Sessualità, procreazione e i paradigmi della bioetica

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1 Riv. Sessuol. - Vol n. 3 Luglio/Settembre 2011 Sessualità, procreazione e i paradigmi della bioetica L. NAVE* Sommario La dialettica tra sessualità e procreazione fa emergere l esistenza di due opposti paradigmi nel dibattito bioetico italiano: il paradigma della sacralità della vita che ritiene moralmente illecito il ricorso alle nuove tecniche del nascere artificiale, e il paradigma della qualità della vita che sostiene invece l esistenza di un diritto, prima facie, alla libertà procreativa. L articolo presenta le diverse posizioni in gioco e analizza le principali obiezioni rivolte alla fecondazione assistita, al fine di esaminare l eventuale opportunità di concedere tale diritto alle persone che ne fanno, in maniera autonoma e responsabile, richiesta. Parole chiave: paradigma, sacralità-qualità della vita, diritto, responsabilità, autonomia. Introduzione Nonostante taluni, con il ricorso a una buona dose di persuasione retorica, si sforzino di negare l esistenza di diversi paradigmi presenti all interno delle discussioni concernenti la bioetica contemporanea, tra gli obiettivi di questo scritto rientra quello di mostrare l innegabile presenza di due opposte visioni del mondo: una di matrice per lo più cattolica, riconducibile al paradigma della sacralità e indisponibilità della vita e l altra, sostenuta in un contesto laico, che difende la qualità e la disponibilità della vita umana 1. Tali Weltanschauungen emergeranno in maniera peculiare nel contesto della relazione dialettica tra sessualità e procreazione che rappresenta l oggetto di indagine di questo lavoro. Tale dialettica si pone al centro degli interessi di coloro che si occupano di bioetica in quanto la rivoluzione bio-tecno-scientifica che ha caratterizzato il recente passato - e che è tuttora in corso -, permette la scissione del legame tra sessualità e procreazione e, grazie alle nuove tecniche del nascere artificiale, genera la possibilità di una procreazione senza sessualità, nonché di una sessualità senza procreazione resa possibile dalle tecniche contraccettive. In questo articolo ci occuperemo soprattutto della prima variante della suddetta dialettica, ovvero della fecon- * Docente stabile di Pratiche Filosofiche presso la Scuola Superiore di Counseling Filosofico (Torino e Vicenza). Direttore di ricerca dell area Filosofia e medicina dell Istituto Superiore di Formazione e Ricerca in Filosofia, Psicologia, Psichiatria e coordinatore del Comitato Scientifico della Società italiana di Counseling Filosofico. Collabora con il Master in Consulenza Filosofica dell Università Cà Foscari di Venezia e con la Federazione delle Malattie Rare Infantili di Torino. 1 Per quanto alcuni autori in genere coloro che scorgono nella propria bioetica la bioetica affermano che tale disciplina non è né religiosa né laica; è semplicemente bioetica (Lucas, 2002, p. 7), noi riteniamo indubitabile l affermazione di Uberto Scarpelli secondo cui un cattolico e un laico rimangono un cattolico e un laico, anche quando si dedicano a questioni come l aborto o la determinazione del momento di morte prima di un trapianto. Certe diversità, anzi certi contrasti, limitati e attutiti nella vita quotidiana, nel diritto e nell economia da secoli di convivenza, sui nuovi problemi bioetici posti dallo sviluppo scientifico e tecnologico riacquistano freschezza e asprezza (1998, p. 74). Per l illustrazione dei due paradigmi e delle cosiddette terze vie cfr. in particolare Fornero G. (2005 e 2008); per una trattazione più sintetica il cap. 1 del libro di Nave E., Nave L., (2010). Copyright 2011 CIC Edizioni Internazionali, Roma C.I.S. - Centro Italiano di Sessuologia 167

2 L. Nave dazione artificiale, o meglio, assistita 2. È noto che i primi tentativi di attuazione di tali tecniche risalgono alla fine del XVIII secolo, e che durante la seconda guerra mondiale circa bambini sarebbero nati grazie al fatto che molti soldati americani avrebbero inviato dal fronte il proprio seme per la fecondazione assistita della moglie; tuttavia, fino al recente passato, la fecondazione assistita è stata praticata in modo sporadico e per lo più sommerso. La situazione è radicalmente mutata con l avvento della FIVET (Fecondazione in vitro con Embryo Transfert), la tecnica che ha permesso la nascita, nel 1978, di Louise Brown, la prima bambina nata col ricorso a tale tecnica. Questo evento ha permesso alla FIVET di assumere una dimensione pubblica e ha scatenato ampie discussioni circa la liceità etica e legale del ricorso ad essa. Ad oggi sono nati oltre un milione di bambini grazie alla FIVET, mentre un numero considerevole di persone sono riuscite a realizzare il proprio desiderio di genitorialità che risultava irrealizzabile col ricorso alla fecondazione naturale. Ora, il fine della fecondazione assistita appare, prima facie, come buono in sé: permette la nascita di bambini che non sarebbero potuti nascere altrimenti, e consente alle persone di realizzare il sogno di diventare genitori. Stante la bontà dello scopo, numerose voci si levano contro il mezzo tecnico utilizzato che, per una serie di motivi e argomentazioni che analizzeremo nelle pagine successive, sarebbe gravemente immorale, illecito, tanto da auspicare il divieto morale e legale di farvi ricorso. Tale questione ha sollevato, in Italia in particolare, un vespaio di polemiche soprattutto in riferimento alla legge 40/2004, una legge considerata da alcuni come la migliore in tutta Europa e forse nel mondo (Casini, 2004, p. 12), da altri come medievale, agghiacciante, assurda, anticostituzionale e cattolica, in quanto profondamente ispirata al paradigma della sacralità o non disponibilità della vita umana (Mori, Flamigni, 2005, p. 206) 3. Al divieto morale del ricorso alla fecondazione assistita pronunciato a gran voce dai moralisti cattolici, tale legge aggiunge un divieto giuridico che proibisce ai medici di praticare la fecondazione eterologa è lecita quella omologa solo per le coppie stabili che possono documentare di trovarsi in condizioni di sterilità e infertilità e ai cittadini di farvi ricorso nel nostro Paese, dando così adito alla diffusione di pratiche clandestine e al turismo procreativo - o ai viaggi della speranza - verso gli Stati nei quali tale pratica è consentita. La legge impedisce il ricorso a tale pratica anche a quelle coppie che vorrebbero essere aiutate ad evitare la nascita di prole portatrice di gravi anomalie genetiche (ad esempio la