1. Termini per la rivalutazione

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2 1. Termini per la rivalutazione L art. 1 del decreto di attuazione contiene chiarimenti in merito al bilancio nel quale deve essere eseguita la rivalutazione, ancorché facoltativa, e sempreché si tratti di beni risultanti dal bilancio relativo all esercizio chiuso entro il 31 dicembre In particolare, l art. 1 del decreto, dopo aver ribadito che la rivalutazione può essere effettuata nel bilancio relativo all esercizio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999 (di norma l esercizio 2000, per le società con esercizio coincidente con l anno solare), stabilisce che le società e gli enti, che hanno approvato detto bilancio entro la data di pubblicazione del decreto stesso, possono eseguire la rivalutazione nel bilancio dell esercizio successivo( 1 ). Con tale disposizione vengono superati i problemi connessi alla formulazione dell art. 11 della legge n. 342/2000, che stabilisce che la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio dell esercizio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999, per il quale il termine di approvazione scade successivamente alla data di entrata in vigore della legge (10 dicembre 2000). In pratica, per i soggetti con esercizio non coincidente con l anno solare, il cui termine per l approvazione del bilancio è scaduto entro il 10 dicembre 2000, l applicazione della disciplina della rivalutazione è rinviata ex lege al secondo esercizio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999, essendo tale esercizio che soddisfa la duplice condizione posta dalla norma, ossia l essere non solo l esercizio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999, ma anche il primo ad essere approvato dopo l entrata in vigore della legge (10 dicembre 2000). Rimaneva tuttavia il problema di quelle società ed enti per i quali il termine per l approvazione del bilancio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999 scadeva dopo l entrata i vigore della legge, ma prima della pubblicazione del decreto ministeriale di attuazione, e che avrebbero dovuto procedere, a pena di decadenza, alla rivalutazione dei beni nel suddetto bilancio, assumendosi quindi l onere di applicare la relativa disciplina in assenza di norme di attuazione. Il decreto di attuazione supera tale problema, consentendo di eseguire la rivalutazione nel secondo bilancio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999, qualora il primo bilancio successivo sia stato approvato entro la data di pubblicazione dello stesso. Tale disposizioni consente 1 Cfr. anche istruzioni al quadro RY del modello Unico 2001 società di capitali, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. 2

3 quindi, alle società con esercizio non coincidente con l anno solare, che versano in tali condizioni, di usufruire di un più ampio termine per la rivalutazione dei beni e, in definitiva, di valutarne meglio la convenienza. Data la formulazione dell art. 1 del decreto, si deve ritenere che anche le società ed enti con esercizio coincidente con l anno solare possano beneficiare del maggior termine per eseguire la rivalutazione, qualora abbiano approvato il bilancio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999 (il 2000), nel quale di norma deve essere eseguita la rivalutazione, entro la data di pubblicazione del decreto, circostanza, peraltro non infrequente, che potrebbe verificarsi in considerazione del ritardo che ha subito l emanazione delle norme di attuazione. Infatti, la deroga contenuta nell art. 1, per stabilire il bilancio nel quale deve essere eseguita la rivalutazione, fa riferimento alle società e agli enti che hanno approvato detto bilancio entro la data di pubblicazione del presente decreto, anziché al termine di scadenza per l approvazione del bilancio, che potrebbe anche essere successivo a quello di pubblicazione del decreto. 2. Beni rivalutabili e categorie omogenee In merito ai beni rivalutabili si rinvia alla ns. Circolare n. 33/2000 (cfr. par. 5.2). In questa sede occorre sottolineare che il decreto di attuazione ha chiarito che sono compresi fra i beni rivalutabili sia quelli di costo unitario non superiore ad un milione di lire (per i quali è consentita la deduzione integrale nell esercizio in cui il costo è stato sostenuto), sia quelli completamente ammortizzati, posseduti alla fine dell esercizio con riferimento al quale viene eseguita la rivalutazione, a condizione che risultino dal bilancio( 2 ). Relativamente ai beni immateriali completamente ammortizzati, il decreto, seguendo un criterio già indicato nelle norme di attuazione di precedenti leggi di rivalutazione (cfr. D.M. 14 febbraio 1991), ha stabilito che si considerano posseduti se gli stessi siano tuttora tutelati ai sensi delle vigenti disposizioni in materia. 2 Per le considerazioni in merito a tale condizione, cfr. la ns. Circolare n. 33/2000, pagg. 22 e 23. 3

4 L art. 2 del decreto ha inoltre specificato che la destinazione dei beni indicati nell art. 10 della legge n. 342/2000 (beni materiali e immateriali diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l attività dell impresa, nonché le partecipazioni in società controllate e in società collegate ai sensi dell art c.c., costituenti immobilizzazioni) deve risultare anche dal bilancio in cui la rivalutazione è eseguita. Ne deriva che non sono rivalutabili quei beni che avessero cessato di costituire, nel bilancio relativo all esercizio 2000 (per i soggetti con esercizio coincidente con l anno solare), beni strumentali, essendo diventati beni di magazzino, ancorché nel precedente bilancio fossero stati iscritti fra le immobilizzazioni materiali o immateriali, posto che non sono rivalutabili i beni merce. Lo stesso vale per le partecipazioni che avessero cessato di essere considerate immobilizzazioni finanziarie o che non fossero più relative a società controllate o collegate. L art. 2, comma 4, ribadisce che i beni si considerano acquisiti alla data del trasferimento del diritto di proprietà o altro diritto reale o della consegna con clausola di riserva della proprietà, criteri, questi, peraltro applicabili in generale per effetto dell art. 75 del TUIR. Il comma 4 stabilisce inoltre che, per i beni prodotti dal soggetto, direttamente o da altri per suo conto, si ha riguardo alla data in cui sono iscritti, anche parzialmente, in contabilità. Nel decreto di attuazione trova conferma il principio secondo il quale sono rivalutabili anche i beni acquisiti per effetto di fusione o scissione di società. Viene infatti specificato che in tal caso si fa riferimento alla data in cui i beni sono stati acquisiti da parte della società fusa, incorporata o scissa. Al contrario, il decreto non menziona i beni ricevuti a seguito di conferimenti di azienda in regime di neutralità ex art. 4 del D.Lgs. n.358/97 ovvero ex D.Lgs. n. 544/92, che parimenti dovrebbero essere considerati rivalutabili. Come illustrato nella ns. Circolare n. 33/2000, la rivalutazione deve riguardare tutti i beni appartenenti ad un medesima categoria omogenea e deve essere annotata nell inventario, oltre che nella nota integrativa. Al riguardo l art. 3 del decreto di attuazione contiene rilevanti novità, specie in materia di immobili e di beni mobili iscritti in pubblici registri. Infatti, le disposizioni di attuazione contenute nel decreto suddividono ulteriormente quelle che, secondo l art. 11 della legge n. 342/2000, 4

