LA SOCIETA DEL VIVERE INSIEME

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1 1 LA SOCIETA DEL VIVERE INSIEME Relazione del prof. Andrea Riccardi al convegno Educazione e multiculturalità: l impegno della scuola cattolica Milano 18 febbraio 2011 Un Italia bianca e impreparata L Italia è molto cambiata. Il mondo è cambiato. Mi ricordo che, nel 1961, quando l Italia festeggiava cent anni d Unità, mio padre mi portò in viaggio. Prima tappa fu Torino dove si celebrava la festa dell Unità in piena memoria del Risorgimento: il simbolo era un treno una meraviglia della tecnica- che correva su una monorotaia. Sembrava che l Italia corresse rapida e sicura verso il futuro di benessere. C era il senso di un identità e una sicurezza del futuro. Da Torino andammo in Germania meridionale e lì vidi un gruppo di africani, che mi colpì molto perché da noi non ce n erano. Avevo visto, poco tempo prima, un film sui Mau mau, il movimento terroristico in Kenya, che uccidevano i farmer inglesi: neri cattivi contro coloni con figli bianchi e biondi era il messaggio. Mi chiesi se c era da aver paura che quegli africani arrivassero tra noi. Nel 1963 il Kenya avrebbe avuto la sua indipendenza in quegli anni sessanta che sono la stagione delle indipendenze africane. Il nostro orizzonte italiano è stato per secoli tutto bianco e omogeneo. Non esistevano i non europei, se non qualche gruppo di seminaristi a Roma. Così è stato l orizzonte della mia generazione. I diversi erano di altre regioni o province. Dopo la seconda guerra mondiale c è l emigrazione meridionale nel Nord. In Romagna, dove vivevo, il meridionale era talvolta chiamato in modo spregiativo maruchen. Differente è stata la storia della Gran Bretagna e della Francia, imperi coloniali con una cultura che guardava a genti diverse. Non pochi francesi e inglesi, a motivo delle colonie, erano vissuti o nati oltremare. I soldati africani si erano battuti per la Francia, tanto che vediamo ancora sulle tombe in Italia, i loro nomi arabi o africani, la mezzaluna per rappresentare l islam, e la scritta: mort pour la France. Inevitabile che Parigi divenisse un punto di attrazione per i sudditi coloniali, tanto che la grande moschea vi venne inaugurata dopo la prima guerra mondiale (quella di Roma, la più grande d Europa, è stata inaugurata nel 1995, dopo che Paolo VI dette il via libera al progetto). Nella metropoli imperiale affluiva gente dai paesi coloniali, in particolare musulmani del Maghreb. Oggi la Francia conta immigrati, cifra relativamente

2 2 bassa, perché molti hanno ricevuto la cittadinanza in tempi abbastanza rapidi e non sono più immigrati. I musulmani in Francia sono più di quattro milioni, di cui tre di origine magrebina, e rappresentano il 7% dei francesi. La figlia primogenita della Chiesa è divenuta in un secolo multireligiosa. L impronta del colonialismo francese (anche dell accoglienza agli emigrati) era assimilare alla civiltà, all identità e alla lingua nazionale, oltre che alla laicità. Molto differente è quella britannica e lo si vede a Londra. L impero era britannico e multinazionale; favoriva l indirect rule, anche perché meno impegnativo e costoso. Dopo una prima apertura ai sudditi dell impero dopo la guerra (anche con la concessione della cittadinanza), l accoglienza agli emigrati fu praticata dagli inglesi favorendo lo sviluppo separato: un multiculturalismo largo. I musulmani sono nel Regno Unito quasi , in larga parte provenienti da India, Pakistan e Bangladesh. Sia il sistema identitario della Francia che quello multiculturale della Gran Bretagna presentano ora molti problemi. Oggi il primo ministro britannico, Cameron, dichiara che il multiculturalismo è fallito e che si rischiano comunità separate. Il presidente Sarkozy, già da ministro dell interno, ha espresso molte preoccupazioni nello stesso senso: gli immigrati non diventano francesi in senso identitario. La rivolta dei giovani immigrati nella periferia di Parigi è l espressione di questa difficile integrazione. A queste critiche al multiculturalismo, fa eco la cancelliera Merkel in una Germania che, per decenni, ha favorito per motivi economici- un immigrazione omogenea dalla Turchia e oggi è alle