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1 Corso di Laurea Triennale in Fisica A.A Tesi di Laurea Caratterizzazione di rivelatori al silicio con sorgenti di luce laser Laureando: Leonardo Brizi Relatore: Giovanni Ambrosi

2 Indice Introduzione...pag.1 -Capitolo 1- Interazione tra radiazione e materia.....pag Perdita di energia da parte di particelle cariche...pag Perdita di energia da parte di particelle cariche pesanti...pag Perdita di energia da parte di elettroni e positroni...pag Fluttuazioni statistiche nella perdita di energia...pag Perdita di energia da parte di fotoni...pag Perdita di energia da parte di un impulso laser... pag Fluttuazioni statistiche nella perdita di energia...pag.19 -Capitolo 2- Rivelatori a microstrip al silicio...pag Materiali semiconduttori...pag La giunzione p-n...pag Rivelatori a semiconduttori...pag Rivelatori a microstrip al silicio...pag Il rivelatore di AMS-01...pag Risoluzione spaziale...pag Elettronica di acquisizione...pag.32 -Capitolo 3- Tests con sorgente radioattiva e sorgente laser..pag Progettazione del set up sperimentale...pag Misure con sorgente radioattiva...pag.34 I

3 3.1.2 Misure con sorgente di luce laser...pag Apparato sperimentale...pag Misure con sorgente radioattiva...pag Misure con sorgente di luce laser...pag Acquisizione dati e risultati sperimentali...pag Programmi di acquisizione ed analisi dati...pag Misure con sorgente radioattiva...pag Misure con sorgente di luce laser...pag.52 Conclusioni...pag.55 Bibliografia...pag.57 II

4 Introduzione Lo sviluppo delle tecnologie associate ai materiali semiconduttori ha permesso, a partire dagli anni 70, la costruzione di dispositivi per la rivelazione di particelle sempre più raffinati e sensibili; l impiego di questi dispositivi nell ambito della ricerca in fisica delle alte energie ha portato alla scoperta di nuovi costituenti fondamentali della materia e ad una conoscenza più approfondita delle loro interazioni fondamentali. La scoperta e lo studio di una nuova particella richiede la capacità di misurare con elevata precisione alcune delle sue grandezze fisiche caratteristiche quali la massa e la carica elettrica; misure in tal senso possono essere effettuate analizzando il moto che la particella compie in presenza di un campo magnetico: conoscendo la traiettoria percorsa infatti è possibile, tramite le leggi dell elettrodinamica, ottenere una relazione che lega la massa e la carica della particella al raggio di curvatura. La precisione con cui è possibile effettuare tali misure è legata alla sensibilità dello strumento tracciatore che viene utilizzato per ricostruire la traiettoria, pertanto risulta ben giustificata la necessità di disporre di rivelatori di particelle dotati di altissima risoluzione spaziale. La localizzazione di una particella da parte di un detector avviene tramite la conversione dell energia rilasciata nell interazione in un segnale elettrico. Esistono numerosi tipi di detector che è possibile distinguere sia per il processo fisico sfruttato per la generazione del segnale sia per il materiale utilizzato per l interazione con la particella. Lo studio della radiazione ionizzante fa oggi largo uso di rivelatori a semiconduttori, conosciuti anche come dispositivi a stato solido, che si sono dimostrati una valida alternativa ai dispositivi a ionizzazione a gas. Le tecniche planari impiegate in microelettronica nella costruzione dei chip sono state applicate con ottimi risultati nel campo dei rivelatori di particelle permettendo la - 1 -

5 realizzazione di dispositivi dotati di sensibilità dell ordine del micron. Tra i detector a semiconduttore i rivelatori a microstrip al silicio hanno riscosso un enorme successo e sono stati largamente impiegati sia negli esperimenti con acceleratori sia nei progetti di ricerca nello spazio. Una tappa fondamentale nella realizzazione di un rivelatore è la sua caratterizzazione: sebbene in fase di selezione e assemblaggio le componenti di un tracciatore siano sottoposte a criteri di qualità che ne garantiscano il perfetto funzionamento è necessario effettuare uno studio dettagliato della risposta dell apparato al passaggio di particelle ionizzanti. Per una fedele e corretta ricostruzione della traccia è necessario che i sensori al silicio raccolgano in maniera efficiente la carica di ionizzazione generata dall interazione tra radiazione e materia e questo viene verificato effettuando dei test negli acceleratori con fasci di particelle (test beam). L oggetto del mio lavoro di tesi è lo studio di un metodo alternativo alla prova su fascio per la caratterizzazione dei rivelatori a microstrip che faccia uso di un dispositivo laser capace di generare impulsi di luce infrarossa. Nel primo capitolo verrà trattato il problema dell interazione tra radiazione e materia; verranno messe in evidenza le profonde differenze tra i modi di interagire della materia con le particelle cariche e con la radiazione elettromagnetica; si tenterà di individuare quale dei processi che coinvolgono i fotoni sia il più adatto a simulare il passaggio di particelle nel rivelatore. Nel secondo capitolo verranno descritte le principali proprietà dei materiali semiconduttori e verranno descritti i meccanismi che permettono la generazione del segnale associato al passaggio di particelle ionizzanti; in particolare verrà descritto il funzionamento e le caratteristiche del rivelatore a microstrip al silicio impiegato nella caratterizzazione. Nel terzo capitolo si provvederà a scegliere e giustificate le condizioni ottimali per la simulazione; verranno presentati e confrontati i risultati sperimentali ottenuti facendo incidere sul silicio la radiazione prodotta da una sorgente β radioattiva (Stronzio 90) e quelli ottenuti facendo incidere sul rivelatore un impulso laser focalizzato a luce infrarossa; saranno evidenziate le differenze nella risposta del silicio nelle due situazioni e sarà proposto un possibile set-up per la caratterizzazione in laboratorio di un rivelatore al silicio

