Dighe contro. lo sviluppo. Le responsabilità dell Italia e della cooperazione in Africa

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1 Dighe contro lo sviluppo Le responsabilità dell Italia e della cooperazione in Africa

2 Sommario Introduzione pag La diga di Bujagali in Uganda pag. 7 - Una diga in un angolo di paradiso - I finanziatori, non c è solo la Banca Mondiale - Un impresa italiana al comando delle operazioni - Una diga a elevatissimo rischio idro-geologico - Il lago Vittoria si sta prosciugando. Di chi è la colpa? 2. La diga di Inga in RDC pag Gli elefanti bianchi della cooperazione internazionale - Inga III e Grand Inga - Impatti ambientali e sociali - Le responsabilità italiane nel progetto delle grandi dighe Inga: un debito illegittimo? - Finanziatori e imprese coinvolte 3. Il Lesotho Highlands Water Project pag Decenni di lavori per un opera molto complessa - I prossimi passi - Tanti finanziatori pubblici e privati - Una sfilza di compagnie private - Mazzette a go go - Danni ambientali e non solo - La siccità, oltre il danno la beffa 4. L affare Gilgel Gibe in Etiopia pag Gilgel Gibe episodio 3 - Gli impianti di Gilgel Gibe, una saga tutta italiana - La Salini Costruttori S.p.a in Africa - Il deficit democratico dell Etiopia - Gli attori internazionali - L oscuro futuro del fiume Omo e del Lago Turkana Dighe contro lo sviluppo 1

3 DIGHE CONTRO LO SVILUPPO Le responsabilità dell Italia e della cooperazione in Africa Testi di Caterina Amicucci, Elena Gerebizza e Luca Manes Fotografie Marco Trovato Tutte le foto in questa pubblicazione sono tratte dal reportage inchiesta sulla diga di Bujagali in Uganda, consultabile sul sito Progetto grafico e impaginazione Carlo Dojmi di Delupis Produzione CRBM Campagna per la Riforma della Banca Mondiale via Tommaso da Celano Roma Tel Fax info@crbm.org / Stampa Tipolitografia 5M via Giuseppe Cei 8, Roma Ringraziamenti Si ringraziano la Charles Stewart Mott Foundation di Flint, in Michigan, USA e il Sigrid Rausing Trust di Londra, Regno Unito, per aver reso questo progetto possibile. Un grazie di cuore anche ad International Rivers di Berkeley, California, partner strategico di CRBM nel lavoro contro le grandi dighe e per lo sviluppo sostenibile dei più poveri del mondo. Un grazie anche all avvocato inglese Fiona Darroch, con cui la CRBM ha collaborato in Lesotho, e a tutti i contatti e gruppi locali in Etiopia, Uganda, Repubblica Democratica del Congo ed in Italia che hanno aiutato nella raccolta delle informazioni sui vari casi trattati nella pubblicazione. La pubblicazione è stata prodotta grazie al sostegno economico dell Unione Europea. I contenuti di questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità di CRBM e non sono riconducibili in alcun modo alle posizioni ufficiali dell Unione Europea. Counter Challenging Balance the European Investment Bank La pubblicazione è stata realizzata nell ambito del progetto EIB - Counterbalance, Challenging the European Investment Bank.

4 INTRODUZIONE Koi nahi hatega, bandh nahi banega Nessuno si muoverà, la diga non sarà costruita Doobenge par hatenge nahin Affogheremo ma non ci muoveremo [Slogan del Narmada Bachao Andolan in India, nella lotta di resistenza alla diga di Sardar Sarovar] Il mantra delle grandi infrastrutture ha segnato regimi e governi di colore diverso in tutto il secolo scorso. Specialmente in un contesto di crisi economica o di ripresa dopo profondi sconvolgimenti, il ricorso da parte dello Stato al sostegno diretto o indiretto per i grandi progetti infrastrutturali è stata una strada battuta regolarmente, nonostante le grandi opere portino sempre con sé profondi sconvolgimenti per l ambiente e le popolazioni locali, e spesso nemmeno la crescita e lo sviluppo promesso. Le grandi dighe sono state l icona di questo paradigma sviluppista sin dagli anni Trenta. Oggi alcune tra le prime dighe costruite nella storia in Francia o Stati Uniti sono state addirittura abbattute per ridare scorrimento naturale e sopravvivenza a fiumi e corsi d acqua. Ma per quel che riguarda lo sviluppo infrastrutturale nel Sud del mondo, e soprattutto nelle economie emergenti, i mega-sbarramenti mantengono ancora un posto centrale, così come sempre per restare nell ambito energetico i progetti a carbone e quelli nucleari. È quasi come se una parte del mondo che ha imparato a riconoscere i suoi errori, o quanto meno ad essere più prudente, non abbia interesse a consigliare al riguardo la fetta del Pianeta in via di industrializzazione. Anzi, peggio ancora, per interessi economici diretti o per pura ideologia tende a promuovere uno sviluppo forzato per l ambiente e le popolazioni locali. Specialmente nel continente africano, le grandi dighe rimangono tra le principali infrastrutture che catalizzano investimenti, finanziamenti pubblici internazionali e l operato delle grandi corporation dei Paesi ricchi. A queste da un decennio si sono affiancate anche le imprese cinesi e quelle sudafricane, ma la musica non sembra cambiare. Anzi, dietro lo spauracchio della Cina continuamente brandito dai governi occidentali, perché le imprese cinesi rubano appalti, importano forza lavoro e mantengono bassi i costi, si nasconde la triste realtà che vede i governi occidentali sostenere le proprie società di costruzione, che di fatto operano in modo analogo a quelle cinesi. Questo il caso della poco democratica Etiopia, dove il governo populista impone la costruzione di nuove dighe realizzate dalle imprese cinesi così come da quelle italiane, in entrambi i casi senza gare di appalto. Senza parlare della diga di Merowe in Sudan, finanziata dal governo cinese ed impallinata dal democratico Occidente, ma costruita dalla francese Alstom. Dighe contro lo sviluppo 3

