unponteper.it NUMERO 2 - OTTOBRE 2015 Un ponte per il Rojava Una nuova scuola mobile in Iraq Curare chi fugge dalla Siria
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1 unponteper.it NUMERO 2 - OTTOBRE 2015 Un ponte per... notiziario n 2 ottobre autorizzazione del tribunale di roma n. 192/2006 del 26/04/2006 poste italiane spa - spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l27/02/2004 n.46) art.1 comma 2 dcb - roma in caso di mancato recapito inviare al cmp romanina per la restituzione al mittente previo pagamento resi Un ponte per il Rojava Una nuova scuola mobile in Iraq Curare chi fugge dalla Siria Il gioco sulla pelle dei migranti
2 UN PONTE PER Ottobre 2015 Aut. Trib. di Roma n. 192/2006 Direttore Responsabile Francesco Checchino Antonini Redazione P.zza Vittorio Emanuele II Roma Tel Fax Stampa Elettrongraf Foto Eleonora Gatto, Gergely Orosz, Matteo Nardone, Un ponte per... Impaginazione e Grafica Stefano Rea Editing Cecilia Dalla Negra Comitato locale di Bergamo bergamo@unponteper.it Comitato locale di Udine udine@unponteper.it Comitato regionale Umbria umbria@unponteper.it Comitato regionale Toscana toscana@unponteper.it Comitato locale di Roma roma@unponteper.it Comitato locale di Napoli napoli@unponteper.it Comitato regionale Sicilia sicilia@unponteper.it Posta ccp Per realizzare i nostri progetti è fondamentale anche Banca il tuo Popolare contributo. Etica Banca c/c Puoi IBAN: sostenere IT52 R050 i progetti di Un 0000 ponte 0100 per 790 con una donazione tramite: Banca: c/c Carta di credito Banca online Popolare e PayPal Etica IBAN: IT52 R Posta: ccp Carta di credito online: RID RID: Info raccoltafondi@unponteper.it In copertina: Rifugiati in transito in Ungheria. Budapest, 2 settembre Foto di Gergely Orosz. In alto: La Mezzaluna Rossa Curda entra a Kobanê con il carico di medicinali di Un ponte per... Kobanê, luglio Foto Archivio Mezzaluna Rossa Curda. Speranze naufragate, speranze che resistono di Martina Pignatti Morano Presidente di Un ponte per... A luglio avevamo deciso di dedicare il nostro notiziario autunnale ai nuovi ponti che stiamo costruendo verso il Rojava e per i migranti. Ma non sapevamo che a settembre un immagine tragica avrebbe unito questi temi agli occhi di tutto il mondo: il corpo del piccolo Aylan Kurdi, scappato da Kobanê con la sua famiglia, che giaceva su una spiaggia turca dopo il vano tentativo di trovare rifugio in Europa. Questa e altre immagini di intere famiglie che mettono le proprie speranze in una barca in balia delle onde hanno convinto finalmente migliaia di persone in tutta Italia a mobilitarsi. L 11 settembre abbiamo marciato in 71 città come donne e uomini scalzi chiedendo un radicale cambiamento delle politiche migratorie europee e globali: certezza di corridoi umanitari sicuri per le vittime di guerre, catastrofi e dittature; accoglienza degna e rispettosa per tutti; chiusura dei luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti; superamento del Regolamento di Dublino attraverso un sistema unico di asilo in Europa. Ma troppi politici marciavano quel giorno senza mettere in discussione gli errori fatti nei nostri territori, l isolamento dei migranti in container inabitabili e in luoghi isolati, l intolleranza strisciante. Per questo i nostri Comitati locali stanno lavorando in varie città per avviare iniziative e politiche di accoglienza reale, rispettose dei difficili contesti di provenienza dei profughi. E un semplice gesto di coerenza con quanto facciamo da sempre a sostegno di rifugiati e sfollati in Medio Oriente e nei Balcani, affrontando ogni giorno molteplici sfide. La tragedia ha proporzioni enormi, che i numeri possono solo tentare di raccontare: oltre 4 milioni di rifugiati siriani fuggiti all estero e 8 milioni di sfollati interni che lottano per la sopravvivenza, che vanno ad aggiungersi ad oltre 4 milioni di sfollati interni iracheni e a 5 milioni di rifugiati palestinesi che nella regione attendono da quasi 70 anni il diritto al ritorno. Un ponte per... è riuscito a raggiungere migliaia di famiglie, come non aveva mai fatto, distribuendo beni di prima necessità dal giugno 2014 ad oltre persone solo in Iraq. Oggi stiamo dando priorità al sostegno psico-sociale dei minori e al rafforzamento della società civile anche in contesti di emergenza, per provare a superarla insieme. Sono infatti i progetti di sostegno agli attivisti, ai giovani, ai sindacati, che ci consentono di capire cosa si muove sotto le ceneri del Medio Oriente. In Iraq, paradossalmente, quella trascorsa è stata un estate di
