Rischio basso : le nuove procedure per dimostrare l avvenuta valutazione del rischio

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1 Rischio basso : le nuove procedure per dimostrare l avvenuta valutazione del rischio I provvedimenti attuativi previsti dalla Legge 98 del 9 agosto 2013 di Cinzia Frascheri Pubblicato 2014 Giuslavorista Componente ufficiale della Commissione consultiva permanente, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Responsabile nazionale CISL Salute e Sicurezza sul Lavoro 1) Evoluzione normativa Era il 9 agosto del 2013 quando, nel rispetto dei termini previsti, il Decreto Legge n.69 del 21 giugno 2013, (meglio conosciuto come decreto del fare ), veniva convertito in legge. L articolato, nato con il chiaro ed espresso intento di promuovere azioni mirate volte ad introdurre semplificazioni del quadro amministrativo e normativo, intervenendo anche sul tema della salute e sicurezza sul lavoro, sia con provvedimenti innovativi, come anche interventi modificativi del d.lgs.81/08 s.m., ha richiesto fin da subito una intensa attività volta a concretizzare quanto disposto, considerato i tanti rimandi a decretazione successiva, maggiori dei provvedimenti immediatamente applicativi. L impegno considerevole richiesto alle diverse forze in campo (di lato istituzionale e parti sociali), in particolare nell ambito dei lavori della Commissione consultiva permanente, ha occupato un tempo più lungo di quanto ipotizzato dallo stesso legislatore che, pur avendo inserito scadenze di carattere ordinatorio, fissandole a sessanta e novanta giorni, è evidente che auspicasse ad un procedimento celere nel giungere a decretazione, pur forse sottovalutando la complessità dei lavori preparatori, tenuto conto del rilievo degli istituti legislativi in campo e delle tutele a questi correlate. A tale riguardo non va, difatti, dimenticato, al fine di comprendere il peso di molti provvedimenti introdotti, il complesso iter legislativo svoltosi durante i lavori di conversione in legge del decreto del fare, avendo ricevuto all atto della sua emanazione non poche critiche di merito su quanto previsto, soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali nazionali (Cgil, Cisl, Uil), alle quali va il merito di aver svolto un importante azione di pressione sulle commissioni parlamentari impegnate nei lavori di conversione. Si conferma comunque che i provvedimenti oggi previsti dall articolato, pur modificati significativamente dal testo originario del decreto, contengono ancora non poche novità di rilevante effetto, in particolare in quanto inerenti istituti cardine per quel che concerne l azione di prevenzione negli ambienti di lavoro. Il grande impegno profuso da parte di tutti gli attori nazionali coinvolti nel produrre l adeguata regolazione dei provvedimenti attesi, pur considerando alcuni minimi ritardi in relazione alle scadenze

2 previste, avrebbe comunque senza dubbio condotto a decretazione entro i primi mesi del Anche la Commissione consultiva permanente, giunta al termine del suo mandato quinquennale ( ), con l emanazione dei decreti attuativi relativi ai provvedimenti introdotti dal decreto del fare avrebbe efficacemente concluso un percorso di lavoro importante, coronato nel tempo da non secondari risultati raggiunti per quanto riguarda la prevenzione sui posti di lavoro. Le vicende politiche, però, come noto, seguono percorsi e tempi diversi dalle specifiche questioni di merito e, pertanto, irrompendo in maniera quasi del tutto inaspettata, con l avvicendamento repentino tra il governo Letta e il governo Renzi, nel febbraio 2014, si interrompeva quanto in essere, portando necessariamente ad un blocco delle attività e ad un conseguente congelamento di tutto quanto pronto per essere varato. Oggi, a tre mesi dall insediamento del nuovo governo e del nuovo ministro del lavoro e delle politiche sociali, si attende che quanto lasciato in sospeso riprenda il suo iter e in tempi brevi si giunga all approvazione finale e alla conseguente emanazione definitiva dei provvedimenti, consentendo così, a partire proprio dalle realtà lavorative più direttamente interessate