LA SORVEGLIANZA SANITARIA SUI LAVORATORI ESPOSTI AL RISCHIO CHIMICO NEL SISTEMA PREVENZIONISTICO ITALIANO
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1 LA SORVEGLIANZA SANITARIA SUI LAVORATORI ESPOSTI AL RISCHIO CHIMICO NEL SISTEMA PREVENZIONISTICO ITALIANO dott. Roberto CALISTI SPreSAL - Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro ASL 8 CIVITANOVA MARCHE Con l art. 33 del DPR 303/56 fu introdotta nella normativa italiana la figura del medico competente deputato alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori che erano ovvero sarebbero stati esposti a uno o più agenti di rischio occupazionale (chimici - compresi alcuni cancerogeni, fisici e biologici) elencati in un apposita tabella. Il medico competente avrebbe dovuto visitare questi lavoratori: preventivamente, vale a dire prima che venissero esposti agli agenti di cui sopra, con conseguente emissione di un giudizio di idoneità ; in seguito, con periodicità cadenzata ad intervalli massimi definiti ex lege, per verificare il mantenimento, o meno, del loro stato di salute. Già allora appariva chiaro che il medico competente era nominato dal datore di lavoro sulla base di un rapporto non solo contrattuale, ma anche fiduciale. La maggior parte dei medici competenti era rappresentata (come anche oggi) da professionisti privati, ma non eccezionalmente capitava che essi venissero individuati nell ambito di convenzioni con una struttura pubblica quale l ENPI Ente Nazionale Prevenzione Infortuni (scomparso, questo, verso la fine degli anni 70 per la Legge di Riforma Sanitaria 833/78); in alcuni casi tale ultima soluzione sussiste ancor oggi tramite medici competenti dipendenti dalle ASL Aziende Sanitarie Locali e che, all interno di queste, operano al di fuori delle strutture costituenti l organo di vigilanza. Va anche precisato che, se in molte realtà il medico competente fu adibito esclusivamente alle visite preventive e periodiche dando luogo a ciò che spregiativamente (e spesso giustificatamente) venne definito il visitificio, in altre (soprattutto nella grande fabbrica e in genere nell ambito di grandi gruppi industriali) il medico competente già nel passato meno recente partecipava appieno al sistema prevenzionistico d impresa entrando negli ambienti di lavoro e supportando l azienda rispetto a decisioni quali la scelta tra materiali più o meno pericolosi per la salute e la definizione ergonomica delle postazioni di lavoro. Con il DLgs 277/91 e altre norme successive si definirono i requisiti curriculari necessari all assunzione del ruolo di medico competente di cui sopra.
2 Come è ampiamente noto, il DLgs 626/94 ha introdotto l obbligo, per la maggior parte dei datori di lavoro, di formalizzare un documento di valutazione dei rischi (d ora in avanti, per brevità, il documento ) che: a: identifichi, per l appunto, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori sussistenti nello specifico delle singole realtà aziendali, ivi compresi i rischi derivanti da sostanze e preparati chimici ; b: descriva le misure di prevenzione e protezione che già sono state messe in atto; c: stabilisca, per quella stessa realtà, un programma di miglioramento nel tempo delle condizioni di igiene e sicurezza del lavoro. Quanto sopra esprime con parole diverse da quelle del testo di legge (comunque mantenendone l articolazione in una lettera a, una lettera b e una lettera c) il contenuto del secondo comma dell art. 4 del citato DLgs 626/94: poche righe che possono sembrare aver creato niente più che un ennesimo (e assai pesante) obbligo burocratico, ma che se ben usate forniscono un potente strumento di prevenzione, con l importante ed obbligatorio connotato della proiezione verso il futuro costituita da quel programma di miglioramento prescritto alla lettera c. Non si dimentichi che, mentre molti, ma non tutti, i datori di lavoro sono tenuti alla redazione del documento, tutti i datori di lavoro (vale a dire, tutti coloro sotto cui opera anche un solo lavoratore dipendente e/o un solo soggetto assimilabile ad un lavoratore dipendente) sono tenuti alla valutazione dei rischi (primo comma dell art. 4 del DLgs 626/94). Questa non è affatto una novità: semplicemente, nella normativa italiana nata negli anni 50 la necessità di una valutazione dei rischi era sottesa ed implicita. Limitiamoci