Cass., sez. I, 6 aprile 2009, n. 8229,

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1 Cass., sez. I, 6 aprile 2009, n. 8229, Pres. Carnevale, Rel. Panzani, Ai fini della determinazione dell indennità di esproprio si deve tenere conto del valore dei beni espropriati e della diminuzione di valore del fondo residuo (anche se questo non è edificabile), ma non si deve tener conto del pregiudizio subito dall azienda in essi esercitata. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A.G. e F.G. convenivano in giudizio avanti alla Corte di appello di Torino la Provincia di Torino esponendo di essere proprietari di un appezzamento di terreno sito in Comune di (omissis), sul quale insisteva una stazione di rifornimento di carburanti per autoveicoli. Tale mappale, dell'estensione effettiva di mq., era stato oggetto di provvedimento di occupazione temporanea di urgenza da parte della Provincia limitatamente a mq., occupazione finalizzata alla costruzione della variante della strada provinciale n. (omissis). Il provvedimento era stato attuato con presa di possesso del (omissis) che aveva comportato la cessazione dell'attività dell'impianto di rifornimento carburanti. Gli attori chiedevano la determinazione giudiziale dell'indennità di occupazione che non era stata ancora stabilita dalla competente Commissione, invocando il disposto della L. n del 1865, art. 40 in tema di esproprio parziale, chiedendo anche che l'indennità fosse ragguagliata al valore di mercato dei beni ed alla perdita dell'avviamento aziendale. Gli attori promuovevano poi separato giudizio, sempre nei confronti della Provincia di Torino, proponendo opposizione alla determinazione dell'indennità di esproprio come effettuata dalla Commissione provinciale, che aveva considerato il terreno agricolo attribuendogli il valore di L al mq.. Chiedevano che il bene venisse valutato al valore venale in quanto impianto industriale, considerandosi anche il pregiudizio derivante dalla perdita di avviamento. Si costituiva in entrambi i giudizi la Provincia osservando, per l'indennità di esproprio, che era corretta, la valutazione della Commissione provinciale; affermando quanto all'indennità di occupazione che essa doveva ragguagliarsi al valore dell'area stabilito ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis escluso comunque il valore degli impianti demoliti ed esclusa la valutazione a valore venale. Aggiungeva la Provincia che non poteva essere indennizzata la perdita di avviamento perchè gli attori erano soltanto proprietari dei beni ablati, mentre la gestione di essi come azienda era stata concessa a terzi a titolo di affitto. La Provincia invocava anche l'applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 35 che prevedeva la non spettanza al conduttore di indennità per perdita di avviamento in caso di attività espletata nelle aree di servizio stradali ed eccepiva che, essendo la concessione amministrativa per la gestione di impianti di servizio per autoveicoli condizionata al beneplacito dei Comuni interessati per motivi di tutela dell'ambiente e della circolazione, tale concessione era revocabile senza diritto ad indennizzo e non poteva pertanto fondare pretese in caso di provvedimenti di esproprio ed occupazione di urgenza. 1