dalle disposizioni, di poter operare fattivamente in modo adeguato e secondo precise indicazioni. Premesso, infatti, che la ripresa dei lavori determinerà senza dubbio una nuova analisi di quanto prodotto, anche in funzione dei nuovi orientamenti e delle possibili nuove priorità che il ministro vorrà indicare, non potendo neanche escludere che alla luce della nuova composizione della Commissione consultiva permanente potranno emergere posizioni diverse da quelle precedentemente sostenute, determinando valutazioni differenti ed intenzioni modificate in confronto a quanto già avallato, dovendo comunque considerare quanto fatto e la rilevanza dei lavori svolti nella fase precedente la sospensione, è senz altro importante, se non anche utile, conoscere nel merito quanto fin ad oggi elaborato. In tal senso, individuando tra i temi interessati dalle modifiche introdotte dalla L.98/2013, uno tra i più significativi e, in funzione degli effetti che ne discenderanno, tra i più rilevanti per quanto concerne il mondo delle piccole imprese, è opportuno analizzare il tema della valutazione dei rischi e del relativo documento per le «attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali», secondo quanto previsto all art.29 del d.lgs.81/08 s.m., alla luce delle modifiche apportate. Focalizzandosi, quindi, in particolare su una delle novità introdotte di maggior impatto, sia sul rilievo dei provvedimenti previsti che in merito alle modifiche apportate innovazione sulla quale si sono andate concentrando ampie ed articolate critiche espresse anche dopo i cambiamenti del testo realizzati durante il processo di conversione è nei riguardi dell introduzione di una tipologia specifica di settori di attività ritenute a basso rischio, che occorre dedicare un analisi ed approfondimento puntuale e mirato. Mediante l art.32, comma 1, lett.b), punto 2 della L.98/2013, è stata disposta l integrazione di uno specifico comma aggiuntivo a quanto già previsto nell ampio art.29, del d.lgs.81/08 s.m., in tema di «Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi». Intervenendo nel corpo dell art.29, con il comma 6-ter), il legislatore della semplificazione è andato ad operare un ennesimo intervento rivolto all adempimento, da parte dei datori di lavoro, dell effettuazione della valutazione dei rischi, rivolgendosi a quelle realtà lavorative classificate, sulla base di un complesso incrocio di criteri, all interno di una fascia da ritenersi a basso rischio e, pertanto, con (forse) minori specifiche esigenze nei riguardi della rilevazione dei pericoli e dei rischi e delle relative procedure di prevenzione e protezione. Già operato un rilevante passo in avanti, nel novembre 2012, con il varo del decreto interministeriale datato 30 novembre, mediate il quale si sono introdotte per la prima volta delle procedure standardizzate in risposta, o meglio in applicazione concreta, a quanto previsto dal comma 5 dell art.29, in tema di modalità per la valutazione dei rischi e relativo documento per le aziende che occupano fino a dieci lavoratori, la novità portata dal vento delle semplificazioni del decreto del fare si pone, in linea di massima, nello stesso potenziale bacino di azione. Un bacino formato sostanzialmente dalle stesse aziende che però, nel caso specifico di quelle fino a dieci lavoratori, fino al 2012 hanno potuto usufruire (purtroppo) della prolungata concessione allo strumento

3 dell autocertificazione, introdotto temporaneamente dal d.lgs.626/94, ma protrattasi anche per molti anni sotto la vigenza del testo di riforma del Rientrati, difatti, dalla messa in mora della Commissione europea (nel 2011) proprio, tra gli altri, su questo punto specifico del protratto periodo di concessione all autocertificazione da parte dei datori di lavoro delle micro-imprese a seguito della quale si era determinata una grave disparità di tutela nei riguardi di tutte le altre realtà lavorative la disposizione riferita all introduzione delle procedure standardizzate (entrata ufficialmente in vigore nel giugno 2013), aveva già positivamente (e finalmente) dato una prima risposta concreta che da tempo si attendeva, al