prese con una grossa (e separata) comunità turca e curda. Del resto gli indici di integrazione in Germania sono in genere bassi: anche per gli immigrati italiani e i loro figli, da più tempo nel paese rispetto ai turchi. Pochi conoscono mi sia permesso ricordarlo- una pagina oscura della storia tedesca: la campagna nazista contro gli afro-tedeschi, cittadini germanici con passaporto tedesco, che Hitler equiparò agli ebrei e condusse alla sterilizzazione e in parte al lager. Ce lo spiega Sergio Bilè in un piccolo libro pubblicato dalla EMI, Neri nei campi nazisti. Nell Italia tutta bianca degli anni sessanta non esisteva la storia imperiale e coloniale. Il paese non era nemmeno multireligioso, ma compattamente cattolico. Piccole comunità ebraiche ed evangeliche hanno occupato per secoli il posto dell altro in una società omogenea. Anzi l Italia era fino al secondo dopoguerra un paese di emigrati, che ha conosciuto il dolore dell abbandono e la fatica dell integrazione. Lo ricordiamo in molti, ma Gian Antonio Stella con il suo volume L orda, quando gli albanesi eravamo noi, ce lo mostra in modo efficace. E un libro che aiuta ad essere meno smemorati. Siamo figli e nipoti di emigrati. Del resto, per ex emigrati è difficile accettare nuovi immigrati. Spesso si dà luogo alle guerre tra i poveri.

3 3 Italia a rischio Nel 2011 l Italia vive la festa dei suoi 150 anni, Stato giovane tra quelli europei, ma nazione antica come pensava Alessandro Manzoni che, con I Promessi Sposi, scrisse la bibbia dell unificazione linguistica del nostro paese, immerso 150 anni fa, nel mondo dei dialetti. Oggi l Italia ha cittadini e (Istat nel 2008) di immigrati, con uno dei più bassi tassi di natalità al mondo e con una speranza di vita di 78,8 per gli uomini e di 84,1 per le donne. L Italia festeggia in modo triste e incerto il suo giubileo. C è il dibattito storico sul Risorgimento, che viene rivisto. Dopo tanto parlare per decenni di questione meridionale, ci si è accorti che esiste una questione settentrionale. Pesa la crisi economica. Infine c è una radicale mancanza di visione del futuro. Molti, più che parlare d Italia, preferiscono discutere di territorio o regione, che hanno confini più certi, più che di un paese incerto. Che differenza dal 1961, quando si festeggiavano i cent anni! Allora il futuro sembrava a portata di mano. Oggi il futuro sembra invaderci senza che possiamo guidarlo. Assume l aspetto degli stranieri che sbarcano sulle nostre coste o in aree delle nostre città. Talvolta ed è paradossale- assume il volto dei rom. Davvero paradossale, perché questi sono solo , di cui la metà italiani e, per metà, bambini. Eppure diventano un catalizzatore di insicurezza. L immigrazione non è un invasione che minaccia l identità tradizionale dell Italia? Siamo tutti insicuri, ma per questo e altri motivi. Da qui la crescente domanda di sicurezza in questo tempo di giubileo triste. In verità sono convinto che non si tratta di sicurezza a livello di criminalità, ma di qualcosa di più profondo: è domanda di sicurezza sul futuro: con chi vivremo domani e come vivremo? Le misure di sicurezza non placano la paura, perché spesso è timore verso un futuro incerto. E anche la paura lasciatemelo dire- di una società di anziani, perché un quinto degli italiani ha più di 65 anni. Ed agli anziani non si prepara un bel futuro, anche se lungo: le famiglie sono piccole, non ce la fanno, non riescono a tenerli. Ma che vita è, per un anziano, vivere in un istituto? Per anziani, adulti, giovani, giovanissimi perché le sensazioni e le paure si trasmettono di generazione in generazione- il paese cambia colore: muta il panorama umano. La nostra cultura nazionale non era preparata all impatto, avvenuto in tempi rapidissimi. Non abbiamo una storia imperiale e coloniale che ci ha messo a contatto con mondi extraeuropei e in qualche modo ci ha preparato all incontro con altri mondi, come francesi e inglesi. Gli immigrati provenienti dalle ex colonie italiane sono meno dell 1%. La più parte degli immigrati che arriva in Italia non sa la lingua e non conosce il paese. Anche se la televisione italiana ha esercitato una capacità di attrazione su albanesi e tunisini.