2 Riuniti i giudizi ed espletata c.t.u. estimativa sul bene ablato, la Corte di appello di Torino con sentenza determinava l'indennità di esproprio in Euro ,80 e l'indennità di occupazione in Euro ,87 oltre interessi, disponendo il deposito delle somme presso la Cassa Depositi e Prestiti. La Corte escludeva che il terreno dovesse essere considerato agricolo, posto che sullo stesso insistevano costruzioni, in parte interrate. Alla parte non edificata del terreno non poteva essere attribuito il valore di terreno edificabile ai sensi della L. n, 865 del 1971, art. 16, comma 9, anzichè il valore venale di costruzione, perchè nella specie non poteva ritenersi sussistente un vincolo di accessorietà di tale area alla parte edificata, ma al contrario un complesso edilizio funzionalmente unitario in cui la parte strettamente edificata non avrebbe potuto assolvere la propria funzione senza l'apporto dell'area scoperta. Non sarebbe stato infatti concepibile un distributore di carburanti senza un'adeguata area di manovra ed un'area destinata all'interramento delle cisterne di deposito. Nella specie doveva pertanto trovare applicazione non il criterio previsto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ma il valore venale L. n del 1865, ex art. 39. Precisava poi la Corte di merito che doveva tenersi conto che l'esproprio e l'occupazione avevano interessato soltanto una porzione del mappale in controversia, si che l'area residua andava detratta nel calcolo del valore venale. Poiché però tale area non aveva un valore autonomo, in pratica il valore venale coincideva con il valore economico dell'intero al momento dell'esproprio. Doveva poi farsi riferimento al valore reddituale della stazione di servizio prima che essa venisse distrutta in conseguenza dell'esproprio ai sensi dell'art. 42 Cost., comma 3, senza che rilevasse che essa fosse gestita da terzi, dovendo considerarsi l'astratta redditività del bene e dovendosi tener conto del pregiudizio subito dai titolari di diritti personali sul bene ablato. Non rilevava la precarietà della concessione per stazione di servizio, perché tale autorizzazione non era stata revocata alla data dei provvedimenti ablativi, mentre il semplice astratto rischio di revoca aveva costituito componente della valutazione del valore di mercato del bene. Nè poteva sostenersi che la dichiarazione di pubblica utilità da parte della Regione del complesso di opere di cui faceva parte quella poi realizzata sull'immobile oggetto di causa comportasse revoca implicita della concessione alla gestione per stazione di servizio, perché la competenza a concedere e revocare le autorizzazioni era del Comune e non della Regione. Quanto all'indennità di occupazione la Corte riteneva che la stessa fosse stata correttamente calcolata dal c.t.u. come interesse legale sull'indennità di esproprio virtuale. Non era fondata la tesi degli attori secondo i quali l'indennità doveva essere calcolata con riguardo al reddito mensile della stazione di servizio, costituendo l'interesse legale un criterio residuale. Poiché infatti gli attori avevano dato in gestione a terzi la stazione di servizio, avrebbe dovuto farsi riferimento semmai al canone di locazione percepito e non al reddito degli impianti. Poiché però il corrispettivo della locazione non era stato indicato, occorreva considerare l'interesse legale. Non poteva invece tenersi conto dell'avviamento, ai fini della determinazione delle indennità, perché esso era già stato considerato nel calcolo del reddito capitalizzato 2

3 per la determinazione del valore venale ai fini dell'indennità di espropriazione, determinandosi altrimenti una duplicazione di voci. Avverso la sentenza ricorrono per cassazione A.A., A.S., nella qualità di successori ex lege di A. G. nelle more deceduto, e F.G., in proprio e quale successore ex lege di A.G. articolando un unico motivo. Resiste con controricorso la Provincia di Torino che ha anche proposto ricorso incidentale con quattro motivi, cui i ricorrenti hanno replicato con controricorso. I ricorrenti principali hanno depositato elenco documenti prodotti nelle forme di cui all'art. 372 c.p.c. (attestato di notorietà relativo alla successione ex lege di A.G.). La ricorrente incidentale ha depositato memoria illustrativa. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c.. E' preliminare l'esame dell'eccezione sollevata dalla Provincia controricorrente che deduce che la sentenza impugnata è stata oggetto di notifica reiterata ad istanza dei ricorrenti principali, una prima volta in forma esecutiva il ed una seconda volta, a seguito di ordinanza recante correzione di errore materiale, il , in una con l'ordinanza ora citata. Poichè la notificazione della sentenza è idonea a far decorrere il termine breve per la proposizione del gravame per il notificante, il ricorso principale sarebbe tardivo, ancorchè entrambe le notificazioni siano nulle perchè effettuate alla sede della Provincia e non al procuratore domiciliatario. La notifica della sentenza in forma esecutiva alla controparte personalmente è inidonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione nei confronti sia del notificando che del notificante: l'art. 326 c.p.c. collega la decorrenza del termine breve di impugnazione di una sentenza non alla conoscenza, sia pure legale, di essa, ma al compimento di una formale attività acceleratoria e sollecitatoria, data dalla notifica nelle forme previste dagli artt. 285 e 170 c.p.c., conseguendone che la notifica di una sentenza al domicilio reale della parte anziché presso il suo procuratore costituito, pur non essendo nulla, ma anzi pienamente valida ad altri fini, è inidonea alla decorrenza del termine per impugnare, anche per colui che l'ha notificata (Cass , n ; Cass , il. 1675; Cass , n. 5274; Cass , n. 1069). 2. Con l'unico motivo del ricorso i ricorrenti principali deducono violazione della L. n del 1865, artt. 71, 72 e 24 e ss. nonché difetto e contraddittorietà di motivazione. Nel determinare l'indennità di occupazione la Corte aveva affermato che non poteva farsi riferimento al reddito ricavabile dalla stazione di servizio perchè i ricorrenti l'avevano data in gestione a terzi e non avevano indicato il canone di locazione che ne ricavavano. In realtà l'impianto era stato affidato in gestione a terzi con contratto di comodato gratuito ed i ricorrenti avevano continuato a ricavarne un reddito autonomo in proporzione alla quantità di carburante erogato, corrisposto loro direttamente dall'impresa petrolifera che "colorava" l'impianto, secondo la convenzione vigente tra le parti. La Corte non avrebbe considerato che risultava dai documenti prodotti che vi era un contratto di comodato in atto e non una locazione, locazione che è vietata dal D.P.R. n del 1971, art. 19 che vieta la concessione in gestione a terzi a titolo oneroso. Era stato anche documentato che 3