5 Il caso dell Africa rimane ancora più grave se si pensa che gran parte dei Paesi che oggi ospitano nuove dighe in costruzione sono tra i più poveri al mondo e l energia elettrica prodotta e l acqua catturata sono esportate verso Stati limitrofi, la cui economia è più avanzata. La stessa logica di export a lunga distanza che caratterizzò la costruzione di una delle prime grandi dighe, la Hoover Dam sul fiume Colorado, che imbrigliava l acqua per mandarla a quasi mille chilometri di distanza verso l assetata Los Angeles. Un approccio che pone in primo luogo una questione di giustizia nel diritto all acqua e all energia, pensando come intere popolazioni siano di fatto private di accesso a queste due risorse centrali per ogni sviluppo umano. La critica al modello dei mega sbarramenti ha caratterizzato sin dalla fine degli anni Ottanta uno dei più grandi movimenti di opposizione popolare in tutto il Sud del mondo e in solidarietà con numerose reti della società civile dei Paesi industrializzati. Una resistenza diffusa, articolata diga per diga in contesti difficili, diversi, ma che in comune aveva la richiesta di decidere sul proprio sviluppo locale e di non lasciare i propri territori e risorse alle logiche globalizzate della finanza, delle imprese e dell economia. L opposizione è stata tale e tanta che il principale finanziatore delle grandi dighe nella storia, la Banca mondiale, nel 1998 ha dovuto accettare la creazione della Commissione mondiale sulle dighe, uno dei primi e più riusciti processi multistakeholder. Un processo che ha prodotto delle significative conclusioni e raccomandazioni per un approccio diverso ai processi decisionali. Peccato che la World Bank e gran parte dei governi del pianeta non erano e non sono ancora pronti a cambiare, e da lì sia subito nata una controffensiva mossa ad arte dall industria delle dighe la cui sopravvivenza era allora a rischio per rilanciare il paradigma dei mega-sbarramenti come fonte di sviluppo nell ambito del più ampio rilancio del mantra delle infrastrutture e delle grandi opere. Una rinnovata egemonia culturale che tramite studi mai sostanziati in dettaglio, discorsi retorici dei leader e pubblicità del settore privato si sta sempre più affermando nell industria dello sviluppo. Così anche la Banca mondiale, dopo un decennio di digiuno forzato, è tornata a finanziare grandi dighe, con la scusa che se non l avesse fatto lei, altri e meno attenti finanziatori avrebbero messo in campo i capitali necessari. Nel contesto poi dell attuale crisi il binomio sviluppo-infrastrutture sta per spiccare il volo, mai come prima. Lo scorso novembre a Washington il G20 ha chiaramente segnalato l intenzione di dare alla Banca mondiale un rinnovato ruolo nella promozione delle infrastrutture nel Sud del mondo e della finanza per l export. Il Presidente della Banca, Robert Zoellick, ha colto la palla al balzo proponendosi come il realizzatore del New Deal nei Paesi poveri che non hanno mezzi finanziari adeguati. Nel proposto nuovo vulnerability fund della Banca, infatti, le infrastrutture sono sempre in cima alla lista delle cose da finanziare. 4 Dighe contro lo sviluppo

6 Interessante notare come si dia sempre preferenza a grandi opere, faraoniche, costosissime si pensi alla diga di Inga in Congo, che risulterebbe almeno il doppio della diga delle Tre Gole in Cina e non invece ad altre infrastrutture, più piccole, più rispettose dell ambiente e vicine ai bisogni delle comunità locali. Che senso ha costruire una grande diga nell Africa più remota, concentrando l energia prodotta e avendo poi la necessità di realizzare una costosa rete elettrica di trasmissione e distribuzione, quando un approccio puntuale e di piccola scala con energie rinnovabili potrebbe lo stesso fornire corrente elettrica per accendere lampade e non solo? Eppure oggi la questione del cambiamento climatico sta addirittura contribuendo a promuovere con più forza le grandi dighe. Le opere idroelettriche, infatti, sono premiate dai meccanismi del protocollo di Kyoto come progetti che aiutano a ridurre le emissioni di gas serra e quindi i finanziatori dei Paesi ricchi obbligati a ridurrre le proprie emissione ricevono dei permessi ad emettere emissioni se contribuiscono alla realizzazione di dighe nelle realtà del Sud del mondo che ad oggi non sono vincolati alla riduzione delle proprie emissioni di gas serra. Il discorso potrebbe avere senso se si facesse solo un raffronto con progetti di pari potenza a combustibili fossili, ma purtroppo si dimenticano le emissioni che i bacini creati dalle dighe producono lo stesso in alcune regioni tropicali in seguito alla sommersione e decomposizione della vegetazione. Così finanziare o costruire le dighe genera sempre più spesso certificati di emissione, sempre più importanti per le imprese e i governi occidentali per far quadrare almeno sulla carta i bilanci delle emissioni di gas serra. Ma la realtà è spesso lontana da quella che esperti del clima e consulenti strapagati promettono. Si pensi al governo tedesco che quest anno rischia di sforare la sua strategia di riduzione delle emissioni addirittura dell un per cento sul totale nazionale, perché le mega dighe che ha finanziato in Cina per ottenere i permessi di emissione stanno funzionando meno e peggio del previsto. Una logica perversa, che in nome della salvezza del clima porta a devastare ambienti locali in regioni remote del pianeta e a reinsediare centinaia di migliaia di persone, tra cui numerose popolazioni indigene. Le responsabilità non sono solo di banche multilaterali e Paesi emergenti, o di governi ed elite corrotte in alcuni Paesi del Sud del mondo, ma anche dei Paesi europei, da molti visti paladini dell aiuto allo sviluppo e della lotta contro i cambiamenti climatici, ma alla fine come gli altri sostenitori del business delle grandi dighe. I casi di dighe in Africa affrontati in questo rapporto hanno ricevuto il finanziamento o l interessamento preliminare della Banca Europea per gli Investimenti (Bei), la più grande banca pubblica al mondo, sconosciuta ancora ai più ma interamente controllata dai governi europei. Per questi il finanziamento di grandi dighe dall impatto Dighe contro lo sviluppo 5