4 4 Con quale cultura abbiamo affrontato una svolta epocale nel nostro paese? Alla paura diffusa, si è risposto con una visione che proponeva l integrazione nell affiancamento di culture, lingue, religioni altre all Italia di sempre. La spiegazione di questo cambiamento è stata in linea con una cultura che potremmo definire cosmopolita, che con spirito di tolleranza- accosta tradizioni, religioni, lingue, culture, abitudini, le une accanto alle altre. Così la cultura democratica (uso impropriamente questa parola per definire quella non conservatrice) ha guardato al multiculturalismo come obiettivo, magari mettendo da parte le idee di uguaglianza e riforma sociale, professate nei decenni precedenti. Ci si è divisi spesso nei dibattiti tra un partito della paura e uno dell apertura. Sono stati poi anni (quelli della crescita degli immigrati tra noi) di crisi dell identità italiana con il porsi del problema del rapporto Nord/Sud, ma anche con la questione della credibilità delle istituzioni. Anni di crisi della cultura nazionale. Infatti dopo il 68, con la contestazione del classico canone letterario ed educativo (rappresentato dal Liceo Classico), si sono diffuse culture maggiormente legate alla politica, corrose poi dalla crisi della politica e dello Stato. La società è divenuta meno gerarchica e la cultura si è più allargata. La nostra identità infragilita si è confrontata con una radicale trasformazione da società pluralista politicamente e eticamente in una società più al plurale religiosamente ed etnicamente. Gli anni della maggior crescita dell immigrazione sono quelli della globalizzazione con l apertura di nuovi orizzonti, che rendono l Italia più piccola e fragile in un mondo fattosi molto grande: l Europa diminuisce e crescono i giganti asiatici. Incremento degli immigrati e fragilità dell identità nazionale si sviluppano nello stesso periodo. Per questo il problema di una società a diverse componenti etniche e religiose è stato affrontato spesso in modo sentimentale, emotivo e non realistico e culturale. I 150 anni non sono oggi un occasione in cui rinsaldare l identità, ridire il senso di una comunità nazionale, ma anche porsi a confronto con un mondo nuovo, con culture, lingue e religioni degli immigrati? Il grande rischio è lasciar crescere, nel tessuto di una nazione spaventata, un insieme di comunità ai margini. Un multiculturalismo di fatto. Il discorso vale, in particolare per un fatto assolutamente nuovo: una popolazione musulmana di circa persone, mentre cinquant anni fa erano solo poche unità. Per Giovanni Sartori è la balcanizzazione della società e la fine del pluralismo vero in cui contano i diritti dell individuo. Quello italiano non è un multiculturalismo di fatto, scarico di idee? Del resto la storia degli ultimi decenni ha visto sciogliersi, proprio nel Mediterraneo, tante convivenze tra comunità diverse. Si pensi a quella tra turchi e greci a Cipro, finita nel 1974, ma soprattutto alla vicenda dei Balcani, a Sarajevo, dove musulmani (poco praticanti al

5 5 tempo di Tito), cattolici e ortodossi vivevano insieme. La giustapposizione di comunità non ha in sé il germe della disgregazione? Vivere insieme tra diversi può apparire un rischio per la sicurezza, l identità, il futuro. Come crescere con una solida identità umana in una società che ha trasformato il pluralismo etico e politico degli anni settanta in pluralità di culture? Siamo in un Italia spaesata per la sua crisi, la globalizzazione, la paura e l incertezza del futuro. E mancata una meditazione seria sulla rapida trasformazione di una società omogenea in società plurale. Sono stato da sempre convinto che l immigrazione (che ci trasforma in società plurale) pone un problema analogo a quello che ieri era la questione dei confini di uno Stato. Le frontiere richiedono allo stesso tempo un impegno bipartisan e una dose di patriottismo. Non richiedono di utilizzare l argomento per combattersi. Purtroppo la