4 al proprietario dell'impianto, indipendentemente da quanto riconosciuto all'effettivo gestore, spettavano "abbuoni" proporzionali al carburante erogato da parte della compagnia petrolifera che "colorava" gli impianti. Di tali circostanze aveva dato atto il c.t.u. affermando che risultava dai documenti in atti che, alla data di emanazione del decreto di occupazione di urgenza, il corrispettivo riconosciuto dall'impresa petrolifera al proprietario dell'impianto era di L. 56,24 per ogni litro di carburante erogato. Di tali elementi la Corte d'appello avrebbe tenuto conto nel determinare il reddito degli impianti ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio, ma non ai fini della determinazione dell'indennità di occupazione. Donde il vizio di contraddittorietà della motivazione. 3. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Provincia di Torino deduce violazione della L. 25 giugno 1865, n e successive modificazioni, della L. n. 359 del 1992 nonchè difetto e contraddittorietà della motivazione. Lamenta che, in violazione della L. n del 1865, art. 40 la Corte di merito abbia disatteso il criterio di stima differenziale non essendo stata espropriata l'intera entità del bene, ma soltanto una parte. La Corte d'appello ha ritenuto che la parte non espropriata non avesse alcun valore e pertanto non incidesse sulla determinazione del valore della parte espropriata, ma tale conclusione sarebbe errata perché la porzione immobiliare non espropriata doveva pur sempre avere il valore ad essa attribuibile quale terreno agricolo. Non si comprenderebbe perché terreni che, ove acquisiti coattivamente, dovrebbero pur sempre essere indennizzati a valore agricolo L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis dovrebbero valere zero rimanendo nella proprietà dell'espropriato. Con il secondo motivo la Provincia deduce violazione della L. n del 1865, art. 39 e successive modificazioni nonchè difetto e contraddittorietà della motivazione. La Corte d'appello avrebbe errato nella determinazione del valore venale della stazione di servizio qualificandola come impianto industriale, anzichè, come deriva dalla sua natura, come esercizio commerciale. La Corte d'appello, demandando al c.t.u. di stabilire il valore di mercato dell'intero mappale, tenendo conto della redditività come bene aziendale, avrebbe obliterato la necessità di ricorrere al metodo sintetico comparativo ovvero a quello analitico ricostruttivo, senza tener conto del valore dell'azienda che non veniva espropriata, essendo questione invece dell'esproprio di una proprietà immobiliare, dovendo peraltro riferirsi la titolarità dell'azienda a soggetto diverso da quelli espropriati. Con il terzo motivo la Provincia deduce ancora violazione della L. n del 1865, art. 39 e successive modificazioni e del D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32 nonchè difetto e contraddittorietà della motivazione. La Corte avrebbe determinato l'indennità di esproprio tenendo conto, sulla scorta della c.t.u., soltanto della redditività del bene espropriato, mentre si sarebbe dovuto considerare tale parametro unitamente ad altri. Inoltre il c.t.u. ha valutato la redditività in un arco di nove anni, considerando sia i ricavi di pertinenza degli espropriati che quelli di pertinenza degli effettivi gestori, trascurando che ai sensi della L. n del 1865 occorre considerare il giusto prezzo in una libera contrattazione di mercato e quindi con riferimento alle caratteristiche oggettive del bene, senza tener conto di profili soggettivi. 4

