso. Vi occorre innanzitutto un biglietto. Riesce meglio in metropolitana, ma ci si può accontentare di un qualsiasi mezzo pubblico. Scegliete un tragitto superiore alle due fermate e sedetevi. La vettura si mette in marcia ed ecco prodursi inevitabilmente il miracolo. L occhio, nonostante il peso del sonno, rifiuta di stare calmo. Eccolo affannarsi sulle punte delle scarpe del vostro vicino. Inesorabilmente risale, ma ecco che l altro reagisce. Il contatto è minimo, ma disastroso. Si richiede un altra seppur minima distrazione. Elimina i tuoi peli superflui in sole L affissione sopra l uscita ( Lasciare scendere prima di salire ) non fornisce argomenti sufficienti ad interessarci. Ripiegare su qualcosa di meno prosaico. Giungono in aiuto le sempre disponibili norme di sicurezza. In caso di emergenza blablabla L inizio appassiona sempre, ma poi ci si perde. Siamo prossimi ad una crisi. Un nervosismo strisciante si impossessa della pupilla che sobbalza inquieta tra un titolo di giornale (da decifrare rigorosamente al contrario) e il panorama sbiadito fuori dal finestrino. Il battito cardiaco aumenta non siamo neanche alla prima fermata. Un vero e proprio bazaar del Novecento, dal minimalismo a Borges Nonostante abbia destato l interesse degli investitori della free-press e dato un pretesto al narcisismo di alcuni inguaribili grafomani, la dipendenza da lettura nei mezzi pubblici è ancora un fenomeno sottovalutato. Subway nasce proprio da questo microcosmo di vagoni rumorosi e pendolari affrettati. Scandendo la lettura con il metronomo delle porte scorrevoli, costringendola negli spazi stretti del racconto. Dedicando la possibilità di riscattare questi tempi morti ai giovani scrittori italiani. A cinque anni dalla prima pacifica invasione dei juke-box letterari nella metrò di Milano, oggi il contagio dilaga anche a Roma e a Napoli. Un concorso di cui appare da subito forte l identificazione con una realtà urbana. Nato e distribuito (gratuitamente) nel più moderno luogo di transito. Ma non solo questo. Perché se sottoterra formicola il variegato popolo dei pendolari è altrettanto vero che quaggiù, in attesa della nostra fermata, ci capita di lanciare uno sguardo attorno. A volte in questa piccola distrazione si nasconde la possibilità di un racconto. Un evento minimo, un piccolo incidente. I sismografi delle giovani proposte di Subway hanno una particolare sensibilità nel cogliere i battiti della quotidianità. I personaggi, le irresistibili macchiette, che sembrano essere scappate da un romanzo, per paura di non riempirlo abbastanza. Come l indimenticabile studentessa minimalista di Simonluca Merlante: Beh, Lei non lo può sapere, ma comunque sono una di quelle ragazze postmoderne che veste abiti comperati il sabato pomeriggio con le amiche giù per i negozi del centro; mi piacciono tanto i jeans semifirmati che ti fasciano il culo, le cover per il Chiesa di San Marco Nocchia con su i cuoricini e Robbi Uilliams, le borse tarocche che ti vende il marocchino sulla spiaggia di Cattolica. Basta poco e così, con quattro virgole veloci come proiettili di un plotone di esecuzione, la nostra studentessa viene riassunta, condannata, liquidata. Uno tra i tanti ritratti al vetriolo che affolla le gallerie, lunghe e mal illuminate, della sotterranea. Gallerie ormai ramificate, in profondità, attraverso i colori dei generi più diversi: dal giallo Agatha Christie, al blunotte delle piccole tragedie di provincia, fino al rosso pulp, particolarmente intenso nelle ultime due annate. Attraverso le centinaia di pagine sfogliate in questi anni emerge un retroterra letterario ampio e ben conosciuto. Un vero e proprio bazaar del Novecento, dal minimalismo a Borges, in cui le nostre giovani penne si avventurano con uno spirito giustamente disinibito. Senza però abbandonare la bussola di una tecnica padroneggiata con abilità, frutto di allenamenti notturni e silenziosi. Dal surreale al giallo sentiamo fremere e mescolarsi le note più diverse, nella più vera tradizione postmoderna. Senza che questo post- diventi un mai feticcio I sismografi delle giovani proposte di Subway hanno una particolare sensibilità nel cogliere i battiti della quotidianità L entità del terremoto prodotto da Subway deve essere ancora ben valutata. Dopo cinque anni sembra giunto il tempo di un primo, provvisorio, bilancio. In occasione della premiazione di quest anno sarà presentata la prima ricerca sui generi del sottosuolo. Un paziente lavoro di scavo, attraverso cui far affiorare le linee di sviluppo principali, le soluzioni più trend, le linee più affollate. Gettando un occhiata veloce ai risultati emergono due galassie, due poli di aggregazione. La prima, a cui abbiamo già accennato, è quella in cui i segnali di genere sono più evidenti. Lettori onnivori, i nostri giovani frequentano volentieri i variegati sottoboschi della narrativa popolare. Eppure la direzione prevalente non è quella dell evasione. Nonostante l elavata diversificazione, la fantascienza, l horror, il noir e affini rappresentano altrettanti filoni minori. Ci sono poi le vere e proprie minoranze. Casi unici come Il ricovero delle storie sbagliate di Emanuele Fant, su cui veglia il nume tutelare della più calviniania leggerezza, o il surreale diario di una triglia militarista regalatoci da Flavia Ganzenua. Sono decisamente rari i casi in cui la bilancia pende verso la forma, l affabulazione, il piacere di riflettere sul raccontare raccontando. La dimensione privilegiata è decisamente quella autobiografica. I partecipanti di Subway spesso scrivono per raccontarsi, in maniere molto diverse ovviamente. Il racconto storico ha rappresentato nelle scorse edizioni (e si riconferma con l ultima) un vero e proprio outsider, capace di scavarsi una solida nicchia. Spazio angusto e problematico in cui si raccolgono storie agrodolci sul come eravamo, incrocio problematico di passato e presente. Nella corsa alla globalità a tutti i costi, la memoria diventa un valore se non in senso assoluto, almeno in ragione della sua fragilità. Soprattutto al Sud (da Napoli alla Sardegna), rinasce il piacere di ritmi Subway-Letteratura2006 In primavera, nelle Metropolitane di MILANO NAPOLI ROMA g Giovanni Franzi g i passeggeri potranno scegliere e prelevare gratuitamente dai 75 Juke-Box Letterari i volumetti a firma di giovani scrittori 12 titoli di copie stampate su carta riciclata al 100% VISITA IL SITO narrativi più distesi e pacati attraverso cui recuperare il piacere della novella, del giudizio tagliente, sempre condito da un amara ironia e da un coloratissimo dialetto. Sul versante opposto c è chi preferisce afferrare la vita in un solo scatto. Nascono così gli Incontri brevi di Angelo Formica, membro esemplare di una variegata tribù affezionata allo spaccato quotidiano. Storie minime, piccoli incidenti di tutti i giorni, capaci di spalancare gli occhi anche solo per un attimo. Dal piccolo sacrificio umano consumato (guarda a caso) in un vagone della metropolitana in Brevi incontri metropolitani alla casalinga disperata capace di provocare una piccola strage per noia, al suo Ottavo piano con vista, nella banlieu, poco fuori Milano. Storie di ordinaria follia e banalità. Capaci di spaventarci proprio per la loro verosimiglianza, difficile da ignorare. A volte è un fatto di sangue che porta al culmine braci sepolte sotto la routine quotidiana, altre volte è una silenziosa epifania, in scala ridotta. Una rivelazione che può avere il sapore amaro della terra masticata come in Insonnia o svolgersi su un tono più lieve, ma non per questo meno affilato, quando dopo l ennesimo, fallimentare, colloquio di lavoro il protagonista di Che efficienza! riflette sul vero significato della parola flessibilità: Nel tornare in bici dalla filiale WorkPoint a casa, piuttosto mesto e silenzioso, ragiono che un buttafuori e un cinese (che poi ho scoperto essere mezzo coreano e mezzo mantovano) son più inseriti di me nella mia città. Come dire che mi sento un tanto fuori dal giro. Non basterebbero questi tra i mille esempi per raccontare la poliedricità dei giovani scrittori di Subway. Nuovi scrittori, o meglio nuove leve. Perché la quotidianità per non ridursi al solo tono di grigio ha bisogno di essere aggredita, scalfita. Non bastano le mezze misure, e se non basta lo stuzzicadenti allora ben venga il piede di porco. L importante è applicare lo sforzo nel punto giusto. Concentrare lo sguardo finché la realtà stessa perde la sua patina di già visto e, riguadagnando colore, si metta in movimento. Ovviamente il linguaggio, quando possiede ancora in sé i benefici germi di questa energia, non può che essere alla rincorsa. Non è detto che, per una volta, un simile ritardo sia necessariamente un male.