3 speranza e di rivincita per la popolazione. Da fine luglio decine di migliaia di persone percorrono le vie delle principali città ogni venerdì, chiedendo elettricità e servizi essenziali, accusando i politici iracheni di aver causato l arrivo di daesh. Hanno ottenuto sinora importanti riforme anti-corruzione e andranno avanti per assicurarsi che quelle leggi non rimangano lettera morta. Nel frattempo è stato approvato anche il nuovo Codice del Lavoro iracheno, in una versione che accoglie quasi tutti gli emendamenti proposti dai sindacati, rispettando finalmente gli standard internazionali ILO. Manca ancora una legge che consenta ai lavoratori di organizzarsi in sindacati, ma il passo avanti di questa estate è storico e chiude una campagna su cui lavoravamo dal Inoltre, a inizio ottobre si è tenuto a Baghdad il secondo Forum Sociale Iracheno, a cui abbiamo partecipato con una delegazione dell iraqi civil society solidarity initiative, dedicato alla Pace e alla Coesistenza tra comunità: una nuova prova di forza della società civile. Carovane e delegazioni di solidarietà continuano ad essere parte del nostro agire. Per questo abbiamo sostenuto la Carovana open Borders che il 26 settembre è andata al confine tra Croazia e Ungheria per portare ai migranti la solidarietà di tutta quell'europa che non chiude la porta. Per questo abbiamo partecipato alla Carovana che si è recata in Turchia a sostegno della popolazione curda: il 15 settembre, anniversario del primo attacco di daesh al cantone di Kobanê, circa 150 internazionali erano a Suruç, a pochi chilometri dal confine siriano, per esprimere appoggio politico al Rojava e richiedere l apertura di un corridoio umanitario che consenta la ricostruzione di Kobanê. E questo oggi l unico percorso possibile per una democratizzazione dell intera area. Continuiamo a sostenere il Rojava tramite aiuti umanitari che consegniamo alla Mezzaluna Rossa Curda, passando dal confine iracheno, e denunciamo i crimini della Tur- chia: esattamente come daesh, a Kobanê i cecchini turchi hanno sparato dai tetti sui civili che violavano il coprifuoco. Denunciamo anche il piano turco di allagare la cittadina curda di Hasankeyf e i suoi anni di storia, quando la diga di Ilisu entrerà in azione, provocando lo spostamento forzoso di persone, nonché una possibile guerra per l acqua con Iraq e Siria. Ogni guerra contro i civili intrapresa sull altra sponda del Mediterraneo continuerà a riempire barche e treni di persone che cercano rifugio in questa Europa cieca, chiusa e militarizzata. E allora non mancano nel nostro impegno la richiesta di un embargo sulla vendita di armamenti nell intera regione mediorientale, una forte opposizione a qualsiasi intervento armato in Libia e alla militarizzazione del nostro mare, ed un concreto lavoro organizzativo di Corpi Civili di Pace, come discusso a Napoli durante la nostra ultima Assemblea nazionale. Proprio a Napoli torneremo il 24 ottobre per una manifestazione nazionale contro l esercitazione NATO Trident Juncture 2015, la più grande dalla caduta del Muro di Berlino, che si svolgerà in Italia, Spagna e Portogallo per testare secondo gli Usa - la capacità di rispondere alle sfide alla sicurezza sui nostri fianchi meridionale e orientale. E la sfida che i profughi pongono alla nostra umanità, con che armi la affrontiamo? Attendiamo con ansia il giorno in cui i droni verranno utilizzati per individuare e salvare popolazioni in fuga dalla guerra, invece che per causare nuovi esodi. in basso: marcia delle donne e degli uomini scalzi: manifestazione in solidarietà ai migranti. roma, 11 settembre Foto di matteo nardone.
