LE TOMBE A TUMULO ETRUSCHE DELL ARNO E Dl POPULONIA. CONFRONTI

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1 LE TOMBE A TUMULO ETRUSCHE DELL ARNO E Dl POPULONIA. CONFRONTI I caratteri comuni I grandi complessi funerari dell'arno, cioè i tumuli con tomba artificialmente ipogeica a camera terminale voltata, la Montagnola, la Mula e l'altro ad essi prossimo distrutto all'inizio dell'ottocento, hanno molti caratteri comuni con le tombe a tumulo, con o senza crepidine, di Populonia. I due insiemi si collocano nell'etruria nord-occidentale; la collocazione temporale corrente, attribuita in base alle datazioni d'uso, sono l'orientalizzante, il VII secolo, per quelle dell'arno; dal Villanoviano all'orientalizzante, dal IX al VI quelle di Populonia. Le volte ad aggetto L'elemento comune più importante è la copertura a volta, nello specifico la cupola, conformata ad aggetti, cioè la tholos. Questo tipo di volte che possono essere a sviluppo lineare o curvo ma aperte oppure chiuse, cioè cupole si realizza ponendo in opera ogni elemento con lieve sporgenza verso l'interno della camera da coprire rispetto all'orlo della muratura sottostante, in modo da restringere il vuoto progressivamente, dal basso verso l'alto; quando gli elementi hanno spessore differente si deve parlare di volta ad elementi aggettanti, se invece gli elementi si compongono in filari per il loro uniforme spessore si parla di volte a filari aggettanti. In entrambi i casi il procedimento costruttivo più adoperato richiede di avanzare per successivi orizzonti costruttivi o anelli; nel secondo caso per filari completi prima di iniziarne un altro.[173] Gli antecedenti LE ESPRESSIONI PREISTORICHE MALTESI Ricordo a tal proposito che tra gli esempi di volte ad aggetto più antichi nel Mediterraneo dobbiamo collocare quelle dei Templi megalitici preistorici delle Isole maltesi, edificati tra l'inizio del IV millennio e la metà del III. Questi complessi presentano resti di coperture (cupole aperte da un lato ma che si componevano a coppie per dare delle coperture complesse a forma di ellisse allungata), sono sia ad elementi megalitici aggettanti (complesso di Gigantija a Gozo) sia a filari aggettanti (Mnaidra e Hajar Qim a Malta); non si deve trascurare il fatto che vi si trovano pure esempi di coperture (di passaggi, prevalentemente) realizzati con lastre megalitiche e, in modelli coevi reperiti negli scavi, esempi di coperture con "travi" cioè con megaliti posti di taglio ed accostati. Pur se è certo che i Templi delle Isole maltesi erano totalmente coperti è dubbio se le grandi volte a elementi o a filari aggettanti fossero concluse anche in sommità con la stessa tecnica dell'aggetto ovvero, come ha supposto Carlo Ceschi (1939), fossero concluse con lastroni posti di piatto oppure di taglio. Si ha comunque una gamma molto estesa di coperture e di commistioni tecniche assai interessanti. È un'architettura basata sull'impiego di megaliti, alcuni di enormi dimensioni, collegati a secco per accostamento che in generale è molto elaborato. Il sistema strutturale è basato sulla ingegnosa manipolazione del peso dei monoliti: ogni membratura eretta o di copertura è sostenuta per mutuo contrasto con i blocchi adiacenti che non sono in equilibrio autonomo ma gravano sugli altri stabilizzandoli e in tal modo raggiungendo essi stessi la stabilità. I caratteri distributivi, basati sulla presenza di un asse longitudinale di penetrazione perpendicolarmente al quale si dispongono gli assi di camere laterali simmetriche e in fondo al 1