7 discutibile sul campo pone una questione lampante di coerenza delle politiche: se da un lato l Unione europea promuove a spron battuto l efficienza degli aiuti allo sviluppo, viene da chiedersi perché così tanti dei finanziamenti della Bei e degli stessi governi europei vadano a sostenere opere che molto probabilmente non garantiranno lo sviluppo dei più poveri, ma solo quello di poche elite locali e delle multinazionali europee. Il governo italiano è da sempre in prima linea nel sostenere progetti di grandi dighe a beneficio delle nostre imprese, che hanno una decennale tradizione ingegneristica al riguardo. Alcune di queste sono state anche condannate per corruzione, ai tempi di Mani Pulite, o addirittura in Paesi del Sud del mondo, come recentemente in Lesotho. Il prossimo 14 marzo sarà la giornata di azione internazionale contro le dighe e per i fiumi, l acqua e la vita. Questa pubblicazione intende contribuire alla riflessione della società civile in questa occasione, che coinciderà anche con la vigilia del World Water Forum 2009 di Istanbul. La Davos dell economia dell acqua, che quest anno si tiene in un Paese costruttore di dighe a tutto spiano contro gli interessi dell etnia curda, si focalizzerà ancora una volta su come rilanciare nuovi schemi di partenariato pubblico-privato per rendere possibile la realizzazione di grandi opere per l acqua. A pochi interessano le lezioni del passato e il fatto che questi schemi per le casse pubbliche abbiano portato più disastri e debiti che benefici. Ancora una volta il diritto all acqua rischia di essere subordinato a logiche di profitti e di interessi di pochi. Lo stesso tema sarà probabilmente ripreso anche al vertice del G8 che si terrà a la Maddalena, dall 8 al 10 luglio 2009, nell ambito del capitolo dell Africa e dello sviluppo dei più poveri. In entrambi i casi la Banca mondiale, così come le principali imprese del settore, sono pronte a farsi avanti per guidare nuove partnership e opere da realizzare. Come cantano i movimenti indiani che si oppongono con i propri corpi e la propria vita alla costruzione delle dighe sul fiume Narmada, ancora una volta non ci muoveremo, a nessun costo, in solidarietà con le comunità locali e l ambiente che a tutt oggi muoiono di dighe. Antonio Tricarico [Coordinatore CRBM] 6 Dighe contro lo sviluppo

8 UGANDA - Bujagali 1. La diga di Bujagali in Uganda L alta percentuale di rischio, che ricade sulle autorità locali, solleva dei seri dubbi sulla possibilità che il progetto della diga di Bujagali possa raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e riduzione della povertà fissati dalla Banca mondiale. Questo è solo uno dei tanti passaggi del rapporto finale dell Inspection Panel, l organo ispettivo indipendente in seno alla Banca mondiale, in cui il progetto della diga di Bujagali, in Uganda, viene criticato senza mezzi termini. Reso pubblico a inizio dicembre 2008, dopo ben 17 mesi di lavori, il testo dell Inspection Panel smonta pezzo per pezzo le ragioni per le quali si è deciso di costruire un mega-sbarramento a pochi chilometri dalle fonti del Nilo Bianco. Le perplessità degli esperti, che hanno condotto un serie di missioni sul campo, sono tante e non solo di natura socio-ambientale. Bujagali potrebbe addirittura rivelarsi un grosso buco nell acqua dal punto di vista economico. Sarebbe stato meglio considerare un opera di dimensioni più ridotte ma che poteva assicurare più benefici alla popolazione locale, soggiunge l Inspection Panel, che tutto sommato non fa che confermare i dubbi che sul progetto hanno da lungo tempo le comunità locali e un nutrito gruppo di Ong internazionali. Per il momento i lavori vanno avanti, gli alti ranghi della Banca mondiale stanno esaminando il rapporto del Panel il management ha iniziato a disporre una serie di provvedimenti sui quali dovrà riferire al Board entro maggio 2009 e il governo di Kampala spera che non ci sia un ulteriore intoppo, dopo i tanti che in passato hanno più volte sospeso la realizzazione della diga. Di Bujagali, infatti, se ne è iniziato a parlare nell oramai lontano 2000 e già fin dal 2001 i banchieri di Washington accordarono un primo prestito dell ammontare di 225 milioni di dollari, con il proposito di concedere inoltre una garanzia pari a 250 milioni sul rischio politico. Ma nel 2002 quella considerevole somma di denaro fu in parte congelata (sebbene nel frattempo fossero stati erogati già 115 milioni), perché sul progetto aleggiava lo spettro della corruzione e perché già all epoca un primo rapporto dell Inspection Panel aveva riscontrato una serie di problematiche da risolvere. Una diga in un angolo di paradiso Il mega-sbarramento di Bujagali sta sorgendo a un altitudine di metri nei pressi delle fonti del Nilo Bianco, a poca distanza da altre due dighe già operative (Nalubali and Kiira). Una volta completato, si stima possa fornire circa 200 megawatt l anno e avrà comportato la spesa di 860 milioni di dollari, ai quali si andrebbero ad aggiungere altri Dighe contro lo sviluppo 7

9 UGANDA - Bujagali 75 milioni per la costruzione delle linee di trasmissione. Val la pena notare che, rispetto a quanto calcolato all epoca del primo tentativo di costruzione, i costi sono lievitati di oltre 300 milioni. Il progetto comporta la sparizione delle cascate di Bujagali, che punteggiano quella parte del corso del Nilo, privando il popolo ugandese di quello che viene considerato un vero e proprio tesoro nazionale, nonché luogo sacro per la comunità locale dei Busoga. La scomparsa di uno dei tratti di fiume più spettacolari del mondo decreterebbe inoltre la fine delle attività di rafting, che è una delle maggiori attrattive per i turisti in Uganda. Secondo le società del settore, ogni anno oltre 6mila persone fanno rafting sul Nilo vicino a Bujagali. Gravi saranno anche le conseguenze per gli abitanti del posto, come evidenziato anche nel rapporto dell Inspection Panel. In totale sarebbero le persone a dover essere sfollate. I primi processi di reinsediamento sono stati gestiti in maniera inadeguata. Non a caso il Panel ha criticato anche questo delicato aspetto della questione. I precedenti sulle grandi dighe in tutto il mondo, e specialmente in Africa, indicano che le persone spostate a causa dei progetti diventeranno più povere, proprio per effetto di queste grandi opere. I finanziatori, non c è solo la Banca Mondiale Bujagali può vantare su corposi prestiti da parte di ben tre banche multilaterali di sviluppo. L istituzione più coinvolta è, ovviamente, la Banca mondiale. Il gruppo della World Bank fornisce 130 milioni di dollari tramite l International Finance Corporation (il ramo che presa ai privati), 115 milioni come quota dell International Development Association (la divisione che presta a interessi ridotti agli Stati), mentre altri 115 milioni sono stati messi a disposizione dalla Multilateral Investment Guarantee Agency come garanzia sul rischio sull investimento. La Banca europea per gli investimenti (BEI), istituzione che con portafoglio annuale di 45,8 miliardi di euro eroga un volume annuale di prestiti pari a quasi il doppio di quello della Banca mondiale, ha concesso un prestito di 135 milioni. In fine, l African Development Bank (AfDB) ha CORRUZIONE Il primo consorzio costruttore di Bujagali era composto dalle compagnie scandinave Skanska, Veidekke, General Electric Energy, ABB e dalla francese Alstom Power. L impianto idroelettrico sarebbe poi stato gestito dall americana AES, a quei tempi la più grande società indipendente produttrice di energia del pianeta. Il consorzio cessò la sua attività nell estate del 2003, dopo un esistenza a dir poco travagliata. Gradualmente tutti i suoi membri si ritirarono, travolti dalle indiscrezioni su un caso di corruzione. Nel novembre del 2003 il governo ugandese decise finalmente di avviare un indagine su eventuali comportamenti perseguibili penalmente tenuti da esponenti del Parlamento del Paese africano, rei di aver ricevuto mazzette per l aggiudicazione dell appalto, in particolare dalla compagnia norvegese Veidekke. Già nel 1998, però, un articolo del quotidiano Uganda Confidential adombrava la possibilità che la AES avesse pagato una tangente di 240mila dollari all allora ministro per l energia Richard Kaijuka per sostenere il progetto. Kaijuka fu presto sostituito, senza che però venisse intrapresa nessuna indagine formale nei suoi confronti. concordato con le autorità ugandesi e il consorzio costruttore un prestito di 110 milioni di dollari. Un impresa italiana al comando delle operazioni La costruzione della diga è affidata alla compagnia italiana Salini, molto attiva in tutto il continente africano in particolare val la pena rammentare il coinvolgimento della Salini nei progetti di Gilghel Gibe in Etiopia e in quello di Bumbuna in Sierra Leone. Il consorzio che si occuperà della gestione dell energia prodotta dall impianto idroelettrico è denominato Bujagali Energy Limited (BEL), composto dalla keniana Industrial Promotion Services (IPS, una divisione del Fund for Economic Development di proprietà dell Aga Khan) e dalla Sithe Global, compagnia americana controllata all 80 per cento dal gruppo Blackstone. I tempi previsti per la realizzazione dell opera si aggirano intorno ai 44 mesi. 8 Dighe contro lo sviluppo