5 Inoltre la Corte non avrebbe considerato che la concessione regionale - di durata diciottennale - era già stata sostituita dalla concessione comunale, revocabile in qualsiasi momento per ragioni di indole sanitaria, urbanistica, ambientale e di sicurezza stradale, ai sensi del D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32, art. 2. Ancora la Corte di merito avrebbe trascurato che i ricavi percepiti dai gestori dell'impianto costituiscono mero corrispettivo dell'attività svolta e pertanto non possono confluire nella valutazione della redditività del bene espropriato. Con il quarto motivo la Provincia ricorrente deduce violazione della L. n. 142 del 1990, art. 27 e successive modificazioni nonché difetto e contraddittorietà della motivazione. Lamenta che la Corte abbia disatteso la tesi da essa sostenuta che l'autorizzazione (già concessione) all'esercizio della stazione di servizio sarebbe stata implicitamente revocata con l'approvazione con D.P.G.R. Piemonte n. 52 del 1998 dell'opera viaria realizzata sul fondo de quo, incompatibile con il mantenimento in loco della stazione di servizio. Nell'affermare che non poteva esservi revoca implicita in conseguenza del fatto che l'autorizzazione era di competenza del Comune e non della Regione, la Corte non avrebbe considerato che con D.P.G.R. n. 52 del 1998 era stato adottato l'accordo di programma L. n. 142 del 1990, ex art. 27 avente ad oggetto la realizzazione di opere pubbliche, tra cui quella interessante l'area poi espropriata. Il la Regione (omissis), la Provincia ed i comuni interessati tra cui quello di (omissis), avevano approvato una proposta di modifica dell'accordo, avente ad oggetto tra l'altro la realizzazione della variante alla strada provinciale n. (omissis) ed il relativo piano particellare di esproprio. Con delib. 21 luglio 1998, n. 71 tale proposta di modifica era stata approvata anche dal Consiglio comunale di Grugliasco. La modifica all'accordo di programma era stata poi approvata con il già ricordato D.P.G.R. 5 agosto 1998, n. 52. Di conseguenza l'accordo di programma era idoneo a determinare la revoca della autorizzazione e la Corte d'appello avrebbe confuso la competenza regionale alla formalizzazione dell'atto, avente portata ed effetti di dichiarazione di pubblica utilità, con la competenza, esercitata dal Comune di Grugliasco, alla modifica del proprio strumento urbanistico. 4. E' preliminare l'esame dei motivi del ricorso incidentale. Il primo motivo è fondato. La ricorrente incidentale si duole che la Corte d'appello abbia ritenuto di nessun valore la parte del terreno non espropriata, si da concludere che essa non era idonea a diminuire il valore della più ampia porzione espropriata per i fini di cui alla L. n del 1865, art. 40. Lamenta la ricorrente che quantomeno si sarebbe dovuto considerare il valore agricolo del terreno, mentre la Corte di merito ha osservato che dalla c.t.u. era risultato che l'area in parola, della superficie di mq. 396 e di forma irregolare, era gravata da servitù di passaggio di macchine agricole e che su di essa era collocato un traliccio dell'energia elettrica, si che il suo valore di mercato era praticamente nullo. La disposizione della L. n del 1865, art. 40 prevede, in ipotesi di espropriazione parziale, il pagamento di un'unica indennità, costituita dalla 5

6 differenza tra il giusto prezzo che l'immobile avrebbe avuto prima dell'occupazione ed il giusto prezzo della residua parte dopo l'occupazione. Ai fini della determinazione del giusto prezzo dell'area residua occorre considerare che, sia ai sensi della disciplina dettata dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, sia del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 38 e 40 che hanno sostituito la disciplina previgente, un'area interessata da procedura di espropriazione o, come nel caso di specie, oggetto comunque di valutazione ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, deve essere considerata edificabile se possiede autonome possibilità di sfruttamento edificatorio ovvero come area agricola, se interessata da vincolo di inedificabilità (cfr. Cass , n ). Ne deriva che la Corte di appello, nell'affermare che in ragione dei vincoli esistenti, l'area residua non era suscettibile di utilizzo alcuno ed era pertanto priva di ogni valore, non ha adeguatamente considerato la disciplina di legge, posto che, i vincoli indicati dalla Corte di merito (l'insistenza sul terreno di un traliccio dell'energia elettrica e l'asservimento al passaggio di mezzi agricoli) non sono comunque idonei ad escludere la valutazione quale area agricola inutilizzata, dovendosi far riferimento, in difetto di maggior valore, al criterio residuale costituito dal valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, comma 2). 5. Anche il secondo motivo del ricorso incidentale è fondato. La Corte d'appello ha considerato il valore di mercato del bene, avuto riguardo alla sua destinazione a stazione di servizio, affermando che la redditività incideva sul valore in questione. E' peraltro evidente che in tal modo essa ha disatteso l'insegnamento di questa Corte perchè il prezzo di mercato cui occorreva far riferimento era quello dell'area, non dell'azienda su di essa insistente. Come hanno infatti chiarito le Sezioni Unite di questa Corte (Cass , n. 5609) e come ha confermato la giurisprudenza successiva, l'indennità di espropriazione non può superare in nessun caso il valore determinabile con l'applicazione del criterio legale, senza che abbia rilievo il reale pregiudizio che il proprietario od altro titolare di minore diritto di godimento risentono come effetto dal non potere ulteriormente svolgere, mediante l'uso dello stesso immobile, la precedente attività. Ne consegue che, estinto il diritto di proprietà, ove risulti impedito sul luogo l'ulteriore svolgimento dell'impresa che utilizzava gli immobili per fornire i propri servizi, l'espropriazione non si estende al diritto dell'imprenditore su di essi, si che il valore del bene espropriato debba comprendere quello dell'azienda in se considerata, quale complesso funzionale organizzato, risultante da una pluralità di elementi. Pertanto, nel caso di espropriazione di terreno destinato a parcheggio a servizio di struttura alberghiera, le perdite aziendali lamentate dall'espropriato non sono suscettibili di indennizzo, e l'applicazione del criterio legale previsto nel caso di espropriazione parziale è sufficiente a compensare la perdita subita (nella specie disciplinata dalla L.P. Trentino Alto Adige 19 febbraio 1993, n. 63, art. 15 bis riproduttivo della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40), assumendo le perdite aziendali rilevanza autonoma rispetto alla perdita dominicale 6