di là del richiamo comunitario. Dimostrando la politica una evidente debolezza nei confronti delle dirette e forti pressioni ricevute da quei fronti che fin da subito, a seguito dell uscita delle procedure standardizzate, avevano manifestato evidenti contrarietà verso un tale importante strumento, sollevando a proprio favore (sbagliando) la questione di non aver ricevuto procedure semplificate, ma soltanto standardizzate (come d'altronde però il legislatore ha così da sempre inteso considerarle, all art.29, comma 5 del d.lgs.81/08 s.m.), l avvento delle novità, su questo punto, introdotte dalla Legge n.98/2013, non può che essere collocato in questo specifico quadro interpretativo, pur dovendo fare le giuste differenziazioni. Praticando, pertanto, un operazione, potremmo dire, di millimetrica definizione del campo di applicazione del nuovo provvedimento introdotto, sotto l insegna della semplificazione, attraverso l art.32, comma 1, lett.b), punto 2, è stato predisposto che, a fronte delle piena conferma delle procedure standardizzate previste per le aziende che occupano fino a dieci lavoratori, per quelle rientranti in «settori di attività ritenute a basso rischio» (di indifferenziata, in questo caso, dimensione e, pertanto, non del tutto coincidenti con le sole aziende fino a dieci lavoratori) si preveda l adozione di un modello semplificato, finalizzato al dimostrare l aver effettuato la valutazione dei rischi, da parte dei datori di lavoro, nel rispetto dei precetti dettati dal d.lgs. 81/08 s.m.. Con un semplice intervento di integrazione all articolato del d.lgs.81/08 s.m. è stato, pertanto, disposto che forse per alcuni aspetti, minando anche alla base una serie di cardini fondamentali sui quali si erano basate le principali azioni di prevenzione in questi anni per le aziende rientranti nei settori classificati a «basso rischio», la dimostrazione dell effettuazione della valutazione dei rischi potrà essere svolta adottando una modalità (ancora una volta) diversa da quelle previste : non solo in riferimento al modello tradizionale della valutazione dei rischi e al conseguente documento, ma anche nei riguardi delle procedure standardizzate, entrate da così breve tempo nella più ampia conoscenza (ma non necessariamente già nell utilizzo) dei potenziali fruitori di tale strumento, datori di lavoro e/o RSPP (ma non meno, nel rispetto del ruolo, RLS e medici competenti), quali attori della prevenzione nelle realtà lavorative che occupano, in questo caso, fino a dieci lavoratori. Ridimensionate le disposizioni introdotte con l art.32, comma 1, lett. b), punto 2, del decreto del fare grazie all azione ferma e unitaria delle organizzazioni sindacali in particolare sui punti relativi al superamento del solo criterio del basso indice infortunistico, con l integrazione dell ulteriore indicatore del basso indice riferito alle malattie professionali, e con il ritorno al ruolo originario della Commissione consultiva permanente, riportato a funzione determinante tale da individuare i settori, appunto «sulla base delle indicazione della Commissione consultiva permanente», anziché nel solo ruolo dell essere «sentita», si deve oggi necessariamente considerare quanto previsto legislazione vigente. Una condizione quest ultima che se oggettivamente segna un punto fermo sul piano legislativo, non determina alcun risultato concreto dovendo considerare che se non verrà in tempi brevi varato il decreto attuativo (a causa del prolungato empasse del ministero del lavoro e delle politiche sociali) la disposizione introdotta continuerà a non produrre alcun effetto reale, lasciando le aziende interessate dal provvedimento a metà del guado in una situazione di evidente disorientamento nei confronti di quale procedura seguire ed adottare. Un dubbio che porta sempre con sé il reale pericolo di disincentivare il rispetto della normativa, ponendo le aziende (specie quelle di più ridotta capacità organizzativa e gestionale) in una condizione di potenziale maggior esposizione a rischio, anche in certi casi quando questo lo si possa definire basso sulla base di meri criteri di analisi teorica dei fattori.