5 avrebbero dovuto costituire due distinte categorie omogenee, ossia gli immobili e i mobili iscritti in pubblici registri. Tale suddivisione consente di rendere più flessibile la disciplina della rivalutazione, e quindi di comprendere taluni beni e di escluderne altri, rendendola maggiormente appetibile. In particolare, ai fini della classificazione in categorie omogenee, gli immobili devono essere distinti in: aree fabbricabili aventi la stessa destinazione urbanistica; aree non fabbricabili; fabbricati non strumentali; fabbricati strumentali per destinazione ai sensi dell art. 40, comma 2, primo periodo, del TUIR; fabbricati strumentali per natura ai sensi dell art. 40, comma 2, secondo periodo, del TUIR, ossia i fabbricati relativi all impresa che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, anche se non utilizzati, o anche se dati in locazione. Si tratta di fabbricati, appartenenti alle categorie A/10, B, C, D ed E, che pur non essendo strumentali per l impresa, in quanto non utilizzati direttamente, tuttavia non costituiscono beni merce( 3 ). Con tale suddivisione viene quindi superato l orientamento interpretativo assunto dal Ministero in occasione della precedente legge di rivalutazione (cfr. circolare n. 9/9/388 del 10 aprile 1991, a commento della legge n. 408/90), in cui, relativamente ai terreni, aveva considerato non rivalutabili quelli compresi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione che sono stati oggetto di lottizzazione o di esecuzione di opere intese a renderli edificabili, indipendentemente dall attività svolta dall impresa, nel presupposto che tali terreni si presumessero destinati alla vendita. In 3 Cfr. istruzioni alla dichiarazione dei redditi per l anno I fabbricati classificabili nella categoria A/10 (uffici e studi privati) si considerano strumentali per natura a condizione che la destinazione ad uso ufficio o studio sia prevista nella licenza o concessione edilizia, anche in sanatoria. 5

6 base alle nuove disposizioni contenute nel decreto le aree fabbricabili sono invece rivalutabili, a condizione che non siano considerate beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l attività dell impresa. Si deve ritenere che l individuazione della categoria di appartenenza vada fatta con riferimento agli elementi esistenti al termine dell esercizio in cui viene eseguita la rivalutazione. Ne deriva che, nel caso di fabbricati strumentali per destinazione, risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre 1999, per i quali nel corso del 2000 sia cambiata la destinazione, divenendo, ad esempio strumentali per natura, si debba tenere conto della nuova classificazione ai fini della suddivisione in categorie omogenee. Lo stesso dicasi per un terreno agricolo divenuto area fabbricabile. In merito ai beni mobili iscritti in pubblici registri, il decreto stabilisce che, ai fini della suddivisione in categorie omogenee, essi si distinguono in: aeromobili; veicoli; navi e imbarcazioni iscritte nel registro internazionale; navi e imbarcazioni non iscritte nel registro internazionale. Per quanto riguarda gli altri beni materiali, diversi dagli immobili e dai beni mobili iscritti in pubblici registri, il decreto ribadisce il principio, già fissato in occasione della precedente legge di rivalutazione n. 408/90, che devono essere raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento, in conformità ai criteri indicati dall art. 16, comma 3, del DPR n. 600/73 per la tenuta del registro dei beni ammortizzabili. Come precisato dal decreto, tale criterio deve essere utilizzato anche per gli impianti e i macchinari infissi al suolo, per quali non è possibile far ricorso alla suddivisione in categorie omogenee prevista per gli immobili. Il decreto consente di escludere dalla relativa categoria omogenea, e quindi dalla rivalutazione, i beni a deducibilità limitata di cui agli articoli 121-bis e 67, comma 10, del TUIR. Si tratta dei mezzi di trasporto a motore e dei telefoni cellulari (servizio 6

7 radiomobile terrestre) per i quali la inclusione nelle rispettive categorie omogenee di appartenenza avrebbe comportato, qualora si fosse rivalutata l intera categoria, la corresponsione dell imposta sostitutiva senza che a fronte vi fosse la possibilità di dedurre i maggiori ammortamenti corrispondenti alla rivalutazione di tali beni a deducibilità limitata. La soluzione indicata dal Ministero consente quindi di superare i dubbi, sollevati anche nella ns. circolare n. 33/2000, circa il trattamento da riservare a tali beni. La facoltà di esclusione può essere esercitata anche per i beni ad uso promiscuo da parte degli imprenditori individuali o degli enti non commerciali. Relativamente ai beni immateriali, come per il passato il decreto stabilisce che la rivalutazione può essere effettuata distintamente per ciascuno di essi. Ciascun bene costituisce quindi una categoria omogenea a sé stante. Per quanto attiene le azioni e quote, costituenti immobilizzazioni finanziarie, sempreché rappresentative di partecipazioni di controllo o collegamento ai sensi dell art del codice civile, il decreto stabilisce che devono essere raggruppate in categorie omogenee per natura in conformità ai criteri di cui all art. 61 del TUIR. Viene quindi superato l orientamento espresso dal Ministero nella circolare n. 207/E del 16 novembre 2000, secondo il quale, per il raggruppamento delle azioni in categorie omogenee, avrebbe dovuto aversi riguardo anche al valore ; orientamento che aveva, peraltro, suscitato perplessità, posto che, per effetto dell art. 30, comma 8, della legge n. 724/94, il valore non costituisce più un elemento rilevante per la formazione delle categorie omogenee ai sensi dell art. 61 del TUIR. A tale riguardo il comma 2 dell art. 61 del TUIR stabilisce infatti che non si tiene conto del valore e si considerano della stessa natura i titoli emessi dallo stesso soggetto ed aventi uguali caratteristiche. La norma richiede quindi che le categorie omogenee dei titoli siano contraddistinte da: identità del soggetto emittente; uguaglianza delle caratteristiche, dove per caratteristiche dei titoli si intendono i diritti in essi incorporati( 4 ). 4 Cfr. N. Girolamo, L. Rossi, P. Scarioni, Le partecipazioni societarie nel reddito d impresa, IST Editore, 1997, pag