10 UGANDA - Bujagali Una diga a elevatissimo rischio idro-geologico Il progetto, se realizzato, porterebbe alla totale distruzione delle cascate di Bujagali, una spettacolare serie di rapide che gli Ugandesi considerano un vero e proprio tesoro nazionale. Verrebbe inoltre sommerso permanentemente un territorio agricolo altamente produttivo così come isole che offrono degli habitat naturali di grande valore, ricche di biodiversità. I cambiamenti apportati al fiume danneggeranno anche le attività di pesca. L area intorno alle cascate di Bujagali è fondamentale per coloro che esercitano attività di pesca sia di sussistenza che commerciale, tuttavia le opere di mitigazione sugli impatti dell opera non rispondono ai dettami della politica della Banca mondiale sul reinsediamento involontario. Ulteriore problemi potrebbero essere costituiti dall aumento di pericolose malattie come la malaria e la schistosomiasi, provocate dalla presenza delle acque stagnanti. Gli svantaggi potrebbero essere anche maggiori e a più ampio spettro, però. Il piano del progetto, infatti, è basato su valutazioni dei flussi d acqua ottimistiche, ciò vuol dire che la produzione prevista d energia potrebbe essere stata sovrastimata. L accordo di acquisto dell energia stabilisce che l Uganda si assuma la maggior parte del rischio di possibili flussi ridotti, avendo l obbligo di comprare una quantità prestabilita di energia anche se la diga non sarà in grado di fornire il suo intero prodotto. Dal momento che nella regione sono previste gravi siccità perduranti a causa dei cambiamenti climatici e poiché c è un ampio disaccordo su quale quantità d acqua il Nilo può realisticamente fornire, il progetto è considerato rischioso. Qualora la produzione di energia si rivelasse insufficiente, l Uganda pagherebbe a caro prezzo la costruzione della diga. Si troverebbe, infatti, a dover sostenere un forte aumento del proprio debito estero, già drammaticamente elevato tanto da rientrare nei programmi di riduzione del debito per i Paesi più poveri previsti dalla comunità internazionale. Il rapporto dell Inspaction Panel afferma espressamente che allo stato attuale, i benefici economici derivanti dal progetto sono molto inferiori da quanto sostenuto dal management della Banca e c è un alto rischio che [il progetto] non riesca a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile che si era prefissato. Gli attivisti che si battono contro la realizzazione del progetto stanno facendo pressione affinché venga stilato un piano nazionale per l energia che tenga conto delle esigenze degli strati sociali più poveri e che sfrutti le fonti rinnovabili, come il solare, le bio-masse e i progetti idroelettrici di più ridotte dimensioni, soluzioni prospettate dagli stessi esperti della Banca mondiale. Il solare non richiede una connessione ad una rete nazionale, che in Uganda ha una portata molto limitata (copre solo il 5 per cento della popolazione) e prevede costi molto elevati per essere ampliata. Qualora poi l energia solare non desse la sufficiente fornitura alla grande industria, un diffuso uso di pannelli solari, per esempio, sarebbe più utile per bilanciare il deficit Dighe contro lo sviluppo 9

11 UGANDA - Bujagali energetico dell Uganda, eliminando quindi il bisogno attuale di grosse centrali idroelettriche. Anche in questo caso ci vengono in soccorso i riscontri dell Inspection Panel. Non ci sono prove evidenti che la diga possa avere un impatto economico positivo sulle famiglie a più basso reddito Sarebbe meglio prendere in considerazione la costruzione di un infrastruttura più piccola e meno rischiosa. E per finire: In un Paese dove solo il 5 per cento della popolazione è connesso alla rete nazionale e c è un elevato tasso di povertà, sarebbe del tutto ragionevole che si prestasse la dovuta attenzione alle opzione si media e piccola scala (e non solo all opzione idroelettrica), che in teoria potrebbero costituire una risposta adeguata alla povertà soprattutto nelle zone rurali. Il lago Vittoria si sta prosciugando. Di chi è la colpa? Il dato di fatto è che tra il 2004 e il 2006 il livello dell acqua del Lago Vittoria, il più grande lago africano, è diminuito di un metro e mezzo, mentre i suoi chilometri di costa in alcuni punti si sono ritirati di ben 200 metri. In poche parole il lago si sta prosciugando. Dei tre Stati bagnati dalle acque del Vittoria, Kenya e Tanzania sostengono che la colpa di questa ennesima catastrofe naturale sia da ricercare nella costruzione di alcune grandi dighe sul corso ugandese del Nilo, principale immissario del lago, mentre l Uganda attribuisce il processo in atto ai cambiamenti climatici e a tutta una serie di altri fattori. Uno studio reso pubblico al principio del 2009, eseguito dagli esperti dell università di Dar Es Salaam e dello UK Institute of Hydrology sembra dare torto alle autorità di Kampala, puntando il dito contro la realizzazione della diga di Kiira, che, come abbiamo visto in precedenza, è sorta nei pressi del sito scelto per Bujagali. Mentre gli addetti ai lavori si azzuffano per chiarire se il problema sia ciclico o realmente dovuto a interventi dell uomo, aumentano in maniera esponenziale le preoccupazioni che l ennesimo sbarramento sul corso del Nilo Bianco possa avere degli impatti ulteriormente nefasti sul secondo lago d acqua dolce del Pianeta. 10 Dighe contro lo sviluppo