10 .10 Un Racconto inedito In una bolla di latte Maria Novella Viganò - Autrice Subway 2005 Questa volta sarà tutto diverso. Nulla potrà cogliermi impreparata. Scopro di aspettare il terzo bambino e mi sento di affermare che in materia ho una certa esperienza. A trentatre anni ho alle spalle un curriculum di latte, poppate, rigurgiti, diarree, notti insonni, ciucci, pianti, pannolini di tutto rispetto. Ci fosse ancora il fascismo almeno per una medaglietta di bronzo sarei in lizza. Una giovane mamma piena di energia per i suoi adorabili pargoletti tra scuola, asili, pediatri e carrelli di supermercato da riempire. Rido felice e ignara. Cosa sarà mai farne un terzo quando si ha un curriculum come il mio? La grande differenza è tra uno e due, ripeto a me stessa, ma tra due e tre praticamente non si sente nemmeno. Deve essere un po come quando ti capita a cena qualcuno all improvviso e stai buttando gli spaghetti per tre e invece dici Ma no dai non fare complimenti se mangiamo in tre mangiamo anche in quattro. Ecco me lo immagino così questo terzo bambino, un nuovo irresistibile ospite che si aggiunge a quelli che ci sono già. Un tenero frugoletto che si trova due adorabili fratellini che lo riempiranno di coccole e che, ne sono certa, mi saranno di grande aiuto. Sarà meraviglioso ricominciare con un esserino completamente dipendente da me. Comunque non voglio farmi cogliere impreparata. Una mamma efficiente in una grande città come Milano ha tutto sempre perfettamente sotto controllo e soprattutto ne sa una più del diavolo. Già al quartoquinto mese mi fiondo in una libreria. Reparto salute. Alimentazione in gravidanza, salute naturale in gravidanza, allattamento e svezzamento. Voglio sapere tutto, essere pronta a tutto, fare tutto nel migliore dei modi. Caso mai mi fosse sfuggito qualcosa le volte precedenti. Non voglio farmi cogliere impreparata dai pianti improvvisi, dalle notti insonni, dall allattamento selvaggio. Ma dove vivono quelli che scrivono questi libri? Avranno mai avuto almeno un neonato da accudire? Ne avranno di figli? Se fosse davvero vero quello che sentenziano i primi mesi con il pupo nuovo dovrebbero essere tra i migliori della mia vita. Non sarò stanca perché mi basterà seguire i ritmi sonno/veglia del neonato per ricaricarmi di energia, appoggiarlo sul mio cuore quando fa i capricci, creare un angolo della casa adatto all allattamento (luce soffusa, cuscini comodi, magari qualche candela accesa, piccoli snack salutari da sbocconcellare tra una poppata e l altra) e soprattutto stordirlo di Mozart in tutti i momenti di crisi. Non credo ad una parola di tutto quello che leggo ma divoro questi manuali che raccontano del perfetto genitore che non perde calma e controllo in ogni situazione. Spero che anche il mio neonato sia così docile e romantico e predisposto all arte da apprezzare il mio cuore, le candele accese e Mozart che suona solo per noi. Chissà poi quanti corsi e controcorsi ci saranno da seguire, faccio scorta di volantini su massaggi al neonato, shiatsu, yoga e nuoto. E anche pieno di numeri verdi, rassicuranti servizi del comune e dell ospedale in cui avrò il bambino che offrono aiuto e conforto alle neomamme su allattamento e altri mille problemi che possono mandare in tilt. Tutto mi sembra estremamente propizio. Mi sento in una botte di ferro. Ogni mia domanda avrà una risposta. E anche i due fratellini sembrano entusiasti dell arrivo del piccolo. Non mi resta che farlo venire al mondo. Stringerlo forte tra le mie braccia e dargli il benvenuto. Eccolo qui il mio tenero frugoletto. Sono sopravvissuta anche questa volta all anestesia e al cesareo e lui è bello e sano. Adesso che siamo tutti qui, vivi e vegeti, in qualche modo faremo. E non lo faremo in un modo qualunque ma vantando conoscenze in materia per lo meno enciclopediche. Non vedo l ora di essere dimessa dall ospedale per mettere in pratica tutti i buoni propositi rimuginati in questi mesi. Non mi sfioreranno nemmeno le malinconie delle altre due volte, non sarò in balia degli ormoni, facile preda di pianti improvvisi. Non mi farò incantare dal suo visino dolce e dal suo pianto insistente. In braccio solo il necessario. Lo lascerò piangere nella sua culla fino a quando non avrà capito chi comanda in casa e che non sono tipo da cedere a facili ricatti. Sarò molto disponibile con i due grandi, chiudendo un occhio, di tanto in tanto sulle loro marachelle. Loro capiscono e soffrono. Il piccolino invece è più ignaro e va da sé che mi debba dedicare più a loro. Solitude 3 Esco dall ospedale. Mi sento vagamente stordita. I bambini sono entusiasti dell arrivo mio e del fratellino. Mi riservano una accoglienza da regina. Il piccolo frugoletto ha dormito come un angioletto per tutto il tragitto. Sono felice di essere di nuovo a casa. E di incominciare un nuovo capitolo della mia vita, con un nuovo ospite da imparare a conoscere ed amare. Facciamo piano! Eccolo finalmente nella sua culla che lo aspettava da qualche mese. Non faccio in tempo ad appoggiarlo e il tenero frugoletto si trasforma in un arrabbiatissimo animaletto urlante. Però non avevo notato in ospedale che avesse questa vocina così penetrante. E nemmeno che fosse così insistente. Il ragazzo ha carattere, mi ripeto compiaciuta. Dopo circa cinque minuti di pianto ininterrotto, mentre diventa paonazzo e i bambini mi chiedono perché è cosi noioso ripasso mentalmente il mio prontuario sul pianto del neonato. Piange perché ha fame. No, perché ha appena mangiato. Piange perché ha fatto la cacca. No, perché l ho appena cambiato. Piange perché è il suo unico modo di comunicare, mi ripeto sicura. Passa mezz ora e mi sembra veramente disperato. Non resisto e lo prendo in braccio. Per incanto smette. Realizzo che la causa di tanta disperazione è la culla. Bellissima. Con tutti i pois colorati. Ma enorme rispetto a lui. Quasi ci si perde. Provo a metterlo nella carrozzina. Lì si sente sicuro e protetto. A saperlo non compravo la rolls delle culle e risparmiavo un sacco di soldi. Una mamma efficiente in una grande città come Milano ha tutto sempre perfettamente sotto controllo e soprattutto ne sa una più del diavolo Ormai sono a casa da una settimana. Mi sento bene e piena di energie. Saranno i semi di zucca che trangugio disciplinata ogni mattina. O forse l omega tre che pullula nel pesce azzurro e non mi ricordo per cosa ma fa molto bene. Sono un soldatino del benessere, un manuale della mamma immolata alla causa dell allattamento. Penso solo agli orari delle poppate. Mi compiaccio di ogni ruttino, esulto per le meravigliose cacche che pulisco, pannolino dopo pannolino. Lo ingrasso come un tacchino da competizione. Bello con le sue manine cicciotte, il doppio mento. Cresce grazie a me. Sono in un delirio di onnipotenza lattifera. Non mi sento più una ragazza giovane con tanti interessi. Mi sento come un distributore automatico di latte. Aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Sono stanca. Ho sonno. Un sonno cosmico. Sogno un letto. O di trasformarmi in una pelle d orso Inizio a sentirmi esausta. Mozart non gli piace. E appoggiarsi urlante sopra il mio cuore gli fa un baffo. Girovago per casa indossando sformate tute da ginnastica, ho le occhiaie e sono isterica. So tutto quello che è giusto e quello che è sbagliato. Scivolo pericolosamente in quest ultima direzione. Sono così stanca da non riuscire ad essere dolce, buona e comprensiva mentre i due bambini grandi scorrazzano per casa urlando e svegliando il piccolo faticosamente addormentato dopo averlo tenuto in braccio per un ora, non so cosa rispondere alla mia bambina che reclama due ore tutte per lei sola con me e mi accusa di non essere più quella di una volta sono stanca. Ho sonno. Un sonno cosmico. Sogno un letto. O di trasformarmi in una pelle d orso. Gambe e braccia divaricate. Testa abbandonata. Sdraiata. Appiattita su un pavimento morbido. Senza pensieri ma soprattutto senza rumori. Approfittando di un momento tranquillo sguscio in bagno, mi chiudo a chiave, riempio l acqua della vasca, due gocce di essenza alla lavanda. Entro nella vasca. Assaporo il piacere dell acqua calda che scivola sulla mia pelle stanca. Mi sento rilassata. Mi metto nelle orecchie il mio ipod e provo a contare per quanti minuti riuscirò a starmene in pace a Alessandro Belgiojoso guardare l acqua che gocciola del rubinetto con i REM nelle orecchie. Arrivo a due minuti circa. Il mio adorabile secondogenito lancia il pallone nella porta e mi urla che sua sorella gli ha nascosto le figurine dei calciatori e che devo aprirgli perché mi deve dire una cosa. Lei è cattiva perché lo prende in giro, io perché non gli apro. Sono sempre più stanca, inizio a rimpiangere la vita d ufficio e mi chiedo perché tutti siano cosi pieni di richieste e pretese. Non mi sento più l efficiente mamma d Italia di qualche mese fa. Mi sento più la strega di Biancaneve. Una stregona tettona. Adesso capisco perché quando dicevo che a trentatre anni ho tre figli mi guardavano tutti come una pazza. Perché come tutte le cose più belle e preziose della vita richiedono molti sacrifici e anche una certa disciplina. E anche un grande amore per se stessi, il proprio marito e tutto il resto. Perché non è un telefilm e nemmeno un piatto di pasta in più. E un meraviglioso, costante, enorme sacrificio. Significa annullarsi nel bene di un altra persona, significa spogliarsi del proprio egoismo e mettersi a disposizione. Giorno dopo notte, notte dopo giorno. A ogni mia occhiaia ogni giorno un po più profonda corrisponde un faccino sempre più rosa e paffuto. A ogni mio cedimento un suo nuovo sorriso. A ogni mio dubbio un sentimento di pace e completezza. E alla strega di Biancaneve, quella con la tuta sformata in crisi di astinenza da sonno che, come apoteosi dell abbruttimento domestico, allatta di fronte a Verissimo covando disarmata invidia per bellissime e scosciatissime ragazze, si alterna una mamma buona. Sempre io. Quella che abita in una bolla di latte. E allora non importa se i numeri verdi di Milano valgono quel che valgono e ai rassicuranti Emergenza mamma che allatta non risponde mai nessuno. E pazienza se non applico esattamente il manuale del perfetto genitore e se forse in questo momento non so accontentare proprio tutti. Questo è un momento stupito. Un passaggio irripetibile. In cui la mia vita si perde in quella di un altro essere umano, in cui io mi confondo nella sua piccola bocca vorace, nelle sue manine che mi stringono. Non sempre mi riconosco e non conosco ancora bene questo piccolo esserino pelato che amo inconsciamente e senza riserve. Chissà che tipo sarà. E così difficile crescere. Frase vomitosamente fatta, lo so. Ma estremamente reale. Lo guardo mentre lui mi guarda, gli dovrò insegnare tante cose. Il rispetto per gli altri e soprattutto per sè stesso. Gli voglio insegnare la tolleranza e la bontà. Penso in quante reti e in quanti tranelli potrà cadere. Me lo vedo diciottenne brufoloso in crisi adolescenziale acuta. Un brivido mi corre per la schiena. Il motorino, le ragazzine, la macchina, le droghe, le notti ad aspettarlo sveglia. Ricomincio a rivalutare i rigurgiti e i pannolini da cambiare. Un surplus di amore gli insegnerà ad amare. E quelli che mi sembrano sacrifici oggi avranno un senso domani. Avrò contribuito a crescere una persona per bene. Anzi tre. Anche se non è facile e sono piena di dubbi. Anche se anch io mi sento una ragazzina da proteggere. Faccio una pila di tutti i miei libri ed esco con i miei tre bambini. La grande spinge la carrozzina, quello di mezzo mi stringe la mano e il piccolo dorme. Entriamo nel parco, li porto in un bar a fare la merenda, cioccolata con panna per tutti. Mi raccontano della loro giornata a scuola, mi bombardano di domande e mi riempiono di tenerezza. Non deve essere facile nemmeno per loro capire che con un po di fatica si può imparare a moltiplicare il bene e non a dividerlo. Ridono allegri, fa freddo. Non c è nessuno al parco alle cinque e mezza di un gelido pomeriggio di inverno milanese. Noi e un ubriaco che si scola una birra gigante e ci guarda. Sorride vago, forse recupera ricordi lontani. Sembra solo, molto solo. Anche lui avrà provato l amore. Mi sorride ed esce dal bar, stringendosi la giacca. Guardo i bambini e forse non mi serve altro. Respiro e non parlo. Forse sono felice. Max Ernst