4 Decreto-legge n.69 (del 21 giugno 2013) Art.32, comma 1, lett. b), punto 2 : «6-ter. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati settori di attività a basso rischio infortunistico, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici di settore dell'inail. Il decreto di cui al primo periodo reca in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono attestare di aver effettuato la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e 29. Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 dell'articolo 26.» Legge n.98 (del 9 agosto 2013) Art.32, comma 1, lett. b), punto 2 : «6-ter. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sulla base delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici dell INAIL e relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda. Il decreto di cui al primo periodo reca in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17 e 28 e al presente articolo. Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 del presente articolo.» Superato oggi abbondantemente il termine entro il quale si sarebbe dovuto varare il decreto relativo alle disposizioni in parola che avrebbe dovuto essere varato, secondo il dettato del comma 2, dell art.32, «entro novanta giorni» dalla data di entrata in vigore del decreto del fare, visto il delicato e complesso lavoro necessario alla definizione delle attività da considerare a basso rischio (lavoro che in questo tempo di sospensione è comunque proseguito da parte dei tecnici sul piano dell affinamento delle analisi e della documentazione a supporto), non si può certo ritenere che ci sia stata, sul piano del merito, alcuna perdita di tempo, dovendo considerare il primo ritardo accumulato (antecedente il blocco politico), assolutamente connaturato ai tempi necessari per svolgere le azioni di studio, analisi ed approfondimento, propedeutiche alla redazione del decreto. Il lavoro svolto, va detto, in particolare grazie al supporto offerto da parte dei tecnici dell Inail, quale istituto titolare di tutti i dati utili per l analisi degli indici infortunistici e delle malattie professionali, si è dimostrato di grande rilievo e ampiezza in quanto, pur partendo da una base statistica già consolidata, ha dovuto essere adeguatamente integrato e ampliato, dovendo necessariamente tenere in conto una serie di fattori trasversali tali da non poter essere ignorati, al fine di andare concretamente ad identificare settori di attività di certa rispondenza a condizione di basso rischio. Il dato sulla pericolosità delle lavorazioni, difatti, se ha una stretta correlazione con gli indici infortunistici e gli indici riferiti alle malattie professionali, di contro, non si esaurisce con essi,

5 dovendo necessariamente a tale riguardo considerare altri elementi, oggi già presi a riferimento, a partire dall ampio panorama normativo tecnico specifico vigente, riferito alle attività a rischio, tra le quali le attività classificate ad «elevato» o «grave» rischio, individuate tenendo conto di alcuni elementi determinati, come: la dimensione dell unità produttiva; i quantitativi e la tipologia delle sostanze utilizzate e/o trattate, le caratteristiche dei luoghi di lavoro, i macchinari e le attrezzature in uso. Una complessa ed articolata classificazione, dunque, che dovendo individuare le attività lavorative a «basso rischio» non può in alcun modo ridursi al solo basarsi sugli indici di accadimento registrati dall Inail, per settore e attività, che pur rappresentando oggettivamente un criterio assolutamente valido, è indiscutibilmente parziale, se non anche, per certi casi e condizioni, non pienamente e adeguatamente coerente, ancor più non potendo mai dimenticare che al centro di tutte le considerazioni deve sempre esserci la tutela specifica delle lavoratrici e dei lavoratori. 2. L individuazione dei settori di attività a basso rischio e il modello di attestazione Posto a base certa di riferimento gli indicatori espressamente previsti dal testo normativo, in specifico ponendo a base l elenco Inail delle classi ATECO (quello del 2007), sulla base del quale sono stati incrociati i dati (del triennio ) relativi ai settori con più o meno alta percentuale di rischio infortunistico (da considerare sia con esito mortale che indennizzabile) e, al contempo, i settori con più o meno alta percentuale di malattie professionali dati in entrambi i casi rapportati al numero degli assicurati la valutazione che tali criteri non potessero essere sufficienti per poter adeguatamente individuare le «attività ritenute a basso rischio», non ha richiesto molto tempo per divenire considerazione condivisa, al punto che i lavori di analisi ed approfondimento si sono immediatamente avviati con il preciso obiettivo di colmare tale evidente mancanza. Individuata correttamente, pertanto, l asimmetria tra gli indici infortunistici, gli indici delle malattie professionali e, quali elementi determinanti aggiuntivi, l indice di pericolosità di un attività (nella quale, difatti, non necessariamente si determinano eventi infortunistici o patologie), così come anche l incidenza