12 RDC - Inga 2. La diga di Inga nella Repubblica Democratica del Congo Dighe contro lo sviluppo 11

13 RDC - Inga Quando i colonizzatori belgi, seguendo il corso del Congo, arrivarono nel punto dove il fiume è attraversato da grandi rapide, è facile immaginare il misto di stupore e paura che provarono di fronte a tanta forza della natura. La leggenda narra che i colonizzatori chiesero alle popolazioni indigene che abitavano la zona delle rapide, di lingua Kikongo, dove si trovavano. Gli abitanti, sentendo la domanda in una lingua sconosciuta, il francese, avrebbero risposto Inga, ovvero sì?, non avendo ovviamente capito la domanda. Il sito venne così battezzato Inga. Era l inizio della storia delle dighe di Inga, una serie di sbarramenti per la generazione di energia elettrica la cui costruzione iniziò negli anni Settanta e Ottanta, con la partecipazione di imprese italiane e di altri paesi europei, arrivate nel cuore dell Africa nera per sfruttare l enorme potenziale del fiume Congo. Ovvero una quantità enorme di acqua, di cui i più poveri continuano ad essere depredati. I progetti furono fallimentari: dei 60 milioni di abitanti che oggi vivono nel Paese, oltre il 90% non ha accesso all elettricità. L energia prodotta dalle prime due dighe di Inga viene infatti esportata e utilizzata dalle multinazionali straniere attive nell estrazione mineraria nella Repubblica Democratica del Congo e nei Paesi confinanti. Costruite in gran parte con finanziamenti pubblici internazionali, le dighe di Inga sono il simbolo degli interessi stranieri in Congo, e dell enorme debito estero accumulato in anni di dittatura dell ex Presidente Mobutu. Un debito in buona parte illegittimo, che però la popolazione congolese continua a pagare. Gli elefanti bianchi della cooperazione internazionale Il fiume Congo è il secondo fiume più grande al mondo per portata d acqua ( m3/s), dopo il Rio delle Amazzoni. Scorre per centinaia di chilometri attraversando la linea dell Equatore, lungo il territorio della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e con i suoi affluenti costituisce un bacino idrico di 3,8 milioni di chilometri quadrati, il secondo più esteso del Pianeta. Una miniera d oro bianco, fonte di vita e risorsa preziosa per l intero continente africano. Le dighe di Inga si trovano nella regione del Bas Congo, a circa 40 chilometri da Matadi, il grande porto situato sulla riva sinistra del fiume Congo tra la capitale Kinshasa e l oceano Atlantico. Un punto dove il fiume Congo disegna una pronunciata curva a gomito. Le due centrali di Inga I e Inga II vennero costruite negli anni Settanta e Ottanta. La prima, Inga I, è una centrale da 350 MW, entrata in funzione nel Inga II, con una potenza da 1400MW, entrò in funzione dieci anni dopo, nel L idea di sfruttare il potenziale energetico che poteva derivare dalle rapide del fiume Congo, che proprio in quel sito generano un salto d acqua naturale di oltre cento metri, venne già agli amministratori belgi in piena epoca coloniale. Di Inga si iniziò a parlare più concretamente tra il 1952 e il 1953, quando l Istituto nazionale di studi per lo sviluppo del bacino del Bas Congo recuperò le prime valutazioni sulla portata del fiume realizzati dall amministrazione coloniale. Uno studio del 1955 rivela la possibilità di costruire diverse centrali di dimensioni differenti sul sito di Inga, ma non riesce ad avere seguito fino al 1963, quando il progetto venne rilanciato da un impresa italiana, la Astaldi. La proposta italiana prevedeva la realizzazione di un polo industriale locale, che avrebbe sfruttato l energia generata dalle centrali di Inga, e l esportazione di energia per generare risorse per lo sviluppo del Paese. Così in quegli anni venne istitutita una società italo-congolese per lo sviluppo industriale, la SICAI, che avrebbe dovuto progettare la prima diga di Inga. Con la salita al potere di Mobutu Sese Seko nel 1965, vengono presi gli accordi definitivi per la costruzione della diga e dell annessa centrale idroelettrica. 12 Dighe contro lo sviluppo

14 RDC - Inga Inga I non era ancora ultimata che già il governo congolese discuteva la costruzione di Inga II. La centrale avrebbe avuto una potenza installata 4 volte superiore alla prima. Il costo iniziale della centrale venne valutato in 140 milioni di dollari, ma i tempi di costruzione si allungarono e l importo finale lievitò. Nel 1982, quando venne inaugurata, il costo complessivo della centrale ammontava a circa 460 milioni di dollari. Si stava aprendo un enorme voragine economica e finanziaria: il governo di Mobutu avrebbe dovuto ripagare quei prestiti, e riuscire a rendere economicamente redditizio il progetto. L idea del consorzio italo-congolese era di utilizzare il potenziale delle dighe nella logica dell importsubstitution. Venne così progettata una linea di trasmissione ad alta tensione di 1800 chilometri, la linea Inga -Shaba, che avrebbe trasportato l energia prodotta dalle prime quattro turbine di Inga II verso la zona di estrazione mineraria nella regione del Katanga e nello Zambia. Sarebbe stata la linea ad alta tensione più lunga mai costruita, e avrebbe attraversato l intero Paese e le sue foreste tropicali. Il progetto venne sovrastimato nei costi, mentre venne assolutamente sottostimata la perdita di energia che ci sarebbe stata nel trasporto su una distanza così lunga. Il progetto costò al Congo 850 milioni di dollari. Inga III e Grand Inga Le centrali di Inga I e Inga II sono in fase di riabilitazione: le centrali non hanno mai funzionato a piena capacità e da decenni oramai non generano più del 30% della potenza installata. Nel Paese manca un sistema di distribuzione dell energia a bassa tensione, che possa garantire l accesso all energia alla popolazione congolese. Solamente la città di Kinshasa riceve in parte energia dalle centrali di Inga. Invece, anche grazie al sostegno delle grandi istituzioni finanziarie internazionali interessate al progetto, è al momento in discussione un ulteriore, preoccupante espansione del progetto Inga, che dovrebbe concretizzarsi nella costruzione di altri due mega impianti idroelettrici. Come per le prime due centrali, anche Inga III e Grand Inga sembrano pensate per produrre energia per altri Paesi africani e addirittura europei, in particolare quelli che si affacciano sul mare Mediterraneo, tra cui l Italia e la Turchia. Nel febbraio 2008 è stato completato lo studio di pre-fattibilità per Inga III realizzato dalla SNC-Lavallin, finanziato dall Agenzia di sviluppo canadese, la SIDA, e costato 1,78 milioni di dollari. Il progetto consiste in un impianto a scorrimento da MW, composto da 16 centrali da 270MW ciacuna. Il costo complessivo sarebbe stimato in oltre 5 miliardi di dollari, inclusi 3mila chilometri di linea di trasmissione elettrica verso gli altri Paesi del Western Power Corridor (Sud Africa, Angola, Namibia, Botswana). Il progetto, che dovrebbe essere completato entro il 2018, è considerato una pietra angolare per Grand Inga, progetto gigantesco da almeno MW, tre volte la potenza generata dalla Diga delle Tre gole in Cina, per un costo complessivo stimato in Dighe contro lo sviluppo 13