8 Ne deriva, in pratica, che la categoria omogenea è costituita da tutte le azioni, aventi le stesse caratteristiche (per es. azioni ordinarie), emesse da una stessa società, rappresentative della partecipazione di controllo o collegamento, con la conseguenza che sono rivalutabili le singole partecipazioni. In altri termini, la scelta di rivalutare una partecipazione non comporta l obbligo di rivalutare tutte le partecipazioni di controllo o di collegamento, posto che la categoria omogenea è costituita dalle azioni emesse dalla stessa società aventi le medesime caratteristiche e non dall insieme delle partecipazioni di controllo o di collegamento. Occorre peraltro rilevare che l art. 4 del decreto, a differenza di quello di attuazione della precedente legge n. 408/90 (cfr. art. 5, comma 2, del D.M. 14 febbraio 1991), non prevede alcuna specifica disposizione in merito alla rivalutazione delle partecipazioni non rappresentate da titoli (per es. le quote di società a responsabilità limitata). In particolare, non viene precisato che per le quote la rivalutazione deve essere effettuata distintamente in relazione a ciascuna società controllata o collegata, posto che le partecipazioni non rappresentate da titoli non possono mai formare oggetto di categorie omogenee. Si deve tuttavia ritenere che, anche in assenza di un apposita disposizione, continuino ad essere valide le disposizioni contenute nel D.M. 14 febbraio 1991, atteso che l art. 16 della legge n. 342/2000 richiama le disposizioni contenute nelle precedenti leggi di rivalutazione e quelle relative di attuazione. Ne consegue che le quote di partecipazioni di società a responsabilità limitata devono essere rivalutate distintamente, senza ricorrere al raggruppamento in categorie omogenee. Sempre in tema di partecipazioni, occorre rilevare che la rivalutazione produce effetti sulle eventuali stratificazioni LIFO. Infatti, come chiarito dal Ministero delle Finanze (cfr. la citata circolare n. 9/9/388 del 1991), poiché la rivalutazione si configura come una rivalutazione economica e non puramente monetaria, si perdono le stratificazioni LIFO, formatesi nei precedenti esercizi. Invero, il Ministero è pervenuto a tale conclusione quando le categorie erano considerate omogenee, oltre che per natura, anche per valore; interpretazione che, secondo l Assonime( 5 ) deve ritenersi ancora valida. Ne consegue che, qualora in esercizi successivi a quello di rivalutazione si 5 Cfr. Circolare n. 13 del 27 febbraio 2001, paragrafo 9. 8

9 configurino i presupposti per la svalutazione della partecipazione, si dovrebbe considerare, per le partecipazioni acquisite fino alla chiusura dell esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999, l ultimo bilancio approvato dalla partecipata prima della rivalutazione effettuata dalla partecipante, senza tenere conto dei bilanci approvati dalla partecipata anteriormente all acquisto delle azioni o quote. Sarebbe infatti tale bilancio che andrebbe confrontato con l ultimo bilancio approvato dalla partecipata, al fine di stabilire la svalutazione fiscalmente rilevante, con notevoli semplificazioni, specie in caso di partecipazioni acquisite in tempi non recenti, sia da parte del contribuente che da parte dell Amministrazione finanziaria in sede di accertamento. Ove le partecipazioni da rivalutare fossero state oggetto di svalutazione in precedenti esercizi, tuttavia senza effetti fiscali per mancanza dei presupposti indicati dagli artt. 61 e 66 del TUIR, riteniamo che la rivalutazione debba avvenire senza pagamento dell imposta sostitutiva fino a concorrenza del costo fiscalmente riconosciuto. Né dovrebbe procedersi, prima della rivalutazione, al cd. riallineamento dei valori previsto dall art. 14 della legge n. 342/2000 (cfr. ns. Circolare n. 33/2000), posto che tale disciplina riguarda i beni il cui valore di iscrizione in bilancio è superiore al costo fiscalmente riconosciuto, e cioè un caso opposto a quello in esame. Si ritiene inoltre che il saldo attivo risultante dalla rivalutazione, da iscrivere nella apposita riserva con riferimento alla legge n. 342/2000 o da imputare a capitale sociale, con rilevanti vincoli fiscali, sia soltanto quello riferibile alla differenza fra il nuovo valore di iscrizione in bilancio della partecipazione ed il costo fiscalmente riconosciuto, ovviamente al netto della relativa imposta sostitutiva. Riteniamo invece che, fino a concorrenza del costo fiscalmente riconosciuto, l importo della rivalutazione dovrebbe essere iscritto in una distinta riserva, la quale, pur non essendo soggetta a vincoli fiscali in merito alla distribuzione, sarà tuttavia soggetta ai medesimi vincoli civilistici dei saldi attivi di rivalutazione, posto che si tratterebbe pur sempre di un saldo attivo di rivalutazione, e quindi di riserva soggetta ad un regime sostanzialmente analogo a quello del capitale sociale. Ove tale saldo attivo fosse iscritto nella medesima riserva ex lege n. 342/2000, riteniamo che dovrebbe comunque tenersi distinto il relativo importo. Un altro problema che si pone, sempre con riferimento alle partecipazioni, è se sia rivalutabile l incremento registrato nel corso dell esercizio al termine del quale è 9