11 Un Racconto inedito.11 Compagni di merende Alessandro Bertante Nella grande sala bar dell albergo le luci basse soffocavano la giornata in un atmosfera di interminabile attesa. Sguardi spenti, respiri affannosi, rigurgiti acidi, prurito e sudorazione biliosa. Alle tre del pomeriggio sembrava che non ci fosse più nessuna speranza per i prestigiosi ospiti dell undicesimo Festival del Cinemaletteratura Noir. Costretti loro malgrado a digerire il copioso pranzo, schiantati come balenotteri sulle ampie poltrone distribuite a raggio di fronte al bancone. La temperatura della stanza stazionava costante sui trenta gradi, col risultato di rendere ancora più difficile l assorbimento del cibo trangugiato, prospettando ai molti dei meno giovani la possibilità neanche troppo remota di un attacco cardiaco. Mentre un cameriere dal passo maldestro, ed evidentemente in là con gli anni, raccoglieva gli ultimi bicchieri di spumante sfoderando uno sguardo da animale morente, un povero uomo sconosciuto e mal vestito, e forse nemmeno retribuito, canticchiava un motivetto melanconico accompagnandosi al piano: sembrava il patetico affresco di una provincia qualsiasi, qualche decennio fa, in attesa che il progresso portasse finalmente in dote dei passatempi più moderni a una generazione di inesausti vitelloni. Il cartello posto all inizio della hall illustrava con precisa modestia il programma della giornata, con tanto di incontri dibattiti e proiezioni di film. Fuori nevicava. In fondo alla sala, quasi nascosti nell opaco brusio, poltrivano tre uomini ancora giovani sebbene in uno stato di forma fisica desolante, sintomo di una vita sedentaria, di una dieta ipercalorica e di una smodata predilezione per le bevande alcoliche. Bevande certo predilette dal noto scrittore Vittorio Baratti il quale, evidentemente sudato, armeggiava con il cellulare cercando di fare il nuovo record allo Space Invaders, giochino molto in voga negli anni Ottanta e da poco ritornato, come le malattie epidemiche, a nuova gloria nostalgica. Stravaccato nella poltrona di fronte, Alessio Slaviero, implacabile critico di un noto quotidiano nazionale, lamentava tra il divertito e l indignato, la scarsa qualità del servizio ristorante rispetto all anno precedente, intuendo in questa insinuante decadenza un probabile esaurimento dei fondi pubblici stanziati alla manifestazione. Dall altra parte del tavolino sonnecchiava Nicola Santi, agente di Baratti e uomo dalle imprevedibili risorse. Senti un po Vittorio, lascia stare quel cellulare e ascoltami un secondo. Disse Slaviero interrompendo la pennichella collettiva. Baratti lo guardò sconcertato. Te ci sei poi andato al dibattito questa mattina? Lo scrittore, scocciato per avere dovuto interrompere la partita, fece una smorfia di disgusto. Per forza, ero fra quelli invitati a intervenire. Caro il mio giovanotto alle dieci del mattino sarai stato in forma splendida. Con tutto quello che hai bevuto ieri notte Non proprio ubriaco fradicio ma sicuramente di cattivo umore, certo avrei preferito dormire fino a mezzogiorno, facendoti compagnia del resto. Vittorio, tu non dovresti dare troppa confidenza a quello, che poi scrive tutto sul suo giornale. Disse come svegliandosi dal coma il Santi, che talvolta doveva fare finta di fare il suo mestiere. Capirai che scoop. Be Com è andata allora? Come al solito, eravamo di più noi dietro al tavolo di relatori che la gente in sala. E che pubblico poi: a parte le due vecchie in prima fila venute a ripararsi dal mal tempo, c erano quattro o cinque sfigati ragazzotti fin troppo motivati che ci hanno riempito di domande quando il calvario sembrava già bello che finito. Tutte le solite menate sul noir che sa raccontare il sociale e la letteratura alta che non lo fa più, la tiritera sui generi letterari e quanto siamo bravi noi e quanto sono incapaci quegli altri Ero già con l occhio a mezz asta quando uno dei fans, uno così alto e magro che gli avrei offerto un panino tanto mi faceva tenerezza, mi ha chiesto se ero d accordo con il titolo del dibattito: Il noir al potere. Che cosa gli hai detto.. Gli ho detto che non doveva prendere alla lettera i temi proposti dagli organizzatori. Certo che potevi sforzarti di più. Guardate Rinaldi, com è su di giri Disse Santi a bassa voce, indicando con lo sguardo il bancone. Probabilmente sta cercando di convincere l editor della Mondani di non essere finito come scrittore. Poraccio, ma non l ho visto a pranzo. Deve essere andato con il suo amichetto a mangiare con quelli dell organizzazione: ristoranti più selezionati, servizio di prima, assessori a profusione. Taci Alessio e lustrati gli occhi con l entrata di Beltramelli. Sembra in forma il nostro grande romanziere metropolitano. Per essere in forma è in forma, da quando si è sposato la milionaria si è dimenticato dei problemi materiali. Beato lui. Sai che il suo ultimo romanzo non ha venduto neanche tremila copie. Certo che lo so. Da almeno cinque anni va avanti sta decadenza. Tremila copie sono tutto grasso che cola. Sentenziò Santi che era un uomo coi piedi per terra. Ieri sera ho tentato in tutti i modi di Vernissage Max Ernst portarmi in camera quella dell ufficio stampa della Mondani ma non c è stato niente da fare. Ride, scherza, finge complicità e poi ti saluta, lasciandoti lì esausto dall alcol e dalle stupidaggini che hai dovuto sentire. Fece Slaviero con tono affranto. Le solite menate sul noir che sa raccontare il sociale e la letteratura alta che non lo fa più Cosa vuoi che ti dica Ci provi tutti gli anni, e non concludi mai niente. Mi fai tenerezza. E lo sai perché? Perché non sei ancora una firma. Quando farai carriera ti si apriranno anche le porte dell amore. Lo scherzò Baratti. E avrò sessant anni. Dove mangiamo questa sera? E che ne so, per chi mi hai preso per una specie di indovino? Tu dovresti saperlo, sei un famoso scrittore, non possono mica tenerti all oscuro come fanno con me. A proposito per quanti giorni hai i buoni pasto per il ristorante? Tutto il festival mio caro. Devo fare una protesta, è un vergogna a me ne hanno dati solo per tre giorni Protesta. Protesta pure, che stanno tutti in pensiero. Non hai ancora capito che in questo caravanserraglio di scioperati, i buoni pasto sono l unica cosa rimasta che delimiti un minimo i ranghi sociali. Più ne hai più sei uno che conta. Primordiale, non lo nego, ma certo molto efficace. Infatti tu nei hai tre e non A Milano Roberta Castoldi ne meriti certo di più. Pensa quello che vuoi, comunque io... io questa sera mi rifiuto di mangiare la polenta. Conversazione brillante mio caro. Senza che nessuno avesse nulla da eccepire, Santi si era alzato per andare a parlottare con il capo dell organizzazione: una signora sui quarantacinque anni dalle forme un tempo sinuose ma dallo sguardo troppo impegnato per essere anche seducente. Vittorio, ma quello sta lavorando per venderti all estero o sta sempre a fare i weekend con la sua segretaria? Disse Slaviero, provocando l amico. E che ne so, qua io non ho ancora visto un contratto e lui non c è mai. In fin dei conti sono il suo autore di punta, dovrebbe dedicarmi più tempo. Cristo non ho voglia di parlarne vai al cinema oggi pomeriggio? Non lo so, cosa danno? Due film italiani tratti da dei romanzi gialli, quelli di coso come si chiama... e di quell altro Cos è? Una specie di penitenza? Ne ha tutta l aria. Ma guarda alle tue spalle per cortesia. Slaviero si girò e si trovò di fronte la bellissima immagine di quattro testoni baffuti che emergevano dalle acque della piscina riscaldata, posta per metà nel giardino e per metà al coperto. I fiocchi di neve coprivano i capelli degli omoni che, nuotando a rana, sorridevano beati nella direzione del bar. Ma che diamine sembra un film. Chi sono quelli? Russi credo, ho visto le scritte sulle valigie, poi magari sono di Gorgonzola. Pazzesco. Ma che fanno qua? Mica sono del festival quei bei signorini. Sono russi ti dico, gente che viene a comprare l Italia e che casualmente Amalia Violi Guardo i piccioni affollare i monumenti, i binari, le nicchie nei muri: molti hanno zampe deformate, piume sporche e sgualcite, altri hanno la testa lucente, corteggiano in parecchi la stessa femmina. Molti litigano, altri non fanno proprio nulla, posano per le foto dei turisti attirati da riso o chicchi di mais; hanno un canto poco melodioso ma non certo volgare come alcune cornacchie; di giorno sono nel traffico come tutti; dormono di notte e paiono gonfiati nelle piume, come se il sonno conferisse loro maggior volume; trovano tutti posto da qualche parte, sotto le grondaie, i pinnacoli e i mostri gotici del Duomo, nei pochi davanzali dove non vengono scoraggiati dal posarsi con punte metalliche. Mi chiedo cosa li guidi nella scelta dei luoghi. Forse amano le costruzioni religiose e le enormi piazze. Comunque sia, fanno una cosa luminosa, anzi abbagliante: si involano contemporaneamente, in un battito. La repentinità che sento nelle decisioni di cuore. Mi fanno pensare ai brividi e alle domande improvvise, come quando ci si vuole pensare il volto. dorme nel nostro stesso albergo. Che è abbastanza lussuoso per ospitare frotte di milionari russi. E questo mi fa pensare qui al festival fra scrittori, giornalisti, addetti ai lavori e imbucati vari saremo almeno un ottantina. Hai mai provato a quantificare quanto spendono per darci da mangiare, da dormire e soprattutto da bere senza che nessuno concluda niente e nemmeno finga di farlo? Alcune centinaia di migliaia di euro temo. E sai caro il mio cinico scrittore quanto guadagna una redattrice di una casa editrice, ovvero quelle disgraziate che correggono i tuoi maldestri errori di ortografia? Sui mille euro anche meno talvolta Appunto mille euro! Che bel mondo e che bella gioventù. Non fare il sovversivo Alessio che mi vacillano tutte le certezze Intanto una pattuglia di camerieri cominciava distribuire ai tavoli delle caraffe fumanti. E questi adesso che fanno? Penso servano il tè. Dov è finito il mio prezioso agente? E che ne so, sarà al bar. I due amici smisero improvvisamente di parlare. Sembravano esausti. Non mi sono mai annoiato così in vita mia. Mai ti dico, neanche a scuola da piccolo quando aspettavi che passassero i minuti per l intervallo. Alessio sono due giorni che andiamo avanti in questo modo a stare stravaccati sul divano a consumarci dal caldo mentre fuori nevica. Sono due giorni che ascolto presunti scrittori, sedicenti critici, editor senza edizioni, belle donne in cerca di brividi che non troveranno, uomini brutti in cerca di nulla, addette stampa sull orlo di un esaurimento nervoso e prosaici milanesi in villeggiatura capitati per caso nella serra riscaldata del giallo noir. Sono due giorni e mi sembra di stare qui da dieci anni. E tu domani te ne vai. Torni nella metropoli a lavorare. Beato te. Mica sei obbligato a rimanere. Vittorio non rispose. Il cameriere anziano era già giunto al tavolo e con le mani tremolanti tentava di servire il tè. Slaviero lo guardò perplesso. Senta mi scusi, non potrei avere un bianco? Il cameriere rimase inebetito dalla richiesta. Ci pensò Baratti. Caro Alessio a quest ora servono il tè coi biscotti, quasi obbligatorio nonché gentilmente offerto dall organizzazione.. Se vuoi alcolici devi andare al bancone e li devi pagare. Cristo! Il tè coi biscotti, mi sembra di impazzire. Non fare il tragico! Sopravvivremo anche a questo. Tanto più che mi sembra immorale spendere denaro in questo posto. Vada per il tè faremo merenda. Due uomini fatti e finiti che in un giorno lavorativo fanno merenda alle quattro del pomeriggio con il tè e i biscotti. Cosa devo pensare di noi? Mentre i due amici riflettevano sul loro destino, il più grosso dei russi si levò dall acqua e si avvicinò alla finestra. Quindi si tolse le mutande e, piroettando con una inaspettata eleganza, mostrò il culo agli avventori, schiacciandolo sulla vetrata e ondulandolo con movimento rotatorio. Un bel culone rosa. Baratti deglutì. Slaviero sorrise. Nella stanza la luce si fece ancora più opaca. Il cameriere versò il tè nelle tazze. Alessandro Bertante, critico letterario e scrittore, ha pubblicato il romanzo Malavida, Leoncavallo Libri 2000; ha curato l antologia Dieci Storie per la Pace, Piemme Edizioni Nel 2005 ha realizzato per le Edizioni NDA Press il saggio Re Nudo.