15 RDC - Inga miliardi di dollari. Una cifra esorbitante per un Paese altamente indebitato come la DRC, la cui sostenibilità economica è messa in discussione dalle stesse istituzioni interessate al suo finanziamento. Grand Inga prevede la realizzazione di almeno tre linee di trasmissione dell elettricità a lunga distanza: una di chilometri fino al Sud Africa, un altra verso la Nigeria. La terza, di chilometri, dovrebbe attraversare tutta l Africa per arrivare in Egitto e nei Paesi dell Europa meridionale. L unica possibilità per rendere economicamente sostenibile Grand Inga è costruire una linea di trasmissione che arrivi al Mediterraneo, per vendere energia elettrica a Egitto, Italia e Turchia. Secondo diversi esperti, il costo, i rischi e le perdite per trasportare l elettricità a tali distanze, e in particolare attraverso 2mila chilometri di deserto, sono di gran lunga superiori ai profitti economici che si potrebbero ottenere. Questo senza considerare gli enormi problemi di manutenzione delle linee elettriche nei diversi Paesi e i rischi ambientali di tale operazione. La sola realizzazione della linea elettrica verso il Sud Africa ha un costo stimato di 3,2 miliardi di dollari, più di quanto sarebbe necessario per realizzare una capacità produttiva equivalente in loco. Impatti ambientali e sociali I luoghi dove sono state costruite le due dighe di Inga erano prima abitati da diversi clan di popolazioni indigene locali, che oggi si fanno chiamare Ayants Droits Fonciers, ovvero popolazioni i cui antenati furono i primi ad occupare la terra circostante alle rapide di Inga e che pertanto si dichiarano detentori di un diritto consuetudinario tradizionale alla terra che venne tolta ai propri padri. Si par- Dighe contro lo sviluppo la di circa 16mila persone, oggi residenti a Camp Kinshasa e nell area circostante. Un agglomerato nato dal campo costruito negli anni Settanta per ospitare i lavoratori che costruirono la diga, verso cui si mossero i clan indigeni le cui terre sono state inondate dal bacino artificiale di Inga I. Queste persone sono i discendenti di 6 clan di Ayants Droits. Entrambe le dighe vennero costruite senza Le responsabilità italiane nel progetto delle grandi dighe Inga: un debito illegittimo? Il progetto italo-congolese per la costruzione di un polo industriale che avrebbe sfruttato l energia generata da Inga si rivelò da subito fallimentare. Il progetto venne sovradimensionato, sulla base di accordi con diverse imprese. Accordi poi saltati. Il progetto venne così re-orientato dalla lavorazione dei minerali presenti in loco verso la costruzione di un acciaieria che avrebbe trattato limatura di ferro importata, forse proprio dall Italia. Il progetto era economicamente insostenibile: l acciaieria avrebbe impiegato poco più di 50 MW, la limatura di ferro costava più del previsto e doveva essere acquistata in divisa straniera, vennero usati esperti e consulenti stranieri e l acciaio prodotto costava di più dell acciaio disponibile sul mercato. Grazie alla garanzia dell agenzia di credito all esportazione italiana, le imprese vennero comunque pagate e ora i costi del progetti sono passati a carico del governo congolese. La Repubblica Democratica del Congo maturò gran parte del suo debito estero proprio negli anni in cui furono costruite le due dighe. Circa il 32,8 % dello stock di debito pubblico del Paese è stato generato dai finanziamenti bilaterali e multilaterali concessi per la costruzione delle due dighe Inga. Il debito estero verso isitituzioni multilaterali e donatori pubblici contratto dal governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) nel periodo di costruzione di Inga I e II ( ) è stimato complessivamente in circa 5 miliardi di dollari. Buona parte di questi finanziamenti non sono andati a buon fine, e forse sono serviti solamente ad alimentare il patrimonio privato dell ex-dittatore Mobutu, che secondo stime non ufficiali ammonta a circa 4 miliardi di dollari. Una fortuna depositata in conti svizzeri o di altri paradisi fiscali e nelle decine di ville e possedimenti del dittatore. Nel settembre 2006, dopo la grande cancellazione del debito del 2003, il debito bilaterale della RDC con il governo italiano ammontava a 427 milioni di euro.