trasformazione italiana in società plurale è avvenuta in un periodo delicato, quando lo Stato veniva investito dalla crisi della Prima Repubblica o negli anni successivi della cosiddetta Seconda Repubblica, mai veramente nata. Sono stati anni di introversione del paese; ma anche una stagione in cui la politica si è vieppiù dissociata dalla cultura, quindi dalla riflessione sui problemi, per allearsi in modo crescente ai media. Il che ha portato ad alzare i toni in modo emotivo e aggressivo. La trasformazione multiculturale del paese invece richiede meditazione, progettualità, non toni alti ed emotivi. Esperti di umanità I vescovi italiani scrivono nel documento per l educazione nel decennio che viene: Oggi la formazione dell identità personale dice il documento della CEI- avviene in un contesto plurale, caratterizzato da diversi soggetti di riferimento La molteplicità dei riferimenti valoriali, la globalizzazione delle proposte e degli stili di vita, la mobilità dei popoli, gli scenari resi possibili dallo sviluppo tecnologico costituiscono elementi nuovi e rilevanti, che segnano il venir meno di un modo quasi automatico di prospettare modelli di identità e inaugurano dinamiche inedite. La cultura globale, mentre sembra annullare le distanze, finisce con il polarizzare le differenze, producendo nuove solitudini e nuove forme di esclusione sociale. La società al plurale non è solo quella di diverse comunità, ma anche di nuove presenze religiose di italiani i convertiti all islam o al buddismo o all induismo-, e di messaggi che vengono dalla comunicazione globale e dagli incroci tipici di un mondo mondializzato. Continuano i vescovi: Anche i rapporti con culture ed esperienze religiose diverse, resi più intensi dall aumento dei flussi migratori e dalla facilità delle comunicazioni, possono

6 6 costituire una risorsa feconda, da valorizzare senza indulgere a irenismi e semplificazioni o cedere a timori e diffidenze. Sono parole che vengono da un esperienza di umanità per dirla con Paolo VI-, maturata negli ultimi decenni dalla Chiesa, mentre cresceva il paese plurale. Il mondo della Chiesa ha incontrato gli immigrati (portatori spesso di un senso identitario non sempre forte) con il volto dell accoglienza, vedendo in essi uomini e donne bisognosi. Qui c è stato un lavoro importante di cui bisognerebbe scrivere la storia. In larga parte il volto umano dell Italia, che ha accolto gli stranieri quanto è importante il primo impatto!- viene dai cattolici. Per questo, quando si parla di buonismo in modo ironico, mi ricordo che il primo elementare insegnamento che ebbi da una suora-maestra era quello di essere buoni e penso che, in una società così antagonistica e senza legami come la nostra, l essere buoni è una lezione di umanesimo. Nel 1986, la Comunità di Sant Egidio elaborò un documento dal significativo titolo, Stranieri nostri fratelli, così concluso: crediamo che si imponga una seria e meditata riflessione. Come cristiani intendiamo offrire una testimonianza della nostra sensibilità e del legame che ci unisce a quelli che sono arrivati per ultimi. Anche Raab, la meretrice, di cui parla il libro di Giosuè, fu giustificata per aver dato ospitalità. Nel 1989, il card. Martini scriveva: Anche Roma e Milano sono chiamate ad avviarsi per questa strada per diventare luoghi di convivenza pacifica tra gente diversa per razza, lingua e religione. Sfida che, come sappiamo, è terribile per Gerusalemme e però è drammatica per Roma e per Milano. In quel periodo e dopo, la Chiesa non ha parlato solo di ospitalità; si è anche rivolta agli italiani e all Italia. Giovanni Paolo II, primo papa non italiano dal Cinquecento, ha insistito sull identità italiana. Nel 1994, quando esplosero i conflitti etnici nei Balcani e in Ruanda, guardò preoccupato la crisi italiana, la fine della prima Repubblica e la questione settentrionale. Chiese una grande preghiera per l Italia ed espresse la sua visione del paese con una robusta