10 eseguita la rivalutazione (di norma il 2000 per le società con esercizio coincidente con l anno solare) di una partecipazione di controllo o collegamento già risultante dal bilancio chiuso entro il 31 dicembre Si deve ritenere che, in mancanza di una specifica disposizione, le azioni o quote acquistate nel 2000 non possano essere rivalutate( 6 ), in quanto si tratta di beni acquistati successivamente all esercizio (1999) con riferimento al quale sono individuati i beni rivalutabili. Occorre tuttavia rilevare che nel caso in cui l impresa abbia adottato, per la valutazione dei titoli, il metodo della media ponderata, anziché il LIFO, la rivalutazione, pur essendo determinata solo con riferimento alle partecipazioni possedute al termine dell esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999, rifletterebbe proporzionalmente e in modo automatico i suoi effetti anche sugli acquisti successivi. L art. 4 del decreto stabilisce infine il principio che la rivalutazione dei beni facenti parte di ciascuna categoria omogenea deve essere eseguita in base ad unico criterio valevole per tutti i beni ad essa appartenenti. Si tratta di un principio già affermato in precedenti provvedimenti di rivalutazione. L unicità del criterio sta a significare che se l impresa, nell effettuare la rivalutazione, decide di attestarsi su valori inferiori ai valori di mercato, ad esempio pari al 90% di questo, deve utilizzare tale criterio per tutti i beni appartenenti alla medesima categoria omogenea; allo stesso modo, se decide di fare ricorso ai valori di utilizzazione dei beni (vedi infra par. 4), anziché a quelli di mercato, tale criterio deve essere applicato a tutti i beni costituenti la categoria, fermo restando che il criterio del valore di mercato potrà essere utilizzato per la rivalutazione dei beni appartenenti ad altre categorie omogenee. Il principio dell unicità del criterio non implica che tutti i beni appartenenti alla medesima categoria subiscano uno stesso incremento, in quanto se alcuni di essi già risultano iscritti ad un valore economico coincidente con quello prescelto, la rivalutazione dovrà essere operata solo sui rimanenti beni, ciascuno in relazione alla differenza esistente fra il valore di iscrizione in bilancio e quello economico prescelto. 6 Cfr. Assonime, circolare cit. 10

11 3. Modalità di rivalutazione In merito alle modalità con le quali deve essere eseguita la rivalutazione, il decreto lascia ampia libertà di scelta sulle tecniche contabili utilizzabili dalle imprese. In particolare, l art. 5 del decreto, con riferimento ai beni ammortizzabili, materiali e immateriali, stabilisce che la rivalutazione può essere eseguita: a) rivalutando sia i costi storici sia i fondi ammortamento, in misura tale da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti( 7 ); b) incrementando solo i costi storici; c) riducendo, in tutto o in parte, i fondi di ammortamento. Si tratta di differenti tecniche contabili che implicano diverse conseguenze fiscali. Infatti, mentre i metodi a) e b) consentono, seppur in misura diversa, di dedurre maggiori quote di ammortamento, nonché di usufruire di un maggior plafond sul quale calcolare le spese di manutenzione deducibili ai sensi dell art. 67, comma 7, del TUIR, il metodo c) non implica tale conseguenza, in quanto, anche nel caso in cui la riduzione del fondo di ammortamento fosse effettuata al fine di eliminare gli effetti degli ammortamenti operati in applicazione di norme tributarie, non si avrebbe la deduzione di una maggiore quota d ammortamento, ma la possibilità di dedurre le stesse quote già dedotte in precedenza; risulterebbe inoltre inalterato il plafond per la deduzione delle spese di manutenzione costituito dal costo storico del bene, che non verrebbe incrementato. Inoltre, a differenza del metodo a), che consente di concludere il processo di ammortamento nel termine dell originario piano di ammortamento, il metodo b) comporta un allungamento della vita utile del cespite, mentre il metodo c) comporta un allungamento del periodo fiscale di ammortamento. Come accennato, l art. 5 precisa che la rivalutazione può essere eseguita anche al fine di eliminare gli effetti degli ammortamenti operati in applicazione di norme tributarie. 7 Tale modalità di rivalutazione era stata indicata anche nella circolare ministeriale n. 207/E del 16 novembre 2000 (cfr. ns. circolare n. 33/2000, pagg ). 11

12 Tale disposizione consente di disinquinare il bilancio da rettifiche di valore (gli ammortamenti) di origine esclusivamente fiscale, già evidenziate e motivate nella nota integrativa di precedenti esercizi, che, seppur legittimamente iscritte in bilancio, denotano, proprio perché prive di un fondamento economico, un fenomeno di sottostima dei beni cui afferiscono. In un certo senso, la rivalutazione effettuata mediante la riduzione del fondo di ammortamento, per la parte costituita dagli ammortamenti effettuati in applicazione di norme tributarie, costituisce un alternativa alla riclassificazione degli ammortamenti anticipati pregressi consentita dall art. 6, comma 7, della legge n. 388/2000 (cfr. ns. Circolare n. 6/2001), con la differenza che con la rivalutazione si cancellano gli effetti di tali ammortamenti e, quindi, si ottiene l allungamento del periodo fiscale di ammortamento. Va inoltre rilevato che, a differenza della riclassificazione degli ammortamenti anticipati, la rivalutazione effettuata mediante la riduzione del fondo di ammortamento non richiede lo stanziamento delle imposte differite. Si deve infatti ritenere che la rivalutazione effettuata con tale tecnica contabile annulli le differenze temporanee da cui scaturiscono le imposte differite, posto che i futuri ammortamenti saranno deducibili anche fiscalmente. In tale prospettiva, tale metodo di rivalutazione potrebbe risultare interessante per quelle società che procedendo alla riclassificazione degli ammortamenti anticipati sarebbero costrette ad imputare a conto economico le imposte differite, per carenza di riserve disponibili. L art. 5 stabilisce infine che i criteri seguiti per la rivalutazione devono essere indicati nella nota integrativa. Si deve ritenere che il termine criteri sia utilizzato impropriamente, dovendosi intendere, più correttamente, che il riferimento sia alle modalità di rivalutazione, ossia alle tecniche contabili seguite per effettuare la rivalutazione, posto che l art. 5 riguarda tali modalità. I criteri sono invece quelli indicati dal successivo art. 6 per l individuazione del limite economico, ossia il riferimento al valore corrente di mercato, ovvero al cd. valore interno d uso, che, come accennato devono essere unici per tutti i beni appartenenti ad una medesima categoria (cfr. 4, comma 8, del decreto). Ne consegue che, anche rivalutando beni appartenenti alla stessa categoria, è comunque possibile applicare diversi metodi (rectius modalità) di rivalutazione, fermo restando l unicità del criterio per l individuazione del valore (di mercato o d uso) preso a riferimento per la rivalutazione, posto che la norma non lo vieta. Non è chiaro invece se sia possibile 12