talassemia, emofilia ecc.: Flamigni, 1998, pp ) e spinge il suo proibizionismo fino (articolo 14) a limitare a tre il numero degli embrioni creati in vitro, mentre, escludendo la crioconservazione, prevede una sorta di impianto coatto dei tre embrioni. La principale questione che intendiamo affrontare in questo scritto riguarda il divieto morale e giuridico della fecondazione assistita, in particolare quella di natura eterologa. Intendiamo peculiarmente domandarci quando sia giusto estendere un divieto morale che vale solo all interno di una determinata comunità morale a diventare una legge dello Stato; una legge, tra l altro, fortemente restrittiva sia per quanto riguarda le nuove tecniche del nascere sia in riferimento alla ricerca scientifica sugli embrioni e sulle cellule staminali. Detto altrimenti: se il divieto morale di ricorrere alla fecondazione assistita è lecito e coerente all interno del paradigma della sacralità e della indisponibilità della vita umana, quanto è lecito e coerente impedire il ricorso a tale tecnica a quelle coppie e donne sole che abbracciano una visione del mondo alternativa? Insomma: esiste, o meglio, dovrebbe esistere un diritto morale e legale alla libertà procreativa? Per affrontare tale questione partiremo allora da una seppur breve analisi del paradigma della sacralità della vita umana puntando la nostra attenzione, in particolare, al cosiddetto principio d inscindibilità del significato unitivo e procreativo dell atto coniugale e alla questione relativa allo statuto ontologico dell embrione come persona, che rappresentano il fondamento di altre obiezioni di natura empirica e del generale divieto morale di fare ricorso a tale tecnica. L obiettivo consiste nel mostrare come questo divieto risulti assolutamente coerente all interno della Wel- 2 All inizio del dibattito si parlava di fecondazione artificiale, ma poi si è osservato che, dal momento che gli elementi fondamentali del processo restano naturali e che l intervento tecnico fornisce solo un assistenza al processo procreativo, è stata preferita l espressione fecondazione assistita. Tale tecnica si scinde in fecondazione assistita intra-corporea (o in vivo) se l intervento tecnico sostituisce il rapporto sessuale e la fecondazione avviene nel grembo materno, e fecondazione assistita extra-corporea (o in vitro) se la fecondazione avviene in provetta ( capsula di Petri ). Ciascuna forma si definisce omologa quando i gameti provengono dalla coppia che richiede l intervento, eterologa qualora un gamete proviene da un donatore esterno alla coppia. Si parla, infine, di maternità surrogata se una donna porta a termine una gravidanza al posto di un altra. 3 Tra le obiezioni rivolte alla tesi secondi cui la legge 40 sia una legge cattolica da qualcuno salutata addirittura come il regalo di Natale al Santo Padre - emerge quella del cardinale Ruini, il quale sostiene che la liceità giuridica della fecondazione omologa rende evidente il fatto che questa legge, sotto diversi e assai importanti profili, non corrisponde all insegnamento etico della Chiesa. Mori e Flamigni rispondono affermando che certamente l ammissione della fecondazione omologa è un grave colpo inferto al paradigma procreativo tradizionale, ma visto che in Italia i cattolici sono ormai una minoranza [ ] non possono pensare di ottenere la soluzione ottimale ; questa legge, insomma, salvava il massimo possibile nelle circostanze date (2005, pp ). 168

3 Sessualità, procreazione e i paradigmi della bioetica tanschauung cattolica mentre perde di senso e significato nel contesto di una società pluralista e secolarizzata popolata da quelli che Thristam Engelhardt (1991) definisce come stranieri morali, ovvero da cittadini appartenenti alle diverse fedi religiose, da atei, agnostici oppure da coloro che credono in una morale laica e che, di conseguenza, non si riconoscono nei rigidi precetti e nei divieti assoluti della morale cattolica. Attraverso tale indagine mireremo a considerare l eventuale liceità del diritto alla libertà procreativa da concedere a quelle coppie e donne sole che, in maniera autonoma e responsabile, fanno richiesta di poter accedere alla nuove tecniche del nascere umano. Il paradigma della sacralità della vita umana: principio d inscindibilità di sessualità e procreazione, statuto ontologico dell embrione e le obiezioni empiriche Sebbene nel mondo cattolico i temi riguardanti l etica della vita siano affrontati con una pluralità e profondità di voci che si esprimono in proposte bioetiche alternative a quella ufficiale (e ciò, già di per sé, crediamo dimostri l esistenza di una posizione ufficiale da qualcuno fortemente rinnegata), la bioetica della sacralità della vita viene presentata dai vertici della gerarchia ecclesiastica come l unica realmente autorevole, in quanto fondata sui diversi documenti pubblicati dal Magistero della Chiesa romana, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e sulle Encicliche dei pontefici che si sono occupati di temi bioetici, a cui si rifanno i diversi autori che abbracciano tale paradigma (Elio Sgreccia e Dionigi Tettamanzi i nomi più di spicco). Il senso dell espressione sacralità della vita emerge chiaramente e inconfutabilmente in diversi documenti, riconducibili alle seguenti verità fondamentali: Ogni vita umana, dal momento del concepimento fino alla morte, è sacra, perché la persona umana è stata voluta per se stessa a immagine e somiglianza del Dio vivente e santo (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1999, p. 617). E ancora: La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l azione creatrice di Dio e rimanda per sempre in relazione speciale con il creatore, suo unico fine (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1987, p. 5). Da ciò crediamo affiori il significato della sacralità della vita a cui la bioetica cattolica si ispira, da cui seguono i tre principi fondamentali, strettamente intrecciati, che stanno alla base di tale paradigma. Essi sono la creaturalità, la non disponibilità e l inviolabilità della vita umana che, in quanto splendido dono di Dio, è il fondamento di tutti i beni. E proprio in quanto dono e proprietà del Creatore, essa risulta per principio sottratta alle scelte arbitrarie e secondo il piacimento dell individuo. Su questo punto l enciclica Evangelium vitae è chiarissima: di questa vita [ ] Dio è l unico signore, e continua così: Dalla sacralità della vita scaturisce la sua inviolabilità, iscritta fin dalle origini nel cuore dell uomo, nella sua coscienza (Giovanni Paolo II, 