6 Capitolo 1 Interazione tra radiazione e materia La conoscenza dei fenomeni fisici coinvolti nelle interazioni tra radiazione e materia è fondamentale per la buona realizzazione di un rivelatore: la scelta dei materiali e la progettazione delle caratteristiche geometriche del dispositivo devono essere fatte tenendo conto dei principali processi che intervengono nella generazione del segnale elettrico associato al passaggio di particelle nella materia. Nel descrivere le interazioni tra radiazione e materia farò distinzione tra quelle che coinvolgono particelle cariche e quelle che coinvolgono fotoni; verranno messe in evidenza le sostanziali differenze tra i modi con cui l energia viene rilasciata nella materia da parte dei due tipi di radiazione e si studieranno le leggi che regolano tali fenomeni. In particolare si studierà la risposta del silicio al passaggio di particelle cariche, l energia persa in funzione della profondità di penetrazione e la quantità di carica rilasciata; queste informazioni saranno sfruttate per trovare le migliori condizioni per una buona simulazione dell interazione tra particella carica e silicio tramite dispositivo laser. Esistono svariati processi attraverso i quali la radiazione perde energia nella materia e tutti dipendono sia dal tipo di radiazione considerata ( particelle cariche pesanti, elettroni, fotoni o neutroni ) sia da quale dei costituenti fondamentali della materia viene coinvolto nell interazione ( nuclei o elettroni atomici ). In ogni caso è importante ricordare che nell attraversare la materia una particella è sottoposta a innumerevoli interazioni e urti casuali; uno studio di tali processi non può che essere affrontato in maniera statistica servendosi di modelli basati sulla meccanica quantistica. Visto il carattere aleatorio di tali processi, sarà interessante studiare la probabilità con cui essi si verificano e individuare quali siano i tipi d interazione - 3 -

7 più probabile per un determinato tipo di radiazione. Analizzerò in dettaglio il comportamento di particelle cariche e fotoni mentre non sarà trattato il passaggio di neutroni nella materia in quando non direttamente legato al mio lavoro. 1.1 Perdita di energia da parte di particelle cariche I principali processi che coinvolgo una particella carica nell attraversamento di uno strato di materiale sono la perdita di energia e la deviazione dalla traiettoria di incidenza. I meccanismi che sono coinvolti in queste interazioni sono fondamentalmente due: a) Scattering anaelastico con elettroni atomici; b) Scattering elastico con nuclei atomici. entrambi i processi sono di tipo elettromagnetico. Gli effetti dovuti ad uno scattering anaelastico tra particelle cariche ed elettroni atomici legati possono essere l eccitazione o la ionizzazione dell atomo interessato; gli elettroni di legame acquistano in tal modo l energia necessaria a passare dalla banda di valenza a quella di conduzione generando così una coppia elettrone lacuna ( e-h). Sia la carica rilasciata sotto forma di ioni che quella sotto forma di coppie e-h può essere interpretata come un segnale elettrico e raccolta da degli elettrodi, questo è appunto ciò che avviene nei rivelatori. I concetti di banda di valenza, banda di conduzione e lacune verranno ampiamente discussi nel capitolo 2 insieme a tutti i meccanismi di formazione del segnale. Lo scattering elettromagnetico con nuclei atomici ha invece come principale effetto ( alle energie che prenderemo in considerazione ) quello di deviare la particella dalla traiettoria di incidenza. Sebbene questi siano i principali modi con cui le particelle cariche interagiscono con la materia, non è escluso che si verifichino dei processi statisticamente meno probabili come l emissione di radiazione Cherenkov, reazioni nucleari ed emissione di bremsstrahlung. Nell affrontare lo studio del comportamento delle particelle cariche nella materia è utile distinguere due categorie: - 4 -

8 particelle pesanti in cui consideriamo muoni, pioni, protoni, particelle α e altri nuclei leggeri; elettroni e positroni. La suddivisione della radiazione in queste due classi è dovuta fondamentalmente all enorme differenza di massa ( 3 o 4 ordini di grandezza ) che c è tra i due tipi di particelle considerate; tali differenze rendono necessaria una trattazione separata dei due tipi di interazione Perdita di energia da parte di particelle cariche pesanti I processi di scattering anaelastico con elettroni atomici sono praticamente gli unici responsabili della perdita di energia da parte di particelle cariche pesanti; fenomeni di perdita di energia dovuti a urti elastici con nuclei atomici e quelli per radiazione di frenamento ( bremsstrahlung ) sono sostanzialmente ignorabili mentre diventeranno importanti per elettroni ad alte energie. La quantità di energia ceduta agli atomi del materiale in ogni urto è generalmente molto piccola; in ogni modo il numero di interazioni per unità di cammino sono numerose e l effetto cumulativo di queste perdite è macroscopicamente rilevante. Basti pensare che un protone di 10 MeV perde tutta la sua energia nell attraversare uno spessore di soli 0.25 mm di rame. Come ricordato in precedenza i processi di scattering tra radiazione e materia sono di natura prettamente statistica, questo implica che particelle incidenti aventi stessa energia cinetica non rilasciano necessariamente la stessa quantità di energia nella materia. Sarà utile quindi servirsi delle leggi della meccanica quantistica per ottenere un espressione dell energia media persa dalla particella per unità di cammino, questa quantità è nota in fisica delle particelle come stopping power o semplicemente de/dx. Un calcolo quantomeccanico elaborato da Bethe e Bloch [1] permette di esprimere lo stopping power per particelle pesanti nel seguente modo : de dx Z par 2m ec β γ 2 = D e ne ln β ( 1.1) β I dove: - 5 -

9 D = 4πr m c = MeV cm - n e e = Z e atom. e N Aρ A ( r e raggio classico dell elettrone, n e numero di elettroni per unità di volume, ρ densità del mezzo, A peso atomico del mezzo, I potenziale medio di ionizzazione ). Alla formula 1.1 vanno aggiunti dei termini correttivi che tengano conto di due fattori: la particella incidente polarizza il mezzo in cui si propaga pertanto il campo elettrico sentito dagli elettroni atomici più distanti dal punto d impatto è schermato dai dipoli indotti e questo fenomeno è proporzionale alla densità del mezzo; l altro fenomeno diventa rilevante quando la particella incidente ha velocità confrontabili con quelle degli elettroni atomici. È interessante notare dalla 1.1 come lo stopping power dipenda solamente dalla velocità e dalla carica delle particelle incidenti e non dalla loro massa. 2 Fig. 1.1 Stopping Power del silicio relativo al passaggio di protoni - 6 -