2 quale si colloca l'ambiente più importante, sono quelli poi universalmente adottati e che si ritrovano anche nelle espressioni qui in studio.[174] LE REALIZZAZIONI IRLANDESI Bisogna poi ricordare i grandi complessi megalitici a tumulo dell'irlanda, i "cairn", il cui esponente più noto è Newgrange che sorge, insieme ad altri, nella valle del Boyne ed è datato alla fine del IV millennio (O'KELLY 1982). Questo insieme di monumenti, che si svolgono apparentemente in piena autonomia rispetto alle espressioni maltesi citate, in parte coeve, costituiscono dei prototipi di interesse prioritario per le architetture funerarie dell'europa orientale e dell'etruria nord-occidentale sia per i caratteri formali e distributivi che per l'impiego di volte e cupole. Sotto il tumulo artificiale infatti la costruzione si sviluppa con corridoio in disposizione radiale, vestibolo, eventuali camere laterali, camera terminale, ripetendo lo schema dell'asse longitudinale di penetrazione che disimpegna ambienti laterali e un altro, più importante, terminale. La costruzione di Newgrange citata ha due camere laterali simmetriche. Le camere, specialmente quella terminale, sono coperte con tholos, cioè cupole ad elementi aggettanti che si chiudono in sommità. La tecnica costruttiva è quella megalitica con l'impiego di grandi lastre non lavorate che conferiscono una forte rudezza a tutta l'espressione architettonica. [175] La tomba raggiunge effetti di monumentalità con il sapiente dosaggio dei rapporti tra gli spazi interni: il corridoio di accesso disegna una lieve doppia ansa come una S molto aperta e l'altezza del vestibolo aumenta progressivamente in prossimità della camera terminale preannunciando la alta e maestosa cupola a ripido profilo. LA DISCENDENZA MALTESE La tradizione megalitica maltese ha dato origine a prolifiche ed estese discendenze (TAMPONE et al. 1996, cit.) nelle Baleari (le "navetas" in particolare, specialmente a Maiorca, precedute dalle sistemazioni di grotte nelle stesse Isole), nella Penisola iberica con gli esiti architettonici di "Los Millares" ed altri, assai prossimi alle nostre architetture in studio, le cui camere hanno copertura ad aggetto con pilastro centrale (che però nelle costruzioni iberiche ha rastremazione al piede anziché in alto a differenza degli esemplari dell'etruria, a somiglianza invece delle architetture palaziali cretesi), in Sardegna con le costruzioni di età nuragica, in Corsica, in Francia ed in Irlanda e Scozia, specialmente nella cosiddetta facciata atlantica, in Sicilia, a Pantelleria con i "sesi", a Lipari ecc. Ritengo che anche gli esiti funerari a tholos micenei della Grecia e di Creta abbiano ascendenza maltese, come certi rituali e certe suppellettili culturali rappresentate su sarcofagi cretesi fanno pensare, o comuni radici che devono essere ancora ben indagati per determinare la eventuale influenza delle espressioni siriane, come ipotizzato dal Patroni. Questi, non disponendo però di metodi di datazione assoluta, non ha potuto avere conferme o smentite basate su dati scientifici della propria teoria, negata dai più, che invece mi sembra molto interessante e meritevole di verifica. Pur nella varietà di tipi, di varianti delle tecniche costruttive certo influenzate dalle caratteristiche dei materiali (resistenza meccanica, pezzatura ottenibile dalle cave, durabilità, dispendio di energie per estrazione e trasporto, aderenza più o meno accentuata al megalitismo inteso come tecnica costruttiva o ideologia) tutte queste architetture sono caratterizzate, come ho detto, dalle coperture a progressivi aggetti. 2

3 Diffusione delle volte ad aggetto La diffusione di queste volte, della relativa tecnica costruttiva, del simbolismo che ad esse è collegato non mi riferisco qui tanto al simbolismo della volta in sé ma a quello connesso all'imitazione della natura per una istanza di sacralità ha avuto dunque una ideazione precoce, una estensione temporale enorme, oserei dire totale considerato che esse appartengono anche all'edilizia spontanea contemporanea (basti pensare alle costruzioni denominate "girna" a Malta ed ai trulli pugliesi, che si sono costruite fino a pochi decenni fa, per non citarne altri), diffusione geografica larghissima. [176] Con queste premesse, con la citazione delle espressioni sia pure rudimentali dell'america precolombiana, dobbiamo ritenere che tali modi di