13 utilizzare, con riferimento ad un medesimo bene, metodi misti, ad esempio incrementando il costo storico (metodo b) e riducendo il fondo di ammortamento (metodi c)( 8 ). Dal tenore letterale dell art. 5 del decreto, almeno nella versione inviata al Consiglio di Stato per l acquisizione del relativo parere, si dovrebbe ritenere che ciò non sia possibile, posto che tali metodi sembrerebbero alternativi ( rivalutando soltanto i valori dell attivo loro o riducendo in tutto o in parte i fondi di ammortamento ), anche se sotto il profilo sistematico non dovrebbero esservi particolari controindicazioni dall applicazione congiunta di tali metodi, specie se ciò risulti coerente con la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale (art. 2423, comma 2, del codice civile). 4. Limite economico alla rivalutazione La rivalutazione non può comportare in nessun caso l iscrizione in bilancio di valori superiori a quelli effettivamente attribuibili ai beni (il cd. valore economico). Tale vincolo esplica effetti, oltre che sotto il profilo fiscale, anche sotto quello civilistico, posto che la rivalutazione, pur costituendo una deroga agli ordinari criteri civilistici, non può comportare l iscrizione in bilancio di valori inattendibili, e cioè superiori al valore economico, ma, al contrario, deve essere effettuata nel rispetto del generale principio, previsto dall art. 2423, comma 2, del codice civile, della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale. In altri termini, la rivalutazione non può comportare una sopravvalutazione del patrimonio sociale. In tale prospettiva, per l individuazione del valore economico la legge (cfr. art. 11, comma 2, della L. n. 342/2000) stabilisce due criteri alternativi: da un lato, il criterio del cd. valore interno o d uso, ossia quello determinato dall utilizzo diretto del bene nell ambito del processo produttivo da stimarsi in base alla consistenza dei beni, alla loro capacità produttiva e alla loro effettiva possibilità di economica utilizzazione nell impresa ; dall altro, il criterio del valore di mercato, basato sui valori correnti e sulle quotazioni rilevate sui mercati regolamentati italiani ed esteri. Si tratta di criteri che già erano stati adottati dal legislatore in occasione di precedenti leggi di rivalutazione. 8 Cfr., in tal senso la citata circolare Assonime. 13

14 L art. 6 del decreto esplicita tali criteri stabilendo che anche ai fini fiscali, il valore attribuito ai singoli beni in esito alla rivalutazione degli articoli 10 e seguenti della legge, al netto degli ammortamenti, non può in nessun caso essere superiore al valore realizzabile nel mercato, tenuto conto dei prezzi correnti e delle quotazioni di Borsa, o al maggior valore che può essere fondatamente attribuito in base alla valutazione della capacità produttiva e della possibilità di utilizzazione economica nell impresa. Ne deriva che il limite massimo entro il quale la rivalutazione può essere eseguita è costituito dal maggiore fra i due parametri (valore di mercato o valore interno d uso), parametri che, in concreto, sono nella maggior parte dei casi alternativi. Come previsto specificamente dal decreto, tale limite rileva anche ai fini fiscali. Si deve quindi ritenere che l eventuale iscrizione di valori eccedenti il limite economico produca l irrilevanza fiscale degli stessi con la conseguenza, per esempio, che non sarebbero deducibili le maggiori quote di ammortamento, né i maggiori valori iscritti concorrerebbero a formare il plafond per la deduzione delle spese di manutenzione. Dall irrilevanza fiscale dei maggiori valori iscritti oltre il limite economico dovrebbe inoltre conseguire la mancanza del presupposto ab origine dell imposta sostitutiva( 9 ). In sostanza, si deve ritenere che neppure il carattere oneroso della rivalutazione consenta il riconoscimento fiscale di valori fittizi, oltre ovviamente a costituire un irregolarità di carattere civilistico. Il decreto chiarisce inoltre che il quantum massimo di rivalutazione effettuabile è costituito dalla differenza fra il suddetto valore di mercato ovvero, se superiore, il valore interno e il costo residuo del bene prima della rivalutazione ridotto della sola quota d ammortamento dell esercizio riferibile al precedente valore di iscrizione. Infatti, l art. 6, comma 1, secondo periodo, del decreto stabilisce che il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, aumentato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può essere superiore al valore realizzabile o fondatamente attribuito. In altri termini, le maggiori quote d ammortamento, conseguenti all iscrizione in bilancio di maggiori valori, non devono interferire con la determinazione del quantum rivalutabile, 9 Cfr. in tal senso la citata circolare dell Assonime. 14

15 dovendosi determinare il valore massimo della rivalutazione come se l impresa avesse rinviato al successivo esercizio la possibilità di stanziare i maggiori ammortamenti. Per quanto concerne il limite economico delle rivalutazioni delle partecipazioni di controllo o collegamento, il decreto ministeriale stabilisce che le azioni non quotate in mercati regolamentati e le partecipazioni non azionarie possono essere rivalutate nel limite del valore ad essere attribuibile in proporzione al valore effettivo del patrimonio netto della società partecipata. Il riferimento al valore effettivo esclude quindi che possa farsi riferimento al patrimonio netto contabile, che non è indicativo del valore economico della società. Per le partecipazioni in società quotate deve invece farsi riferimento alle quotazioni di Borsa (cfr. art. 6, comma 1, del decreto). Qualora la rivalutazione riguardi partecipazioni di controllo o di collegamento valutate con il metodo del patrimonio netto di cui all art. 2426, n. 4), del codice civile (cd. equity method), la rivalutazione comporterebbe necessariamente l abbandono del suddetto criterio, posto che il valore al quale verrebbe iscritta la partecipazione non corrisponderebbe alla corrispondente frazione del patrimonio netto contabile della partecipata. Occorre tuttavia rilevare che la rivalutazione delle partecipazioni valutate con l equity method non annulla le eventuali differenze esistenti fra i valori contabili delle stesse ed i relativi costi fiscalmente riconosciuti. Al fine eliminare il disallineamento fra i valori contabili (superiori) a quelli fiscali (inferiori) è necessario procedere preliminarmente all affrancamento delle differenze ai sensi dell art. 14 della legge n. 342/2000 (cd. riallineamento), mediante corresponsione dell imposta sostitutiva (cfr. cit. C.M. 207/E e ns. Circolare n. 33/2000, par. 5.5.). 5. Effetti della rivalutazione Circa gli effetti della rivalutazione si è gia riferito nella ns. Circolare n. 33/2000. In tale sede è stato sottolineato che, nonostante la formulazione dell art. 12, comma 3, della legge n. 342/2000, secondo il quale la rivalutazione esplica effetti, ai fini delle imposte sui redditi e dell IRAP, a decorrere dall esercizio nel cui bilancio è eseguita (di norma, il 2000, per le società con esercizio coincidente con l anno solare), in realtà tali effetti si limitano soltanto alla deducibilità delle maggiori quote di ammortamento, mentre ai fini della determinazione dell ammontare delle spese di 15