10 La Fig. 1.1 riporta un grafico relativo allo stopping power del silicio ( Z=14) riferito al passaggio di protoni. La grandezza è espressa in unità di densità del materiale 1 ρ silicon de dx National Institute of Standard and Technology).[2], i dati provengono dal database PSTAR del N.I.S.T ( Trascurando le regioni a basse energie ( inferiori a 10-1 MeV ) in cui le velocità dei protoni sono confrontabili con quelle degli elettroni atomici e la formula di Bethe-Bloch perde la sua validità, dalla Fig. 1.1 è possibile osservare che de/dx ha un andamento decrescente per energie fino all ordine di 10 3 MeV dove raggiunge un valore minimo. Le particelle con energia tale da minimizzare lo stopping power sono dette Minimum Ionizing Particle ( MIP ); minimizzando la formula di Bethe-Bloch rispetto a β si ottiene un valore pari β Per passaggio di protoni nel silicio abbiamo ( dati N.I.S.T ): 3 E MIP MeV 1 de MIP = 1.66 ± 0.02 MeV cm 2 /g ρ silicon dx Tab. 1.1 Energia e stopping power di una MIP per protoni nel silicio. Occorre fare attenzione al fatto che, mentre l energia posseduta da una particella al minimo di ionizzazione dipende dalla massa della particella considerata, lo stopping power di una MIP dipende solo dal materiale considerato. Dalla Fig. 1.1 è infine possibile verificare che effettivamente i fenomeni di scattering elastico con nuclei atomici sono trascurabili rispetto alla diffusione dovuta a elettroni atomici visto che lo stopping power totale coincide con quello elettronico per tutte le energie considerate. Un altra grandezza utile da definire nello studio dell interazione tra particelle e materia è il range il quale indica la distanza totale percorsa dalla particella nel mezzo prima di esaurire tutta la sua energia. Vista la natura statistica del - 7 -

11 fenomeno della perdita di energia, non tutte le particelle verranno completamente assorbite alla stessa distanza ( straggling ) pertanto è necessario definire il range come la distanza media a cui il numero di particelle incidenti si riduce della metà; é comunque più comodo utilizzare nelle misurazioni il cosiddetto range estrapolato: Sperimentalmente il range di una particella viene misurato facendo passare un fascio di particelle monoenergetiche attraverso diversi spessori di materiale; sebbene la traiettoria percorsa dalla particella nel mezzo, a causa dei continui urti, non sia una linea retta, per particelle cariche pesanti è lecito pensare che la deviazione dalla traiettoria d incidenza dovuta ad una singola interazione con un elettrone sia trascurabile pertanto è possibile stimare in via teorica l andamento del range in funzione dell energia integrando la funzione R de dx ( E ) = de inc 0 1 E inc. La figura 1.2 mostra un grafico relativo all andamento del range in funzione dell energia di incidenza per protoni nel silicio; per un protone al minimo di ionizzazione nel silicio abbiamo un range ( R MIP ρ sil ): R MIP g / cm 2 Sia il range che lo stopping power sono grandezze che rivestono un ruolo fondamentale nella progettazione dei rivelatori di particelle e guidano le scelte riguardo ai materiali ed alle geometrie da adottare

12 Fig. 1.2 Range di protoni nel silicio [ N.I.S.T.] Perdita di energia da parte di elettroni e positroni La perdita di energia associata al passaggio di elettroni e positroni nella materia è dovuta principalmente a collisioni ionizzanti ( come per le particelle cariche pesanti ) ed a radiazione di frenamento. La sezione d urto differenziale per processi di bremsstrahlung dipende inversamente dal quadrato della massa della particella incidente; questo fa si che elettroni e positroni, per energie al disotto del GeV, siano le uniche particelle ad avere un contributo rilevante alla perdita di energia dovuto a radiazione elettromagnetica. Basti pensare che l energia persa da un muone ( m µ = 106 ΜeV = 212 m e ) per radiazione è 4 ordini di grandezza inferiore a quella persa da un elettrone. -Perdita di energia per ionizzazione: La formula di Bethe-Bloch 1.1 utilizzata per particelle cariche pesanti non è adatta a descrivere la perdita di energia di elettroni e positroni nella materia; nell elaborare il modello per particelle pesanti, infatti, si assume che la traiettoria d incidenza resti praticamente inalterata a seguito di ogni singola interazione, mentre nel caso degli elettroni questa ipotesi non può essere fatta. Inoltre, - 9 -

13 trattandosi di urti tra particelle identiche, è necessario tener conto di fenomeni quantistici dovuti alla loro indistinguibilità. Queste considerazioni cambiano un certo numero di termini nella formula 1.1 e lo stopping power per elettroni assume la forma [1]: de dx 4 2 2πn ee 2mec = 2ln + 3lnγ mec I ( 1.2 ) La formula per i positroni assume una forma leggermente differente che qui non viene riportata. -Perdita di energia per radiazione di bremsstrahlung: Il processo fondamentale con cui elettroni e positroni ad alta energia perdono la propria energia è l emissione di radiazione elettromagnetica causata dalla decelerazione delle particelle per l interazione con i campi elettrici dei nuclei e degli elettroni atomici. La variazione di energia nel tempo è data dalla nota de = 2 2e 3 a dove a è l accelerazione della particella. Un dt 3c relazione [1]: ( ) 2 calcolo semiclassico della sezione d urto differenziale di bremsstrahlung per particelle relativistiche [1] fornisce l espressione: dσ e m c r M parv γ 4 2 e e 5 Z par Z atom ln ( 1.3 ) dk h c M par k k dove M par è la massa della particella incidente e k è l energia del fotone prodotto. Dall espressione 1.3 osserviamo che la sezione d urto è inversamente proporzionale al quadrato della massa della particella incidente e questo è il motivo per cui, a basse energie, questo processo è trascurabile per particelle pesanti. È importante notare che la sezione d urto dipende dal mezzo considerato come il quadrato del numero atomico e che pertanto la perdita di energia per frenamento è più vistosa quando intervengono elementi pesanti. Evitando di riportare una formula esplicita per lo stopping power per elettroni dovuto a radiazione è utile considerare un espressione del rapporto tra l energia persa per radiazione e quella persa per ionizzazione [1]:

14 de dx rad. = de dx ioniz. Z atom. E par. 1600m c e 2 ( 1.4 ) Dalla 1.4 è possibile definire un energia critica come: E crit. = mec ( 1.5 ) Z atom. è importante notare come per valori di E par >> E crit., i processi dovuti alla radiazione di frenamento siano gli unici responsabili della perdita di energia. Viene riportato di seguito un grafico relativo allo stopping power ( totale,di ionizzazione e di radiazione ) per elettroni nel silicio in cui è possibile verificare tutte le tendenze sopra citate: Fig. 1.3 Stopping power del silicio relativo al passaggio di elettroni [N.I.S.T] E crit. 50 MeV

15 Riportiamo di seguito l energia e lo stopping power di un elettrone al minimo di ionizzazione nel silicio : E MIP 1.3 MeV 1 de MIP = 1.5 ± 0.2 MeV cm 2 /g ρ silicon dx Tab. 1.2 Energia critica; energia e stopping power di una MIP per elettroni nel Silicio [N.I.S.T.]. L energia di un elettrone al minimo di ionizzazione ricade nella regione in cui la perdita di energia per radiazione è trascurabile e vale la formula 1.2; è utile notare come lo stopping power sia uguale, nei limiti dell incertezza, a quello ottenuto per dei protoni al minimo di ionizzazione confermandone l indipendenza dal tipo di particella considerata. Come nel caso di particelle cariche pesanti definiamo il range per elettroni e positroni nella materia. In questo però occorre tener presente che la traiettoria percorsa dall elettrone nel mezzo è estremamente differente da una linea retta pertanto è impossibile calcolare il range come integrale della formula di de/dx; le differenze tra i valori sperimentali e quelli calcolati tramite integrazione vanno da % e dipendono sia dall energia che dal materiale considerato. Inoltre si osserva una notevole fluttuazione sul valore dell energia ceduta che ha come conseguenza un allargamento del range di straggling visto per particelle pesanti Fluttuazioni statistiche nella perdita di energia Come abbiamo visto la perdita di energia da parte di una particella nella materia è un fenomeno che può essere trattato solo facendo ricorso a dei modelli statistici; in generale particelle appartenenti ad un fascio monoenergetitico non rilasceranno tutte la stessa quantità di energia a causa delle fluttuazioni nel numero di urti subiti nell attraversamento del materiale. I modelli fin qui trattati hanno permesso di definire dei parametri ( lo stopping power e il range ) che descrivono il comportamento medio delle particelle nella materia; il passo successivo è quello

16 di studiare le possibili distribuzioni per l energia persa e trovare delle relazioni tra l energia media ( E mean ) e l energia più probabile ( E mp ). Per intuire l andamento della distribuzione delle energie si può far riferimento alla sezione d urto per una particella incidente che subisca una perdita di energia pari ad E ; calcoli ottenuti classicamente permettono di definire questa grandezza come [1]: 2 4 dρ 2πZ Z 2 e = 2 ( 1.6) de mv E Dove Z 1 e v 1 sono rispettivamente la carica ( in unità di e ) e la velocità della particella incidente, Z 2 è il numero atomico dell elemento considerato Come si può notare dalla formula 1.6, le collisioni a bassa energia trasferita sono più probabili di quelle ad alto trasferimento di energia; questo lascia supporre che il picco della distribuzione ( E mp ) sia spostato verso le basse energie rispetto al centro del range delle possibili energie trasferite. In effetti la tipica distribuzione che si osserva è quella riportata in Fig. 1.4; si può notare come per piccoli spessori la differenza tra E mp e E mean sia molto marcata e come all aumentare dello spessore del materiale i due valori tendano a coincidere. Per spessori superiori a quelli considerati in figura, dove le particelle possono perdere anche più del 50% della propria energia, la curva di distribuzione è ben approssimata da una Gaussiana Fig. 1.4 Funzione di distribuzione dell energia persa per unità di lunghezza da pioni nel silicio per vari spessori [3]

17 Esiste un ampia letteratura riguardante lo studio della funzione di straggling, in particolar modo esiste un modello elaborato da Landau per spiegare la distribuzione per piccoli spessori e un modello trattato da Symon e Vavilov che si applica a spessori intermedi a quelli in cui vale la distribuzione di Landau e quelli in cui si ha una Gaussiana[4]. È importante riflettere sul fatto che nello studio e nella caratterizzazione dei rivelatori occorre far riferimento al valore più probabile dello stopping power ( dipendente dallo spessore ) e non al valore medio ( indipendente dallo spessore ); nei rivelatori al silicio di spessore 300 µm il valore più probabile dello stopping power per particelle al minimo di ionizzazione è tipicamente il 70% di quello valutato con la formula di Bethe-Bloch ( vedi Fig 1.5 ) Fig. 1.5 Energia più probabile persa per unità di lunghezza nel silicio normalizzata al valore medio per una MIP ( 1.66 MeV cm 2 /g )[3] 1.2 Perdita di energia da parte di fotoni Il comportamento dei fotoni nella materia è profondamente diverso da quello delle particelle cariche: la mancanza di una carica elettrica impedisce ai fotoni di avere scattering anaelastico con elettroni atomici legati che, come visto, è il principale