apparecchiare coperture siano stati ideati in maniera autonoma in più luoghi e in più tempi; ciò nondimeno esse appartengono al patrimonio costruttivo, simbolico e funzionale di tutto il bacino del Mediterraneo almeno e per quanto ci riguarda. Le principali ragioni della straordinaria diffusione delle volte ad aggetto sono innanzitutto la reperibilità in natura del principio costruttivo, che l'uomo ha potuto osservare negli archi naturali, nelle grotte nelle quali le incisioni (quelle idro-geologiche) hanno messo in evidenza la stratificazione e la tettonica degli strati interrotti ma stabili e nella costruzione delle tombe a pozzo allorché, raggiunta la profondità desiderata, lo scavo è stato allargato lateralmente per realizzare camere: la disposizione a strati delle rocce sedimentarie tenere, proprio quelle nelle quali in generale è possibile scavare, ha permesso l'osservazione della tettonica artificialmente creata con il sapiente scavo e la successiva riproduzione fuori terra. Altre ragioni pure importanti sono il fatto che il principio costruttivo è di facile intuizione: ancora la semplicità costruttiva, considerato che non è necessario il ricorso a centine o ad altri mezzi temporanei di sostegno durante la costruzione come invece con gli archi a conci radiali, la plasmabilità delle forme per assecondare esigenze geometriche o, più in astratto, spaziali. Che il principio costruttivo sia intuitivo è dimostrato peraltro dai citati esiti, certamente autonomi, dell'america centrale precolombiana nei quali sono realizzati archi a progressivo aggetto. I tipi architettonici, le tecniche costruttive, i sistemi strutturali, le volte descritte, sono dunque un patrimonio comune alle regioni mediterranee e del Vicino Oriente. A proposito pertanto delle ipotizzate influenze micenee dalla Grecia continentale ed insulare attraverso la Sardegna e la Corsica fino alle regioni costiere di Populonia e Vetulonia e, sempre in via congetturale, successiva diffusione nelle regioni interne dell'etruria nord-occidentale, avanzate da Pallottino, da Ugas e da altri, io credo abbiano comunque fondamento. Sulla base delle analogie costruttive e, più in generale, architettoniche, è prudente evitare di porre la questione in termini così drastici e limitativi di discendenza assoluta e diretta; occorre invece fare riferimento al più ampio quadro di cui ho fatto cenno ed alla presenza di un patrimonio realmente diffuso e conosciuto al quale tutte le comunità attingevano. Sono d'accordo con la dott.ssa F. Lo Schiavo nel ritenere che molte analogie con i complessi toscani hanno i pozzi sacri della Sardegna, soprattutto per quanto concerne la disposizione con corridoio, (camere laterali), camera, copertura con cupola a elementi o a filari aggettanti, la tholos, inoltre la condizione ipogeica, naturale o artificiale, della costruzione; e naturalmente la sacralità che, d'accordo con G. Lilliu, è strettamente legata alla sfera del funerario e con questa intercambiabile. [177] Anche in queste espressioni costruttive e talora architettoniche vi sono analogie (reminiscenze?) con i "cairn" irlandesi, dai quali sono divisi da un enorme divario temporale: a tal proposito deve essere tuttavia ben valutata la ricchissima produzione megalitica posteriore ma intermedia della Francia e le possibili influenze, da ovest in questo caso, per stabilire eventuali continuità temporali, rituali e, naturalmente, costruttive. A proposito della Sardegna però si deve tenere conto, a mio avviso, anche delle notevoli somiglianze con i nuraghe perché se è vero che le torri sono sempre circondate da scale elicoidali 3