1995, p.13). Da tale impostazione segue che la vita dell uomo e del mondo rientrano in un piano divino intelligente che si manifesta in un ordine naturale immutabile, che è iscritto nel cuore stesso delle persone e delle cose, e può essere colto per mezzo della ragione naturale (questa idea era già presente negli scritti di S. Tommaso D Aquino). In tale contesto emerge un ente intermediario tra l uomo e Dio, la Chiesa quale maestra di vita e di verità che, sulla base delle conclusioni (razionali e non fideistiche) della filosofia e degli insegnamenti rivelati della Scrittura, indica la retta via da seguire nelle diverse questioni bioetiche. La retta via si manifesta in un rigido e rigoroso deontologismo, incentrato su divieti autoevidenti e assoluti, che si impongono semper et pro semper, che valgono cioè per tutti e in tutte le circostanze, senza ammettere mai eccezioni. Nel contesto di tale deontologismo emerge il divieto morale del ricorso alle tecniche della fecondazione assistita, che si fonda sul principio, altrettanto assoluto, dell inscindibilità del significato unitivo e procreativo dell atto coniugale. Risulta insomma moralmente illecita sia una sessualità senza procreazione sia una procreazione senza sessualità: la contraccezione leggiamo nell Istituzione Donum Vitae, B4 e B6 priva intenzionalmente l atto coniugale della sua apertura alla procreazione e opera in tal modo una dissociazione volontaria delle finalità del matrimonio. La fecondazione artificiale omologa, perseguendo una procreazione che non è frutto di un atto specifico di unione coniugale, opera obiettivamente una separazione analoga tra i beni e i significati del matrimonio. [ ] L inseminazione artificiale sostitutiva dell atto coniugale è proibita in ragione della separazione volontariamente operata tra i due significati dell atto coniugale. Alla base di tale dottrina emerge dunque una connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l uomo non può rompere di sua iniziativa, tra il significato unitivo e il significato procreativo : non è mai permesso separare questi diversi aspetti al punto da escludere positivamente o l intenzione procreativa o il rapporto coniugale (Idem). Il principio d inscindibilità qui formulato giustifica dunque il divieto sia della contraccezione sia della fecondazione assistita, due pratiche che risultano simmetriche: la prima - che è un intervento negativo in quanto impedisce o limita l eventuale effetto dell atto generativo - consente di avere rapporti sessuali senza mettere al mondo dei figli, la seconda - che è invece un intervento positivo tendente ad ampliare e favorire le capacità procreative - permette di avere figli senza rapporti sessuali. Entrambi gli interven- 169

4 L. Nave ti rappresentano una usurpazione dei diritti di Dio e una manifesta violazione della legge morale naturale iscritta nell essere stesso dell uomo e della donna (Idem, B4), che risulta conoscibile dalla ragione umana e il cui rispetto garantirebbe la dignità della procreazione. Tale dignità sarebbe assicurata solo dalla fecondazione naturale, nel contesto della quale la nascita di un figlio deve rimanere un dono agli sposi e non può essere considerata né come la realizzazione di un proprio progetto personale o di un proprio desiderio (certamente egoistico e nient affatto autentico ), né tantomeno come la rivendicazione di un diritto alla libertà procreativa reclamato da coloro che vogliono un figlio a tutti i costi, rendendo il nato una sorta di oggetto analogo ad altri di cui possiamo disporre a piacimento, senza considerarlo un soggetto da accogliere, appunto, come un dono di Dio o della natura benevola. Il principio d inscindibilità ricorda, insomma, che i coniugi non sono arbitri o padroni delle sorgenti della vita, ma semplicemente cooperatori di un piano superiore che sta alla base del matrimonio, ossia l istituto dotato di un ordine proprio. In questo quadro i figli nascono nel e dal matrimonio, e non dalla libera scelta delle persone, che si arrogherebbero la facoltà di decidere quando, come e in che modo far nascere i propri figli. I sostenitori dell etica della sacralità della vita umana affermano dunque che non deve essere concessa all essere umano la facoltà di controllare il processo riproduttivo, e per questo motivo ribadiamo che ritengono illeciti gli atti che scindono il significato unitivo e quello procreativo dell atto coniugale in quanto contrari alla dignità umana e ai diritti inalienabili del nascituro e degli sposi. È evidente, allora, che qualora venga meno il principio d inscindibilità e si consideri lecito fare sesso senza figli o avere figli senza sesso, si viene a riconoscere alla persona la prerogativa di introdurre la tecnica nel sacrario della procreazione al fine di controllare il processo procreativo indipendentemente dalle leggi ad esso immanenti e desumibili direttamente dal finalismo riproduttivo naturale o divino. A tale fondamentale obiezione di principio seguono una serie di obiezioni empiriche che confermerebbero l illiceità morale della fecondazione assistita: innanzitutto tale pratica implica uno spreco e la morte di embrioni umani. Ciò è vero: per mettere a punto tale tecnica sono stati utilizzati molti embrioni, mentre per consentire una nuova nascita si creano degli embrioni soprannumerari che sopravvivono in provetta senza la protezione del grembo materno e che sono in parte destinati a perire qualora non utilizzati nel processo della gravidanza. Tuttavia, crediamo che tale obiezione abbia senso solo all interno del paradigma della sacralità della vita umana, che invita a considerare lo spreco di embrioni alla stregua di una distruzione volontaria di esseri umani (Donum Vitae, Introduzione alla II parte), ovvero di un vero e proprio omicidio, un uccisione ingiustificata di una persona umana: l embrione umano scrive Tettamanzi sin dall inizio della sua esistenza è persona umana, sicché è inviolabile nel diritto alla vita ed esige un rispetto assoluto e incondizionato (1986, p. 42). Abbiamo considerato come empirica questa obiezione dell omicidio in quanto secondo i moralisti cattolici l indole umana, anzi di persona umana, dell embrione non è una tesi confessionale, ma è scientificamente dimostrabile (Angelini, 1992, p. 15), per quando riteniamo davvero difficoltoso considerare la nozione di persona generalmente intesa come composta di anima e corpo come scientifica e non piuttosto come filosofica: la scienza può fornire dati empirici sul corpo ma crediamo assai difficile ammettere che possa dimostrare la presenza dell