12 .12 Un Racconto inedito Vitellone Pepa Cerutti - Autrice Subway 2003 Antipasto Mila arriva a casa dalla palestra col fiato corto, entra in camera e appoggia la sacca sul letto. Guarda che casino ha lasciato quello! sbotta pensando a suo marito Vincenzo, che è andato fuori Milano a pescare col Nando. Controlla l ora: presto, l una e mezza. Tanto lo sa che non si ripresenterà prima delle undici di sera, ormai così è l andazzo. Ogni martedì, giorno di chiusura della trattoria, quei due se ne vanno a pescare al mare. Sul Ticino non sarebbe più comodo? Macché, saranno sei mesi, ormai, che si sono fissati. Cosa gli ha preso a Vincenzo poi, non l ha mai avuta la passione per la pesca e tutto a un tratto si è fatto imbesuire da quello scimunito del suo amico Nando. E adesso gira per casa con lenze e mulinelli mentre sulla scrivania del tinello stazionano libri tipo Etica della nassa, Tecniche della pasturazione, Autunno, tempo di saraghi e L agonismo da riva. A dirla tutta, per lei quella giornata di relax senza il marito è una boccata d aria fresca, visto che lavorano insieme tutta la settimana al Rustin Negaa, trattoria meneghina storica, nel cuore di Milano. Suo padre l aveva lasciata in eredità a Mila senza dimenticarsi di insegnarle tutti i trucchi non scritti della cucina milanese. Il segreto, le ripeteva sempre lui quando ancora affettava il lardo e sminuzzava le carote giù al Rustin Negaa, sta in come tagli gli ingredienti, che siano carni o verdure: perché è così che prendono sapore, è così che perfino un ingrediente mediocre può trasformarsi in qualcosa di eccezionale. E adesso che il padre non c è più, Mila passa i giorni in trattoria a reinventare spezzatini, trippe, risotti, mentre suo marito vizia i clienti con belle parole e pelle abbronzata u.v.a. doc, garantita trecentosessantacinque giorni l anno. Però in casa è un disastro vero, il Vincenzo, ha quarantacinque anni e sembra un tredicenne! Guarda che caos, calzini dappertutto e poi cribbio, se si piegasse i pantaloni, una buona volta, invece di lasciarli appallottolati sul servo muto! Eh certo, tanto c è la schiava che mette a posto, vero? dice ad alta voce Mila come se qualcuno potesse risponderle. Ma non è arrabbiata sul serio, gli vuole bene a Vincenzo e non è vero che è così disordinato, è lei che è fissata con l ordine. E poi è tanto attaccato a Mila, al proprio lavoro, ci sa fare con i clienti. Certo, se almeno un martedì ogni tanto arrivasse per cena, potrebbero mangiare insieme, stare un po soli. Eh sì, lo sa bene lui che con un bacio dei suoi mi mette a tacere! continua a borbottare, e intanto sbuffa, le maniche della maglia rimboccate fin sopra il gomito mentre raccoglie la roba del marito sparsa ai piedi del letto. E questo computer?, monologa ad alta voce entrando in tinello, Pazzesco, guarda la polvere sul monitor, non si può vedere! Prende uno straccio dal mobiletto sotto la scrivania e si mette a pulire lo schermo piatto. E sì che lo usa quasi sempre lui il computer, dovrebbe preoccuparsene, guarda che segni, ci sono incrostazioni preistoriche. Mentre spolvera i tasti alla base del monitor, ne schiaccia uno senza accorgersene. Il monitor si accende. La videata di una mail. Mila la guarda. Quello c ha l esca al posto del cervello ormai. Si è persino dimenticato di uscire da internet e scollegare il computer, ha spento solo il monitor, lui! Ride e scuote la testa. Ma torna a fissare il video quasi subito perché c è qualcosa, lì sopra, che non quadra. Un momento. Questa non è la loro casella Fastweb. Questa mail è diversa, non è la solita che usano per scambiarsi le foto delle vacanze con Luca e Francesca, per ordinare i sette chili di borlotti che Mila fa arrivare da Vigevano o le casse di Barbacarlo che si fa spedire dall Oltrepò. Stringe gli occhi a fessura: davanti a lei, la posta ricevuta di quella casella mai vista. Un lungo elenco di mail spedite da un solo indirizzo: Amelia73@ .it. Mai sentita. E chi è? Apre l ultima mail, la data è di ieri: Da: Amelia73@ .it A: Vitellone02@yahoo.it Oggetto: programma per domani Ciao pesciolino mio, non vedo l ora di vederti. Però, considerato che pur di stare con te mi sorbisco i tuoi martedì di pesca ormai da sei mesi, domani sera il ristorante lo scelgo io: basta con le trattorie fuori porta, si va al Ko Tao, un posto fighissimo per l happy hour che hanno appena aperto dietro alle Colonne di San Lorenzo e che fa anche cucina fusion. Eddai, non fare il vecchio, ti vedo sai! Domani voglio mangiare giappo e bere una tisana rilassante (il vino ingrassa, panzone! ;_)) anche la Michi è d accordo, dillo pure a quello stordito del Nando. Ti bacio dappertutto. Amelia ps. Ti metti la camicia viola che ti ho regalato io? Mila appoggia la schiena alla spalliera della sedia, le mani molli in grembo. Pesca altre mail a caso in quel lungo elenco di Amelie soffermandosi solo sulla sfilza di epiteti ittici che variano di volta in volta e che le danno sui nervi: pesciolino mio, bel pescatorino, lenzino adorato. No, non può essere. Questa non è la mail di mio marito. Di qualcun altro, un amico del Nando che oggi è andato a pescare con loro forse, che è passato qui con Vincenzo mentre ero in palestra e ha chiesto se poteva usare il pc. Dopo tutto io sono uscita prima di lui, stamattina. E d istinto clicca sulla cartella delle mail inviate. Da: Vitellone02@yahoo.it A: Amelia73@ .it Oggetto Re: programma per domani Cotolettina mia, lo sai che il pesce crudo mi fa schifo ma va bene, touchè, domani sera sushi, come vuoi tu. Però, scusa, proprio qui a Milano dobbiamo stare? Lo sai che sono più tranquillo se si va fuori città, almeno non rischio di incontrare gente che conosco. Sì, lo so che di noi due dovrò parlare a mia moglie prima o poi, ma ti ho detto quanto è difficile comunicare con lei di questi tempi, bisogna trovare il momento giusto, le parole adatte. E sai anche che alla fine faccio sempre come vuoi tu. Vada per il sushi a Milano. Stanotte ti sognerò. Baci*. Vincenzo *dappertutto, anch io! Piatto forte Mila è immobile, lo sguardo fisso sul monitor. Un senso di soffocamento le prende lo stomaco. Come se una mano ci rovistasse dentro. E stringesse a pugno. Il cuore picchia. Così forte che sente il battito rimbombare nel timpano. La pelle in faccia è talmente calda che le sembra di avere trentanove di febbre. Poi caccia un urlo. Un urlo acuto e terrificato. Un suono animale che le esce dalla bocca, il grido di una scimmia ferita. Corre in camera, si tuffa sul letto e inizia a piangere, prima forte, tirando i pugni a pioggia sul cuscino e sbattendo i piedi sul materasso, poi più piano, fino a trasformare il lamento in una nenia, un tentativo di cullarsi tra i singulti, per ore. Come? Come hai potuto? Io che ti ho dato tutto, la mia vita, il mio cuore, senza chiedere in cambio nulla, nulla. Perché? gli domanda, come se Vincenzo fosse lì e potesse darle una risposta adesso, subito. E quel nullafacente del Nando, falso di un falso! A pranzo qui tutti i giorni a sbafo, a fare l amicone, vero? Bravo Nando! E io? Che faccio io, ora? dice tra le lacrime tirando su col naso Cosa faccio mentre il vitellone bastardo è a pescare la vaccasettantatrè? grida, la mano a pugno in caduta libera sul cuscino. Ma c è qualcos altro che stona in questa storia e che le ricorda la sensazione di quando a volte, da ragazzina, sentiva i quarantacinque giri in vinile suonare distorti, come se girassero a trentatrè. Un altro tradimento che ancora le sfugge. Si alza. Va in bagno, si spoglia e si butta sotto la doccia. L aveva già fatta in palestra la doccia, ma chissenefotte, ne fa due, va bene? Anche tre, se servissero! Vitellone. Te lo sei scelto proprio bene il nome della mail! Strofina la pelle del collo fino a farla diventare rossa e si passa il sapone dappertutto, sfregando forte sul seno, quel seno che piace tanto a Vincenzo e che lo fa impazzire, diceva lui. Tu! Sei tu che mi farai impazzire, maledetto!, grida Mila, mentre l acqua scende fitta sul corpo e si confonde col suo pianto, calda come le lacrime ma innocua, senza sale. Chiude il rubinetto, esce dal box e si asciuga rapida con l accappatoio. Poi, nuda, va in cucina e prende il coltello grande che usa per tagliare la carne. Apre il frigo e afferra la prima cosa che le capita sotto mano: un pomodoro rosso e maturo. Va bene, benissimo, sussurra poggiandolo sul tagliere di legno. E lo fa a pezzi. Piccoli, minuscoli, fino a ridurlo in poltiglia. Lancia un occhiata al pavimento di marmo e vede un impronta in controluce. Che schifo, è di Vincenzo, riconosce la suola a carroarmato. Molla il coltello sul tagliere e corre verso il ripostiglio, accende l aspirapolvere e inizia a passarlo prima in cucina, poi per tutta la casa. Quella casa è sporca, ormai, e va pulita. Via le sue impronte dai pavimenti via, via! grida Mila spingendo l arnese avanti e indietro con il braccio mentre i seni liberi oscillano per lo sforzo. Cucina, tinello, salotto, bagnetto di servizio, camera da letto e bagno grande. Lo specchio. Nel bagno grande c è lo specchio. Pieno di ditate, sicuramente di quel porco di Vitellone! sbraita Mila mentre sfrega col vetril. Ecco, adesso è pulito, comunica poco dopo ad alta voce e ci si mette di fronte: scruta la pelle chiara, le tette ancora piene, si gira su un fianco per studiarsi la curva del sedere. Si squadra dalla testa ai piedi: le gambe sono dritte come fusi, regalo della nonna, grazie. Si fissa negli occhi: quegli occhi piccoli e scuri da lombarda, troppo ravvicinati, poco lungimiranti. Forse sono loro, così vicini, che le hanno impedito di vedere lontano. Forse sì, si dice convinta a voce alta mentre torna in camera da letto. Apre un cassetto del guardaroba e prende un completo di pizzo rosa cipria che piace tanto a quel vitellone di Vincenzo. Se lo mette e si specchia ancora: sta bene, proprio bene. Si infila un paio di calze velate nere, il vestitino leggero a fiori blu e gialli che le ha regalato lui per il compleanno e ritorna in bagno: fondotinta, fard per le guance, ombretto grigio e bianco che le allarga lo sguardo, un filo di rossetto color prugna, tanto lei ha le labbra carnose e se lo può permettere. Cappotto di cachemire nero comprato nella boutique di Corso Vercelli l anno scorso e scarpe di vernice. Si allaccia l orologio al polso e dà un occhiata all ora: Bene, già le otto. Tutti alle Colonne, stasera si va al Ko Tao. Il segreto sta in come li tagli gli ingredienti, perché è così che perfino un ingrediente mediocre può trasformarsi in qualcosa di eccezionale Per Mila le Colonne di San Lorenzo hanno un aria di incanto, come se la fila di pietre romane e il tram che sferraglia lì sotto, fossero una cosa sola sotto la luce gialla dei lampioni. Eppure questa sera, nell istante in cui passa sotto la Porta Ticinese, le sembra che le Colonne, il tram, i lampioni, siano suoi nemici perché sono con Vincenzo, Nando e Ameliasettantatrè, la stanno tradendo, come loro. Cammina a piccoli passi, l equilibrio instabile, i tacchi non li mette spesso, figuriamoci sul pavé. Un paio di ragazzi si voltano a guardarle le gambe che escono dal cappotto. Scusate, sapete dov è il Ko Tao?, chiede lei. Uno dei due si ferma, la squadra e sorride: ha un dente di squalo appeso al collo, come quello che il Nando aveva portato a Vincenzo dalla Florida. Quel bastardo sfruttatore del Nando, mangia-risotti a ufo! Il ristorante tailandese, intendi? fa il ragazzo col dente di squalo e continua: Ti romperai là, bella. Comunque sta qui dietro, le indica senza smettere di guardarla, vai a sinistra, poi giri nel vicolo, a destra. Se cambi idea comunque, noi siamo al Luca s bar. Grazie, dice Mila. Grazie, chiunque tu sia. L ingresso del Ko Tao quasi non si nota ma l effetto minimal è di breve durata. Appena varcata