16 RDC - Inga la previa consultazione delle popolazioni indigene che vennero costrette a spostarsi dalle proprie terre senza che venisse loro pagata alcun tipo di compensazione. La diga tolse loro anche l habitat naturale da cui dipendeva la loro vita. Le terre inondate periodicamente dal fiume venivano utilizzate per l agricoltura e l allevamento, la foresta per la caccia e la lavorazione del legno, e l acqua del fiume, prima accessibile, per gli usi domestici e per la pesca. In seguito alla costruzione dell invaso, l accesso all acqua è divenuto impossibile: la zona è interamente recintata e sorvegliata dalla polizia e dall esercito. Le acque dell invaso non sono accessibili per donne e bambini. Sono inoltre aumentate le malattie infettive, come la malaria e altre patologie che colpiscono il sistema nervoso trasmesse dalla mosca tze-tze, che si è diffusa nella zona in seguito alla creazione dell invaso di Inga I. Oltre alle mancate compensazioni per la terra confiscata, l accesso all acqua e all energia elettrica sono i problemi più ingenti per le comunità indigene che vivono nella zona. Sembra assurdo che solo gli operai della SNEL, la compagnia che gestisce le dighe, abbiano accesso in loco ad acqua potabile e che la rete non venga estesa agli abitanti di Camp Kinshasa e dell area circostante. Lo stesso vale per l energia elettrica generata dalle centrali, e a cui le popolazioni che hanno subito gli impatti più severi del progetto non possono avere accesso. Mancano inoltre sul territorio i servizi di base, dall assistenza sanitaria alle scuole, disponibili solo per i dipendenti della SNEL, e a costi troppo altri per le popolazioni indigene. All epoca della costruzione non esistevano standard ambientali e sociali internazionalmente riconosciuti. Tuttavia oggi tali standard ci sono: la Banca Mondiale, uno dei finanziatori della riabilitazione, dovrebbe implementare le proprie linee guida e fare in modo che i danni ambientali e sociali derivati dal progetto vengano sanati oggi durante la riabilitazione attualmente in corso. Inoltre oggi gli stessi clan che hanno subito gli impatti di Inga I e II rischiano di essere rilocati in seguito all inizio dei lavori di Inga III e Grand Inga. Secondo fonti africane, già nel 2007 sarebbe stato dato loro ordine di lasciare le loro terre e di non aspettarsi alcuna compensazione o altra forma di assistenza in seguito all esproprio. Finanziatori e imprese coinvolte Fin dall inizio il progetto Inga ha goduto di un forte sostegno pubblico. Seppure nella prima fase della progettazione la Commissione Europea si sia dimostrata in parte critica, suggerendo che sarebbe stato meglio investire in infrastrutture economiche e sociali e nella sicurezza pubblica, il sostegno pubblico al progetto si materializzò in un prestito da parte della Banca Europea per gli Investimenti del La BEI concesse 16,5 milioni di dollari per Inga I, seguito dalla concessione di un finanziamento a dono di 9 milioni di dollari nel Il progetto costò complessivamente 163 milioni di dollari. La centrale di Inga II venne finanziata quasi interamente con prestiti di banche private, europee e statunitensi, per un totale di 460 milioni di dollari. Le banche private investirono anche nella linea di trasmissione Inga-Shaba, con prestiti per 850 milioni di dollari, assieme all agenzia di credito all esportazione statunitense, la ExIm Bank. Anche altri finanziatori parteciparono al progetto, tra cui il governo italiano attraverso la SACE, la nostra agenzia di credito all esportazione. Secondo le informazioni pubblicate nella relazione del Ministero dell Economia e Finanze sull attuazione della legge 209/90, risulta che il debito bilaterale cancellato dal governo Italiano alla Repubblica Democratica del Congo con l accordo del 25 aprile 2003, per complessivi ,81 euro, fosse interamente costituito da crediti SACE per operazioni realizzate da imprese italiane nel paese tra il 1969 e il Il lungo elenco di imprese comprende Astaldi (1969/1,1971/3), Ansaldo Energia (1969/348,1971/944, 1971/946,1973/250, 1974/188, 1977/24), CITACO-SICAI (1973/3), SICAI (1970/9), Italsider (1972/749), S.Paolo-IMI (1972/19, 1973/16, 1975/615, 1975/915, 1976/228, 1979/2429) e diverse altre. Le turbine di Inga I sono state riabilitate per la prima volta nel Attualmente è in corso una importante riabilitazione di Inga I e II, nell ambito Dighe contro lo sviluppo 15

17 RDC - Inga del Progetto per lo sviluppo del mercato energetico interno e regionale (PMEDE), dal costo complessivo di circa 500 milioni di dollari. Il progetto è iniziato nel 2007 con finanziamenti della Banca Mondiale per 296,7 milioni di dollari, della Banca Europea per gli Investimenti per 110 milioni di dollari, e con un finanziamento a dono della Banca di Sviluppo Africana per 57 milioni di dollari. Nella riabilitazione hanno operato diverse aziende, come la MagEnergy, una sussidiaria della canadese MagIndustries, e diverse imprese italiane. Nel novembre 2003 la Banca Mondiale approvò anche un prestito di 178,6 milioni di dollari per la riabilitazione della linea di trasmissione ad alta tensione Inga-Kolwezi (prima conosciuta come Inga-Shaba). I lavori sono però iniziati solo lo scorso anno, con un incremento dei costi di 150 milioni di dollari, che probabilmente verranno in parte coperti dal finanziamento concesso dalla BEI per la riabilitazione di Inga I e II sotto gli auspici della Consiglio Mondiale per l Energia (WEC), volto a trovare i finanziamenti necessari per la costruzione delle due mega opere. Nonostante la forte spinta delle istituzioni finanziarie internazionali, che propongono come come unica via per avviare i progetti una formula pubblico-privato che potrebbe coinvolgere le grosse utilities del centro e Sud Africa parte del Westcor (quali la Botswana Power Corporation, l angoliana ENE, la sudafricana Eskom, NamPower, e la compagnia congolese Snel), ad oggi la situazione è ancora in una fase di stallo. La Banca Mondiale è tra le istituzioni più coinvolte nel sostegno ai progetti di Inga III e Grand Inga, rilanciati a un incontro del finanziatori che ha avuto luogo a Londra nel 16 Dighe contro lo sviluppo

18 3. Il Lesotho Highlands water project Andando a sfogliare la carta geografica si scopre che il Lesotho è poco più di un puntino. Si fa fatica a trovarlo, incastonato com è nel vasto territorio del Sudafrica. Dighe contro lo sviluppo 17