4 Un ponte per il Rojava Sostenere le comunità curde, ezide, cristiane e arabe del Rojava nel loro sforzo di democrazia e pace è stata una scelta necessaria. Un impegno che ha radici profonde nella storia della nostra associazione. di Domenico Chirico Direttore di Un ponte per... Nel febbraio scorso abbiamo avviato una complessa operazione per inviare aiuti in Siria, nell area del Rojava. E stata una scelta necessaria per sostenere le comunità curde, cristiane, ezide e arabe nel loro sforzo di sopravvivenza, democrazia e pace. Lo abbiamo fatto perché da 20 anni siamo al fianco del popolo curdo. Dal 1994 Un ponte per lavora con le comunità curde in Medio Oriente. La campagna Un ponte per diyarbakyr è stato il primo passo di un lungo percorso di solidarietà che ci ha visti impegnati in campagne sui diritti civili e che prosegue ancora oggi. Siamo con i curdi nella campagna contro la costruzione della diga di Ilisu e per la salvaguardia del millenario borgo di Hasankeyf; abbiamo seguito diverse elezioni, aiutato la municipalità di Dogubeyazit nei suoi programmi per la protezione delle donne e sostenuto gli sforzi del dopo-terremoto a Van. In Italia abbiamo a lungo cercato di lavorare a fianco delle comunità curde e delle loro richieste politiche in Europa. A questo impegno ventennale si è poi affiancata la presenza nell area curda dell Iraq, dove abbiamo costruito delle forti relazioni con la popolazione e le molte minoranze che vivono nel nord del paese. Il Kurdistan è una casa accogliente, in cui ormai da tempo Un ponte per opera e vive. Dal 2011 infatti ci stiamo occupando in Iraq anche della protezione dei rifugiati che in sono arrivati dalle aree a maggioranza curda della Siria, la regione del Rojava. Siamo stati tra i primi ad entrare nel campo di Domiz, dove al momento ci sono curdi siriani sfollati. Poi abbiamo esteso il nostro lavoro di protezione psico-sociale e di informazione a tutti i campi dove sono ospitati i rifugiati siriani. In molti di loro ci chiedevano di entrare in Siria a portare aiuti. Abbiamo riattivato tutti i canali e le conoscenze che avevamo per avviare un operazione difficile ma necessaria. In Siria, alla fine, siamo rientrati nel Nell area del Rojava, diventata famosa per la battaglia di Kobanê ma in realtà molto più ampia, che comprende anche i cantoni di Afrin e Cizre. È qui che vivono oltre 2 milioni di persone praticando un esperimento unico di convivenza e pace, in un paese martoriato da 4 anni di guerra. In Rojava non abitano solo curdi ma anche cristiani, ezidi, arabi. Stanno costruendo istituzioni democratiche in cui donne e uomini hanno lo stesso peso. I giovani sono in prima linea nella costruzione di questa esperienza unica in tutto il Medio Oriente, in cui c è attenzione anche per la solidarietà e l ecologia. Dopo una prima missione a febbraio 2015 abbiamo stretto un rapporto di solidarietà con la Mezzaluna Rossa Curda e abbiamo cominciato a sostenere i suoi 10 ambulatori. Prima con un carico di medicinali acquistati in Iraq grazie al sostegno della Tavola Valdese, poi ottenendo un importante carico umanitario di 10 tonnellate dalla Cooperazione Italiana. Ed intanto promuovendo diverse azioni di solidarietà in Italia, come l incontro di amministratori locali curdi con Enti italiani e il sostegno alla delegazione della leadership curda siriana in Italia. E un dovere aiutare il Rojava perché è di fatto sotto embargo, con i turchi che non fanno filtrare aiuti ma casomai bombardano. E il confine con l Iraq resta troppo piccolo e soggetto ai fragili equilibri locali per essere una porta attraverso cui far transitare aiuti e solidarietà. In Rojava non arrivano medicinali e molti altri beni di prima necessità. La gente vive con poco e niente ed è necessario intervenire per sostenerli. Ecco perché prevediamo di portare altri carichi umanitari in autunno: molti medicinali e materiali per affrontare dignitosamente l inverno, immaginando con la la Mezzaluna Rossa programmi più ampi di sostegno psico-sociale e di educazione per i minori, come quelli che già portiamo avanti in Iraq e Giordania. Per continuare ad aiutarli a costruire un percorso di Pace.
5 Una nuova scuola mobile in Iraq I lavori sono andati avanti tutta l estate, e oggi la scuola può finalmente accogliere 600 bambini. Un altro tassello del ponte che ogni giorno costruiamo in Iraq. di Sergio Dalla Ca di Dio Project Manager di Un ponte per... I lavori sono cominciati poco prima della settimana di Ferragosto: quando in Iraq il caldo è più intenso, e può superare facilmente i 50 gradi. Ma tutto doveva essere pronto per l inizio di settembre, quando i bambini tornano a scuola. Anche in Iraq, anche se si è sfollati, anche se si è dovuto abbandonare la propria scuola e oggi al posto del cortile c è il fronte dei combattimenti. Bertella, Bashiqa, Qaraqosh, Mosul: sono solo alcune delle città e dei villaggi conquistati da daesh nel corso della sua avanzata nella Piana di Ninive l estate di un anno fa. Decine di migliaia le famiglie che sono