identità e una teologia della nazione. Il papa segnalò tre eredità da non disperdere, la fede, la cultura e l unità nazionale: l eredità dell unità, che, anche al di là della specifica configurazione politica, maturata nel corso del secolo XIX, è profondamente radicata nella coscienza degli italiani. Il senso della nazione wojtyliano non sfocia in un nazional-cattolicesimo, ma in una tensione alla comunità dei popoli. Per papa Wojtyla, talvolta giudicato quasi un nazionalista polacco, la stagione felice di una nazione consiste nel convivere tra diverse componenti etniche e religiose. La Polonia da lui ammirata è il Commonwealth polacco-lituano dell epoca jagellonica: Stato multinazionale di ebrei, polacchi, lituani, ucraini, cattolici e ortodossi, dove

7 7 si praticava e si viveva l amalgama di varie culture e religioni. Lo spirito polacco è, in fondo, - afferma Wojtyla- la molteplicità e il pluralismo, e non la ristrettezza e la chiusura. Sembra tuttavia che la dimensione jagellonica dello spirito polacco, ora ricordata, abbia purtroppo cessato di essere qualcosa di ovvio nel nostro tempo. Giovanni Paolo II ama citare l espressione del re Sigismondo Augusto ( non sarò il re delle vostre coscienze ) per ricordare il tradizionale rispetto polacco della libertà di coscienza. Per vivere insieme è necessario dice Wojtyla ai libanesi- il dialogo: promuovere il vivereinsieme tra cristiani e musulmani, nello spirito di apertura e collaborazione..., perché diventi un atteggiamento di popolo nella vita quotidiana, nel lavoro e nella vita della città, cosicché le persone e le famiglie apprendono ad apprezzarsi e le esperienze concrete di solidarietà sono una ricchezza per tutto il popolo. In quest opera, i cristiani hanno una forza di amore: La storia religiosa ci presenta numerosi santi che sono stati sorgente di riconciliazione attraverso il loro atteggiamento pacifico fondato sulla preghiera e l imitazione di Gesù. Ai cristiani in Medio Oriente, a quelli nel quadro del pluralismo etnico o religioso, il papa prospetta la convivenza, come condizione migliore, non facile, ma arricchente. Si rende conto che i mondi tradizionalmente omogenei sono erosi dagli spostamenti delle popolazioni e dai fenomeni migratori. I cristiani possono lavorare per un arte del convivere, che diventa loro missione. Dopo il viaggio in Brasile, nel 1980, il papa ricorda la storia complessa del paese, attraverso tante stagioni difficili, tra cui l espropriazione delle terre degli indigeni e la tratta degli schiavi. Ammira nel Brasile la multietnicità e il senso di fratellanza tra le componenti etniche, sino a giungere al meticciato di culture: I neri si sono uniti con gli antichi indigeni e con i bianchi, creando, anche nel senso antropologico, il tipo contemporaneo del brasiliano. Per lui la grande sfida della costruzione di una civiltà del vivere insieme è una cultura condivisa e aperta. In questa prospettiva si colloca la proposta di Assisi nel 1986, quando Giovanni Paolo II chiamò i leader delle Chiese e comunità ecclesiali nonché delle grandi religioni cristiane a pregare insieme ad Assisi per la pace: non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri, senza confusione ma senza opposizione. L immagine dei leader religiosi ad Assisi, con Giovanni Paolo II in mezzo, è forse l icona religiosa più popolare del XX secolo. Non si è trattato di un espressione isolata del genio wojtyliano, ma di una proposta che ne sono testimone- il papa volle continuasse negli anni successivi. E l abbiamo realizzata qui a Milano, nel Papa Wojtyla parlò di spirito di Assisi, cioè di un vivere insieme in pace, fondato sulla spiritualità. Nel 2011 Benedetto XVI ritorna ad Assisi e ripropone la via del suo predecessore. Assisi mostra come l identità cristiana, rappresentata dalla fede rocciosa di