16 manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, non imputate ad incremento del costo dei beni, deducibile ai sensi dell art. 67, comma 7, del TUIR, la rivalutazione rileva solo a partire dall esercizio successivo a quello in cui è eseguita (di norma, il 2001). L art. 7 del decreto conferma le suddette conclusioni, alle quali eravamo giunti attraverso una interpretazione sistematica della disciplina della rivalutazione. Viene infatti precisato che la rivalutazione ha effetto, anche ai fini fiscali, dall esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, salvo che per le quote di ammortamento commisurate al maggior valore dei beni conseguente alla rivalutazione, le quali possono essere computate (e quindi dedotte) già a decorrere dell esercizio nel quale la rivalutazione è effettuata. Tale effetto costituisce tuttavia una mera facoltà e non un obbligo, potendo la società commisurare le quote di ammortamento ai valori rivalutati a partire dall esercizio successivo a quello in cui la rivalutazione è eseguita. Infatti, l art. 7 stabilisce che le quote di ammortamento possono essere commisurate ai maggiori valori, lasciando intendere che si tratti di una mera facoltà. Probabilmente la scelta effettuata dal Ministero è dettata dalla circostanza di non gravare il conto economico dell esercizio chiuso al 31 dicembre 2000 di maggiori oneri, tenuto conto che le disposizioni di attuazione della disciplina di rivalutazione sono intervenute quando le società avevano ormai definito i loro conti economici. Il decreto ha anche precisato che la facoltà di commisurare le quote di ammortamento ai valori rivalutati, già a decorrere dall esercizio in cui è eseguita la rivalutazione, vale anche per le quote di ammortamento finanziario, previsto per i beni gratuitamente devolvibili dall art. 69 del TUIR, la cui deduzione - come noto - è consentita in alternativa all ammortamento tecnico di cui agli artt. 67 e 68 del TUIR. I maggiori valori iscritti a seguito della rivalutazione producono effetti, secondo l ordinaria decorrenza, ovviamente anche ai fini della determinazione delle plusvalenze o minisvalenze in sede di cessione dei cespiti. Riteniamo che analoghi effetti si producano anche ai fini della disciplina delle cd. società di comodo (cfr. art. 30 della legge 724/94), posto che l art. 12, comma 3, della legge n. 342/2000 fa 16

17 riferimento in modo specifico al riconoscimento dei maggiori valori iscritti ai fini delle imposte sui redditi, oltre che dell IRAP. Tenuto conto della formulazione dell art. 7 del decreto, che fa genericamente riferimento agli effetti della rivalutazione ai fini fiscali, e non solo ai fini delle imposte sui redditi e dell IRAP, si deve ritenere che il maggior costo dei beni rivalutati produca effetti anche per il calcolo ai fini ICI del valore dei fabbricati classificabili nella categoria D, sprovvisti di rendita, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati (art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 504/92). Va da sé che anche in tal caso la rivalutazione produce effetti solo a decorrere dall esercizio successivo a quello in cui è eseguita e, quindi, di norma dal Movimentazione dei cd. baskets Nella precedente ns. Circolare n. 33/2000 (cfr. par. 5.3) avevamo sottolineato che la legge n. 342/2000 nulla dispone in merito alla memorizzazione dell imposta sostitutiva pagata dalla società nei cd. baskets di cui all art. 105 del TUIR, ai fini dell attribuzione ai soci del credito d imposta sui dividendi. L art. 8 del decreto ministeriale di attuazione stabilisce opportunamente che l imposta sostitutiva assolta in sede di rivalutazione concorre alla formazione delle imposte di cui al comma 1 dell art. 105 del TUIR nell ipotesi in cui il saldo attivo sia ridotto per copertura di perdite. Viene quindi accolta dal Ministero la soluzione indicata nella citata ns. Circolare, posto che l utilizzo del saldo attivo per la copertura di perdite fa cessare lo stato di sospensione, non potendo più essere distribuita la relativa riserva. Nonostante l art. 8 del decreto faccia un generico riferimento alle imposte di cui al comma 1 dell art. 105 del TUIR, si deve ritenere che la memorizzazione dell imposta sostitutiva assolta sulla rivalutazione debba essere memorizzata nel basket A, ossia quello che da diritto al credito d imposta pieno, rimborsabile o riportabile a nuovo, atteso che si tratta di imposta effettivamente pagata. Risulta pertanto superato l orientamento ministeriale, manifestato in merito alla disciplina dell imposta sostitutiva da corrispondere per l assegnazione agevolata dei beni ai soci, di cui all art. 29 della legge n. 449/97, prorogata dall art. 13 della legge n. 28/99, secondo il quale l imposta, nei casi in cui è sostitutiva sia dell IRPEG che dell IRAP, non può essere 17