del peso statistico nel caso di comparti a ridotta occupazione, le analisi che si sono svolte hanno riguardato i fattori che potessero portare ad escludere quelle attività che, seppur ricomprese nella prima scrematura realizzata sulla base della percentuale infortunistica e delle malattie professionali, non potessero comunque essere considerate (e pertanto, ricomprese) nell elenco dei «settori di attività ritenute a basso rischio». Risultando un approccio di analisi assolutamente adeguato e dalle motivazioni scientifiche e statistiche di base, di totale ineccepibilità, il problema da subito emerso è stato quello di rischiare di non arrivare a garantire una copertura certa nei confronti di alcune attività (specie quelle di nicchia), puntando a redigere un elenco determinato di «attività ritenute a basso rischio», offrendo, da un lato, una reale semplificazione per i datori di lavoro nell individuare facilmente la propria attività all interno o meno dell elenco, ma dall altro, non potendo garantire un sistema automatico di ricomprensione, o meno, di una attività nell elenco, prescindendo tout court da una propria valutazione delle tipologie e gradi di rischio. Dovendo, per certo, rispondere al mandato disposto dalla L.98/2013, con l art.32, comma 1, lett. b), punto 2, oggi parte integrante del testo dell art.29 del d.lgs.81/08 s.m., mediante l inserimento del nuovo comma 6-ter, relativo all individuazione dei «settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi», è risultato quindi evidente che, pur forse sacrificando in parte il prioritario obiettivo del rendere il procedimento all insegna della massima semplificazione (a partire proprio dall individuazione diretta dei settori e delle relative attività), il decreto attuativo del mandato normativo dovesse prevedere, oltre ad un elenco di settori ATECO ritenuti a «basso rischio», anche un preciso elenco di fattori di esclusione. Affidando, pertanto, ai datori di lavoro l azione di individuazione definitiva dell appartenenza, o meno, della propria attività lavorativa a quelle «ritenute a basso rischio», è stato previsto di riportare

6 pienamente, in capo alla figura titolata a tale scelta, la decisione che, seppur basata su elementi di natura oggettiva, prevede l assunzione di una responsabilità decisionale che si pone in linea perfetta con quanto (già) disposto all art.17 del d.lgs. 81/08 s.m., secondo il quale tra gli unici obblighi non delegabili del datore di lavoro vi è precisamente quello relativo alla valutazione dei rischi e all elaborazione del conseguente documento. Traendo, quindi, indicazione dalle normative tecniche specifiche, attualmente in vigore, i fattori di esclusione risultati determinanti (e dirimenti) al fine di verificare la reale condizione di «attività ritenuta a basso rischio», tra quelle appartenenti ai settori ATECO, classificati a «basso rischio» (sulla base dei due criteri di accadimento), si possono sostanzialmente individuare tra i seguenti : - appartenenza all industria estrattiva; - soggetti a controllo di prevenzione incendi (ai sensi del D.P.R. 151/2011); - classificati a medio o alto rischio incendio (ai sensi del D.M. 10 marzo 1998); - svolgere lavori in ambiente confinato o sospetti di inquinamento (ai sensi degli artt..66 e 121 e dell all. IV del d.lgs.81/08 s.m.); - classificati a rischio di incidente rilevante (ai sensi del d.lgs.334/99 s.m.); - in presenza di rischi da radiazioni ionizzanti (ai sensi del d.lgs. 230/95); - in presenza di lavori che comportano rischi particolari per la salute e sicurezza dei lavoratori (come espressamente elencati dal d.lgs. 81/08 s.m., all allegato XI); - in presenza di lavori sotto tensione o lavori in prossimità di parti attive di impianti elettrici; - in presenza di rischi da atmosfere esplosive (ai sensi dell all. XI del d.lgs.81/08 s.m.); - in presenza di lavori con utilizzo di amianto o agenti cancerogeni e mutageni ai sensi dell all. XI del d.lgs.81/08 s.m.); - in presenza di lavori che prevedono l utilizzo di attrezzature che richiedono abilitazioni specifiche e conoscenze e competenze particolari (ai sensi degli artt.71 e 73 del d.lgs.81/08 s.m.). Riconoscendo piena validità alla metodologia seguita per giungere a delineare il percorso da attuare per poter individuare, prima l elenco dei settori di attività ritenuti a basso rischio e poi i fattori di esclusione, se evidenti appaiono le criticità che si sono presentare nei riguardi di certi fattori di esclusione, vedi l utilizzo degli agenti chimici (che ricordiamo riguardare anche i semplici prodotti per la pulizia dei locali), non minori perplessità si può dire che si creino nei riguardi del modello da utilizzare da parte del datore di lavoro ai fini del «dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi», elemento, anche questo, ricompreso nel mandato a decretazione successiva, disposto dal nuovo comma 6-ter dell art.29 del d.lgs.81/08 s.m.. Se si possono considerare pienamente condivisibili i tentativi, non facili, volti all individuazione di una linea di demarcazione tra un utilizzo di agenti chimici da