fuggite, trovando rifugio nel Kurdistan iracheno, dove noi di Un ponte per eravamo a lavoro da anni. Alcune di queste, per la gran parte cristiane ed ezide, sono state accolte da Padre Emmanuel, nel cortile della chiesa di San Simone ad Ainkawa, nel distretto cristiano di Erbil, proprio davanti alla nostra casa-ufficio. E ci sono volute settimane prima che potessero sistemarsi nel campo di Ashti. Dove le necessità, a distanza di un anno, restano moltissime, ma la più grande è sempre stata la scuola. I bambini devono percorrere chilometri sotto il sole d estate e al freddo d inverno per raggiungere quella più vicina. Le famiglie senza automobile sono in grande difficoltà, ci aveva raccontato Padre Emmanuel in uno dei nostri ultimi incontri. Una scuola dentro al campo ci permetterebbe di risolvere il problema i bambini sarebbero già qui. E così che ci è venuta l idea di riallocare i fondi della Cooperazione italiana che erano stati destinati al nostro progetto YallaNila ab II (Andiamo a giocare), che prevedeva la ristrutturazione di 4 scuole per bambini delle comunità di minoranza nell area di Mosul. Che nell estate 2014 è stata brutalmente attaccata da daesh e poi posta sotto il suo controllo, causando la fuga di migliaia di persone e impedendoci di portare avanti il nostro progetto. I fondi erano stati bloccati, e siamo rimasti in fiduciosa attesa di poter rientrare presto nell area. Un attesa divenuta troppo lunga. Anche per questo poter destinare quei fondi alla scuola di Padre Emmanuel ci è sembrata la cosa migliore da fare. I lavori sono andati avanti per tutta l estate, e il 30 settembre la scuola è stata inaugurata: oggi è pronta ad accogliere 600 bambini tra i 6 e i 12 anni, ed è trasportabile, così che possano portarla con loro quando finalmente faranno ritorno a casa. Anche questo è un tassello del ponte che ogni giorno costruiamo in Iraq: per concentrarci su un futuro di pace e convivenza partendo dalle nuove generazioni, a cui vanno garantite in primo luogo istruzione e cure mediche. Il progetto per la scuola di Ashti fa parte di un più ampio lavoro che in Iraq abbiamo portato avanti nei mesi terribili dell emergenza, quando siamo riusciti a raggiungere oltre persone distribuendo kit sanitari, cibo e acqua per l estate, stufe e coperte per l inverno, portando sempre avanti il lavoro di orienta- 4
6 mento e informazione all interno dei campi che avevano accolto le famiglie sfollate. Ma abbiamo proseguito anche il nostro impegno di più lungo periodo, provando ad andare oltre l emergenza per superarla insieme. Un altro anno trascorso in Iraq ci ha visti al fianco dei bambini e delle loro famiglie a Dohuk ed Erbil, con il programma di salute mentale e sostegno psico-sociale con cui lavoriamo sia all interno dei campi che nelle scuole attraverso formazione, ascolto, gruppi di resilienza, per evitare che questa emergenza lasci segni indelebili in futuro. Ci ha visti ancora accanto alle donne, con l apertura di cliniche specializzate in salute riproduttiva e protezione delle vittime di violenza; e al patrimonio culturale millenario dell Iraq, con il nostro decennale programma di tutela Il sapere che resiste, che abbiamo portato avanti nonostante l emergenza, organizzando formazioni e workshop per il restauro di quegli antichi libri e manoscritti che nella fuga da daesh i monaci non hanno dimenticato di portare con sé. E ancora, al fianco della società civile irachena nelle sue tante battaglie contro la corruzione, le divisioni confessionali, le violazioni dei diritti umani nel paese: perché la pace si costruisce cominciando da qui, assicurando le basi per un futuro di convivenza e rispetto reciproco e partendo dalle giovani genera- zioni. Adesso guardiamo al futuro, costruendo programmi che aiutino la convivenza tra diverse confessioni, che evitino le vendette e le discriminazioni. Che proteggano le minoranze. L emergenza ci ha travolto ed è stato necessario dimostrare presenza e capacità di aiutare gli iracheni. Ma ora, di nuovo, dobbiamo pensare al futuro del paese e a come sostenere tutti quei gruppi che stanno attivamente lavorando per una pos- sibilità di convivenza. Attivati! Cosa possiamo fare insieme Garantire ai bambini iracheni continuità nel percorso scolastico è un passo fondamentale per costruire un futuro di pace. E così che a metà agosto abbiamo avviato i lavori per realizzare una scuola mobile che ospiterà 600 bambini, innaugurata a fine settembre. Con la speranza che la scuola esca presto dal campo e possa accompagnare il ritorno a casa dei suoi scolari. Aiutaci a riempire la scuola di banchi, sedie e materiale didattico. Dona ora su: a pag. 4 il carico di medicinali di Un ponte per... arriva alla mezzaluna rossa curda. dêrik, maggio Foto archivio mezzaluna rossa curda. a pag. 5 Bambini iracheni giocano nei pressi del cantiere della scuola mobile di ashti. erbil, 9 settembre Foto di eleonora gatto. a pag. 5 la capo-infermiera di una clinica della JWU sostenuta dal progetto sahti!. amman, 12 aprile Foto di luna roveda.