7 solo nella diversa ipotesi di espropriazione di azienda agricola L. 22 ottobre 1971, n. 865, ex art. 16. (Cass , n. 2424; conf. Cass , n ). In altri termini nella determinazione del valore venale della res oggetto di espropriazione, secondo il criterio dettato dalla L. n del 1865, art. 40 occorre tener presente la differenza tra l'area espropriata, comprensiva degli edifici che vi insistono, e l'azienda. Il pregiudizio che il proprietario o il titolare di altro diritto sul bene subisce per non poter più esercitare l'impresa in quel luogo non è oggetto di indennizzo, perché l'indennità di espropriazione è commisurata al valore venale del bene, non dell'azienda. Di conseguenza le costruzioni esistenti sull'area vanno considerate nel loro valore in sé, non per il diverso valore che esse possono avere in rapporto alla particolare destinazione connessa all'attività d'impresa e dunque alla circostanza di essere adibite a sede dell'azienda, facendo parte, secondo la definizione dettata dall'art c.c. del complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Si sottraggono al principio ora esposto soltanto le res che per loro natura hanno carattere di bene produttivo, quali le cave e le miniere. Per tali beni, infatti, si è affermato che il reddito correlato alla estrazione del materiale per tutto il tempo della sua prevista utilizzabilità costituisce il razionale riferimento ai fini indennitari per l'ablazione (Cass , n in tema di cava) ovvero che occorre considerare i proventi che l'espropriato sarebbe stato in grado di ricavare, in una libera contrattazione, per effetto dell'esercizio dell'attività estrattiva (Cass , n , in tema di miniera). Al di fuori di queste ipotesi, occorre distinguere il valore in sé dell'area o del fabbricato e delle attrezzature che su di essa insistono, in ragione delle loro specifiche caratteristiche, da quello connesso all'esercizio di attività produttiva o commerciale, che non è insita nella res, si che non può venire in considerazione l'incidenza dell'esercizio dell'impresa, sia esso attuale o potenziale, sul prezzo di mercato del bene, che va stabilito con riferimento alla res in quanto tale. Ne deriva che, come hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte, quando sull'immobile espropriato siano stati costruiti edifici ed installate attrezzature al fine di imprimergli - in tutto o in parte - una destinazione industriale, l' espropriazione dell'immobile si estende a tutto quanto vi si presenti stabilmente impiantato, e, per la parte in cui gli immobili espropriati presentino destinazione industriale, essi devono essere in tal modo valutati, per stabilirne il valore venale, nell'ambito in cui ciò rilevi ai fini del criterio indennitario applicabile (Cass. 5609/98 cit.). Tale valutazione però non può essere effettuata avendo riguardo alla redditività dell'impresa che su quell'area e con quegli edifici ed attrezzature è stata esercitata, ma al bene in se, sia pur tenuto conto della sua destinazione oggettiva. Non tenendo conto di tale fondamentale distinzione, la Corte di appello ha calcolato il valore venale dell'area espropriata come se dovesse essere stabilito il valore dell'azienda, che proprio in ragione del suo essere res produttiva, è normalmente determinato con riferimento alla redditività, azienda però che, come si è detto, non è oggetto di espropriazione e dunque di indennizzo. 7

8 La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Torino in diversa composizione, che pronuncerà anche sulle spese del giudizio di cassazione. I restanti motivi del ricorso incidentale ed il ricorso principale sono assorbiti. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti il terzo ed il quarto ed il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino in diversa composizione, anche per le spese. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 17 febbraio Depositata in Cancelleria il 6 aprile

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