4 interne, è da osservare che la struttura di queste svolge in fondo la funzione di rinfianco che nelle costruzioni a tumulo viene esercitata dalla terra; inoltre la tecnica costruttiva è la stessa, in particolare è identico l'apparecchio, cioè il modo di disporre i materiali, per realizzare il sistema voltato a tholos. I confronti Entrando nello specifico delle tre tombe dell'arno a Sesto con quelle di Populonia, è possibile indicare alcune somiglianze tipologiche generali, che sono la stessa motivazione del confronto, e molte differenze, alcune delle quali però possono essere lette come caratterizzazioni idiomatiche. Sulle altre architetture funerarie con camera coperta a tholos, quelle del versante volterrano, cioè Casale Marittimo e Casaglia, e quelle di Vetulonia, la Pietrera e la tomba del Diavolino, mi riprometto di tornare in futuro con apposito studio. SOMIGLIANZE Le similitudini sono molto significative. Le principali sono la presenza del tumulo e la posizione artificialmente ipogeica della tomba. Anche l'aspetto generale, tenuto debito conto delle dimensioni diverse, è simile. Inoltre i caratteri distributivi, cioè la presenza, il disimpegno, la funzione degli ambienti costruiti. Infine, ma è un elemento di importanza primaria, la presenza di volte ad aggetto.[178] DIFFERENZE La principale differenza da osservare è quella relativa alla scala dei rapporti dimensionali: molto grande quella della Montagnola che però raggiunge con l'articolazione degli spazi e con altri espedienti architettonici effetti di monumentalità maggiori di quanto le reali dimensioni non implichino, gigantesca quella della mula. La tholos della prima ha diametro di circa 5 metri; quasi dieci è il diametro della seconda e di quella distrutta (di cui resta la fondazione a Villa Torrigiani): dimensione che comporta esasperate difficoltà costruttive e di stabilità. [179] Quindi la struttura di terra è sottile in sommità del tumulo nelle tombe della Montagnola e della Muta (così è pure per Montefortini), è molto spessa per talune tombe della costa. L'ingresso delle tombe di Populonia è appena accennato, il dromos si riduce ad un passaggio, la camera è un allargamento del passaggio; non vi è, in generale, una planimetria articolata che comunque le ridotte dimensioni non consentirebbero. Un'altra differenza notevole è il fatto che le tombe di Populonia, con l eccezione della tomba villanoviana del Rasoio lunato, hanno camere a pianta quadrata o quadrangolare mentre quelle di Sesto hanno pianta circolare. [180] Questo fatto, che è da mettere in relazione con il rito dell'inumazione che è succeduto a quello dell'incinerazione, richiede spazi interni squadrati per la collocazione dei letti funebri e comporta a Populonia la necessità di pennacchi per raccordare il perimetro quadrato con la cupola circolare: ciò costituisce un'altra peculiarità delle tombe della costa e, insieme, un segno di distinzione per le maggiori difficoltà costruttive. I pennacchi di raccordo tra quadrato e cerchio infatti sono presenti nelle varie necropoli di Populonia in maniera generalizzata anche se talvolta sono appena accennati e sia pure con varianti dipendenti dall'abilità delle squadre di operatori. Sul sistema costruttivo è da osservare una peculiarità, unica per quanto ne sappia, delle volte di Populonia: mentre quelle di Sesto sono costruite con lastroni di alberese disposte in piani orizzontali (anche quelle di Casal Marittimo e di Casaglia) quelle di Populonia e quella del Diavolino a Vetulonia sono realizzate con lastre di piccole dimensioni disposte in piani inclinati verso l'esterno della costruzione. [182] 4

5 Diverso è l'orientamento: alla giacitura circa ad est dell'asse delle architetture di Sesto, a Populonia corrispondono direzioni variabili, a volte opposte, spiegabili con le necessità della necropoli e non del singolo monumento funebre. Segnalo inoltre l'uso di architravature alla Montagnola (portale di ingresso) ed alla Mula (portali del vestibolo), realizzate con lastroni, ma non messi di piatto con il sistema trilitico semplice consueto, bensì con sistema trilitico evoluto in cui gli architravi sono messi di taglio anziché di piatto: cioè nelle condizioni migliori per il funzionamento di questa membratura. Le peculiarità indicate mi hanno portato alla conclusione