7 Al fianco delle donne, da sempre L., capo-infermiera in una delle cliniche sostenute dal progetto Sahti! in Giordania, ci racconta il difficile lavoro con le rifugiate siriane. E con chiunque abbia bisogno di assistenza sanitaria e protezione. di Luna Roveda Project Manager di Un ponte per... Un volantino, una brochure, la segnalazione da parte di altre strutture. O semplicemente il passaparola: chi ha bisogno di aiuto solitamente arriva alle cliniche in questo modo. Il nostro staff cerca di pianificare le visite su appuntamento, in modo da calendarizzare il lavoro e i flussi di persone, ma siamo sempre pronti ad accogliere chi improvvisamente si presenta alle nostre porte. E poi c è il programma antiviolenza portato avanti dal servizio Hotline e dallo Shelter, una casa rifugio che offre un posto sicuro ai casi più seri tra le vittime di violenza e da cui continuamente riceviamo segnalazioni. Inizia cosi la mia intervista con L., capo-infermiera del programma Salute che portiamo avanti con la Jordanian Women s Union (JWU), storico partner di Un ponte per in Giordania, nelle due cliniche che abbiamo inaugurato a maggio insieme alla Cooperazione Italiana e nelle altre tre sostenute dal progetto Sahti! (La mia salute!). Il numero di pazienti che accogliamo ogni giorno si aggira intorno ai 70-80, distribuiti tra medicina generale e servizi specializzati (ginecologia, oftalmologia, odontoiatria). Certo, una parte del nostro staff è specializzato in programmi di assistenza sanitaria e psico-sociale dedicati ai rifugiati siriani, ma riceviamo giordani, iracheni, palestinesi e chiunque abbia bisogno. Spesso, poi, siamo noi ad andare nelle case delle persone, quando per loro è difficile muoversi a causa dello stato di salute o quando, semplicemente, non hanno possibilità e mezzi per rag- giungerci. Spiega L. che il lavoro, dal quando è stata aperta la prima clinica, una stanza ed una sola infermiera - non si è mai fermato. Nel 2006 poi con Un ponte per abbiamo avviato un programma di tutela per le migliaia di rifugiati iracheni che stavano arrivando nel nostro paese. E continuiamo oggi, davanti alla catastrofe umanitaria siriana, tra le peggiori che il Medio Oriente abbia conosciuto. Tra le tante donne che L. ha incontrato ci racconta la storia di F., siriana, che si rivolse alla clinica per problemi di salute. Dopo le prime visite abbiamo capito che non si trattava solo di problemi fisici: alle spalle aveva una situazione familiare estremamente difficile. Viveva in un contesto domestico violento ed era estremamente sola, senza nessuno con cui confrontarsi. Così, mentre ci prendevamo cura dei suoi disturbi renali, le nostre operatici sociali del servizio Hotline l hanno incontrata, convincendola ad entrare in un programma di assistenza psicologica. Oggi, a distanza di mesi, quando la incontro mi sorride, e io mi sento sollevata per quanto siamo riusciti a fare. È questo il nostro modo di lavorare insieme alla JWU: fornire un servizio integrato e multisettoriale che unisce le cure mediche a quelle psicologiche quando è necessario, e viceversa. Quando visitiamo una donna - prosegue L. - se scopriamo che è stata vittima o è a rischio di violenza contattiamo subito il team di supporto psico-sociale o la casa rifugio, e la accompagniamo direttamente nel centro antiviolenza. A quel punto il caso passa alle operatrici sociali, alle avvocate, alle psicologhe e, se necessario, alle psichiatre. F. rifugiata siriana che nascondeva dietro i suoi problemi di salute una relazione violenta con il marito; N., keniota che lavorava qui ad Amman e che voleva divorziare per tornare nel suo paese; e ancora R., una srilankese che ha partorito da noi; M., ragazza giordana vittima di abusi; e H., irachena fuggita dal suo paese 10 anni fa e oggi oramai stabilitasi in Giordania. Sono tanti i nomi che ricordo di donne che abbiamo assistito e che continuiamo ad aiutare, curandone la salute, offrendo l ascolto di specialisti, mettendo a disposizione avvocati e supporto legale. Aiutandole ad affrontare una quotidianità difficile, spesso violenta. Iniziando un percorso di emancipazione che le aiuta a riappropriarsi di quella libertà di scelta che, spesso, è stata loro sottratta dalla stessa famiglia.
8 Il gioco sulla pelle dei migranti Tra emergenzialità permanente, informazione strumentale e assistenzialismo da business, la vera emergenza in Italia è l urgenza di creare un sistema di accoglienza diffuso e integrato. di Giuliana Visco Resistenze Meticce e membro del Comitato Nazionale di Un ponte per... Per capire cosa si gioca oggi sulla pelle dei migranti è utile citare Foucault. La combinazione tra l antico potere sovrano di far morire e lasciar vivere e la capacità del potere attuale di controllo sulla vita è un immagine che si adegua bene alle politiche migratorie italiane ed europee. La creazione della paura dell invasione, del contagio, del saccheggio sono elementi di un dispositivo novecentesco che continua ad operare assumendo anche una funzione istituente: rendere vero e utile a produrre norme d emergenza qualcosa - come le migrazioni in Italia - che di fatto non rappresenta un pericolo, se non per chi rischia la morte per raggiungere l Europa. L urgenza di gestire i flussi dentro la crisi dell Europa non riguarda infatti i numeri (la percentuale di rifugiati per abitante in Italia è dello 0,11% ) ma la necessità di controllare, orientare le scelte politiche, le paure, i desideri di