la soglia, Mila si trova scaraventata in uno scenario da bordello di lusso bangkokiano. Non che ne abbia mai visto uno, però se lo immagina più o meno così. Specchi al soffitto e alle pareti, cupole puntute, letti tailandesi pro relax, cuscini di seta arancione e oro, tavolini bassi in stile e un lungo bancone sulla destra con il buffet dell happy hour. Bella ora felice, questa dice guardandosi intorno. Scusi, ha prenotato?, la blocca un cameriere con pareo albicocca materializzatosi dal nulla. Mila volta la testa di scatto verso l uomo e con un gesto nervoso si sistema una ciocca di capelli dietro l orecchio: Sono in ritardo, degli amici mi stanno aspettando. L area ristorante? gli chiede. Laggiù, oltre quella porta, dice lui indicando un arco poco tailandese e molto moresco. Mila sa che in quella sala c è Vincenzo, lo sente. E appena si affaccia alla porta, li vede, seduti in fondo, nell angolo più remoto. Incredibile come i suoi piccoli occhi neri non abbiano avuto un momento di esitazione nell individuare il quartetto. Eccolo là, quel demente del Nando, che con i suoi denti gialli sorride alla donnina di turno (come si chiamava, Michi?) e corruga la fronte alta un centimetro e mezzo, prova inconfutabile che Darwin aveva ragione. Di fronte a lui, Vincenzo, da qui lo vede proprio bene. Eccolo il vitellone, che mangia sushi e sfoggia la camicia-viola-che-gli-ha-regalato- Ameliasettantatrè. Che beve tisana e non un bel Sauvignon bianco, per far piacere ad Ameliasettantatrè. Che se ne fotte di profumi e sapori perché così si scopa Ameliasettantatrè. E allora capisce cos era quello stridore percepito a casa, buttata sul letto a piangere, la sensazione di quand era ragazzina e sentiva la musica uscire dal giradischi troppo lenta e stonata sul quarantacinque in vinile. Eccolo il tradimento doppio, Vincenzo maledetto, hai tradito me e con me il Rustin Negaa, mio padre, il riso con la zucca, la busecca, gli sbrofadej in brodo, la cassoeula, il foijoeu, la frittura piccata, il manzo al grass de rost, gli ossibuchi, i mondeghili, il vitel tonnee, gli ambrosiani mandorle e cannella e la rossumada. Hai mandato tutto a puttane e mi hai spappolato il cuore. Dà un occhiata ad Ameliasettantatrè e vede una dozzina d anni in meno rispetto ai suoi, occhialetti rettangolari e una risma di collane colorate al collo. La guarda stringere tra le bacchette un pezzo di sushi che riesce a mordere solo a metà, mentre il riso si sfalda e cade maldestro nel piatto. Scoppia a ridere, Mila. Scoppia a ridere e volta le spalle al bel quartetto muovendo lunghe falcate verso l uscita. Ride Mila, ride furiosa, sente un odio espandersi dentro e imbrattarla come petrolio. Ladro. Ladro di vita, sei. Tutto, mi hai rubato tutto. Ma quando esce all aperto e respira l aria fredda di Milano capisce che questa città è sua e lo sarà sempre, che le Colonne, i tram, i palazzi grigi e le luci gialle che tremano nelle notti d inverno, non glieli toglierà nessuno mai, nemmeno Vincenzo. Guarda in alto verso il campanile di San Lorenzo e si mette a cantare una strofa di una vecchia canzone fine anni settanta: Vincenzo io ti prenderò, sei troppo stupido per vivere, Vincenzo io ti ammazzerò perché sei troppo ladro per amare. Si leva le scarpe e si mette a correre mentre la pioggia inizia a scendere sottile, corre e supera il Cap Saint Martin, prosegue dritto fino alla Conca del Naviglio, la percorre tutta, le scarpe di vernice in mano, il cappotto di cachemire aperto, tanto il freddo chi cazzo lo sente più, corre, corre Mila fino a sbucare in via Arena, fino a vedere la Darsena sul fondo. Poi si ferma, i piedi zuppi, il respiro in gola. Oddio, adesso muoio. Ti odio, Vincenzo. Ti odio. Specialità del giorno L una e tre quarti di mercoledì. Il Rustin Negaa è al completo, stipato di gente che arriva dall ufficio per la pausa pranzo. Seduto al solito tavolo di fianco all entrata, Nando beve il suo caffè corretto con l aria mansueta di uno yak al pascolo. Mila gli fa un cenno di saluto e gli si avvicina. Complimenti Mila, grande cuoca come sempre! Vincenzo non è venuto oggi?, le chiede lui con la tazzina in mano, il mignolo alzato come uno spadino ricurvo. Lei sorride e appoggia sulla tavola un piatto di ambrosiani alle mandorle: Era qui poco fa, non te ne sei accorto? Dimmi, piuttosto: tutto buono? Nando alza la testa e le regala un sorriso giallastro: "Squisito, soprattutto la Specialità del giorno. Una delicatezza di sapori, una morbidezza! A proposito, cos era di preciso? Cuore di Vitellone trifolato, risponde lei. E aggiunge: Sai tenere un segreto? Nando fa di sì con la testa e Mila si piega verso di lui, le labbra a sfiorargli l orecchio: Basta tagliare come si deve e anche un ingrediente mediocre può trasformarsi in qualcosa di eccezionale.

13 Un Racconto inedito.13 Alfonsina y El Mar Susanna Wong - Autrice Subway 2002 Por la blanda arena que lame el mar Via Torino morbida di neve cedeva al passo fragile e zoppicante della piccola donna. Marìa Constelaciòn eres demasiado pequena hija. Troppo piccola per uno sforzo da donna. Così diceva sua nonna, un india tozza discendente diretta degli incas coltivatori di cuori e di vendetta, trapiantata per uno scherzo del destino dal duro altipiano ecuadoriano sulla costa morbida e tanto odiata di Bahia de Caraquez. Tra montubios cotti di sole che si arrampicavano sul caimito con la pancia piena d acquavite, le dita ghiotte della polpa del succoso frutto come della verginità delle più addormentate. Baciata da uno squarcio di cielo e dalla madonnina d oro lassù, in cima alla guglia, Marìa seguiva l avanzare cauto delle ruote sulla strada bianco velluto e il riflesso del via vai della gente infagottata fino alla sommità delle orecchie che scompariva appannandosi nelle vetrine dei bar. Era tardi e la sera calava in silenziosi fiochi, muta e insistente, la sera. Non ho l ombrello, pensò in italiano. Non aveva l ombrello ma il permesso di soggiorno sì. Sorrise. Su pequena huella no vuelve màs Un sendero solo de pena y silencio llegò Hasta el agua profunda Un sendero solo de penas mudas llegò Hasta la espuma. Donna di cosa ti preoccupi? L italiano es igualito, igualito allo spagnolo. Mia figlia che è maestra di scuola, partita tempo fa, mi ha scritto che basta stare un poco attenti e parlare piano piano; vedrai che ti capiscono. E piano aveva parlato Marìa Constelaciòn quando Don Francesco aveva smesso di raccontarle della sua famiglia che non c era, dei figli che si mangiavano i suoi risparmi, della guerra, le due guerre che lui aveva vissuto, da bambino prima e da uomo dopo, tanto tempo dopo. Non conoscono la fame -diceva grattandosi le brutte macchie sulle mani- per questo non apprezzano niente concludeva smarrito. Constelaciòn aveva parlato all anziano trovato per terra, piano piano. Dopo tre anni si era addormentato tra gli scaffali carichi di barattoli di borotalco e flaconi vuoti, di garze e medicinali scaduti, di confezioni intatte contenenti tutto ciò che si poteva racimolare nell immensa casa rigonfia di umidità e buio. Per risparmiare diceva. Ma lui non era più in grado di capire. Lui non capiva più. Constelaciòn, che cosa pensi di fare? -chiese la ragazza mentre buttava in acqua le mezzepenne, nel bilocale lucidato a specchio, giù, in fondo a via Padova. Nell altra stanza -sul letto a castello dove dormiva da sei mesi con donne di servizio ad ore e levigatrici di pavimenti- le altre avevano appoggiato una piccola televisione, che trasmetteva un programma a quiz che guardavano cercando di indovinare la risposta giusta. Non so. Potrei iscrivermi ad un corso per diventare assistente sociale, all ASL, come hai fatto te. Al tocco dell acqua bollente il fondo del lavandino si piegò schioccando. Una densa nuvola di vapore appannò gli occhiali della maestra che imprecò contro l Ikea senza però smettere di versare il contenuto della pentola. Poi, pensierosa, aggiunse: Mi sa che non basta. Possiamo aggiungerne un altro po disse Constelaciòn. Marìa, Rodrigo ha perso il lavoro. Dobbiamo ancora pagare il mutuo. Non posso più ospitarti. E dove vado? Perché non torni in Ecuador. Non avevi una lavanderia tutta tua là? Non avevi una pensioncina che stava andando bene? Tu vuoi morire schiava india, tu vuoi morire come sei nata. Io non sono nata schiava. Bè, allora continua a pulire case e a perdere lavori, continua a coltivare questi capelli alla tua età -Alessia prese una delle ciocche d argento e gliela agitò mostrandogliela- Andando avanti così, voglio vedere come porterai qui tuo figlio. Lascia in pace Luca, lui deve finire la scuola, verrà quando sarà grande. Per aiutarmi. Ah Constelaciòn Ti aiuterà come ti ha aiutato suo padre. A proposito, c è una slava che sta cercando una sostituta per la famiglia dove ora si trova. Come mai? Che le è successo? Non si sa. Dice che vuole uscire. Che è stanca di cambiare casa. Che in questo paese i vecchi non ce la fanno, che si spengono come cerini. Avrà trovato Museo di Storia Naturale qualche scemo. Povero Don Francesco! No Constelaciòn, non hai capito, poveri noi! Comunque è tutto ciò che posso fare. Tutto ciò. Sabe Dios que angustia te acompanò Que dolores viejos callò tu voz Para arrecostarte arrullada en el canto de las Caracolas marinas. Mentre superava faticosamente il tramonto che trapelava tra le arborescenze cristallizzate del Duomo -eterne nella piazza ora addobbata a festa- si vedeva già in via Mengoni, pochi metri più avanti, sulle grate tremanti che soffiavano un vento caldo che riscaldava i piedi e le guance. La canciòn que canta en el fondo oscuro del mar, La caracola Il Caffè Suisse era pieno e la doppia fila di tassì con gli uomini dentro ormai s allungava, uomini salvi e asciutti. Magri, con la sigaretta in mano a contemplare la neve cadere Te quiero. Te quiero. Che dolci parole! Quanto le avevano tramato in testa queste parole. Le parole di Jacinto. Stupida! Era bello però, nella sua uniforme candida. Arrivò con la marea alta e un pugno di parole, due soltanto. Le formicolavano ancora sul collo. Una formica e un silenzio di schiuma. Tu non puoi Marìa Constelaciòn, le tue ossa non sopporteranno il peso -diceva la nonna intrecciando con le mani brune e rinsecchite le ciocche di luna- Non sei fatta per essere madre, piccola mia, questi sono sforzi da donna. Non aveva voluto sentire ragioni Marìa e, mentre si sentiva crescere il ventre dalle carni in movimento, euforica come una lupa, si accorgeva di quanto la schiena tirasse e si piegasse. La pancia le cresceva tra le lenzuola e le tende lavate a mano e odoravano di campo e ondeggiavano la schiena le tirava e cedeva lentamente. La gente arrivava dormiva e se ne andava; arrivava dormiva e non tornava più e lei tirava e si piegava come un arco, tirava e si curvava fino al limite, fino a che, un giorno non si spezzò. Che cos è? Cos è successo? Non so Qualcosa è andato storto Stai zitta Oh povera Constelaciòn Buone, buone zitte Cos è successo? Non so Povera Constelaciòn Che disgrazia! State zitte E vero? Sì Oh povera stella Intimidita dall enorme passo che aveva osato fare, la gamba le si accorciò. Così. Dopo il parto. Sprofondata nel letto materno, fissava dalla finestra il ramoscello scarno oscillare e affaticarsi di foglia contro il cielo Edoardo F. Tavola stellato e salmastro Si no soy mujer, saré cometa Si disse con un groppo in gola. Se non sono donna, volerò. Te vas Alfonsina con tu soledad Que poemas nuevos fuìste a buscar Una voz Antigua de viento y de sal Te requiebra el alma y la està llevando Y te vas, hacia allà como en sueño Dormida Alfonsina, vestida de mar. Cinco sirenitas te llevaràn Por caminos de algas y de coral Y fosforescentes caballos marinos haràn Una ronda a tu lado Y los habitantes del agua van a jugar Pronto a tu lado. Cinque