18 meccanismo con cui interagiscono le particelle cariche ( pesanti ed elettroni a bassa energia ). I processi più significativi che intervengono nel passaggio di fotoni nella materia sono: a) Effetto fotoelettrico b) Effetto Compton c) Produzione di coppie elettrone-positrone La scala energetica in cui queste interazioni hanno luogo è molto vasta e va da energie dell ordine dell ev per l effetto fotoelettrico fino ad energie dell ordine del GeV per la produzione di coppie. Ovviamente solo radiazione elettromagnetica appartenente ad un ristretto intervallo energetico sarà adatta alla simulazione del passaggio di particelle nella materia pertanto analizzerò i fenomeni sopra elencati focalizzando l attenzione su quello ritenuto più idoneo allo scopo del mio lavoro. Il processo di produzione di coppie è costituito dalla trasformazione di un fotone in una coppia elettrone-positrone; visto che la massa a riposo delle due particelle è 0.51 MeV, l energia di soglia del processo è pari a 1.02 MeV. Gli elettroni ed i positroni generati con questo meccanismo sono liberi di muoversi nella materia per distanze di svariate decine di micron e possiedono in genere energie sufficientemente alte da ionizzare il materiale in cui vengono prodotti o addirittura possono emettere radiazione elettromagnetica di frenamento; se i fotoni emessi per bremsstrahlung hanno energia superiore alla soglia possono interagire nuovamente producendo copie e - - e + ed innescando un processo a catena noto come electron-photon shower che si esaurirà solo una volta raggiunta l energia critica. Naturalmente un simile fenomeno va evitato se si intende simulare il passaggio di una singola particella in quanto ha come effetto un rilascio di carica fortemente delocalizzata nel corpo del rivelatore che è una situazione molto lontana da quella che si intende simulare. L effetto Compton è il processo di scattering di fotoni da parte di elettroni liberi, pertanto avviene nella materia ad energie dei fotoni incidenti molto superiori a quelle necessarie per la ionizzazione degli atomi. Visto che anche questo processo coinvolge elettroni liberi altamente energetici e capaci di ionizzare ampie zone del rivelatore è necessario scendere ulteriormente nella scala

19 energetica delle interazioni; in particolare sarà necessario studiare i processi che avvengono a scale di energia confrontabili con le energie di separazione tra le bande di valenza e quelle di conduzione ( band gap ) dei materiali interessati. A queste energie, dell ordine dell ev, gli elettroni prodotti per fotoionizzazione non avranno energia sufficiente per ionizzare ulteriormente il materiale e resteranno localizzati nella regione di creazione ( almeno fino a quando la repulsione coulombiana non abbia provveduto all inevitabile sparpagliamento ). Il processo fondamentale che avviene a queste scale di energia è l effetto fotoelettrico il quale consiste nell assorbimento di un fotone da parte di un elettrone atomico e nella conseguente formazione di una coppia elettrone lacuna; visto che un elettrone libero non può assorbire completamente un fotone ed allo stesso tempo soddisfare la conservazione del quadrimpulso, l effetto fotoelettrico può coinvolgere solo elettroni legati ovvero può avvenire solo in presenza di un nucleo che possa ricevere parte del momento trasferito. L energia cinetica dell elettrone libero emesso è esprimibile tramite la relazione: E = hν ( 1.7 ) k E bind. dove E bind. è l energia di legame dell elettrone e ν la frequenza del fotone incidente; dalla formula 1.7 possiamo intuire che fotoni con energie dell ordine dell ev sono in grado di interagire solo con elettroni debolmente legati e, tipicamente sono in grado di strappare solo elettroni condivisi nei legami covalenti tra atomi provocandone un salto dalla banda di valenza a quella di conduzione. Notiamo inoltre che per energie crescenti i fotoni sono in grado di interagire anche con elettroni appartenenti alle shell atomiche più interne riuscendo a ionizzare svariate volte gli atomi interessati; è da sottolineare però che questa tendenza si arresta per energie dell ordine del MeV in quanto lo scarso numero di elettroni legati disponibili per l effetto fotoelettrico rende più probabile un interazione di tipo Compton tra fotoni ed elettroni liberi prodotti per ionizzazione. Il potere di assorbimento della materia rispetto alla radiazione elettromagnetica può essere stimato quantitativamente analizzando la relazione che descrive la

20 riduzione dell intensità del fascio incidente in funzione della distanza di penetrazione : I ( x) = I 0 exp( µ x) ( 1.8 ) dove I 0 è l intensità del fascio incidente e µ è detto coefficiente di assorbimento. È importante notare che la diminuzione dell intensità del fascio non è dovuta, come avviene per le particelle, ad una diminuzione dell energia dei fotoni bensì ad una riduzione del numero di fotoni del fascio per effetto del loro assorbimento. L andamento del coefficiente d assorbimento in funzione dell energia dei fotoni incidenti ( Fig. 1.6 ) può essere facilmente interpretata alla luce delle considerazioni fatte a partire dalla formula 1.7: fotoni di energie relativamente alte sono in grado di interagire con un grande numero di elettroni per unità di cammino pertanto hanno un alta probabilità di essere assorbiti nei primi micron del materiale attraversato mentre fotoni che sono in grado di essere assorbiti solo da elettroni di valenza ( hν 1eV ) hanno un alta probabilità di attraversare il materiale senza interagire; nel capitolo 3 vedremo come quest ultima sia la condizione ottimale per una buona simulazione del passaggio di particelle nella materia tramite fotoni e l unica che garantisca un rilascio di energia uniforme nel rivelatore che è tipico di particelle al minimo di ionizzazione attraversanti piccoli spessori. Fig. 1.6 Coefficiente di assorbimento per un cristallo di silicio puro[5]

21 Continuando ad analizzare la Fig. 1.6 si osserva come il coefficiente di assorbimento subisca dei rapidi cambiamenti di pendenza all aumentare dell energia; in letteratura [5] esistono dei modelli teorici che interpretano queste variazioni come il passaggio dalla regione in cui avvengono le cosiddette transizioni dirette a quella in cui si hanno transizioni indirette. Le prime consistono in un processo di assorbimento del fotone in cui l impulso dell elettrone è completamente conservato cioè ; aumentando l energia della radiazione i fotoni hanno energia sufficiente a stimolare i livelli vibrazionali del reticolo pertanto possono avvenire transizioni ( indirette ) in cui l impulso dell elettrone non è conservato e si ha la produzione o l assorbimento di fononi, pertanto k k + k ini. e = fin. e fon. ini. fin. e e. L energia minima affinché un elettrone compia una transizione diretta è esattamente pari al gap tra la banda di valenza e quella di conduzione ( 1.16 ev nei cristalli di silicio ) mentre quella necessaria ad una transizione indiretta è ovviamente superiore. La possibilità di compiere transizioni dirette è una delle differenze fondamentali tra le interazioni che coinvolgono fotoni di bassa energia e particelle cariche nei cristalli: il fatto che le particelle non possano essere assorbite durante il processo di ionizzazione ( come invece avviene per i fotoni ) e la necessità di conservare il quadrimpulso fanno in modo che le transizioni elettroniche siano sempre accompagnate da eccitazioni vibrazionali del reticolo. In effetti si trova sperimentalmente che l energia media necessaria ad una particella carica per formare una coppia elettrone lacuna nel silicio è w = 3.6 ev a 300 K; questo valore è circa 3 volte superiore al band gap e ciò dimostra come circa i 2/3 dell energia persa dalla particella vengano spesi per la produzione di fononi[4]. È importante sottolineare che si osserva sperimentalmente che l energia w è una costante che dipende esclusivamente dalla temperatura e dal materiale considerato ed è del tutto indipendente dal tipo di radiazione considerata ( particelle pesanti, elettroni o fotoni di energia superiore all infrarosso ). k = k