19 LESOTHO - Highlands water project Leggendo sull atlante si scopre che questo piccolo Stato enclave è popolato da meno di due milioni di persone, per la maggior parte sotto la soglia di povertà il reddito annuo è di dollari a persona. Eppure proprio sul territorio abitato dai asotho questo il nome della popolazione locale si sta da quasi due decenni portando avanti un progetto di gestione delle acque secondo al mondo solo alla mastodontica diga delle Tre Gole in Cina, diventato famoso soprattutto per un caso di corruzione tra i più eclatanti degli ultimi decenni e per degli impatti socio-ambientali di vasta portata e in larga parte irrisolti. E ancora, per relazioni pericolose tra la principale banca multilaterale di sviluppo, la Banca mondiale, e il governo razzista del Sud Africa pro-apartheid degli anni Ottanta. Tutto questo, e altro ancora, è il Lesotho Highlands Water Project, opera di grande pregio ingegneristico ma, come abbiamo appena accennato, dalle pesanti implicazioni sotto molti punti di vista. Troppi. Decenni di lavori per un opera molto complessa Il Lesotho Highlands Water Project (LHWP) è stato varato nel 1986 con l obiettivo principale di trasferire ingenti risorse d acqua dal Lesotho al Sud Africa. L opera, inoltre, ha come scopo la produzione di energia idroelettrica destinata al consumo nazionale. Il completamento del LHWP è previsto per il 2027 e i costi totali dovrebbero ammontare a oltre 8 miliardi di dollari. I lavori sono stati realizzati e continueranno ancora nei prossimi anni sul fiume Arancione (Senqu nell idioma locale), corso d acqua che nasce nelle Alte Terre (Highlands) del Lesotho e si immette poi nell Oceano Atlantico dopo un percorso di chilometri, e sui suoi affluenti. Il fiume Arancione a valle costituisce una sorta di confine naturale tra i due Stati di Namibia e Sud Africa. Nel complesso l opera prevede la costruzione di sei dighe, quattro tunnel di trasferimento, due di interconnessione e due stazioni di pompaggio. Alla fine sarà possibile lo sbarramento, l accumulazione e l incanalamento di ben 70 metri cubi di acqua al secondo (circa il 40 per cento dell acqua del bacino fluviale di approvvigionamento del fiume Arancione) verso il fiume Vaal nella regione industriale della provincia di Guateng del Sudafrica, a nord del Lesotho, inoltre verrà resa possibile la produzione di circa 110 MW di elettricità destinati al Lesotho. A partire dal 1989 la realizzazione del LHWP è stata sviluppata in una serie di fasi. Fase 1a (completata; l acqua è iniziata a scorrere verso il Sud Africa nel gennaio 1998): consiste nel trasferimento di 18 metri cubi di acqua al secondo e nell istallazione di 72 MW idroelettrici; a tal fine è stata eretta la diga di Katse sul fiume Malibamatso, alta 183 metri (una delle più alte d Africa e il cui riempimento è iniziato nel settembre 1995), sono stati costruiti 48 chilometri di tunnel per il trasferimento dell acqua da Katse a Muela, un impianto idroelettrico di 72 MW con 120 chilometri di linee di trasmissione fino alla capitale Maseru, la diga di Muela sul fiume Senqunyane (alta 55 metri), 16 chilometri di tunnel di interconnessione da Muela al confine sudafricano, 200 chilometri di strade di accesso, due ponti e un tunnel di consegna in Sudafrica fino al fiume Ash, affluente del Vaal. Fase 1b (completata nel 2004): permette l approvvigionamento di ulteriori 10 metri cubi d acqua al secondo attraverso un tunnel di trasferimento lungo 31,8 chilometri dalla diga di Mohale sul fiume Senqunyane (alta 145 metri) al serbatoio di Katse. È poi in funzione un sistema minore di deviazione che da Matsuko porta altri 2 metri cubi d acqua al secondo al bacino di Katse con un tunnel della lunghezza di 5,7 chilometri. I prossimi passi Dopo un tavolo negoziale durato dal 29 agosto al 23 ottobre 2008, Sud Africa e Lesotho hanno definiti i termini contrattuali della seconda fase del progetto. I due esecutivi hanno esaminato nel dettaglio lo studio di fattibilità dell opera, completato nel corso degli ultimi tre anni. La nuova fase dei lavori comporterà la realizzazione della diga di Mashai sul fiume Arancione (uno sbarramento alto ben 165 metri) e la costruzione di un tunnel di 32 chilometri dalla diga stessa al bacino artificiale di Katse. L impianto idroelettrico di Muela sarà ulteriormente potenziato, per arrivare fino a 100 MW di energia generata. I nuovi 18 Dighe contro lo sviluppo

20 LESOTHO - Highlands water project lavori comporteranno lo spostamento di circa persone. Le fasi 3 e 4, che prefigurano l innalzamento delle dighe di Tsoelike e di Ntoahae, saranno discusse ed eventualmente portate avanti nei prossimi decenni. Tanti finanziatori pubblici e privati Il progetto è regolato da un trattato internazionale che copre le fasi 1a e 1b, firmato da Lesotho e Sudafrica nel Secondo i termini dell accordo l intero costo del progetto, come anche il debito associato, spetta al Sud Africa, eccetto l impianto idroelettrico che fornisce energia elettrica al Lesotho e che è stato completamente finanziato con l assistenza di creditori internazionali. Inoltre il Sudafrica pagherà circa 55 milioni di dollari ogni anno per i diritti sull acqua al Lesotho. La Lesotho Highlands Development Authority (LHDA) è responsabile per la movimentazione dei capitali per la realizzazione del progetto dentro il Lesotho; ciò rappresenta circa il 95 per cento del costo totale del progetto (solo il 5 per cento per gli impianti idroelettrici del Lesotho). La Trans-Caledonian Tunnel Authority (TCTA) è responsabile per la parte sudafricana del progetto. La Joint Permanent Technical Commission (JPTC), con base a Maseru con rappresentanze di entrambi i governi, ha l onere del monitoraggio delle attività di entrambi gli enti. Questa struttura di finanziamento del progetto è stata concordata perché nel 1986, data di inizio del progetto, il Sud Africa era oggetto di sanzioni da parte della comunità internazionale e quindi in questo modo i finanziamenti erano ufficialmente dati in prestito al povero Lesotho, mentre Pretoria aveva il compito di ripagare il debito. Il costo dell intero progetto è stimato sugli 8 miliardi di dollari, così ripartiti: milioni di dollari, di cui 120 milioni dalla Banca Mondiale (IBRD) 99 milioni dalla Banca Europea per gli Investimenti e varie agenzie di credito all esportazione, tra cui anche l italiana SACE. Una sfilza di compagnie private La diga di Katse, quella di Mohale ed il tunnel da Mohale a Katse sono opera dell Impregilo di Milano, che ha operato come capofila della Highlands Water Venture. La diga di Muela è stata realizzata dalla Spie Batignolles francese, capofila di un altra joint venture. Altre aziende coinvolte sono: Acres International, Lahmeyer, Cegelec, ABB Germany, Sogreah, Coyne et Bellier, ABB Sweden e Sir Alexander Gibb. Come si può notare scorrendo questa lunga lista di nomi, il gotha delle imprese di costruzioni internazionali si è precipitato in Lesotho per accaparrarsi le commesse del progetto. Non sempre con mezzi leciti. Fase 1a: 2.414,8 milioni di dollari, con la Banca Mondiale (tramite l International Bank for Reconstruction and Development - IBRD) tra i principali creditori con 110 milioni (tra gli altri creditori la Banca per lo Sviluppo Africano, 50 milioni, il Fondo Europeo per lo Sviluppo, 57 milioni, la Banca per lo Sviluppo Sudafricano, 230 milioni, la Banca Europea per gli Investimenti, 20 milioni). Fase 1b:

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