8 8 papa Wojtyla, possa promuovere quella che chiamo la civiltà del convivere. Lo spirito di Assisi indica nelle ragioni profonde e spirituali la via della civiltà del convivere. Una casa o un albergo? Guardiamo in faccia i nostri simili. In un quarto di secolo gli abitanti della terra sono cambiati: nel 2006 la popolazione delle città ha superato quella delle campagne; tra il 1980 e il 2000 è avvenuta una rivoluzione culturale con un avanzamento del tasso di alfabetizzazione. Gli uomini e le donne alfabetizzati contano, perché sono soggetti di una rivoluzione mentale. Guardate quanto è avvenuto al Cairo, dove una marea umana e di giovani ha fatto cadere un regime. Gli uomini e le donne contano. Cercano spiegazioni e si interrogano sul futuro. Hanno bisogno di motivazioni e di cultura. Uno degli squilibri delle nostre società è proprio la carenza di cultura e di educazione. Avere e potere senza sapere genera gravi squilibri. Le società senza una cultura condivisa diventano violente e antagonistiche. In questo tempo di triste giubileo dell Unità, molti restano meravigliati che dalla Chiesa venga proposto un senso dell identità nazionale. Sono convinto che dal nostro vissuto, dalle nostre istituzioni, dal mondo dell educazione, dobbiamo far lievitare nell Italia di oggi una cultura del vivere insieme. Abbiamo una cultura del vivere insieme, che non ha paura dell altro, perché ha salde radici. Quando il card. Scola parla di meticciato, vediamo una proposta di essere insieme, di incontro tra culture, che viene da un vissuto cristiano. La grande domanda è: quest Italia dev essere un albergo o una casa? Gli alberghi, anche di lusso, si degradano con il tempo. Molti avrebbero sognato un albergo, che possiamo chiamare Cosmopolitan. Ma la società cosmopolita, quella di Davos, riguarda solo qualche decina di milioni di persone nel mondo. Nel mondo globalizzato invece si sono sviluppati tanti conflitti di identità, di religione e di civiltà. La globalizzazione fa spirare un vento freddo, per cui tutti sentono la necessità di ricoprirsi con la propria identità, anche se l avevano trascurata. Albergo Cosmopolitan o casa? Il rabbino britannico Jonathan Sacks ha recentemente pubblicato un libro che mostra la sfida che sentiamo: The Home We Build Together. C è una casa da costruire insieme. Si deve cominciare dalle nuove generazioni, che vivranno in una società plurale. Ma una casa ha bisogno di un aria di famiglia, che è una cultura nazionale capace di essere un intercultura. Qui c è una grande sfida per l educazione. Scrive Milena Santerini quando parla dell insegnante e della scuola: Il pensiero critico permetterà di riconoscere il proprio etnocentrismo, ma ciò non sarà sufficiente se non verranno sviluppati anche sentimenti di simpatia e coinvolgimento. Non basta, infatti, conoscere le culture per

9 9 costruire una convivenza. La casa, la sua cultura, ha bisogna della simpatia che fa cadere i muri, arricchisce e non distrugge le identità, anzi le apre e le sviluppa senza sradicarle. Per ricostruire una casa, bisogna partire da quel che siamo e che siamo stati. Non basta dire come ci si sente. C è bisogno di storia. Proiettarsi verso il futuro vuol dire educare uomini e donne liberi, perché radicati in una storia. Il futuro non è un nuovismo, ma una storia che cresce. Questo non vuol dire chiusura, ma è apertura consapevole agli altri. L Italia non può essere motivata solo da ragioni economiche o di convenienza: è una comunità che ha alle spalle una storia di sacrifici e sofferenze; ha anche un futuro e una missione nel mondo. L Italia è un Europa sul Mediterraneo, aperta ai Sud del mondo, ma ancorata e lo dico a Milano- nel cuore dell Europa. Chi, come me, viaggia molto fuori dall Europa si rende conto del significato per gli altri dell essere italiani o anche del nome di Roma, come un suono dolce per molti cattolici. L antiromanesimo è un fatto europeo, nordeuropeo, non mondiale. Italia è una parola evocativa sotto tante latitudini. L identità italiana non antagonistica con altre identità, è qualcosa di serenamente radicato nel vissuto del