chi vi risiede. I migranti sono costantemente ritratti come invasori o vittime a cui viene comunque negata la dignità e la legittimità di richiedenti asilo che si appellano al Diritto Internazionale. Definiti senza distinzione profughi, immigrati o rifugiati, si priva di senso il loro movimento verso la libertà riempiendolo di miseria e vittimizza- zione. In Italia poi, più miseria si riesce ad evocare più facile è il business. A Roma le rivelazioni sulla crudeltà del sistema di Mafia Capitale non sono servite a generare un indignazione capace di far cambiare rotta alle politiche dell accoglienza, ma solo a segnalare una misura di normale ferocia del vivere comune dalla quale non è detto si riesca a far ritorno. Un altra estate di morti in mare e di sbarchi si è conclusa. Per questo è necessario avviare subito una nuova stagione che sia capace di ragionare su tre assi: fare informazione sui migranti, lavorare sul sistema di accoglienza e sulla figura del transitante, colui che desidera scegliere dove vivere. L informazione che in Italia si fa sul tema dei migranti è esemplare. In una stessa edizione di un qualsiasi telegiornale il migrante assume una molteplicità di forme sorprendente, tutte utili ad alimentare la paura dello straniero : il diseredato, il soggetto pericoloso, perché oltre alle malattie magari porta pure l Isis ; il ladro, l assassino, lo stupratore. A volte trapela invece in che misura i migranti siano merce di scambio nei negoziati sulle politiche di austerity, o nelle campagne elettorali per distrarre l opinione pubblica da problemi più attuali. L odiosa 10
9 farsa del braccio di ferro sulla ripartizione dei profughi in Europa mostra come la moltiplicazione di spietati dispositivi di controllo sia frutto della peggiore ideologia nimby, strumentalizzata dalle destre xenofobe e dal razzismo comune, che produce le guerre tra poveri cui assistiamo, spie di ben altre carenze strutturali. Roma è un caso emblematico: nell ultimo anno si sono rincorse finte emergenze immigrazione e fasulle soluzioni che hanno sdoganato un linguaggio offensivo divenuto drammaticamente normale. La critica al sistema di accoglienza italiano è divenuta ormai cavallo di battaglia di chi il disastro lo ha prodotto, anche se non viene chiamato per quel che è: un sistema di controllo e produzione di marginalità, tout court, dallo sbarco al centro. Le statistiche internazionali smentiscono l urgenza di distinguere tra veri profughi e migranti economici dimostrando che chi cerca di arrivare in Europa proviene necessariamente - da zone di guerra a volte rese volutamente invisibili all opinione pubblica occidentale. Differenziare serve alla creazione del nemico, figura senza la quale non sarebbero possibili respingimenti, rapporti con paesi terzi compromessi in materia di diritti umani, creazione di strutture detentive e nuovi centri d accoglienza privi di requisiti, dinieghi di protezione internazionale che producono bacini di manodopera a basso costo. L Europa, per assicurarsi la detenzione generalizzata preventiva di tutti i migranti, ci chiede il salto dai CIE agli Hotspot: strutture destinate al trattenimento amministrativo e al prelievo delle impronte digitali nel sud Italia che, con il supporto di EASO, Frontex ed Europol, si prepara a diventare il centro nevralgico europeo dello smistamento e dell identificazione. A coloro che non vengono rimpatriati, o non riescono a fuggire, spetta l accoglienza all italiana delle recenti cronache giudiziarie. L emergenzialità permanente e costituente dell accoglienza è iniziata nel 2011 con l emergenza Nord Africa : un modello disastroso, fondato sull apertura di centri nei quali i migranti sono rimasti parcheggiati per mesi e dove i controlli sugli standard di accoglienza e sui percorsi di inserimento socio-lavorativo sono stati inesistenti. Per rispondere alle sanzioni europee e scongiurare il rischio che l Italia venisse dichiarata paese non sicuro sono stati ampliati i progetti SPRAR, trasformati in ghetti in cui i richiedenti asilo vengono confinati e vincolati a pratiche assistenzialiste che ne 10 riproducono la marginalità, e in luoghi di lavoro nei quali giovani precari qualificati finiscono a ricoprire il ruolo di guardiani. La vera emergenza in Italia allora è l urgenza di creare un sistema di accoglienza diffuso e integrato, che valorizzi i processi di autogestione collettiva e di autonomia dei singoli, contro le speculazioni, l isolamento e le tensioni prodotte dai mega-centri e da un assistenzialismo da business. Infine è necessario ottenere l apertura di un canale umanitario europeo che renda prioritaria una revisione del Regolamento di Dublino e riconosca ai migranti la libertà di scegliere dove vivere. a pag. 8 marcia delle donne e degli uomini scalzi: manifestazione in solidarietà ai migranti. roma, 11 settembre Foto di matteo nardone. in basso: in fuga dai conflitti nel 2015, secondo i dati UnHcr, sono arrivate in europa via mare persone. oltre sono stati i morti e i dispersi. l 84% degli arrivi proviene dai primi 10 paesi per maggior numero di rifugiati al mondo. con oltre 10 milioni di persone che hanno lasciato le proprie case in siria, i soli rifugiati siriani rappresentano il 54% degli arrivi: uomini, donne e bambini che hanno attraversato il mare, a rischio della propria vita, per arrivare sulle coste di un europa che continua a costruire muri e chiudere le proprie frontiere. infografica di Un ponte per...