22 1.2.1 Perdita di energia da parte di un impulso laser Un altra difficoltà che si incontra nel tentativo di simulare il passaggio di particelle nei rivelatori sta nel fatto che una particella ionizza il rivelatore per un tempo brevissimo e il tempo di raccolta del segnale sugli elettrodi è di qualche decina di nanosecondo ( vedi capitolo 2 ), pertanto l utilizzo di una sorgente di luce laser a flusso continuo non permette di generare un segnale nel rivelatore paragonabile a quello generato da particelle cariche. Per ovviare a questo problema sarà necessario disporre di un dispositivo laser in grado di produrre impulsi laser di brevissima durata ( dell ordine di 10-9 s ) e fortemente focalizzati. Sotto queste condizioni dalla formula 1.8 è possibile ottenere una relazione che esprime l energia rilasciata dall impulso in funzione della profondità di penetrazione nel materiale: [ 1 ( x) ] E ( x) = E0 exp µ ( 1.9 ) dove E 0 rappresenta l energia trasportata dall impulso misurata sulla superficie del mezzo. Dalla formula 1.9 è possibile ottenere un espressione dell energia persa per unità di cammino da un impulso di fotoni che è l equivalente dello stopping power visto per le particelle cariche: de dx = E0 µ exp( µ x) ( 1.10 ) L espressione 1.10 confrontata con 1.1 e 1.2 dimostra quanto siano profondamente diversi i processi che coinvolgono particelle cariche e fotoni; nel terzo capitolo, interamente dedicato alla simulazione, faremo uso di tutte le considerazioni emerse dallo studio di questi processi ed analizzeremo le condizioni sotto cui l espressione per la perdita di energia da parte di fotoni si avvicina a quella per particelle Fluttuazioni statistiche nella perdita di energia Le considerazioni fatte sulla natura probabilistica delle interazioni tra materia e particelle valgono anche nel caso di processi che coinvolgono fotoni; esiste tuttavia una fondamentale differenza negli andamenti delle distribuzioni delle

23 energie rilasciate. Come abbiamo visto nel paragrafo la distribuzione statistica delle energie cedute da particelle cariche in spessori sottili segue l andamento rappresentato nella Fig. 1.4 ( distribuzione di Landau ) mentre, proprio a causa della profonda diversità dei fenomeni fisici coinvolti, la distribuzione delle energie rilasciate da fotoni è qualitativamente descrivibile tramite una gaussiana estremamente piccata e con una sigma molto piccola. Nel terzo capitolo vedremo come questa caratterista della radiazione elettromagnetica sia responsabile di una limitazione nella casistica degli eventi effettivamente simulabili tramite sorgenti di luce laser

24 Capitolo 2 Rivelatori a microstrip al silicio Nel primo capitolo sono stati presentati i fenomeni fisici attraverso cui la radiazione rilascia energia nella materia; in questo capitolo analizzeremo i meccanismi attraverso cui i rivelatori al silicio trasformano questa energia in un segnale elettrico. Inizieremo studiando le caratteristiche dei materiali semiconduttori e come queste vengono sfruttate per la formazione del segnale; passeremo ad analizzare in dettaglio le caratteristiche dei rivelatori a microstrip con particolare attenzione ai tracciatori dell esperimento AMS-01 impiegati nelle misurazioni. 2.1 Materiali semiconduttori La classificazione dei materiali rispetto alle loro proprietà elettriche si basa sulla struttura a bande in cui sono organizzati i livelli energetici accessibili agli elettroni atomici; il concetto di banda energetica nasce, come ben noto, dalla soluzione dell equazione di Schroedinger per elettroni in un reticolo cristallino. Risolvendo l equazione con un potenziale periodico si osserva la formazione di bande di energie proibite o band gap che separano le normali bande di livelli energetici accessibili agli elettroni. La classificazione delle proprietà elettriche dei materiali si basa appunto sulle dimensioni di queste bande proibite ovvero sulla separazione tra la banda di valenza e la banda di conduzione, dove questi termini vengono usati per indicare rispettivamente l ultima banda completamente riempita e la

25 prima banda vuota o semiriempita. Per i materiali isolanti la larghezza del band gap è talmente elevata da rendere praticamente impossibile il salto di elettroni di valenza nella banda di conduzione per effetto dell eccitazione termica; i materiali conduttori invece presentano una sovrapposizione della banda di valenza e quella di conduzione pertanto gli elettroni possono acquisire l energia fornita da campi elettrici esterni e generare un flusso di corrente. Per i materiali semiconduttori la larghezza della banda proibita è dell ordine di 1 ev ( 1.16 ev per il silicio ) pertanto a temperatura ambiente la probabilità che un elettrone della banda di valenza passi alla banda di conduzione è significativamente diversa da zero ( vedi Fig.2.1 ). Fig. 2.1 Proprietà elettriche dei materiali A basse temperature i legami covalenti sono intatti e non ci sono elettroni disponibili per la conduzione; a temperature superiori però è possibile che degli elettroni di legame acquistino l energia necessaria per passare alla banda di conduzione lasciando delle lacune nei legami covalenti. L importanza delle lacune nei fenomeni di conduzione elettrica nei materiali semiconduttori è dovuta al fatto che possono essere considerate a tutti gli effetti dei portatori di carica positiva. Una spiegazione euristica del meccanismo secondo cui le lacune contribuiscono alla conduttività è il seguente: quando un legame è lasciato incompleto e si forma una lacuna è molto probabile che un elettrone di atomo vicino abbandoni il suo legame per occupare questo buco; così facendo l elettrone lascia una lacuna nella sua posizione iniziale con il risultato netto che la lacuna si