che le due opere della Mula e della Montagnola sono opera dello stesso architetto con spiccata originalità e grandissime capacità innovative; che questo architetto ha sperimentato alla Montagnola certe disposizioni e configurazioni che ha poi portato a compimento nella Mula; tra queste, la progressiva definizione del vestibolo quale ambiente autonomo. Un'altra differenza notevole è la presenza o l'assenza di pilastro centrale: questo è assente in tutte le tombe di Populonia, anche nella tomba villanoviana a pianta circolare del Rasoio lunato, cioè la più vicina a quelle di Sesto. [183] È dotata invece di pilastro la cupola della Montagnola, non lo ha (non lo ha mai avuto?) quella della Mula; lo hanno quelle di Montefortini, di Casale Marittimo, del Diavolino e della Pietrera. Queste differenze possono essere motivate da molte ragioni, innanzitutto l'ingombro della membratura che a Populonia si è voluto evitare. In ragione delle ridotte dimensioni delle camere; bisogna poi tenere conto del fatto che il pilastro centrale non ha nelle tombe etrusche di cui si parla alcuna funzione connessa con la stabilità della volta se non di sostegno del lastrone centrale, dove questo è presente (alla Montagnola è un megalito di notevoli dimensioni), e della colonna di terra soprastante. Esso poi assume una funzione simbolica, persino ostensiva. [184] Nasce un corollario a queste affermazioni, che cioè il pilastro non si può montare, non si può caricare con la lastra superiore finché non è fatta la volta perché altrimenti esso si ribalterebbe durante le operazioni di posa in opera del lastrone; la volta ed il rinfianco costituito dalla terra del tumulo, già presenti, fingono invece da indispensabili stabilizzatori durante la posa in opera del lastrone. Penso peraltro che il pilastro centrale, non monolitico, fosse realizzato non prima delle volte stesse, per l'ingombro e l'impaccio che avrebbe causato nel cantiere e per il continuo pericolo di crollo da cui sarebbe stato minacciato durante le operazioni di cantiere, specialmente con lo spostamento e la collocazione in opera dei megaliti della copertura. Ancora una differenza, importante perché ha prodotto esiti diversificati, è riscontrabile nell'impiego di materiali, tutti tratti da cave locali. Alberese in bellissime lastre grandi e grandissime già molto regolari, forse solo rifilate agli orli per assecondare le necessità della costruzione, nelle tombe di Sesto; arenaria in lastre di media dimensione a Montefortini; [188] alberese in lastre di ridotte dimensioni e panchina (arenaria) nelle necropoli di Populonia. A questo proposito desidero sottolineare il ricorso appunto alla tecnica megalitica nelle due tombe di Sesto, con lastre che raggiungono la dimensione di 3,50 m, cavate nella zona, rispetto alla muratura delle tombe di Populonia Notevole è la differenza che riguarda la strutturazione del dromos interno della Montagnola (quello della Mula è perduto nei lineamenti essenziali), peraltro consentito dalle dimensioni a grande scala. Questo ambiente raggiunge straordinari effetti di indefinito verso l'atto, di monumentalità, di richiamo alla gola rupestre: l architetto li ha ottenuti tenendo elevata l'altezza dell'ambiente, molto contenuti gli aggetti dei filari della volta cilindrica e facendo quasi congiungere gli ultimi filari prima della posa delle lastre di conclusione, che proprio per questa disposizione sono appena percepibili. Il degrado 5