10 La guerra dell Unione Europea ai migranti di Antonio Mazzeo Giornalista pacifista l estate 2015 passerà alla storia come la stagione in cui l europa delle banche e dei diritti negati ha lanciato una dispendiosa (e disperata) offensiva militare per impedire il flusso di migranti dall africa o dal medio oriente verso le coste dell italia e della grecia. Unità navali, aerei da guerra, elicotteri, velivoli senza pilota pattugliano giorno e notte le acque del mediterraneo: l obiettivo a medio termine è quello di proiettare ancora più a sud le frontiere dell Unione europea, occupando militarmente le città costiere di libia, tunisia ed algeria e trasferendo in africa centri d identificazione e prima accoglienza e strutture detentive per migranti, rifugiati e richiedenti asilo. dal 27 luglio è pienamente operativa la missione navale eunavfor med contro le reti di trafficanti e scafisti in nord africa. il comando ha sede presso l operational Headquarter Ue di centocelle, a roma, mentre alle operazioni contribuiscono fattivamente con uomini e mezzi 14 paesi europei, anche se oggi la forza navale ha in dotazione solo 4 unità navali (la portaerei italiana cavour, la fregata tedesca schleswig-holstein, la rifornitrice tedesca Werra e la nave ausiliaria britannica enterprise ) e 5 tra elicotteri ed aerei (due italiani, uno francese, uno inglese e un pattugliatore marittimo lussemburghese, seagull merlin iii, schierato nella base siciliana di sigonella). il contributo italiano include pure un sommergibile e due velivoli a pilotaggio remoto predator per un totale di circa 800 uomini. Bruxelles ha stabilito che la nuova forza navale dovrà procedere con l identificazione e il monitoraggio dei network dei trafficanti attraverso la raccolta delle informazioni e la sorveglianza delle acque internazionali. in verità, l Unione europea si prepara a gestire in prima persona vere e proprie operazioni belliche nel mediterraneo centrale e in nord africa. alle unità di eunavfor med sarà assegnato infatti a medio termine il compito di intercettare e abbordare le imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo già in acque libiche e, finanche, di bombardarle in rada. lo scorso 19 giugno, l Unione europea ha approvato un piano che struttura l intervento militare in tre fasi. la prima riguarda la raccolta di dati d intelligence sui traffici e il pattugliamento in mare aperto, a cui seguirà una seconda fase con l intervento diretto dei reparti militari d élite Ue a bordo delle imbarcazioni che trasportano migranti per disabilitarle e arrestare i trafficanti. la terza fase prevede che queste operazioni vengano estese in acque territoriali libiche e possibilmente all interno del paese stesso. le operazioni saranno coordinate direttamente con la nato e con le forze armate statunitensi di stanza in europa. il segretario generale dell alleanza atlantica, gen. Jens stoltenberg, ha fatto sapere che la nato è pronta a intervenire nelle operazioni di guerra contro gli scafisti nordafricani, con la giustificazione che sui barconi dei migranti potrebbero imbarcarsi anche terroristi o miliziani isis. in realtà è perlomeno dal 2010 che il comando alleato di stanza in campania (aftsouth napoli) condivide alcune delle informazioni raccolte dalle imbarcazioni e dai velivoli nato con l agenzia europea per il controllo delle frontiere Frontex e con l Ufficio di polizia europeo europol. ed è perlomeno dal che la nato fornisce assistenza alle diverse agenzie nazionali anti-migranti dei paesi partner del mediterraneo. proprio in vista di una più stretta cooperazione Ue-Usa-nato nel contrasto delle migrazioni, il 20 e 28 luglio scorso il comandante in capo di eunavfor med, l ammiraglio italiano enrico credendino, si è recato in visita a Washington per incontrare i responsabili del dipartimento di stato e della difesa e della Us coast guard. a seguito della decisione del governo renzi di porre termine alla controversa operazione militare mare nostrum, troppo dispendiosa e comunque incapace a contenere il flusso d imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo verso il sud italia, il 1 novembre 2014 Frontex ha dato vita all operazione triton, prioritariamente con finalità di sorveglianza marittima e, solo sussidiariamente, di salvataggio. inizialmente Frontex aveva destinato alle attività di pattugliamento 2,83 milioni al mese, 65 agenti e 12 mezzi militari, limitando l area operativa alle acque territoriali italiane e solo parzialmente alle zone sar (search and rescue) di italia e malta, per un raggio di appena 30 miglia nautiche. in primavera però la commissione europea ha deciso di prorogare sino alla fine del 2015 il programma triton, stanziando una dotazione aggiuntiva di 18 milioni di euro ed estendendo a 138 miglia nautiche a sud della sicilia il raggio d azione militare anti-migranti. attualmente il dispositivo militare di Frontex nel mediterraneo centrale conta su 3 aerei, 6 navi d altura, 12 pattugliatori e 2 elicotteri. Bruxelles tuttavia intende finanziare le operazioni aeronavali dell agenzia anche per il prossimo anno. sarebbero pronti infatti altri 45 milioni circa da destinare a triton nel 2016 e alla missione anti-migranti poseidon avviata da tempo nell egeo e in territorio greco. antonio mazzeo è autore del libro il muostro di niscemi e cura il blog antoniomazzeoblog.blogspot.it