sirenette ti porteran Per cammini di alghe e di corallo E fosforescenti cavalli marini faran Un girotondo al tuo fianco E gli abitanti dell acqua verranno a giocare Presto al tuo fianco. Si fermò. La voce cavernosa e trascinata dell indio arrivava, da là, dietro al monumento. Lamento d altipiano. Un re montava un cavallo bloccato su un esercito pronto a combattere, tra una marea di teste. Il pirla a cavallo, il pirla a cavallo! Esultò dentro. Così l aveva chiamato Marco, uno dei figli di Don Francesco. L iscrizione diceva che erano tutti lì dai cinquant anni della Battaglia di San Martino. Sono in centro dal Novecento, Marìa le aveva risposto Marco ridendo. Sarà, ma adesso erano coperti di neve e piccioni striminziti dal freddo, pensò. Il canto inondava la piazza, trasfigurandola di lontananza. Gli altoparlanti avevano zampe sottili ma ben piantate nel fondale ghiacciato. Constelaciòn improvvisamente la riconobbe. La melodia si arrampicava sulle alghe di luci appese a fili invisibili tra le costruzioni. Fluttuavano insieme a miliardi di minuscole madrepore che scendevano dal cielo per riposarsi sulla barriera di guglie e roccia che s innalzava in alto. Talmente in alto che non si vedevano più. Talmente in alto che sfioravano Dio. Ha già chiesto di te, due volte! Dov è? E là fuori, ma è venuto con la moglie Con la moglie? E che cosa vuole? Dice che vuole sapere se suo figlio è zoppo come te Ah, per questo Dì a Jacinto di non preoccuparsi, che il figlio è mio e soltanto mio Lei insiste, vuole sapere se avrai mai bisogno Che non si preoccupi, ho detto Lui dice che torna E perché mai Tornerà Se torna tu gli dirai che me ne sono andata. Se torna, dì que me he ido Y si llama él no le digas que estoy dile que, Alfonsina no vuelve Y si llama èl no le digas nunca que estoy, Dì que me he ido. Era ormai buio. Constelaciòn stette ad ascoltare la vecchia canzone, come se fosse stata nuova, fino a che un dolore acuto non le attraversò l anca. Le monete le tintinnarono nella mano, prima che il feltro attutisse il loro bronzo. Con un segno della testa l indio ringraziò. Facendo attenzione a non scivolare, arrivò a prendere il tram. Seduta sul legno della vettura tolse col dorso della manica la polvere bagnata che era sul vetro. Ora poteva fissare il cielo e la madre santa e d oro lassù, luminosa tra le facciate. Sarò zoppa ma mio figlio avrà un destino diverso, pensò in italiano, sorridendo. Il cielo ora era cobalto e traboccante di stelle. Così dolci e belle che, nervose, le dita si levarono al cielo sforbiciando. Questo racconto è ispirato alla canzone sudamericana Alfonsina y El Mar scritta da F. Luna e musicata da A. Ramirez. Il testo dedicato ad Alfonsina Storni (Svizzera Buenos Aires 1938), fu realizzato dopo l insensata morte della poetessa argentina che, afflitta da depressione e malata di cancro, decise il suicidio buttandosi da una scogliera. Il mio testo è un intreccio tra la canzone, la sua opera, la sua vita e la vita dei sudamericani che vivono in Europa. Susanna Wong A mia madre

14 .14 Un Racconto inedito I lupi di Raul Montanari SEGUE DALLA PRIMA Ma la maschera resisteva. Francesco tirò più forte, stringendo fra le dita le pieghe molli della pelle coperta di peli lunghi e neri, e alla fine capì che non era una maschera ma il vero volto di suo padre. Tolse le mani come se si fosse scottato e fece qualche passo indietro, urtando una sedia. Suo padre si alzò e venne verso di lui, mentre tutti intorno scuotevano le teste deformi e alzavano i coltelli, muovendoli e facendoli luccicare nell aria scura. Francesco si portò le mani alla faccia per non vedere il grande uomo lupo che veniva a prenderlo, e sentì sotto le dita e i palmi la stessa pelle villosa, le stesse zanne, il naso lungo e appuntito. Aprì la bocca per gridare, e si svegliò. La polizia è saltata fuori come se fosse sempre stata sotto il palco, ad aspettare di entrare in scena. Francesco era scivolato a terra, ai piedi di Marina, e lei ha alzato la pistola nell aria come per sparare al soffitto. Uno degli agenti ha gridato qualcosa, mentre tutti urlavano, adesso, e scappavano inciampando e cadendo fra le poltroncine in platea. Poi Marina ha lasciato cadere la pistola e ha abbracciato il primo dei poliziotti, ha cercato di dargli un bacio. L hanno portata via dal palco in trionfo, lacrimante, sconvolta, bellissima, con la sua cascata di capelli rossi tutta scompigliata e la camicetta strappata sul davanti: uno spettacolo! Immagino. E tu in prima fila. Non esattamente. A proposito di file, però, sarebbe stato meglio essere in seconda, perché ho visto Isadora Santapace voltarsi e vomitare addosso a Maffi, rovinandogli una cravatta che doveva essergli costata due occhi della testa. Comunque, quello che Marina aveva da dire, al mondo in generale, era già pronto da un pezzo. I suoi libri? Ma no, quella è solo merda secca! Parlo di quello che ha detto prima di sparare, e soprattutto della lettera aperta ai giornali. Il Premio Verità è una grande provocazione dadaista, un happening dell imbecillità dichiarata Posso venire con te, stasera? Francesco sorrise e finì di spalmare la marmellata sul mezzo panino imburrato. Il sole di settembre picchiava duro, fuori dalla finestra. Allungò la tartina a sua figlia. Allora, posso? Mi porti? Sarò molto preso, sai? Non potrò dirti nemmeno una parola. Neanche guardarti. Fa niente! disse Arianna, cacciandosi in bocca metà del panino. Le guancette rosa si gonfiarono, e Francesco si sentì morire dalla voglia di pizzicarle e morderle. Piano, ehi! Bevici sopra un po di caffelatte, adesso... guarda che ti strozzi! Mmh-mh! scosse la testa la bambina. La babysitter fece per intervenire, ma lui la fermò con un gesto. Mi porti, Francesco? riuscì a dire ancora Arianna, masticando energicamente. Non ho tempo. Stasera no, mi spiace. Se tu hai tanto da fare, posso venire con la zia magari. No, piccola, dai. Ti prego! Francesco! Non ricordava bene quando aveva deciso che gli piaceva, che sua figlia lo chiamasse per nome invece che con quegli appellativi imbecilli: papà, babbo, papi. Quelle parole stavano bene in bocca a un neonato, ma quando Arianna fosse cresciuta lui l avrebbe voluta come amica, e un amico non può chiamarti papi. A lei il nome Francesco andava a genio, e aveva sempre usato quello. Kèko a pochi mesi, poi Pakèko e altre approssimazioni, fino al nome vero. Sua moglie non era d accordo, ma lui lo considerava un investimento per il futuro. Un futuro vicino: adesso Arianna aveva otto anni, e il nome Francesco era già una piccola musica gioiosa, alle orecchie del padre. La madre non aveva più niente da obiettare. Da tempo. C era anche la figlia di Alinei? Mi pare di averlo letto da qualche parte. Sì, Ariannina. Per lei mi è spiaciuto tanto. Che canaglietta! Gliela vedevamo sempre ronzare intorno, viziatissima, perché Francesco era vedovo, sai queste cose... Ma vederlo morire dev essere stato tremendo. Si è ritrovata orfana a otto anni, e in quel modo, poi. La madre se l era portata via una malattia rarissima, quando lei era ancora molto piccola. Sì, per lei mi è dispiaciuto, forse più che per lui, alla fine. Non avrebbe dovuto portarsela dietro. Già. Sai che ti dico? Se un giorno avrò un figlio, mi piacerebbe che fosse come Arianna. Un figlio, tu? Così potrei pastrugnarmelo e viziarmelo per bene. Se non li vizi, i figli, che gusto c è a farli? Tu, un figlio? Ho capito, ho capito. Alle dieci Francesco salì sulla Volvo e accese il cellulare. Grazia? Sto arrivando. Buongiorno, meno male. Casino? Telefonate? Hanno cominciato alle otto! E tu che ci facevi lì alle otto? Lavoravo per lei. Francesco ridacchiò, incolonnandosi nel traffico milanese di mezza mattina, che è meno fitto ma più nervoso e imprevedibile di quello dell ora di punta. Più pericoloso. Faceva davvero caldo. Qualcuno rompe i coglioni più degli altri? Quelli di RAI2. TV? Radio. Dicono che gli va bene anche un intervista registrata. Facciamola adesso, allora. Fammi chiamare. Tanto, qui ne avrò per mezz ora. Salutami tanto i lavoratori del braccio e della mente, lì in ufficio. Digli che Napoleone sta arrivando. La segretaria rise. Che tristezza che i luoghi comuni siano sempre veri!, pensò Francesco: a dispetto del suo nome, Grazia era brutta come il peccato; e, inutile dirlo, efficiente e impeccabile come un tecnico di Cape Canaveral. Agli ordini rispose, e chiuse la comunicazione. Faccio in tempo a telefonare a lei? No. Meglio aspettare. Tanto, oggi è il grande giorno, anche per lei. Pensò alla donna e sorrise. Poi aggrottò le sopracciglia, perché dietro la vetrina di un negozio gli era sembrato di vedere un lupo, ritto sulle zampe posteriori. Guardò meglio e vide che era una ragazza impellicciata, forse l indossatrice di uno show room, che era uscita un momento per fare qualcosa. Un brivido gli si ramificò lungo la schiena, saldando le reni al collo; il sogno tornò tutto intero, con il suo orrore insensato, innominato, e quel sapore di cosa vera che l aveva spaventato più di tutto. Dicevi della lettera ai giornali. Sì, un capolavoro. Avesse scritto così anche quelle ciofeche di libri, Marina, sarebbe stata il genio narrativo del nuovo millennio! Aspetta, devo averla ancora qui da qualche parte... Ma no, dai. Dimmi il succo, se ti va. Il succo, che aveva in parte anticipato prima di sparare, è che lei è un artista e che il suo gesto è una protesta estrema contro l imbarbarimento dell arte, e del mondo in generale. Più in dettaglio: questo premio le faceva schifo, aveva partecipato sperando di vincere e di poter fare quello che poi ha fatto. Una specie di critica da dentro, insomma. Mi tuffo nella merda per dire che puzza proprio. Abbiamo al telefono Francesco Alinei, il direttore di NobooksNoparty, che è insieme una casa editrice, un portale web frequentatissimo, e la più importante rivista letteraria d Italia e probabilmente d Europa annunciò, mettendoci un buon carico di esagerazione, la voce allegra del conduttore di un programma radiofonico molto seguito. Buongiorno, Francesco! Buongiorno, buongiorno. Facciamo un esperimento, Francesco. Poniamo che ci sia uno fra i nostri ascoltatori che non sa niente del Premio Verità. Dico uno, perché la vostra iniziativa ha avuto una tale pubblicità, che secondo me ne parlano anche alla bocciofila Lorenteggio. Speriamo che ne parlino anche loro rispose lui, con quel timbro di voce caldo, appena un po rauco, che gli veniva quando voleva essere gentile, disponibile, fascinoso. Un saluto alla bocciofila! Allora, Francesco. Poche cose gli davano fastidio quanto sentire ripetere il suo nome da uno che non aveva mai visto in faccia. Il contrario del dolce jingle che intonava sua figlia. Ho davvero delle manie, sul mio nome, pensò. Cos è, in due parole, il Premio Verità? E un concorso di bellezza riservato agli scrittori rispose lui, schivando un ciclista suicida che era sbucato di colpo da una viuzza laterale. Vaffanculo, stronzo! gridò chiudendo il vivavoce. Fatti mettere sotto da un altro, coglione! E com è strutturato questo concorso, Francesco? Semplice. La giuria tecnica, presieduta da me e composta da trenta giornalisti, provenienti non solo da riviste letterarie, ma soprattutto da quotidiani e magazine... D altronde le riviste letterarie sono così poche, ah ah! Infatti... Per mettere insieme trenta giurati pescando solo fra le riviste letterarie, avreste dovuto reclutare non solo i redattori, ma pure le donne delle pulizie, ah ah ah! Vero, Francesco? Oh oh oh! Già. L altro cellulare fremette. Una chiamata in arrivo. Diceva, Francesco? Questa giuria...? La giuria ha selezionato una cinquina di autori. I lettori li hanno votati per tutto questo mese sul sito di NobooksNoparty, e questa sera ci sarà la festa con la proclamazione della classifica