6 A proposito del degrado vorrei ricordare che la pietra alberese, il calcare argilloso di cui sono costituite le tombe nei tumuli della Mula e della Montagnola (quella di Montefortini è realizzata con arenaria pure locale), è stata cavata da una formazione alloctona che affiora a Sesto appunto ed altrove, costituitasi in prossimità della Corsica, che ha dunque percorso una lunga distanza ed è arrivata danneggiata per gli urti subiti negli spostamenti. Questo spiega perché gli elementi di pietra alberese si degradano sotto sforzo non solo con spaccature che seguono i piani di sedimentazione ma anche con rotture altrimenti inclinate; poi c'è da mettere in conto la fatica dei materiali per oltre due millenni e mezzo di esercizio, anche con un regime variabile. Infine la grave riduzione di resistenza dei materiali lapidei saturi d'acqua: il calcare poroso della maggior parte dei Templi preistorici maltesi, il Globigerina Limestone, perde circa il 40% di resistenza allorché è saturo d'acqua (TAMPONE et al. 1994), il che avviene con elevata frequenza dalla escavazione essendo ormai privi di copertura, cioè di protezione. Il dissesto ed il crollo della tholos di Montefortini sono avvenuti per le scadenti qualità meccaniche dell arenaria posta in opera, specialmente a causa della flessione, allorché alcuni dissesti alterano il comportamento originario della volta. Per i tumuli delle necropoli di Populonia danni sono occorsi per la stessa conformazione delle costruzioni che raccolgono l'acqua piovana all'interno del bacino costituito dall'estradosso della tomba e dalla crepidine, allorché lo strato di argilla protettivo posto in costruzione sotto la superficie estradossale del tumulo si lacera o si dilava: gli effetti sono spinte radiali verso la crepidine con spanciamento della stessa e fessurazioni; queste hanno andamento prevalentemente verticale e ampiezza fessurativa massima in sommità. Altro effetto indesiderato è l'alterazione del regime di carico della terra sulla tholos. [189] Anche l'erosione eolica dei manufatti dopo lo scavo causa notevoli danni; sono state sperimentate e poste in opera lastre di protezione vitree. I traumi maggiori sono stati causati dal recupero delle scorie di ferro per gli usi bellici all'inizio degli anni Quaranta e dalla esposizione dei complessi agli agenti ambientali conseguente allo scavo senza che siano state prese efficaci misure di protezione. Conclusioni I complessi dell'arno (ed in parte quelli della Pietrera, del Diavolino, di Casale Marittimo e di Casaglia) sono vere architetture, pienamente utilizzabili, vorrei dire abitabili, in cui gli ambienti hanno funzioni differenziate e identificate, hanno articolazione, distribuzione, disimpegno accuratamente progettati insieme al sistema costruttivo ed al sistema strutturale. Questo, in particolare, assurge a particolare importanza e dignità per varietà di coperture, per impegno progettuale, per sperimentazione, per continuità di ricerca. Per esse, inoltre, ha particolare valore il sito di impianto, certamente scelto con determinate caratteristiche anche in funzione del tumulo da collocare e della visibilità dello stesso, inoltre del rapporto con i corsi d'acqua, che alla Montagnola, per esempio, situata in un'ansa del torrente Zambra, è particolarmente percepibile e significativa. Le tombe di Populonia hanno il valore dei prototipi e, pur nella ripetizione del tipo, mostrano vivaci variazioni idiomatiche, acquisendo pertanto valore d'assieme. Esse sono delle microarchitetture che hanno in sé già tutti gli elementi ed i caratteri delle architetture maggiori; le tecniche costruttive messe a punto, a volte con originalità, sono perfettamente adeguate agli organismi che i costruttori si proponevano di realizzare. Per le necropoli e le tombe di Populonia è indispensabile ed urgente studiare in maniera approfondita il degrado dei materiali ed il dissesto delle strutture ed elaborare un piano generale di protezione. GENNARO TAMPONE Dipartimento di Storia dell'architettura e di Restauro delie Strutture Architettoniche, Facoltà di Architettura, Università di Firenze via Micheli 8, Firenze. 6