11 Ponti di conoscenza e dialogo Accoglienza, conoscenza, dialogo e integrazione: sono questi i temi al centro delle proposte presentate dai nostri Comitati locali per il lavoro con rifugiati e migranti nel 2015/2016. Già dall inizio dell anno avevamo deciso di dare maggiore spazio al nostro lavoro in Italia, per unire l impegno nei territori di conflitto in cui operiamo a quello per la costruzione di Pace, disarmo e accoglienza sui territori in cui viviamo. Per affrontare insieme le cause e gli effetti delle guerre, e perché per comprendere le migrazioni è necessario analizzare i conflitti in corso. Un percorso che ha visto un punto di partenza nella nostra 25ma Assemblea Nazionale, a giugno, quando i volontari e soci dei Comitati locali hanno presentato le future attività da svolgersi in Italia, scegliendo di lavorare su migrazioni, accoglienza e diritti, segno dell urgenza di agire su questo fronte. Dialogo e integrazione tra comunità migranti ed ospitanti sono parte del nostro lavoro quotidiano in Iraq, con le minoranze perseguitate, con gli sfollati iracheni, con i rifugiati siriani. E saranno queste stesse parole d ordine a dettare i termini di un nuovo impegno che abbiamo deciso di porre sull Italia. I progetti presentati saranno operativi a partire da questo autunno, eccone alcuni: Nicash, Dibattito (Toscana) Dialogo e accoglienza sono al centro del progetto del Comitato toscano, che ha inaugurato una nostra nuova sede a Pisa. Un luogo che sarà spazio di incontro tra cittadinanza locale e comunità migranti, e di condivisione e conoscenza reciproca costruita con laboratori, workshop, incontri, attività di teatro sociale. La nuova sede e le attività saranno il punto di partenza per la costruzione di un nuovo Ponte: quello tra chi fugge dalle guerre in cerca di protezione e chi accoglie sul proprio territorio. Nessun uomo è un isola. Ponti verso l altro (Bergamo) Il progetto si rivolgerà ad una delle strutture di accoglienza per migranti, profughi e richiedenti asilo fra le più vulnerabili sul territorio bergamasco. Attraverso momenti d incontro, attività culturali e ricreative, si creerà una rete di relazioni tra le associazioni a contatto con la realtà cittadina, gli operatori impegnati nell accoglienza dei migranti e gli stessi rifugiati e richiedenti asilo. Migra la tua mente (Gruppo Educazione e Formazione) Il progetto, rivolto alle scuole secondarie di Roma, prevede un ciclo di laboratori realizzati in collaborazione con la redazione di Osservatorio Iraq.it in cui verrà analizzato il ruolo dei nuovi media nella solidarietà internazionale a partire da un analisi delle categorie di stereotipo e pregiudizio relative ai migranti, in linea con il lavoro di Educazione alla Pace e alla gestione dei conflitti che l associazione porta avanti nelle scuole con il progetto Malala. Tra Mediterraneo ed Europa (Umbria) L obiettivo del progetto è mettere in evidenza come l associazione, con le sue attività all estero e in Italia, possa essere un Ponte sociale, culturale e cooperativo tra i paesi del Mediterraneo e quelli dell Est-Europa, attraverso incontri, laboratori e workshop in diversi luoghi associativi della regione. Attivati! Cosa possiamo fare insieme Infomigrante (ESC Inforights e volontari romani) Il progetto prevede il sostegno allo sportello di assistenza legale di Infomigrante, da diversi anni attivo nel sostegno a migranti e richiedenti asilo a Roma, attraverso attività di scambi culturali e conoscenza reciproca tra comunità migrante e ospitante. Tra le attività in programma anche un inchiesta sul sistema dell accoglienza sul territorio laziale. In Italia ci attendono le sfide più difficili perché più alta è la nostra responsabilità ad agire qui e ora. Abbiamo bisogno di volontari che si impegnino nell educazione alla pace e alla nonviolenza, nell accoglienza di migranti, nella difesa dei beni comuni e nelle campagne per il disarmo. Dobbiamo operare allo stesso tempo contro le cause e gli effetti delle guerre. In Europa come in Medio Oriente. Partecipa! Sono molte le cose che puoi fare: Organizza un evento di informazione. Un incontro pubblico, una raccolta fondi tra amici e colleghi, un semplice aperitivo solidale. Contatta il nostro gruppo Educazione alla Pace per organizzare giornate formative nella tua città. Dai voce alle nostre campagne e promuovile sul tuo territorio. Contatta i nostri Comitati locali. Leggi le nostre pubblicazioni e organizza una presentazione nella tua città. Crea un Comitato! Se nella tua città non è presente un Comitato locale, coinvolgi altre due persone e fondane uno! Per tutto questo, per proporci idee e iniziative, scrivi a: comunicazione@unponteper.itoppure coinvolgi il Comitato locale più vicino a te, trovi i contatti a pag. 2 di questo Notiziario. Fai un passo avanti! #Daglivoce!
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