18 memorizzata ai sensi dell art. 105 del TUIR (cfr. Istruzioni al quadro RV del mod. Unico 99 - redditi società di capitali, par ). In realtà l utilizzo per la copertura di perdite non è l unico caso in cui viene a cessare lo stato di sospensione della riserva in cui il saldo attivo è stato accantonato. Un altro caso, ad esempio, è quello in cui la società che ha eseguito la rivalutazione venga successivamente incorporata o fusa in altra società, che non ricostituisca la riserva in sospensione. E da tenere presente, infatti, che relativamente ai fondi in sospensione tassabili solo in caso di distribuzione, quali sono i saldi attivi di rivalutazione, iscritti nel bilancio delle società fuse o incorporate, l art. 123, comma 4, del TUIR stabilisce che non vi è l obbligo di ricostituzione nella incorporante o nella società risultante dalla fusione. Tali fondi, se e nel limite in cui vi sia avanzo di fusione o aumento di capitale per ammontare superiore al capitale complessivo delle società partecipanti alla fusione al netto delle quote di capitale di ciascuna di esse già possedute dalla stessa (società incorporante o risultante dalla fusione) o da altre (le società partecipanti alla fusione), concorrono al reddito della società incorporante o risultante dalla fusione in caso di distribuzione dell avanzo o di riduzione del capitale per esuberanza. Ne deriva che, qualora dalla fusione non emerga un avanzo, ovvero, nel caso di fusione propria, il capitale non sia stato aumentato per un ammontare superiore al capitale complessivo delle società partecipanti alla fusione, non sussistono i presupposti per la tassazione, venendo a cessare definitivamente lo stato di sospensione (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 1/E dell 11 gennaio 2001). Anche in tal caso dovrebbe quindi procedersi alla memorizzazione nel basket A dell imposta sostitutiva assolta per la rivalutazione dei beni. Al di fuori dei suddetti casi, in cui viene a cessare lo stato di sospensione della riserva, sembra quindi corretto che il decreto nulla disponga in merito alla memorizzazione dell imposta sostitutiva, posto che essa non è altro che un acconto dell imposta determinata in occasione della eventuale successiva distribuzione della riserva o della riduzione del capitale sociale. In tale sede l imposta liquidata nella dichiarazione (al lordo del credito d imposta attribuito alla società nei limiti dell imposta sostitutiva a suo tempo corrisposta) movimenterà il basket A. In altri termini, la memorizzazione dell imposta sostitutiva avverrebbe secondo l ordinaria disciplina prevista dall art. 105, comma 3, del TUIR nel periodo d imposta in cui saranno deliberate la 18

19 distribuzione della riserva in sospensione o la riduzione del capitale, essendo l imposta sostitutiva compresa nell imposta lorda complessivamente liquidata nel suddetto periodo d imposta. Da tale circostanza può prendersi spunto per alcune considerazioni in merito alla convenienza della disciplina sulla rivalutazione dei beni, in particolare quando essa si ponga in alternativa ad altre scelte. Si pensi, per esempio, al caso di una partecipazione di controllo o di collegamento, iscritta nelle immobilizzazioni finanziarie negli ultimi tre bilanci, sulla cui plusvalenza, realizzata in sede di cessione, è applicabile l imposta sostitutiva del 19% di cui all art. 1 del D.Lgs. n. 358/97. L alternativa al realizzo della plusvalenza, e alla sua distribuzione ai soci sotto forma di utile d esercizio, potrebbe essere costituita dalla rivalutazione della partecipazione, in modo da realizzare l allineamento al valore di mercato, corrispondendo l imposta sostitutiva nella misura del 15%, e dalla successiva distribuzione della riserva in sospensione ai soci medesimi. Occorre tuttavia rilevare che, nonostante la minor aliquota del 15%, l operazione non risulta conveniente, in quanto la distribuzione della riserva in sospensione comporterebbe, in capo alla società che ha effettuato la rivalutazione, l imponibilità con l aliquota ordinaria del 36% (salvo applicazione della minor aliquota conseguente all applicazione della DIT), se la distribuzione avviene nel 2001 o 2002, ovvero del 35%, se la distribuzione avviene a partire dal periodo d imposta in corso al 1 gennaio In altri termini, la società dovrebbe corrispondere comunque l imposta nella misura ordinaria (36% o 35%), di cui il 15% versata a titolo di acconto in sede di rivalutazione della partecipazione. Per quanto riguarda il socio, la distribuzione della riserva non sarebbe invece coperta interamente dal relativo credito d imposta sui dividendi. Infatti, l art. 13, comma 3, della legge n. 342/2000 stabilisce che le somme attribuite ai soci o partecipanti, aumentate dell imposta sostitutiva corrispondente all ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile degli stessi, oltre che della società. Pertanto, fatto 100 l importo della rivalutazione della partecipazione, di cui 15 è l imposta sostitutiva e 85 l importo del saldo attivo accantonato, e ipotizzato, per semplicità, che venga distribuito l intero importo della riserva, senza tenere conto che le relative imposte dovrebbero essere imputate a carico della riserva stessa, la distribuzione nel 2002 di tale saldo darebbe luogo ad un imposta per la società distributrice di 36 (il 36% di 85+15= 100, da cui andrebbe scomputata, in sede di versamento, l imposta di 15 già 19