7 Bibliografia P. BELLI, 1991, Tholoi nell'egeo dal II al I millennio, in La transizione dal Miceneo all'alto Arcaismo. Da palazzo alla città, CNR, Roma, pp P. BELLI, 1993, Achladia. La tomba a tholos. L architettura della tholos, in Achladia. Scavi e ricerche della missione Greco-italiana in Creta orientale, ( ), Genova, pp [190] G. CAPUTO, l962, La Montagnola di Quinto Fiorentino, l "orientalizzante " e le tholoi dell'arno, «Bollettino d'arte», nn. II e III apr.-sett., pp G. CAPUTO, 1969, La Tomba della Montagnola, testi di G. Caputo e di F. Nicosia, intr. di G. Maetzke, catalogo della mostra a cura della Soprintendenza alle Antichità d'etruria. C. CESCHI, 1939, L'architettura dei Templi preistorici maltesi, Fratelli Palombi Editori, Roma. F. CHIOSTRI, 1968, Le tombe a tholos nel Comune di Sesto Fiorentino. Sinossi storico tecnica sulla genesi e struttura, Università di Firenze, Facoltà di Architettura. E. CONTU, 1981, L architettura nuragica, in Ichnussa. La Sardegna dalle origini all età classica, Milano, pp F. FEDELI, A. GALIBERTI, A. ROMUALDI, 1993, Populonia ed il suo territorio. Profilo storico-archeologico, Edizioni all'insegna del Giglio, Firenze. L. GARGIANI, S. GORACCI, 1997, La rilevazione del nodo strutturale di collegamento tra il dromos e la camera a tholos della tomba etrusca della Montagnola a Sesto fiorentino, «Bollettino Ingegneri», 11, Firenze, pp R. JOUSSAUME, 1988, Dolmens for the Dead. Megalithic Buildings through the World, Batsford, London. A. MINTO, 1940, Pseudocupole e pseudovolte nell'architettura delle origini, «Palladio», III, 1. A. MINTO, 1943, Populonia, Rinascimento del Libro, Firenze. M. O'KELLY, 1982, Newgrange. Archaeology, Art and Legend, Thames and Hudson, London. M. PALLOTTINO, 1984, Etruscologia, Hoepli, Milano. G. PATRONI, 1928, L apparizione della struttura a cupola in Etruria, in Historia 11. A. ROMUALDI, Populonia, s.d., Viella, Roma. A.G. RUSSU, 1995, Cronologia relativa del paramento murario dei vani interni di alcuni complessi nuragici, in Stratigraphy and Mediterranean Chronology, (a cura di M.S. Balmuth, R.H. Tykot), Studies in Sardinian Archaeology V, Tufts Univ., Medford, Massachusetts, Oxbow Books, 1998, pp G. TAMPONE, 1993, I templi megalitici preistorici delle Isole maltesi: tecnologie, strutture e loro evoluzioni in rapporto alle caratteristiche dei materiali, in Atti della Giornata di studi in onore di F. Rodolico (a cura di D. Lamberini), Firenze, Le Monnier, l995, pp G. TAMPONE, 1997, Interventi etruschi di consolidamento di strutture nella tomba etrusca della Montagnola a Sesto fiorentino, «Bollettino Ingegneri», 11, Firenze, pp G. TAMPONE, P. PERI NERLI, I. ZETTI, 1994, I Templi megalitici preistorici delle Isole maltesi: determinazione delle proprietà meccaniche dei materiali ed interpretazione dei dissesti, in Atti del 3 Simposio internazionale, La conservazione dei Monumenti nel Bacino del Mediterraneo, Venezia, pp G. TAMPONE, S. VANNUCCI, J. CASSAR, W. FERRI, S. FIORITO, P. PIERI NERLI, P. SAUSA, I. ZETTI, 1994, I Templi megalitici preistorici delle Isole maltesi: la rilevazione architettonica, in Atti del 3 Simposio internazionale. La conservazione dei Monumenti nel Bacino del Mediterraneo, Venezia, pp G. TAMPONE, P. BRANDINELLI, 1996, Caratteristiche architettoniche e costruttive delle due tombe a tholos dell'area fiorentina: la Mula e la Montagnola a Quinto, in Atti XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences, Forlì, 1998, 4, pp

8 G. TAMPONE, P. PIERI NERLI, I. ZETTI, 1996, Elementi e caratteri costruttivi delle architetture megalitiche del Mediterraneo occidentale, in Atti del XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences, Forlì 1998, 3, pp [191] G. UGAS, 1987, Un nuovo contributo per lo studio della tholos in Sardegna: la Fortezza di Su Mulinu - Villanovafranca, in M.S. BALMUTH, Studies in Sardinian Archaeology III. Nuragic Sardinia and the Mycenean World, BAR International Series, 387, pp S. VANNUCCI, G. ALESSANDRINI, J. CASSAR, G. TAMPONE, M.L. VANNUCCI, 1994, Templi megalitici preistorici delle Isole maltesi: cause e processi di degradazione del Globigerina Limestone, in Atti del 3 Simposio internazional, La conservazione dei Monumenti nel Bacino del Mediterraneo, Venezia, pp

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