finale. Che naturalmente conosco solo io, insieme ai miei stretti collaboratori. Vide chi lo chiamava e sporse le labbra, sfiorandosi i denti con la lingua. Questa era la magia di quel nome, da un mese in qua. Premette la combinazione di tasti che inoltrava l sms: Ti chiamo dopo. Un bacio. Fra. Abbiamo capito bene? I cinque autori che avete messo insieme non sono, diciamo, i più bravi scrittori italiani, ma i più belli? Per la giuria, sì. Vogliamo ripetere i loro nomi, Francesco, anche se ormai li conoscono tutti? Abbiamo tre signore, Isadora Santapace, Marina Emme e Samantha Waggler, che è inglese di nascita ma scrive in italiano. Due maschi, Tiziano Maffi e Angelo Crestovasci. Nomi famosi e meno famosi, direi, Francesco. Anche quell unico, sciagurato ascoltatore che non sapeva niente del premio avrà sicuramente letto qualcuno dei magistrali rosa noir di Marina Emme, o i romanzi psicologici di Isadora Santapace e Tiziano Maffi, che hanno scalato più volte le classifiche di vendita. Sì, ma credo che anche la Waggler e Crestovasci siano conosciuti, perché fanno molti passaggi televisivi. Sono richiestissimi, tutti e due. Molto giovani, molto affascinanti. Come è nata l idea un po folle di questo premio di bellezza? Lo scrittore crea bellezza scrivendo, la mette nella pagina; che bisogno c è di premiare la sua avvenenza fisica? Non si rischia di introdurre un elemento extrartistico nella valutazione di un autore? Ma questo elemento c è già! sillabò Francesco, inchiodando a due centimetri dal paraurti posteriore di un fuoristrada. Il senso del premio e del suo nome è questo: diciamoci la Verità! Quando un esordiente presenta il suo scartafaccio a un editore, l editore lo guarda bene da capo a piedi, lo ascolta, calcola già su quanto appeal personale l autore potrà contare, nei suoi rapporti con i media. Ci sono casi patetici, in Italia e fuori, di scrittori che devono la loro fama unicamente a una bella faccia e a un po di disinvoltura in televisione. Lei quindi, Francesco, è d accordo che... Io non sono d accordo su niente. Io per fortuna non sono uno scrittore di fiction, sono un giornalista. Mi limito a registrare la realtà. Abbiamo scrittori meravigliosi che vendono mille copie, e autori che non valgono niente, ma a forza di partecipare a telequiz e cretinate simili, o di sposare galline scelte del pollaio vip, hanno raggiunto una notorietà che poi diventa, in pratica, copie vendute, premi vinti, influenza, potere, successo! Quando parli così ti domandi perché cazzo hai inventato questo premio, e più in generale cosa cazzo ci stai a fare in mezzo a questa gente, vero Francesco? La strada che ti ha portato qui ti si aggroviglia nella memoria, i conti non tornano. Ti domandi se non eri più felice da ragazzo, quando pensavi solo a pescare le trote, in Garfagnana. Non è vero? Cos hai davvero avuto, in cambio? Cosa ti rispondi, quando ti fai queste domande? Improvvisamente il mondo diventa un gorgo di acqua sporca, e tu giri, giri mentre i compleanni si sgranano uno dopo l altro e il buco dello scarico si avvicina. E allora diciamolo! Il Premio Verità è una grande provocazione dadaista, un happening dell imbecillità dichiarata, affermata, consapevole. Siamo dei pagliacci, e basta. Diciamolo. Be, Francesco... L intervistatore è in difficoltà. Si aspettava un intervista più frivola, l idiota. Io credo però che esistano ancora altri valori. Credo che la letteratura sia migliore di come lei la descrive, francamente. Certo che lo è. E il Premio Verità serve anche a dire questo. Lo dice attraverso un paradosso; la letteratura ha sempre usato il paradosso. Ma porca la miseria! Quanta passione, Francesco si entusiasmò l intervistatore, riprendendo quota. Io apprezzo molto la sua energia! Guardi che dicevo a uno stronzo di autobus che per poco non mi fa finire nel fosso. Città del cazzo! Ma Emme è il cognome vero? Ma no, solo l iniziale. E diventata famosa così: Marina Emme. Insomma, lei aveva già preparato la lettera, perché Francesco le aveva detto che aveva vinto. L avrà fatta vincere lui. Non credo. C era una votazione regolare, controllata. Guarda che Marina non aveva bisogno di aiuti per vincere: era una strafiga siderale, ed era fissa in tv un giorno sì e l altro pure. Aveva diecimila rubriche sui giornali, di quelle dove la foto è grande il doppio dello spazio riservato alle risposte ai lettori. Bella da crepare, onestamente; in più, sveglia e furba. Uno schiacciasassi. Tranne per il solito, patetico dettaglio. Cioè? Due dettagli, diciamo. Uno è quello ufficiale, dichiarato nella lettera: l ambizione artistica. Quella voglia disperata di sentirsi dire sei un poeta, sei un artista, sei un creatore. Eppure non c è scrittore che non darebbe via l anima per il successo, quello che si conta con i numeri. Non uno, credimi. Se lo dici tu... Te lo spiego io il meccanismo. Non c è un solo scrittore, nemmeno fra i puri, fra quelli che dicono che loro vogliono vendere poco ed essere apprezzati dagli happy few, che loro vogliono portare avanti questo benedetto discorso artistico, che se ne fregano del pubblico anzi gli fa pure un po schifo; non ce n è uno solo, ti dico, che non vorrebbe vendere cinque miliardi di copie. Non milioni: miliardi. E allora? Tutti uguali? No. Sai qual è la differenza fra lo scrittore onesto e lo scrittore puttana? Che quello onesto lo dice, che vuole vendere tanto? Non solo lo dice, ma non cambia di un millimetro la sua vocazione per andare incontro al pubblico. Vuole vendere, ripeto; non sarebbe uno scrittore, se non fosse così. Credi a me: dipendesse da lui, nei documentari sull Africa si vedrebbe il bambino denutrito, quello col pancione e le braccine magre magre, rifiutare la scodella di riso del missionario e dire: No, non voglio mangiare, voglio leggere l ultimo capolavoro di Nonsochì! Questo vorrebbe il nostro Nonsochì. Ma se Nonsochì è un artista, non farà niente se non scrivere libri seguendo la vocazione di ciò che è stato chiamato a dire, senza fare la puttana per inseguire i gusti veri o presunti del pubblico. Nonsochì è uno scrittore dell infelicità, poniamo? Be, peccato: l infelicità vende poco! Peccato, peccato che la tua vocazione non sia fare ridere la gente, o fare libri erotici, o semplicemente le solite, sane, infallibili storie di amore contrastato che però finisce bene! Ma se è uno scrittore onesto, se quando immagina una situazione o un personaggio vede subito il nero che c è dentro, vede la morte, la sconfitta, lo scacco, se di fronte al male della vita gli si incendia la fantasia e gli fremono le mani, come fremono a un maniaco sessuale davanti a una bella ragazza o a un mangione davanti a un salame stagionato, se insomma la sua verità e la sua missione è raccontare l infelicità, lui la racconterà. E dopo averlo fatto si limiterà a sperare che tutto il mondo venga da lui, a farsi dire dai suoi libri che cos è questa infelicità che ci affligge tutti. Non scribacchierà storielle consolanti, lui, per vendere qualche migliaio di copie in più. E solo un esempio, questo. Non ci avevo mai pensato. Eppure è così. E l altro dettaglio? L altra debolezza della schiacciasassi? Più banale. L amore. I cinque autori che avete messo insieme non sono i più bravi scrittori italiani, ma i più belli Il regista dello show era sovrappeso di almeno quindici chili; alto, un bell uomo, con gli occhi azzurri e i capelli brizzolati raccolti in quella che sembrava la coda di un castoro. Era a suo agio nel teatro, tanto quanto Francesco invece si sentiva a disagio: tutto troppo grande, soffitto altissimo. In un teatro, d altronde!... I soffitti alti gli davano una specie di vertigine a rovescio, guardava su e si sentiva svenire. Un vecchio problema mai risolto. E poi anche alle ferite ci si affeziona, e lui aveva una piccola collezione di cicatrici, che meritavano ogni giorno una carezza, un minuto di pura memoria e tenerezza. Di puro dolore, a volte. Lei comincia a chiamare il quinto classificato, via con la musica!, lo scrittore si alza... Che musica? Adesso gliela facciamo sentire. Pierre! Un tecnico smanettò dietro un mixer enorme e partì un brano techno terrificante. Abbassi disse Francesco, con un gesto. Come? Abbassi un momento, non si riesce a parlare! La musica venne portata a un livello quasi ragionevole. Non si potrebbe mettere qualcosa di diverso? E pur sempre un premio per scrittori, questo... Non so, Haendel? Il regista lo guardò costernato. Francesco si accorse solo ora che il cellulare gli stava fremendo nella tasca; la botta di suono che lo aveva investito prima era stata così forte, che aveva fatto vibrare il palco peggio di un terremoto. Guardò sul display e lesse di nuovo quel nome. Scusi un attimo disse. Si voltò, aprendo la comunicazione, e si infrattò dietro

15 .15 un tendone rosso che aveva odore di polvere. Perché mi chiami? Sei nel teatro? Sì. Ti amo. Non dire cazzate. La voce al telefono rimase in silenzio per un momento. Ho voglia di fare l amore con te. Così va meglio. Ieri è stato bellissimo. E stanotte ti ho sognato. Sempre meglio. Io no, pensò Francesco, io non ho sognato te. Si girò lentamente verso un angolo buio, dietro le quinte. No, non si era sbagliato. Vide di nuovo la sagoma del lupo, un ombra nera che lo fissava, immobile. Gli bastò un secondo per trasformarla in quello che era veramente, un manichino da palcoscenico con una strana parrucca da selvaggio; ma il brivido era partito ugualmente, e si intrecciò a quello che gli dava la voce calda e umida nel cellulare. I due brividi furono così profondi che sentì i capezzoli indurirsi e premere contro la camicia. Stasera? Dopo la festa?... Non so rispose. Non credo. Lei non mi mollerà un secondo. E ho anche l impressione che abbia indovinato qualcosa. Possibile? Lo sai che hanno le antenne, quelle come lei. La voce al telefono rise, piano. Non le basta vincere il suo cazzo di premio? Ha una fame da lupi, quella donna. Francesco si accigliò, sentendo la voce usare quella parola. Vuole proprio tutto. La situazione la conosci. Sì, ma io mi faccio delle illusioni. Posso farmi delle illusioni? Mi dai il permesso? Le illusioni sono un lusso. Hai ragione. La comunicazione fu interrotta. Francesco guardò l angolo buio. La sagoma del lupo non c era più. Ma Marina Emme era proprio innamorata, di Alinei? Da come l hai descritta... Vuoi che facciamo un dibattito su cos è l amore? Preferisco farlo. L amore. Secondo me sì, era innamorata di lui. Nel suo modo divorante, si capisce. Se l amore è un sentimento generoso, allora dobbiamo dire che alcuni hanno la vocazione di amare, altri no; ma io non credo che l amore sia generoso. Credo che sia un istinto egoista, feroce e violento. E ingiusto. Sì, ingiusto. Non c è merito, in amore. Se amassimo solo quelli che lo meritano, forse tutto andrebbe meglio. Ma a quelli che lo meritano diamo l amicizia: siamo molto selettivi, con gli amici, molto schizzinosi. L amore lo buttiamo via, invece. Ci attacchiamo a una persona, pretendiamo tutto e le perdoniamo tutto. Almeno finché dura. Sono abbastanza d accordo. Grazie! Se è così, se l amore è questo, allora bisogna dire che tutti noi proviamo amore. Anche Marina Emme, povera stella. Perché no? La platea era strapiena, e Francesco doveva ammettere che, scelte musicali a parte, il regista sapeva il fatto suo. Belle luci, bella installazione, bello tutto. Molto milanese, ovviamente. Stesso complimento per il reparto stampa e pubbliche relazioni di NobooksNoparty, che aveva distribuito strategicamente i posti in prima fila, alternando: i cinque scrittori finalisti; un po di giornalisti del genere gossip da giungla metropolitana, con la bava alla bocca, pronti a picchiare sotto la cintura; un tot di scrittori che si sarebbero tagliati un braccio pur di arrivare in finale, e