a un esempio: per ottemperare al dettato degli artt. 20 e 21 del DPR 303/56, relativi all aspirazione degli inquinanti aerodispersi, è scontato che bisognasse conoscere: la natura e la pericolosità dei materiali utilizzati e quelle dei possibili materiali alternativi (e per ciò avrebbero dovuto concorrere le conoscenze tossicologiche e di fisiologia umana con quelle di igiene industriale); le caratteristiche e l entità di gas, fumi, vapori, polveri, nebbie che da essi potevano formarsi durante le lavorazioni; le possibilità offerte dai sistemi di captazione ed evacuazione disponibili in una determinata fase storica; il know-how per progettare (rispetto ai casi specifici) detti sistemi, metterli a regime, sottoporli ad efficace manutenzione. L obbligo di tradurre i risultati della valutazione in un documento formalizzato è stato introdotto nella normativa italiana dal DLgs 277/91 limitatamente a tre agenti, vale a dire il piombo, il rumore e l amianto; il DLgs 626/94 ha generalizzato tale obbligo. Il DLgs 626/94 ha altresì previsto che in aziende piccole ed esenti da rischi lavorativi particolari (debbono sussistere entrambe le condizioni), all esito della valutazione (che comunque deve essere fatta, pur secondo modalità non formalizzate) il datore di lavoro venga alleggerito della stesura di un documento che in quei casi avrebbe scarso o nullo
3 significato pratico, potendo egli limitarsi a sottoscrivere un auto-certificazione con una dichiarazione d impegno di aver adempiuto a tutti i propri obblighi in materia di igiene e sicurezza del lavoro. Tra gli altri obblighi che il DLgs 626/94 stabilisce espressamente in capo al datore di lavoro vi è quello della scelta, nell ambito delle materie prime e degli ausiliari di produzione possibili per l espletamento della sua attività, tra ciò che è pericoloso e ciò che non lo è, o è meno pericoloso. Tale scelta, che diviene prioritaria nella sequenza logica delle azioni ipotizzabili per eliminare o quanto meno contenere il rischio occupazionale, inevitabilmente presuppone il concorso delle conoscenze tossicologiche e di fisiologia umana con quelle di tecnologia ed igiene industriale. Agli artt. 16 e 17 il DLgs 626/94 ha listato i vari compiti del medico competente, tra l altro dichiarando la necessità che questi, oltre a eseguire le visite preventive e periodiche, provveda a sopralluoghi negli ambienti di lavoro, partecipi alle riunioni di prevenzione aziendali, in generale interagisca con il Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) aziendale e i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS). L art. 17 del DLgs 626/94 ha inoltre esteso l emissione di un giudizio di idoneità all esito delle visite periodiche (mentre prima, come si è detto, questo era previsto dalla legge solo in esito alle visite preventive); su eticità e utilità prevenzionistica (o meno) del giudizio di idoneità, soprattutto quando riferito all esposizione a cancerogeni, si è sviluppato un dibattito scientifico che esula dai limiti della presente esposizione. Il DLgs 25/02 ha integrato il DLgs 626/94 sulla materia del rischio chimico occupazionale definendo parametri espliciti per la valutazione di tale rischio; questa palesemente va derivata da un mix di conoscenze e considerazioni su quantità dei singoli agenti utilizzate nel processo lavorativo e modalità del loro impiego, tenuto conto degli intermedi di produzione e di altre sostanze che potrebbero formarsi ed eventualmente liberarsi in ambiente anche solo quale risultato di una parziale perdita di controllo del processo e/o di eventi incidentali. Il DLgs 25/02 ha anche introdotto nella normativa italiana il concetto di un rischio chimico moderato (termine non particolarmente felice che potrebbe meglio intendersi come minimo o meglio ancora irrilevante ) quale soglia al di sotto della quale il datore di lavoro non è tenuto a una serie di adempimenti tra i quali quello di attivare un sistema di sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti. Tra le novità introdotte dal DLgs 25/02 nel sistema generale delineato dal DLgs 626/94 vi è comunque un ulteriore valorizzazione del contributo del medico competente al processo aziendale di valutazione dei rischi (cosa che, peraltro, si è detto non risultare certamente illogica né tanto meno vietata anche in precedenza).