anima e quindi la natura globale della persona umana. L embriologo ammettiamo con Paolo Cattorini sa molto bene che cosa sia la vita che nasce da una fecondazione e quali siano le fasi in cui l embrione passa dallo stadio dello zigote a quello di blastocisti per poi divenire feto e così via, ma non ha trovato nei suoi testi scientifici la spiegazione di cosa si intenda per persona umana (2008, p. 17). L argomento scientifico che considera la distruzione degli embrioni operata dalla fecondazione assistita alla stregua di un omicidio o addirittura di un genocidio - non risulta dunque scientificamente dimostrabile, né confidiamo che esso possa risultare valido in virtù del fatto che anche la fecondazione naturale comporta un altissimo spreco di embrioni umani: studi scientificamente qualificati dimostrano che l 80 % degli ovuli fecondati non si annidano sulla parete uterina e viene perso senza che la donna si accorga dell avvenuta fecondazione. Se la fecondazione assistita fosse illecita (solo) perché comporta uno spreco di embrioni umani, logica vorrebbe che si condannasse anche la fecondazione naturale, a meno di non voler concedere alla natura uno speciale privilegio da proibire invece all essere umano. Non crediamo accettabile la contro-obiezione che sostiene che l essere umano non è responsabile di quanto avviene in natura dal momento che lo spreco immane di embrioni che ha luogo nella fecondazione naturale non è voluto intenzionalmente: risulta piuttosto facile controbattere che anche nella fecondazione assistita lo spreco di embrioni non è voluto intenzionalmente in quanto avviene indipendentemente dalla nostra volontà, e si può considerare come un effetto collaterale necessario per avere figli, proprio come accade nella fecondazione naturale. Questo argomento può condurre poi a un esito paradossale nel contesto del paradigma della sacralità della vita: con il perfezionamento delle tecniche riproduttive lo spreco degli embrioni della fecondazione assistita potrebbe in futuro essere addirittura minore rispetto alla fecondazione naturale, e quindi i moralisti cattolici, per salvare molte persone dall omicidio, dovrebbero addirit- 170

5 Sessualità, procreazione e i paradigmi della bioetica tura privilegiare la fecondazione assistita e ritenerla moralmente preferibile alla procreazione naturale. Accanto all obiezione dell omicidio che, alla stregua del principio d inscindibilità, ribadiamo essere valida solo all interno del paradigma della sacralità della vita umana e dunque insufficiente al fine di proibire, moralmente e giuridicamente, il diritto alla libertà procreativa da parte di coloro che abbracciano una visione del mondo alternativa, le altre obiezioni empiriche rivolte in particolare alla fecondazione eterologa sostengono che la presenza di un donatore esterno alla coppia sarebbe fonte di gravi difficoltà morali e sociali: nello specifico tale pratica, che consentirebbe la genitorialità a coppie non sposate, a coppie gay e a donne sole anche in età avanzata, scardinerebbe la logica della filiazione creando una inaccettabile separazione tra genitore biologico e genitore giuridico, distruggerebbe l unità della famiglia e provocherebbe un grave danno al nuovo nato. Ora, qualora tali obiezioni - soprattutto quest ultima - fossero empiricamente e razionalmente fondate, sarebbero tanto forti da giustificare il divieto morale e giuridico alla fecondazione eterologa pronunciato a gran voce dai moralisti cattolici e sancito inderogabilmente dalla legge 40/2004. Prima di affrontare tali obiezioni, o forse, meglio, per affrontarle in tutta la propria complessità, crediamo necessario compiere un mutamento di prospettiva al fine di accedere all interno del paradigma laico della qualità e disponibilità della vita umana, laddove sono in molti a sostenere l inconsistenza razionale ed empirica di tali obiezioni, da cui segue la necessità di sancire la liceità morale e legale della fecondazione eterologa e quindi il diritto alla libertà procreativa vigente in molti Paesi del mondo. Il paradigma della qualità della vita, la liceità morale della fecondazione assistita e il diritto alla libertà procreativa Se la bioetica cattolica è un paradigma piuttosto circoscritto che fa riferimento alla dottrina sostenuta dal Magistero della Chiesa e dai documenti ufficiali del Pontefice, la bioetica laica, pur includendo alcune famiglie di teorie riconducibili a una koinè laica (come l utilitarismo, il contrattualismo, il principalismo, l etica della virtù o dei diritti, ecc.), non è così circoscritta o chiara e distinta, perché non è chiaro e distinto il significato del termine laico. Tale mancanza di chiarezza genera numerosi equivoci, tra cui quello più lampante che emerge allorquando diversi esponenti della dottrina della sacralità della vita affermano di essere laici e che esiste solo la propria bioetica laica, nel senso che, come abbiamo visto a proposito della tesi relativa allo statuto ontologico dell embrione come persona, vengono utilizzate forme di ragionamento scientifico e filosofico che non farebbero riferimento ad alcuna autorità di fede. La laicità, sostengono alcuni autori riconducibili al paradigma della sacralità della vita, è un metodo del filosofare, come tale attuabile e attuato anche dal credente. Pur senza voler penetrare all interno della distinzione tra una laicità debole e una laicità forte (Fornero, 2008), crediamo di poter ammettere che quando in bioetica si fa riferimento alla dottrina della qualità della vita, in alternativa alla sacralità, si intende il termine laico quale sinonimo di un atteggiamento e di un modo di ragionare-argomentare riconducibile alla nota affermazione di Grozio: etsi Deus non daretur ( come se Dio non esistesse ). La laicità è riconducibile alla visione del mondo di coloro che ragionano fuori dall ipotesi di Dio e da ogni fede o metafisica di matrice religiosa ovvero che non si sentono vincolati ad alcun magistero che non sia quello della retta ragione (Scarpelli, 1998, p. 65). La nozione di laicità fatta propria dai teorici del paradigma della qualità della vita si ispira fortemente alla definizione di Guido Calogero, che descriveva il laicismo non come una particolare filosofia o ideologia politica, ma come un metodo di convivenza di tutte le filosofie e le ideologie possibili, secondo la regola che impone di non pretendere di possedere la verità più di quanto ogni altro possa pretendere di possederla. Essere laici significa dunque disporre di una duplice capacità: di convivere con le differenze e di sollevare