26 è spostata in direzione opposta all elettrone di valenza. Il concetto di lacuna come portatore di carica positiva nei materiali semiconduttori può essere sviluppato in modo rigoroso in un ragionamento di tipo semiclassico che fa uso del concetto di massa efficace degli elettroni reticolari[6]. In un semiconduttore puro ( intrinseco ) il numero delle lacune è uguale al numero di elettroni di conduzione, l agitazione termica continua a produrre coppie elettrone lacuna mentre altre coppie scompaiono a causa della ricombinazione pertanto il numero di portatori di carica intrinseci dipende dalla temperatura e dalle caratteristiche del mezzo ( band gap ). Se ad un cristallo di silicio ( o germanio ), che presenta 4 elettroni di valenza, si aggiungono piccole percentuali di impurità costituite da atomi pentavalenti o trivalenti si ottiene un semiconduttore drogato o estrinseco. I semiconduttori drogati con atomi pentavalenti ( arsenico, fosforo e antimonio ) presentano un eccesso di elettroni di conduzione pertanto la corrente è principalmente dovuta allo spostamento di elettroni; gli atomi di impurità utilizzati in questo tipo di drogaggio sono detti donori o di tipo n. Viceversa nei semiconduttori drogati con atomi trivalenti ( gallio, boro ) le cariche positive ( lacune ) rappresentano i portatori di carica prioritari; i materiali impiegati in questo tipo di drogaggio sono detti accettori o di tipo p. I meccanismi di trasporto delle cariche nei materiali semiconduttori sono fondamentalmente da ricondurre a due tipi di processi: la conduzione e la diffusione. La corrente generata per conduzione è la conseguenza dell applicazione di un campo elettrico esterno E; in questa situazione i portatori di carica acquistano una velocità di deriva comune non nulla, contrariamente a quanto accade in condizioni normali in cui, per agitazione termica, le cariche si muovono di moto caotico con velocità media uguale a zero. A causa dei frequenti urti con gli atomi del reticolo, la velocità di deriva non aumenta indefinitamente ma raggiunge un valore medio costante pari a: v = ( 2.1 ) ( h) e( h)e e µ dove µ e( h) è detta mobilità degli elettroni ( delle lacune ). In definitiva la componente della densità di corrente dovuta alla conduzione è data da [7]: J conduzione = ( N µ + N µ ) e E = σ E ( 2.2 ) e e h h

27 dove σ è definita come la conduttività del materiale, e N e e N h sono le concentrazioni di portatori di carica ( in un materiale drogato solo uno dei due contributi alla resistività è significativo ). È importante notare che la mobilità dei due portatori di carica non è la stessa; per il silicio ad esempio abbiamo µ e =1350 cm 2 /Vsec mentre µ h =480 cm 2 /Vsec [4]. Il meccanismo della diffusione invece si verifica quando in un materiale semiconduttore è presente un gradiente di concentrazione di portatori di carica; l agitazione termica delle cariche le fa diffondere nelle regioni in cui la concentrazione è minore, esattamente come accade per un gas in un recipiente. La componente della densità di corrente in questo caso è [7]: dn e dn h J diffusione = e De Dh ( 2.3 ) dx dx dove D e e D h sono i coefficienti di diffusione legati alla mobilità dalla relazione di kt Einstein: D = µ. e La giunzione p-n Tutti i rivelatori a stato solido che oggi vengono impiegati nella fisica delle alte energie si basano sulla formazione di particolari giunzioni di semiconduttori diversamente drogati, la più semplice delle quali è la giunzione p-n utilizzata in microelettronica nella costruzione di diodi. La formazione di questo tipo di giunzione crea una speciale zona nei pressi del punto di contatto; a causa del gradiente di concentrazione di elettroni e lacune tra i due materiali si verifica inizialmente un processo di diffusione delle lacune dal lato p al lato n e la diffusione degli elettroni dal lato n al lato p. Come conseguenza di questo fenomeno si verifica che le lacune della regione p catturano gli elettroni provenienti dalla regione n e, viceversa, gli elettroni del lato n si combinano con le lacune che diffondono dal lato p; ricordando che le regioni p ed n sono inizialmente neutre, il ricombinarsi di elettroni e lacune in prossimità della giunzione crea una regione di cariche fisse detta regione di svuotamento proprio per l assenza di cariche libere; la parte della regione che si estende nel lato p assume carica negativa,quella che si estende verso il lato n assume carica positiva

28 Fig. 2.2 Caratteristica di una giunzione p-n La dimensione di queste due regioni di carica spaziale può essere facilmente calcolata considerando che per la conservazione della carica totale: N h x = N x ( 2.4 ) p La formazione di queste cariche fisse genera un campo elettrico che si oppone alla e n

29 diffusione delle cariche e, in condizioni di equilibrio, la diffusione si arresta; il potenziale responsabile del campo è detto potenziale di contatto e solitamente è dell ordine di 1eV. La situazione descritta è ben rappresentata in Fig. 2.2 [8]. Nel caso in cui N h >>N e dalla 2.4 si ottiene che la regione di svuotamento si estende quasi completamente nel lato n della giunzione; è possibile esprimere la profondità della regione di svuotamento in funzione del potenziale di contatto V 0 tramite la relazione [4]: d ( 1 ) 2 = 2 ε ρ n V ( 2.5 ) 0 dove ε è la costante dielettrica del materiale e ρ n è la resistività del mezzo definita come ρ n 1 =. σ n La regione di svuotamento, a causa della sua configurazione elettrica è dotata di una capacità non trascurabile; per geometrie planari tale capacità assume la forma A C = ε ( 2.6 ) d con A pari all area della regione. Come vedremo tale capacità giocherà un ruolo determinante nella determinazione del rumore quando giunzioni di questo tipo sono utilizzate come rivelatori Rivelatori a semiconduttori La creazione di una regione di svuotamento priva di cariche libere per effetto della giunzione di due materiali semiconduttori è di fondamentale importanza nella fisica dei rivelatori e viene sfruttata per la trasformazione dell energia rilasciata dal passaggio di particelle in un segnale elettrico. La radiazione ionizzante che attraversa la regione di svuotamento rilascia energia secondo i meccanismi visti nel primo capitolo e, così facendo, genera delle coppie elettrone-lacuna che vengono prontamente espulsi dalla regione per effetto del campo elettrico; ponendo agli estremi della giunzione degli appositi elettrodi è possibile acquisire un segnale in corrente proporzionale all energia di ionizzazione rilasciata. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare l impulso elettrico misurato sugli elettrodi della giunzione non è causato dall effettiva raccolta delle cariche generate nella regione di svuotamento ma è dovuto fondamentalmente