4 Il filo conduttore che porta al DLgs 25/02 attraverso l evoluzione della normativa prevenzionistica italiana si può riassumere in due concetti: la sorveglianza sanitaria preventiva e periodica in capo al medico competente nominato dal datore di lavoro viene eseguita nei casi previsti dalla legge (e solo in quelli: diversamente si verrebbe a violare l art. 5 della Legge 300/70 ovvero Statuto dei Lavoratori che vieta al datore di lavoro di controllare l idoneità lavorativa dei propri dipendenti se non tramite medici di una struttura pubblica indipendente ); detta sorveglianza sanitaria preventiva e periodica va specificamente mirata ai rischi occupazionali a cui i lavoratori sono esposti (diversamente perde non solo la propria legittimità, ma la sua ratio scientifica e la sua ragion d essere deontologica). Se la valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro (che si auspica sia stato in ciò supportato da un igienista industriale e da un medico competente) ha portato a concludere che, in una certa realtà lavorativa (che potrebbe essere anche solo uno stabilimento, o un reparto, o una lavorazione di un azienda), il rischio chimico è moderato, il problema della sorveglianza sanitaria mirata a tale rischio non si pone: oltre che illogica sul piano clinico-prevenzionistico, essa verrebbe a esercitarsi al di fuori dei casi previsti dalla legge e perciò violerebbe il dettato generale dell art. 5 della Legge 300/70. Un precedente concettuale in tal senso era contenuto nel secondo comma dell art. 35 del DPR 303/56, che di seguito si riporta: L Ispettorato del Lavoro può altresì esentare il datore di lavoro dall obbligo delle visite mediche, qualora, per la esiguità del materiale o dell agente nocivo trattato e per la efficacia delle misure preventive adottate, ovvero per il carattere occasionale del lavoro insalubre, possa fondamentalmente ritenersi irrilevante il rischio per la salute dei lavoratori. Di diverso, nel DLgs 25/02 è contenuto il principio di una auto-esenzione dall obbligo delle visite direttamente stabilita dal datore di lavoro sulla base della propria valutazione dei rischi, fatta salva la possibilità di un intervento correttivo da parte dell organo pubblico di vigilanza e prevenzione nei casi in cui tale auto-esenzione risultasse documentatamente non giustificata. Se un rischio chimico invece c è ed è risultato più che moderato, a maggior ragione in forza del DLgs 25/02 un sistema di sorveglianza sanitaria può e deve essere attivato in capo a un medico competente. In questo caso assume specifico rilievo la definizione di un protocollo di sorveglianza sanitaria che, pur non espressamente previsto per legge, costituisce uno strumento fondamentale di auto-programmazione del medico competente e di comunicazione tra questi, le varie figure del sistema aziendale di prevenzione e l organo pubblico di vigilanza e prevenzione.
5 Un protocollo di sorveglianza sanitaria è tutto fuor che un orpello burocratico perché presuppone ed esplicita: la definizione, tra i lavoratori, di gruppi omogenei nei confronti del rischio occupazionale (corrispondenti con singoli titoli di mansione, sub-titoli di mansione o aggregati di titoli di mansione); la lista degli agenti chimici e degli altri agenti associati alla definizione di ciascun gruppo e per i quali (tenuto conto della loro natura, della loro quantità e di modalità e tempi della loro presenza negli ambienti di lavoro) si è ritenuto utile / doveroso attivare la sorveglianza sanitaria; la lista degli accertamenti sanitari che, gruppo per gruppo, sono stati messi in programma e le rispettive periodicità. Un posto particolare occupa, in tale ambito, il monitoraggio biologico, vale a dire la determinazione analitica, in un fluido biologico, di uno o più xenobiotici a cui un lavoratore è esposto e/o dei relativi metaboliti. I risultati del monitoraggio biologico contemporaneamente contribuiscono alla complessiva valutazione dei rischi (laddove integrano altri strumenti di valutazione, come la misura o la stima dell aerodispersione di un agente), alla definizione / precisazione dei gruppi omogenei e, ovviamente, alla misura / stima dell esposizione individuale. Conclusivamente, si ritiene utile un accenno ai riflessi sui processi di sorveglianza sanitaria in capo al medico competente apportati dal DLgs 66/00, relativo a cancerogeni e mutageni occupazionali essenzialmente chimici. Il DLgs 66/00 impone al datore di lavoro una registrazione sistematica dei lavoratori esposti a cancerogeni occupazionali e dei loro livelli di esposizione; il medico competente può collaborare a questo riguardo sia nella fase di progetto dello strumento informativo sia nel suo normale esercizio, soprattutto tramite dati di monitoraggio biologico e particolari item di sorveglianza clinica (intesi, questi ultimi, come eventi sentinella : ad esempio, nuovi casi di iniziale asbestosi e/o placche pleuriche in una coorte di esposti ad amianto). Il controllo degli esposti a cancerogeni e mutageni non può esercitarsi, oggi ancor più che in passato, al di fuori di sistemi di studio epidemiologico formale e i tempi di induzione-latenza di molte neoplasie collocano queste ultime in finestre cronologiche esterne alla possibilità di osservazione del medico competente in azienda; è, però, comunque fondamentale che questi si ponga come parte integrale di un sistema osservazionale, di controllo e di ritorno prevenzionistico assieme agli organi pubblici di vigilanza e prevenzione ed alle strutture sanitarie dedicate alla ricerca epidemiologica.
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