quindi guardavano i prescelti con gran sorrisi sulla bocca e i coltelli negli occhi; qualche vip presenzialista di professione (calciatori, un paio di politici, la famosa attrice venuta da New York che ormai la tenevano in piedi con le stampelle, ma aveva ancora la sua da dire); figame assortito. La diretta era stata venduta a Mediaset, i cameraman erano appostati dappertutto come killer. La security: solito plotone di palestrati tutti vestiti Emporio Armani, a parte un paio di eccentrici che sfoggiavano abiti da gran sera, le maniche gonfie di bicipiti e tricipiti. Che successo! Si voltò e sorrise a Chicca Gagliardo di Glamour. La più intelligente, la più cara. Se il successo si misura dal casino... Chicca rise e ammiccò. Ti ho mai detto che ho un debole per Angelo Crestovasci? Guardalo lì, Angelino... con quegli occhioni perforanti. E io che ero convinto che avessi un debole per me! Mi accontenterei di Crestovasci, se gli piacessero le donne. Tu sei troppo occupato a essere perfetto. Detta da un altra persona, gli sarebbe sembrata un accusa o un offesa. Davanti allo sguardo tranquillo di Chicca, Francesco poté solo stringere le labbra e scuotere la testa. Non sono mai stato perfetto, nemmeno alla lontana. E neanche felice disse, prima di essere investito e trascinato via da una squadra di sequestratori vocianti, che lo reclamavano per presentargli uno dei politici. Chicca rispose qualcosa, ma lui non sentì. Stasera ti faccio una sorpresa mormorò Marina, improvvisamente vicinissima. L aveva già salutata prima, in mezzo alla sua corte: l ufficio eventi della Mondadori al completo, una pattuglia di PR anelanti, la segretaria, un amica importante (la moglie dell uomo più potente d Italia), un amica sfigata (quella era il tocco di classe!), servitù varia. Si guardarono negli occhi. Marina era così bella che non aveva bisogno di ostentare sex appeal. Si vestiva come molte modelle di vent anni, I wanna be a fashion photographer quando le vedi in giro per Milano con il book sottobraccio: in modo sobrio, quasi mascherato, che ti faceva pensare a quanto potesse essere incredibilmente sexy, se solo si fosse scoperta un po di più. Si vestiva come se dovesse risparmiare sulle proprie attrattive, distribuirle con parsimonia, e Francesco sapeva che questo -come il suo desiderio di essere chiamato per nome da Ariannaera un buon investimento per il futuro: la bellezza poteva invecchiare, sotto quei vestiti eleganti e castigati, ma gli uomini avrebbero continuato a immaginarla sempre identica. Quel momento era ancora lontano, però. Nessuno lo sapeva meglio di lui. Secondo me è ora disse il regista, prendendolo per un braccio. Va bene. Salì sul palco. L applauso che lo accolse non era né tutto caloroso né tutto perplesso. Lo si poteva definire una composizione a chiazze: assenso, entusiasmo, eccitazione, misti a zone circoscritte di noia e sarcasmo. Prese il microfono, fece schioccare le labbra e disse: Grazie di essere qui. Grazie a ognuno di voi, nessuno escluso, perché stasera celebriamo tutti insieme un piccolo mistero che amiamo. Il secondo applauso partì con un colore tutto diverso: più convinto, ma mescolato alla curiosità e ai commenti per la strana frase che aveva aggiunto. Tutto a posto. Era l effetto che voleva. Guardò Marina, e gli sembrò che lei annuisse. Batteva le mani silenziosamente, accostando i palmi senza farli toccare. Lo scrittore crea bellezza scrivendo; che bisogno c è di premiare la sua avvenenza fisica? E qual era questo mistero a cui alludeva Alinei? Che ne so io? La bellezza e l arte che si incontrano, qualcosa del genere. Lui aveva di queste uscite, ogni tanto. Non ha fatto nessun discorso, tanto non ce n era bisogno. Ha tirato fuori dalla tasca della giacca un foglio e ha cominciato a leggere i voti, partendo dall ultimo classificato. A proposito, l aria condizionata era a palla e faceva perfino freddo, dentro quel teatro. Come era andata la votazione? Ultimo Tiziano Maffi. Un bel tipo, devo dire... l hai presente? No. Un bel quarantenne, tipo intrigante. Forse però non avrebbe dovuto scrivere un romanzo su uno scrittore che si scopa le sue lettrici. Basta Philip Roth, per quel genere di roba. Quarta classificata l isterica; pardon, Isadora Santapace. Lei, oltre a tutte le cazzate che ha scritto, si era anche fatta fotografare nuda da un paio di riviste... ti è capitato di vederla? No. Non ne sai un accidente, di scrittori glamourosi. Pare di no. Be, la Santapace è salita sul palco con un vestito di cellophane. Ha fatto i suoi numeri, che al solito sono consistiti nel dimenare il culo, spiccicare esattamente due parole e riuscire a infilarci tre errori di grammatica. Una vera bandiera della democrazia nell arte: provateci, fate come me, potete riuscirci tutti! Si è presa un po di fischi da teatro di strip-tease e ha tolto il disturbo. Terza la Waggler, che secondo me è davvero bella e scrive davvero bene. Avesse vinto, nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Poi Francesco ha fatto una cosa che distruggeva volutamente, quasi per disprezzo, le convenzioni di questo tipo di premiazione: ha chiamato insieme i primi due, senza separare gli applausi all uno e all altra. Al secondo posto, Angelo Crestovasci. E al primo... Francesco rivolse il microfono al pubblico, come una rockstar. Ma non c era nessuna melodia a guidare le voci, e il nome di Marina Emme arrivò fratto, spezzato, scomposto come un viso in un quadro cubista. Marina Emme e Crestovasci salirono insieme, tenendosi per mano, i tre gradini che davano accesso al palco, fra applausi e fischi. Quando li ebbe davanti Francesco abbassò il braccio che reggeva il microfono, come se gli pesasse, e li guardò. Marina sfrontata, superba, quasi torva: un fumetto, un sogno hollywoodiano nerovestito, con una borsetta di pelle in mano. Angelo così giovane, alto, le labbra gonfie sotto gli zigomi slavi, gli occhi già segnati. Da una parte più di dieci romanzi giallorosa, best seller a partire dal terzo (ma anche la riedizione in paperback dei primi due, fatta di recente, aveva scalato le classifiche), scritti secondo le regole, con tutti i trucchi, gli artifizi di un mestiere che aveva soppiantato il talento fin da subito, lo aveva soffocato come un parassita. Dall altra due soli romanzi, che messi insieme avevano venduto forse diecimila copie; e non perché il talento sovrastava il mestiere, non per mancanza di astuzia narrativa: semplicemente, perché Crestovasci aveva il fuoco, ma il talento no. Non lo avrebbe avuto mai. Questo pensava Francesco, e non solo lui. Continuavano a tenersi per mano, e Marina si girò verso Crestovasci e lo baciò su una guancia, suscitando un ovazione. La gente si diverte, pensò Francesco, in mezzo a tutto quello che gli passava per la testa: Non me ne frega un cazzo, ma alla gente questa cosa piace. E andato tutto bene. Sentili, il casino che fanno! E andato tutto bene. Non sono bellissimi? mormorò al microfono. Un vero presentatore l avrebbe fatta squillare come una tromba, quella frase. Alessandro Belgiojoso La folla rise e applaudì, molti fischiarono. Marina Emme porse la guancia a Crestovasci, che non capì: invece di baciarla, appoggiò la tempia contro la sua, piegando le ginocchia per essere alla sua altezza. Marina tolse la mano da quella del secondo classificato e fece due passi avanti. Francesco allungò il microfono, senza passarglielo. Grazie a tutti voi! disse lei, con un sorriso da candidata alla Casa Bianca. Il volume sonoro della sala tornò a impennarsi. Ho una cosa importante da dire. Sarò molto breve. Ma no, Marina, falla lunga! gridò qualcuno. Sei l unica! Questo premio e tutta la storia del sex appeal degli scrittori riprese la donna a me fa venire il vomito. Fece una pausa, perché il pubblico potesse assaporare la parola. Francesco strinse le palpebre e sorrise. Era questa, la sorpresa?, pensò. Va bene, perché no? Sentiamo come vai avanti. Sono stanca di sentir dire che vendo i miei libri perché piaccio agli uomini, che fra parentesi sono forse il venti per cento dei miei lettori. Delle mie lettrici. Qualche spettatrice applaudì, ma era troppo evidente che stava succedendo qualcosa di strano. Gli altri rimasero in silenzio. Ho promesso di essere concisa, e lo sono. Il resto lo leggerete domani, sui giornali. Marina si voltò verso Francesco, che vide gli occhi del lupo: gialli, con la pupilla a punta. Gli sembrò di averlo saputo da subito, da quando lei gli aveva detto quella frase, che Marina lo avrebbe ucciso. O forse anche da prima, perché questa sarebbe stata l unica conclusione possibile per tutto l odio che le leggeva negli occhi chiusi, nei denti che si mordevano le labbra, quando facevano l amore; l odio senza senso e senza rimedio che lei si portava dentro da sempre, forse. Aprì la bocca ed ebbe il tempo di pensare ad Arianna. Solo a lei, non a sua moglie, a suo padre, e nemmeno all amore di quei giorni. Questo fu l ultimo regalo che il mondo gli fece, mentre lei tirava fuori dalla borsetta la rivoltella nera in tinta. Marina sparò un colpo solo, e Francesco cadde in ginocchio davanti a lei, come in preghiera, come se volesse chiederle qualcosa di prezioso. Nessuno capiva cosa stava succedendo; nessuno pensò alla verità, all inizio: piuttosto a una trovata, una gag. Lui si piegò lentamente in avanti, e anche lei lo fece, mentre Angelo, accanto a loro, guardava la scena, immobile. Marina Emme si chinò e strinse fra le mani le tempie dell uomo che aveva ucciso, appoggiando la fronte alla sua come una madre. Era più giovane di lui, ma il gesto che fece fu proprio quello di una madre. Quelli intorno a loro non lo capirono. Tranne uno. Perché non hai fatto niente? Perché non c era niente da fare. Il male ha una sua logica, sai? A volte uomini di buone intenzioni si mettono in mezzo, fra il male e le sue vittime, e sbagliano. Da questi tentativi di fermare il male, nascono solo mali maggiori. Non è vero. Sei troppo giovane per giudicare. Anche tu sei giovane. Non più dice Angelo, guardando il ragazzo nudo sul letto, nella camera in penombra. Non più abbastanza per non sapere queste cose. Il suo compagno di questo pomeriggio domenicale si accende una sigaretta. Gliela porge, ma lui fa segno di no. E nessuno ha mai saputo di te e Francesco? No scuote la testa Angelo. Eravamo in tre a saperlo, nessun altro sospettava niente perché eravamo stati prudenti, e perché lui... be, non sembrava il tipo che si prende una cotta per un uomo. Non lo era, in effetti. Non so nemmeno io com è successo. Comunque Francesco è morto. Marina Emme aveva capito tutto, come lui temeva. Ma Marina aveva un altra storia da raccontare al mondo e ci teneva a non fare come nei suoi romanzi. Non aveva voglia di prendersi la parte di quella che uccide per amore, gelosia... che banalità! Invece, andare in prigione in nome dell arte le ha dato tutt altro gusto. Sta pure scrivendo il suo prossimo libro, che venderà l impossibile. Lo capisci, questo? Sì. Il ragazzo gli tocca una spalla, ma lui si scosta un poco. E tu? L hai raccontato solo a me? Sì, per ora. E cosa farai del vostro segreto? Angelo gira gli occhi verso la scrivania, di lato al letto, e anche il ragazzo si volta a guardarla. Il computer è ancora acceso. Il salvaschermo è una bocca che parla, muta, le labbra rosse su sfondo nero, ripetendo parole che nessuno sente. Cosa vuoi che faccia? Proverò a scrivere un libro. Raul Montanari ha pubblicato otto romanzi, due libri di racconti e uno di poesie. Insegna scrittura creativa a Milano. A maggio uscirà il noir L esistenza di dio (Baldini Castoldi Dalai). Il racconto I lupi è stato pubblicato in tedesco nella prestigiosa antologia Europa mordet (Ullstein 2005) ed era finora inedito in Italia.

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