il dubbio sulla verità di cui si pensa di disporre, in una ricerca continua e in uno scambio permanente di argomenti e ragioni con gli altri perché si produca una corresponsabilità etica solidale (1962, p. 152). Eliminiamo un altro equivoco: essere laici non significa essere necessariamente atei o agnostici ma, in ambito bioetico o politico, vuol dire ragionare e argomentare come se Dio non ci fosse, senza cioè tenere conto né della possibile esistenza-volontà di Dio, né del progetto divino sulla vita con funzione normativa. Ci sono alcuni credenti (ad esempio Engelhardt che ha scritto un ampio Manuale di Bioetica di stampo chiaramente laico) che, pur credendo in Dio, lo ritengono filosoficamente indimostrabile, e quindi auspicano la sua estromissione dai discorsi bioetici e politici in senso lato. Ci sono alcune confessioni cristiane che giungono a negare la tesi cattolica secondo cui lo splendore della verità rifulge chiaramente in tutte le opere del creatore e, in modo particolare, nell uomo (Giovanni Paolo II, 1993, p. 6), per sottolineare invece che Dio è nascosto e risulta difficile presupporre che tale verità sia facilmente conoscibile e applicabile nel contesto di una nuova etica della vita. Anche un credente può dunque essere laico, purché sia rigoroso nel tener fermo che la vita pubblica deve essere informata al principio etsi Deus non daretur (Flores D Arcais, 2003, p. 74). Crediamo lapidarie le parole di Norberto Bobbio a tal proposito: Uno stato 171

6 L. Nave laico, in quanto non confessionale, non è né religioso né ateo, né cristiano né non cristiano (Bobbio N., 2003, p. 37), da cui segue che l imposizione delle verità di Dio non possono diventare le verità di una democrazia (Charlesworth, 1996, p. 98). Per comprendere la visione di coloro che abbracciano una posizione laica in bioetica - in generale e, in particolare, a proposito della dialettica sessualità-procreazione oggetto di questo scritto - crediamo assai utile fare riferimento alla già evocata teoria degli stranieri morali sostenuta da Engelhardt: tale dottrina sostiene che viviamo in una società chiaramente multi-culturale e multi-religiosa, caratterizzata da una post moderna e multi-prospettica pluralità di narrazioni morali e religiose, che rende impossibile pretendere di possedere una Verità che sia valida per tutti e in tutte le circostanze. Da ciò segue la necessità di elaborare dei principi e delle norme che possano valere per tutti i soggetti morali e giuridici e non solo per una parte della società o per una determinata comunità morale-religiosa: solo così una bioetica può essere davvero pluralista e rispettosa dei diversi punti di vista o delle diverse visioni del mondo delle persone, e solo in tal modo uno Stato può essere realmente democratico. Sulla scia di Engelhardt sono in molti a sostenere che solo uno Stato e una bioetica laica consentono la pacifica convivenza umana e sociale che permette il confronto tra culture, religioni ed etiche differenti, senza volontà di prevaricazione dell una sull altra e in assenza di autorità morali che impongono precetti e comportamenti che attengono la sfera delle libertà individuali, delle valutazioni e delle scelte private dei singoli soggetti. Contro la tentazione di imporre la morale per legge, in ambiente laico si sostiene che non tutto ciò che una certa comunità morale ritiene come eticamente rilevante debba essere sanzionato da apposite leggi, da cui segue l ammissione di un area in cui la condotta della persona è affidata solo alle regole e ai principi della morale e, in assenza di un danno conclamato verso gli altri, tale condotta deve essere sottratta all intervento della legge. Per tutta la sfera delle questioni bioetiche - e per quelle relative alle nuove tecniche del nascere in maniera peculiare - si ritiene ancora valida la formulazione classica di questa concezione, che risale a John Stuart Mill, il quale stabiliva un solido criterio per distinguere il piano delle azioni che potevano essere lasciate all autonomia morale di ciascun individuo da quello in cui è invece da ritenersi necessaria una qualche forma di codificazione giuridica. Riportiamo la citazione di Mill in quanto consideriamo le sue parole assai attuali per le problematiche che stiamo trattando in questo scritto: Il principio è questo: il solo e unico fine che autorizzi l umanità, individualmente o collettivamente, a interferire con la libertà di azione di uno qualunque dei suoi membri, è quello di proteggere se stessa. L unico scopo che autorizzi l esercizio del potere nei confronti di un qualsiasi membro di una comunità civile contro la sua volontà, è quello di evitare un danno agli altri. A un autorizzazione del genere, il bene personale dell individuo, fisico o morale che sia, non basta. Non si può costringere legittimamente qualcuno a fare o non fare qualcosa spiegandogli che sarebbe meglio per lui agire in quel certo modo, che lo renderebbe più felice, che agire così e così apparirebbe saggio o addirittura giusto agli occhi degli altri. Tutte queste sono delle buone ragioni per muovergli delle obiezioni, per invitarlo a discuterne, per persuaderlo oppure per supplicarlo: ma non per costringerlo o per fargli del male nel caso agisca diversamente. Perché si giustifichi una cosa del genere, la condotta che gli si vorrebbe impedire deve essere considerata tale da provocare del male a qualcun altro. Nella condotta di chiunque, l unico aspetto soggetto alla competenza della società è quel tanto che riguarda gli altri. Per ciò che riguarda lui e lui solo la sua indipendenza e, di diritto, assoluta. Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l individuo è sovrano (Mill, 1999, p. 91) 4. Questa citazione di Mill, in particolare qualora evocata nel contesto di una bioetica laica, genera un fondamentale equivoco che riteniamo necessario dirimere: ponendo dei limiti al potere delle leggi e alla forza dello Stato, non intendiamo sancire un area della condotta morale in cui ognuno può agire come vuole senza rendere conto a nessuno, né significa evitare ogni tentativo che cerchi di stabilire delle linee di condotta morale e sociale con cui garantire l ordine, la stabilità e la pacifica convivenza degli abitanti delle società complesse e pluralistiche nelle quali viviamo. Ritagliare un area della condotta morale delle persone le cui azioni non procurano un danno e non fanno del male ad altri, non esclude che tali azioni non debbano essere sottoposte a una severa critica morale o a un apprezzamento etico. Riconoscere che sono i principi morali e non le leggi ad avere l onere della giustificazione etica comporta l ammissione di una sfera d azione in cui le persone possono agire in maniera libera e autonoma pur tuttavia in modo non arbitrario o a caso, bensì secondo modalità responsabili e tali da poter giustificare moralmente. Alla luce di queste considerazioni, in ambiente laico si 4 Mill, in vari scritti (ad esempio quelli raccolti in Mill, 1999) ricorre a una struttura argomentativa che considera il diffondersi di una piena autonomia e libertà individuale la via migliore per accrescere la felicità di ciascuna persona e attraverso questa la felicità generale. La libertà individuale consente infatti di moltiplicare al massimo gli esperimenti con cui le persone cercano di far progredire il proprio stile di vita e di dare alla propria esistenza un peculiare senso e significato: e questa molteplicità di perfezionamenti non può non arricchire la vita delle persone. Questa linea argomentativa può essere traslata nel contesto della fecondazione assistita, dove, in assenza di un danno conclamato o un male procurato agli altri, la condotta deve essere lasciata alla scelta, autonoma e responsabile, dei soggetti coinvolti. 172

7 Sessualità, procreazione e i paradigmi della bioetica ritiene che l agire e le scelte che le persone intraprendono, responsabilmente, in relazione alle nuove tecniche del nascere, debbano essere lasciate all autonomia e alla libertà di esse, ponendo quale unico limite al diritto di esercitare tale libertà morale quello del danno procurato agli altri: solo in presenza di un danno conclamato, ribadiamo con Mill, è giustificato il ricorso al potere della legge e alla forza del divieto legale di intraprendere determinate azioni. Per stabilire quindi l eventuale necessità di sancire un diritto alla libertà procreativa a coloro che ne fanno, in maniera autonoma e responsabile, richiesta, torniamo a considerare le obiezioni empiriche rivolte alla fecondazione eterologa per verificare se effettivamente tale tecnica procura un danno alle persone coinvolte. Ricordiamo che le tre principali obiezioni empiriche rivolte alla fecondazione assistita eterologa affermano che tale tecnica scardinerebbe la logica della filiazione creando una inaccettabile separazione tra genitore biologico e genitore giuridico, distruggerebbe l unità della famiglia e provocherebbe un grave danno al nuovo nato. La prima obiezione è fondata su una logica della filiazione piuttosto riduttiva, che è stata modificata dalla riforma del diritto di famiglia del Se prima di tale riforma i figli legittimi erano solo quelli che nascevano all interno del matrimonio, e per questo motivo la donna incinta cercava le nozze riparatrici affinché il neonato non restasse senza padre, la riforma del 1975 ha sostituito il cosiddetto favor legittimatis che privilegiava il matrimonio legittimo quale criterio di genitorialità con il favor veritatis che, per stabilire questo criterio si concentra sulla corrispondenza tra rapporto biologico e paternità. In realtà questo criterio va in crisi con le pratiche di adozione visto che il padre giuridico non ha un rapporto biologico con il figlio e con le nuove tecniche del nascere umano, le quali hanno permesso di chiarire che il criterio biologico della paternità non è il criterio intrinseco della filiazione bensì un mezzo per individuare l uomo che ha contribuito a generare una nuova nascita, rispetto alla quale deve assumersi la propria responsabilità. Il criterio della filiazione deve essere quindi quello della responsabilità nei confronti del nuovo nato: padre è colui che ha contribuito a generare una nuova vita, rispetto alla quale deve essere responsabile dei doveri genitoriali. Come non si ritengono illecite le pratiche di adozione in quanto scardinerebbero la logica della filiazione, a ragion di logica non si può ritenere illecita la fecondazione assistita per il fatto che si richiede l aiuto di un donatore esterno alla coppia, che diventerebbe l ascendente biologico ma non il padre giuridico del figlio. Anche perché nel diritto c è sempre stata una dissociazione tra padre biologico e padre giuridico: da sempre figlio è colui che ha una speciale relazione giuridica con un adulto, prima del 1975 tale relazione era determinata (soprattutto) dal matrimonio, dopo la riforma dall assunzione di responsabilità per aver causato una nuova nascita. Nel caso della fecondazione assistita si apre la questione decisiva su chi è colui che deve assumersi la responsabilità della nuova nascita, che crediamo debba ricadere su colui che ha deciso di ricorrere alla fecondazione assistita e ha consentito il ricorso ai gameti di un donatore esterno, perché senza tale decisione e tale ricorso non sarebbe stata possibile la nuova nascita: questi è dunque il padre, benché non sia l ascendente biologico. La paternità e, in generale, la genitorialità, non può essere ridotta al legame biologico ma implica l affetto, la cura, la relazione e la responsabilità. Al di là delle nuove situazioni generate dalla fecondazione assistita, da sempre molti figli sono cresciuti con mamme, papà e nonni con i quali non avevano un legame genetico: qualcun altro aveva fornito i gameti, che poi è morto oppure non si è assunto la responsabilità della nuova nascita. Ciò tuttavia non ha escluso che questi bambini siano stati amati e accuditi: non si è rivelato importante chi ha fornito l ovocita o lo spermatozoo, bensì piuttosto chi si è assunto la responsabilità di far crescere la prole. Tuttavia, il fatto che il nuovo nato abbia due padri un ascendente biologico e un padre giuridico -, unito al fatto che venga alla luce in modo innaturale - sarebbe fabbricato e non generato rappresenterebbero per lui un danno, tanto grave da preferire la non nascita rispetto alla nascita con la fecondazione assistita eterologa. Al di là del fatto che non crediamo possibile confrontare la non esistenza con l esistenza e che per verificare la consistenza del danno è necessario che il neonato sia al mondo - è impossibile arrecare danni a chi non esiste - è realmente difficile comprendere come si possa danneggiare qualcuno solo per il fatto di farlo esistere: il danno lo si potrebbe procurare a posteriori qualora la qualità della sua vita fosse tanto bassa che per lui sarebbe stato meglio non nascere piuttosto che vivere in quelle condizioni, ma tale danno è indipendente dalle modalità - naturali o artificiali - con cui è venuto al mondo. Numerosi studi autorevoli condotti su migliaia di bambini nati grazie alla fecondazione assistita eterologa - molti dei quali sono oggi adulti e a loro volta genitori - confermano che tale pratica non ha arrecato alcun danno al nuovo nato né, tanto meno, a coloro che li hanno messi al mondo. Spesso questi figli sono così tanto desiderati da ricevere cure e attenzioni maggiori rispetto a tanti figli naturali, nati, come si suol dire, da un incidente di percorso 5. 5 A proposito della fondamentale questione del danno procurato al nascituro, Mori e Flamigni ricordano che nel mondo i bambini nati grazie alla FIVET superano il milione, e se davvero la pratica fosse dannosa, i danni sarebbero ormai visibili. I disagi creati dalla donazione di gameti non potrebbero essere nascosti e sarebbero ormai di dominio pubblico (2005, p. 143). 173