ritenersi, comunque, accettabile nell ambito di un attività da classificare ugualmente a «basso rischio», e un utilizzo tale da comportare un esposizione non in tal senso classificabile, più ampie contrarietà e dubbi emergono nei riguardi delle scelte poste in essere al fine di determinare il modello per le procedure, chiamate non opportunamente, anch esse «standardizzate» (come quelle varate con il D.I. del 30 novembre 2012), più rispondenti, però forse, questa volta (purtroppo) a reali procedure semplificate. Riproposto sostanzialmente lo stesso modello procedurale (per lo svolgimento della valutazione dei rischi) e lo stesso schema documentale (per la redazione del documento di valutazione dei rischi), delle procedure standardizzate del 2012, quanto di carente in tale modello già risultava, viene ad essere oggi potenziato, tenuto conto dell eliminazione del modulo con il quale si offriva concretamente al datore di lavoro (o all RSPP) quell elenco esaustivo dei potenziali pericoli presenti in azienda, sui quali si richiedeva una puntuale e meticolosa riflessione da parte del compilatore nello spuntarne la presenza o meno (e la conseguente valutazione) di ciascuno, nella propria realtà lavorativa. Non trascurando, certo, la dimensione di «basso rischio» delle attività ammesse ad utilizzare il modello previsto, non deve essere sottovalutato l elemento cardine che differenzia l individuazione delle tipologie aziendali. Se, difatti, nel caso delle aziende ammesse all utilizzo delle procedure standardizzate (ai sensi dell art.29, comma 5) è il criterio dimensionale a stabilirne la ricomprensione, o meno, nel raggruppamento (che ricordiamo attestarsi a «fino a dieci lavoratori»), nel caso delle attività a «basso rischio» è in funzione di una valutazione previa, non solo determinata dalla verifica

7 dell essere ricompresa, o meno, quale attività lavorativa nell elenco dei settori ritenuti a basso rischio, ma anche a seguito della verifica dell inesistenza dei fattori di esclusione espressamente previsti. In tal senso, se nel caso delle procedure standardizzate, il modello rappresenta concretamente uno strumento di supporto alla valutazione del rischio, per quanto concerne le procedure relative alle aziende a «basso rischio» la procedura prevista è di natura, potremmo dire involutiva, visto che per poterla utilizzare e quindi per poter usufruire dello strumento di supporto e aiuto alla valutazione del rischio, il datore di lavoro (o l RSPP) dovrà aver già precedentemente svolto una prima valutazione dei rischi, al fine di poter verificare se considerare, o meno, la propria attività lavorativa a «basso rischio» e quindi ammissibile all utilizzo di tali procedure finalizzate, come poi espressamente previsto, a «dimostrazione di aver effettuato» la valutazione dei rischi e il conseguente documento, come recita oggi l art.29, comma 6-ter del d.lgs.81/08 s.m.. Rischiando ancora una volta di non porre a giusta (o anche solo, minima) attenzione i fattori trasversali di tipicità, nel processo di valutazione dei rischi (come l età e il genere), introdotti dal d.lgs.81/08 s.m., con l art.28, considerato che la classificazione del «basso rischio» non necessariamente esclude l incidenza di tali fattori sui rischi anche classificabili come bassi, così come già rilevato per le procedure standardizzate, la risposta concreta e fattiva volta al promuovere e al realizzare interventi di prevenzione per tali aziende non potrà che venire dalla produzione di supporti e ausili specifici, così come anche di profili di comparto, che puntino a fornire quell aiuto reale e quelle indicazioni di merito per lo svolgimento di una adeguata valutazione del rischio e per la relativa redazione del documento. Risultando complessivamente più semplice e fattibile la produzione di supporti concreti per la valutazione dei rischi, per alcune tipologie di attività indubbiamente a «basso rischio», si auspica che i tempi di realizzazione di tali strumenti siano realmente brevi, potendo così giungere fattivamente alla concretizzazione di un vero processo di semplificazione (e non di un mero sfoltimento degli elementi di tutela), favorevole all adempimento degli obblighi previsti a carico dei datori di lavoro, ma al contempo rispettoso di tutti i principi e regole fondamentali della prevenzione e protezione della salute e sicurezza dei lavoratori. Auspicando che il tempo trascorso a causa dell empasse politico abbia, di contro, consentito di poter perfezionare sul piano tecnico strumenti operativi (se non anche elenchi ancor più puntuali) tali da permettere alle aziende di poter immediatamente accedere all utilizzo delle procedure previste per le realtà lavorative a «basso rischio». senza dover necessariamente svolgere previe ed articolate valutazioni dei rischi, è il perseguire convintamente la via della prevenzione, senza ricercare facili scorciatoie, che deve restare il vero cardine centrale a cui dover rimanere sempre ancorati, ponendo la tutela e il miglioramento delle condizioni di lavoro al primo posto.

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