paese e della gente. Esiste un umanesimo italiano, non solo un fatto letterario, ma un sentire diffuso. C è una tradizione di umanesimo italiano che va ritrovata. L incapacità di fare i conti con la tradizione fa tutt uno con l incapacità di un progetto plausibile per il futuro afferma Francesco Bruni, la cui storia letteraria dell Italia é un testo di valore per cogliere un fatto di vita e letteratura. Non abbiate paura! Tutte le profezie di catastrofi imminenti, tutte le predicazioni del disprezzo verso gruppi, etnie, come con i rom, seminano e innescano processi che vanno al di là della volontà di chi causa. Facciamo attenzione alla predicazione del disprezzo e della paura. Il futuro è nelle mani nostre e dei nostri figli. Il problema è che queste mani siano esperte e sensibili. Diamo uno sguardo realistico all Italia di oggi. L Italia non è destinata a divenire un paese invaso dai musulmani, come profetizzato negli anni ottanta. Le comunità musulmane se si sommano i loro aderenti- non fanno un corpo compatto. I musulmani marocchini restano altra realtà dai bangla, dai confraternali muridi senegalesi, dagli albanesi secolarizzati (tra cui c è un alto tasso di conversioni al cattolicesimo). E interessante notare come avvenga invece lo spostamento della millenaria frontiera che divise, nei Balcani, il cristianesimo d Occidente da quello ortodosso, ferma per secoli. Più di un terzo degli immigrati (romeni, ucraini, moldavi, serbi) sono ortodossi. L ortodossia diventerà la seconda comunità religiosa in Italia. Cominciano ad affacciarsi

10 10 istituzioni legate alle comunità non di origine italiana, come le moschee, ma anche un università polacca a Roma. Le comunità straniere presentano caratteri diversi: alcune quasi si dissolvono nel tessuto nazionale, eccetto alcuni elementi, mentre altre sono più identitarie. C è diversità tra marocchini e romeni. Ma c è un meticciato della vita quotidiana che tutti unisce. Scrive Todorov: Oggi dunque ognuno di noi ha già vissuto dentro di sé, sia pure in diversa misura, questo incontro di culture: siamo tutti meticci. C è un meticciato del quotidiano. Proprio per questo, per una vita al crocevia di diverse esperienze, è importante un identità consapevole, colta, sensibile, capace di aprirsi. Due milioni di conti correnti bancari degli immigrati ci dicono la storia dell inizio di un radicamento. Gli imprenditori stranieri, iscritti alla Unioncamere, sono raddoppiati in cinque anni e risultano (i più rappresentati sono romeni e cinesi). Gli studenti stranieri a scuola sono il 7% (ma in Veneto il 17% dei nuovi nati ha origini non italiane). Nel 2007 i figli di immigrati sono l 11,2% dei nati in Italia. Aumenta dell 1% ogni anno. Il mondo dell Italia si allarga e si interseca con altri mondi. Grandi e piccoli problemi si presentano alla nostra vita. Sono diversi dai problemi di ieri. Eppure anche ieri si pensi al 18 aprile l Italia sembrava drammaticamente dividersi tra gli italiani. Il vero problema è avere un ideale ed avere idee. Senza questo non si educa. Mi permetto di dire che non si governa nemmeno. L idea è un umanesimo italiano, che ha radici nella nostra storia e nel vissuto cristiano, che sia solida base ad una società del convivere. Un uomo, un armeno di Istanbul, figlio di un popolo che ha conosciuto i massacri turchi (tanto che gli armeni sono ancora chiamati quelli che sono sfuggiti alla spada ), ha scritto: convivere non era una grazia che avrebbe concesso qualcuno dall alto, era una civiltà che popoli che convivono debbono produrre insieme. Identità e convivenza sono nelle nostre mani, si formano nelle nostre scuole, si nutrono nel sapere, ma soprattutto lo ribadisco- si preparano in una vita illuminata dal credere. Ma lasciatemelo dire- anche capace di amare e sperare. Perché tanta paura nasce da una speranza illanguidita, che ha dimenticato la forza costruttiva, anzi creativa, dell amore.

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