8 L. Nave Un danno al nuovo nato, sostengono ancora i critici, si procurerebbe qualora la fecondazione assistita fosse permessa a una donna sola, in quanto il nascituro verrebbe privato sin dall inizio della doppia figura genitoriale e quindi destinato a un esistenza sciagurata. Al di là del fatto che è possibile mettere almeno in dubbio la convinzione espressa dal Comitato Nazionale per la Bioetica secondo cui la condizione migliore nella quale un figlio può nascere è quella di essere concepito e allevato da una coppia di adulti di sesso diverso (Comitato Nazionale per la Bioetica, 1994), in linea generale ammettiamo che se il danno procurato al nascituro fosse così grande da rendere illecito l atto con cui lo si fa nascere, dovrebbe ritenersi altrettanto illecito consentire la nascita di un figlio di una ragazzamadre. Se una donna decidesse di avere un rapporto sessuale con un uomo diverso dal marito o se una donna single decidesse di fare sesso a scopo procreativo con un uomo che non sarà il padre del nascituro, lo Stato non potrebbe intervenire per impedirglielo, mentre se queste donne volessero ricorrere alla donazione del seme (volessero cioè perseguire lo stesso scopo col ricorso alla banca del seme invece che tramite il rapporto sessuale) sarebbe loro impedito dalla legge 40/2004. Crediamo inaccettabile la dissimmetria tra il riconoscimento di una completa libertà procreativa laddove sia in gioco una procreazione naturale e invece il rifiuto di riconoscere un analoga libertà qualora si faccia ricorso a metodi artificiali per far nascere la prole. Questa dissimmetria, evidentemente fondata su una santificazione della natura vista come disegno provvidenziale della Divinità e quindi come caratterizzata da una completa autorevolezza morale e come garante della protezione della prole da danni che la procreazione assistita non garantirebbe, non crediamo abbia nessuna base né razionale né da un punto di vista morale, ovviamente qualora si esca dal paradigma della sacralità della vita umana, che impone il ricorso alla fecondazione naturale anche in presenza di coppie che si prevede metteranno al mondo figli con gravi malformazioni (Tettamanzi, 1990). Dal nostro punto di vista, che esula evidentemente da tale paradigma e che si rifiuta di cadere in una fallacia naturalistica che induce a considerare il naturale come criterio ultimo della discriminazione tra ciò che è eticamente accettabile e ciò che va rifiutato, la distinzione tra naturale e artificiale non può affatto giustificare la diversità di trattamento riservata alla fecondazione eterologa: l obiezione dovrebbe riguardare piuttosto le conseguenze del far nascere un bambino in una famiglia composta da un solo genitore e non la modalità con cui ha luogo la fecondazione che, di per sé, riteniamo irrilevante. A questo proposito, è chiaro che la fecondazione assistita implica la necessità di riflettere sulla natura e sul ruolo della famiglia: il fatto di avere due padri (anche se sappiamo che solo uno è il padre giuridico, l altro è l ascendente biologico), due madri (nel caso della maternità surrogata) o una madre sola (senza padre), oltre a scardinare la famiglia tradizionale o naturale evidentemente già in crisi per motivi indipendenti dalla fecondazione assistita - sarebbe la causa dello sfaldamento delle coppie stabili, in quanto agevolerebbe il divorzio dei coniugi che vi fanno ricorso (Tettamanzi, 1990). In alcune occasioni, come ad esempio nel caso di Cremona, dopo la nascita in un figlio ottenuta con la fecondazione eterologa, la coppia è andata incontro a gravi conflitti e dissidi che hanno portato alla rottura del vincolo coniugale: di qui l idea che tale tecnica sia fonte di possibili tensioni distruttive nella famiglia e gravi danni a carico dei figli; il divieto di tale pratica della legge 40/2004 è stato infatti presentato anche come una garanzia per la stabilità della famiglia. Per valutare la minaccia all unità familiare è necessario guardare ai fatti, i quali sembrano smentire anche questa obiezione: a partire dagli anni Ottanta, i centri per la fecondazione assistita hanno tenuto dei registri dai quali emerge che più di trentamila coppie, in Italia, abbiano fatto ricorso alla fecondazione eterologa. Visto che la stampa ha dato puntualmente risalto ai casi in cui queste famiglie sono approdate in tribunale, e visto che questi casi sono stati pochissimi meno di una decina si deve prendere atto che l obiezione della rottura dell unità familiare è priva di fondamento: la fecondazione assistita non disgrega affatto l unità delle famiglie, semmai la rafforza e la consolida, in quanto l esperienza della sterilità e delle difficoltà che si incontrano per accedere alle tecniche di fecondazione assistita possano essere motivi per rafforzare il legame delle coppie e per creare dei buoni genitori. Questa obiezione, inoltre, rimanda il nostro pensiero alle discussioni che si accesero in occasione della proposta della legge sulla parità dei coniugi, allorquando alcuni conservatori sostenevano che una legge liberale avrebbe frantumato la relazione tra marito e moglie; è certamente vero che la relazione tradizionale è stata profondamente modificata, ma riteniamo che tali modifiche siano avvenute certamente in meglio. Anche la fecondazione assistita modificherà le relazioni tra persone e l assetto delle famiglie cosiddette tradizionali, ma senza necessariamente determinare il paventato catastrofico disastro che sarebbe evitabile se tali relazioni fossero ritenute sacre e inviolabili. Conclusioni Alla luce di quanto evocato nelle pagine precedenti, ribadiamo che il ricorso alle nuove tecniche del nascere non può essere considerato come intrinsecamente malvagio bensì, almeno prima facie, come benefico: da esse nasce un essere umano, sono soddisfatte le preferenze fondamentali di varie persone e, nella peggiore delle ipotesi (nelle si- 174