20 corrisposta in sede di rivalutazione), che alimenterebbe il basket A ; il socio sarebbe anch egli tassato su 100 (la riserva distribuita, ammontante a 85, più l ammontare dell imposta sostituiva corrisposta dalla società( 10 ), pari a 15), ma il credito d imposta attribuitogli sarebbe solo 36, pari all imposta assolta dalla società, anziché 56,25( 11 ). In pratica, il socio, qualora fosse una società di capitali, subirebbe ogni 100 lire lorde distribuite (riserva + imposta sostitutiva) un prelievo di 12,96 lire che si aggiungerebbe a quello già subito dalla società che ha eseguito la rivalutazione e che ha distribuito il relativo saldo attivo( 12 ). Tale effetto è sostanzialmente( 13 ) da ricondurre alla circostanza che concorre a formare il reddito del socio anche l imposta sostitutiva corrisposta dalla società, che non dà diritto al credito d imposta. Ne deriva che mentre un interpretazione sistematica della disciplina del saldo attivo di rivalutazione dovrebbe comportare la conseguenza che l imposta sostitutiva corrispondente all ammontare distribuito debba concorrere a formare solo il reddito 10 In occasione dell attribuzione del saldo attivo ai soci, occorrerebbe pertanto segnalare anche la relativa imposta sostitutiva da portare in aumento del medesimo saldo, di modo che i soci possano calcolare correttamente la tassazione. Non prevedendo l attuale schema di certificazione dei dividendi (cfr. D.M. 4 febbraio 1998) un apposito spazio, riteniamo che debba essere utilizzato quello per le annotazioni. 11 L art. 4 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), a seguito della riduzione dell aliquota IRPEG dal 37% al 36%, a decorrere da periodo d imposta in corso al 1 gennaio 2001, e al 35%, a decorrere dal periodo d imposta in corso al 1 gennaio 2003, ha ridotto anche la misura del credito d imposta sui dividendi attribuito ai soci. In particolare, il comma 1, lett. a), dell art. 4 della legge n. 388/2000, modificando l art. 14, comma 1, del TUIR ha ridotto il credito d imposta dal 58,73% al 56,25%, per le distribuzioni deliberate a decorrere dal periodo d imposta successivo a quello in corso al 1 gennaio 2001, e al 53,85%, per le distribuzioni deliberate a decorrere dal periodo d imposta successivo a quello in corso al 1 gennaio 2003 (cfr. ns. Circolari nn. 29/2000 e 6/2001). 12 Infatti, posto 100 l ammontare, al lordo dell imposta sostitutiva, del saldo attivo distribuito e 36 il credito d imposta, la società percettrice subirebbe la tassazione su 136 (riserva lorda più credito d imposta), cui corrisponderebbe un imposta di 48,96, che sarebbe compensata solo per 36. Ne consegue che la società percettrice subirebbe un prelievo di 12,96 lire ogni 100 lire di riserva lorda distribuita. 13 Infatti, anche qualora non fosse imponibile in capo al socio l ammontare dell imposta sostitutiva corrisposta dalla società che ha eseguito la rivalutazione, il credito d imposta non coprirebbe internamente l importo distribuito. Così, posto 85 l imponibile per la società percettrice e 36 il credito d imposta, la tassazione avverrebbe su un ammontare di 121 ( ), cui corrisponderebbe un imposta (aliquota 36%) di 43,56, che sarebbe compensata solo per 36. Affinché il credito d imposta copra l importo distribuito, è infatti necessario che l ammontare distribuito sia già al netto dell imposte corrisposte dalla società che ha eseguito la rivalutazione e che l importo tassato in capo la socio sia pari a tale importo netto. In realtà ciò non si verifica mai, in quanto, anche imputando le imposte corrispondenti alla riserva da distribuire, il socio sarebbe sempre tassato sull importo percepito, pari a quello sul quale è stata calcolato l imponibile per la società che ha eseguito la rivalutazione. Ipotizzando che 85 sia la riserva, al netto dell imposta sostitutiva, risultante dal bilancio, l importo da distribuire X corrisponderebbe alla seguente equazione: X + 0,36X = 85 dove X = 62,5 mentre l imposta sostituiva corrispondente sulla rivalutazione eseguita, pari al 15% (si tratta di rivalutazione di partecipazione), ammonta a 11,03 (62,5 : 0,85). La tassazione in capo alla società che ha eseguito la rivalutazione è pari a 73,53 (62,5 + 11,03), cui corrisponde un imposta (aliquota 36%) di 26,47. Per il socio l imponibile di 73,53 è aumento del credito d imposta di 26, 47 e quindi pari a 100, cui corrisponde un imposta di 36. Ne deriva che rimane a carico del socio società di capitali un imposta di 9,53, pari al 12,96% della riserva distribuita al lordo dell imposta sostitutiva (73,53) corrispondente sulla rivalutazione. 20

21 della società e non anche quello del socio, pena la doppia imposizione, non sembra che tale conclusione sia consentita dal tenore letterale della norma. Al contrario, in caso di applicazione dell imposta sostitutiva del 19% di cui all art. 1 del D.Lgs. n. 358/97, la distribuzione della plusvalenza realizzata non comporterebbe ulteriore tassazione in capo alla società, realizzandosi la definitiva tassazione (separata) mediante la corresponsione della suddetta imposta sostitutiva. D altra parte la distribuzione della plusvalenza ai soci, al netto della relativa imposta sostitutiva, sarebbe comunque coperta dal credito d imposta sui dividendi, posto che l applicazione dell imposta sostitutiva di cui all art. 1 del D.Lgs. n. 358/97 comporterebbe oltre che la memorizzazione dell imposta sostitutiva assolta nel basket A, che dà diritto al credito d imposta pieno, anche la memorizzazione delle cd. imposte virtuali( 14 ) nel basket B, che attribuisce invece il credito d imposta limitato, ossia quello non rimborsabile e non riportabile a nuovo, di modo che l importo dell utile distribuito sarebbe interamente coperto dal credito d imposta, ancorché, per una parte, solo da quello limitato. 7. Disciplina del saldo attivo di rivalutazione ai fini IRAP e della DIT La disciplina del saldo attivo di rivalutazione è già stata analizzata nella ns. Circolare n. 33/2000, alla quale si è più volte fatto riferimento e si rinvia (cfr. par. 5.3). In questa sede occorre rilevare che l art. 9 del decreto ha opportunamente precisato che, nell ipotesi di attribuzione ai soci del saldo attivo mediante distribuzione della riserva in cui è stato accantonato o di riduzione del capitale cui sia stato in precedenza imputato, tale saldo, aumentato dell imposta sostitutiva, concorre a formare la base imponibile della società o dell ente ai soli fini delle imposte sul reddito. Ne deriva che la distribuzione della riserva o la riduzione del capitale non costituiscono presupposto per l applicazione dell IRAP in capo alla società che ha eseguito la rivalutazione. Risultano pertanto eliminati i dubbi, peraltro infondati, circa l imponibilità ai fini IRAP originati dalla circostanza che l imposta da corrispondere sulla rivalutazione dei beni è sostitutiva, oltre che delle imposte sui redditi, anche dell imposta regionale. Al 14 Si tratta delle imposte corrispondenti alla parte della plusvalenza convenzionalmente considerata non assoggettata a tassazione, pari al 47,22% di tale plusvalenza, a decorrere dal periodo d imposta in corso al 1 gennaio 2001, e al 45,72%, a decorrere da quello in corso al 1 gennaio 2003 (cfr. art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 467/97, come modificato dall art. 4, comma 2, della legge n. 388/2000). 21

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