30 all induzione generata dal movimento delle cariche stesse. La forma dell impulso varia con il tempo in funzione della posizione delle cariche; un calcolo teorico [4] permette di stimare il rise time τ del segnale nel seguente modo: τ = ρ ε ρ s ( 2.7 ) dove ρ è la resistività misurata in Ωcm. Sebbene queste considerazioni lascino intuire che una giunzione p-n può essere utilizzata come rivelatore di particelle, è facile rendersi conto che per ottenere delle prestazioni apprezzabile è necessario adottare degli accorgimenti: il campo elettrico generato dal potenziale di contatto non è sufficientemente elevato da garantire un efficiente campionamento del segnale; le piccole dimensioni della regione di svuotamento in condizioni di equilibrio non sono sufficienti a sottrarre alla particella considerevoli quantità di energia e sono pertanto responsabili di una bassa sensibilità del rivelatore. Una tecnica che permette di ovviare a queste problematiche consiste nel polarizzare inversamente la giunzione ovvero applicando un voltaggio negativo alla regione p. Questo voltaggio ha l effetto di attrarre le lacune del lato p e gli elettroni del lato n verso i rispettivi contatti metallici con il risultato netto di aumentare la regione di svuotamento e, di conseguenza, di aumentare la regione sensibile del rivelatore (Fig. 2.3 [4] ); inoltre, aumentando il voltaggio esterno, si garantisce un efficiente e rapida raccolta delle cariche. Fig. 2.3 Giunzione p-n in polarizzazione inversa

31 È importante notare, comunque, che il voltaggio esterno non può essere aumentato indefinitamente; il massimo valore raggiungibile è limitato dalla resistenza del semiconduttore in quanto materiali a bassa resistività, se sottoposti a tensioni eccessive, sono soggetti a scariche elettriche interne e quindi diventano conduttori di corrente ( fenomeno del breakdown ). Per ottimizzare le prestazioni della giunzione nel suo impiego come rivelatore di particelle è necessario ridurre al minimo le regioni di cariche libere in prossimità dei contatti metallici: l assenza di cariche libere nella giunzione riduce il rumore di fondo del rivelatore e incrementa la sua sensibilità. In ogni caso, anche effettuando un completo svuotamento della giunzione, si verificano delle correnti residue dette correnti di fuga generate dal moto dei portatori di carica minoritari ovvero dal moto di elettroni della regione p attratti verso la regione n e dal moto delle lacune del lato n verso il lato p; la presenza di portatori di carica minoritari nelle regioni drogate con impurità è legata alla produzione termica di coppie elettrone-lacuna; è importante tener presente che le correnti di fuga, generalmente, sono molto deboli, tipicamente dell ordine di qualche nanoamperes per cm Rivelatori a microstrip al silicio I primi prototipi di rivelatori basati sul principio di funzionamento del diodo a semiconduttore risalgono agli anni 60; questi dispositivi vennero inizialmente impiegati nella fisica nucleare e nella spettroscopia gamma come detector altamente sensibili per le misurazioni di energia. La bassa energia di ionizzazione dei materiali semiconduttori ( circa 10 volte inferiore a quella richiesta per la ionizzazione di gas ) resero i rivelatori a stato solido delle valide alternative ai rivelatori a gas. In anni più recenti questo tipo di rivelatori ha guadagnato un considerevole interesse nel campo della fisica delle alte energie che ha iniziato a vedere questi dispositivi come ottimi strumenti per la ricostruzione delle tracce lasciate da particelle cariche e come valida alternativa alle lastre fotografiche. Per utilizzare un sensore al silicio come rivelatore di traccia è necessario che almeno una delle due facce della giunzione sia segmentata in strisce sottili (strip);

32 questo tipo di configurazione permette una ricostruzione monodimensionale della traccia mentre; segmentando entrambe le facce del sensore al silicio con strip perpendicolari è possibile ottenere una misura bidimensionale della posizione della particella. Questo tipo di rivelatori a microstrip è detto a doppia faccia ed a questa categoria appartiene il rivelatore dell esperimento AMS-01 utilizzato nelle misurazioni Il rivelatore di AMS-01 L unità fondamentale dei tracciatori di AMS è il ladder costituito da diverse placchette di silicio di superficie 41.4x72.0mm 2 e spessore di circa 300µm. Queste placchette sono dei rivelatori a microstrip a doppia faccia realizzate su un substrato di materiale semiconduttore di tipo n con resistività tipicamente di circa 5 KΩcm e concentrazione di impurità σ dell ordine di cm -3 ; la segmentazione del lato p ( detto anche lato S ) viene fatta depositando sottili strip ( circa 1 µm ) di materiale semiconduttore con altissime concentrazioni di impurità di tipo p, dell ordine di cm -3 ( la regione viene indicata con p + per ricordare l alta concentrazione di atomi dopanti ); la segmentazione sul lato n ( detto anche lato K ) viene fatta tramite sottili strip di materiale n + disposte perpendicolarmente a quelle del lato S ( vedi Fig. 2.4 [8]). Fig. 2.4 Rappresentazione schematica di un rivelatore a microstrip al silicio L utilizzo di materiali altamente dopati per la realizzazione delle strip ottimizza la realizzazione delle giunzioni metalliche di alluminio ed agisce come limite al completo svuotamento del rivelatore

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