9 Sessualità, procreazione e i paradigmi della bioetica tuazioni in cui gli embrioni soprannumerari non vengono utilizzati), si giunge alla distruzione di materiale che molti embriologi o biologi caratterizzano come un unione di poche cellule e comunque non come una persona che verrebbe assassinata nel processo fecondativo. La visione dell embrione come persona come d altronde il principio d inscindibilità summenzionato vale solo all interno di una determinata comunità morale, e i numerosi dibattiti bioetici sulla questione mostrano che non può essere considerata come una verità razionale universale da porre a fondamento di un divieto legale da far valere in una società caratterizzata da stranieri morali. Nel mondo secolarizzato, dove esistono diverse etiche che richiedono ascolto e diverse famiglie morali che esigono rispetto, il cattolicesimo romano è una delle tante religioni e, come tale, non può pretendere di farsi interprete autentico della razionalità universale. Le sue verità razionali si possono, semmai, porre a fondamento di una raccomandazione morale di non ricorrere a tale tecniche, ma non è lecito trasformare una raccomandazione in un divieto assoluto io non lo farei non può diventare nessuno può farlo -, soprattutto perché non disponiamo di evidenze empiriche che la fecondazione assistita eterologa provochi dei danni ai soggetti coinvolti. Visto che con Mill abbiamo stabilito che il criterio del danno è l unico che può giustificare il ricorso alla forza del potere della legge al fine di limitare la libertà delle persone, concludiamo che, in assenza di un danno, si debba affidare questa sfera d azione alle scelte autonome e responsabili delle persone coinvolte, limitando ed evitando laddove possibile l intervento della legge. Con Lecaldano (1999, p. 136) sosteniamo che un etica della fecondazione assistita è possibile solo in quanto la nascita umana è affidata integralmente alla responsabilità morale delle persone, alle quali va concesso il diritto a prendere tutte quelle decisioni e scelte che non danneggino positivamente altri e per le quali vi siano delle ragioni morali 6. Da ciò ribadiamo poi discendere due conseguenze fondamentali: innanzitutto che non va considerata buona e approvabile qualsiasi scelta bensì solo quelle le cui ragioni morali apprezzeremo (Pollo, 2003), e poi che il riconoscimento stesso di un diritto morale alla libertà procreativa esclude la possibilità di ricorrere alla forza e coercizione della legge per il superamento dei contrasti. In alternativa a coloro che sostengono che le persone, macchiate dal peccato, siano corrotte e pronte a far prevalere il proprio egoismo e che dunque, in assenza di una legge ferrea, si mostrerebbero irresponsabili a tal punto da volere un figlio a tutti i costi, proponiamo un modello antropologico secondo il quale l essere umano è in grado di trovare autonomamente la strada del comportamento morale: ammettiamo allora che l unico criterio eticamente adeguato da far valere a proposito della liceità o meno di un certo modo di far nascere gli esseri umani risiede nella considerazione delle ragioni morali e dunque della responsabilità che chi vi ricorre si assume, o non si assume, di prendersi cura della persona che nascerà e di contribuire a rendere dignitosa la qualità della sua vita (Lecaldano, 1999, p. 156). In sé queste tecniche non hanno nessun carattere che le rende moralmente apprezzabili o disprezzabili (Held, 1997), ciò che conta sono dunque le ragioni o i motivi che chi si impegna in un attività procreativa presenta per le sue scelte e decisioni. La complessità delle relazioni messe in gioco da queste procedure comporta che si debbano esigere da chi vi ricorre assunzioni di responsabilità morale molto forti e che quindi vi siano a monte delle scelte da cui derivano esplicite ragioni etiche pubblicamente riconoscibili. Non potendo escludere a priori che tali ragioni possano essere avanzate da persone scrupolose e responsabili, siamo contrari a divieti legislativi assoluti imposti alle forme più complesse di fecondazione assistita. Tale rifiuto di divieti totali non esclude che il ricorso a queste pratiche vada salvaguardato e regolamentato: le soluzioni dei problemi etici posti dalla procreazione umana non crediamo vadano realizzate usando la forza dello Stato ed espropriando le persone della loro libertà procreativa, bensì con una cauta e una rivedibile regolamentazione al fine di tutelare i soggetti coinvolti e in primis chi nasce - da discriminazioni o mancanze di garanzie, ovvero dalle incursioni di chi voglia lucrare denaro o potere. Da questo punto di vista, l intervento della legge dovrebbe essere diretto più che a escludere a regolamentare le forme più complesse di fecondazione assistita (Rodotà, 1995): così è ad 6 In alternativa al paradigma della sacralità e non disponibilità della vita umana, Lecaldano è tra i maggiori teorici di un un etica fondata sul principio della disponibilità della nascita, un principio che, al di là delle questioni strettamente legate alla fecondazione assistita, risulta moralmente giustificato per tutti coloro che prendono atto delle sofferenze e delle morti di innocenti che conseguono dall affidare a presunte leggi naturali (o disegni divini) lo sviluppo demografico e la riproduzione umana specialmente in un mondo come quello contemporaneo caratterizzato da profonde differenze nell incremento della natalità a cui corrisponde una grande iniquità nella distribuzione delle risorse. Come è evidente, il più grave crimine morale da un punto di vista di un etica della disponibilità della nascita è quello di propagandare un atteggiamento irresponsabile nei confronti della nascita naturale [ ]; si potrebbe deprecare questo atteggiamento fino al punto di considerarlo una delle cause delle stragi di neonati e bambini che si perpetuano nel mondo una volta che un incremento incontrollato della natalità si vada a collocare in una realtà in cui è presente una tale scarsità di risorse da provocare la morte per fame o per mancanza delle cure necessarie di un ampia percentuale delle persone nate. E conclude: risulta moralmente inaccettabile qualsiasi concezione che non consideri prioritario l obiettivo di rendere consapevoli i genitori della loro responsabilità procreativa e della necessità di non affidarsi alla natura (o alla Provvidenza divina) e di correggere le tendenze che favoriscono la sovrappopolazione (1999, pp ). 175

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