Introduzione di Stefano Fassina *

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1 Introduzione di Stefano Fassina * Dopo la presentazione ufficiale del programma «Fabbrica Italia», nell aprile 2010, il Dipartimento Economia e Lavoro del Partito Democratico ha avviato un approfondita analisi e un articolata riflessione sulle prospettive dell automotive in Italia, in Europa e, inevitabilmente, a livello globale. L analisi e la riflessione hanno avuto svolgimento corale, partecipato, oltre che dagli esperti del settore, anche dai parlamentari delle Commissioni Attività Produttive, delle Commissioni Lavoro e delle Commissioni Ambiente di Camera e Senato. Al percorso, svolto in circa sei mesi, hanno contribuito anche i rappresentanti dei sindacati metalmeccanici di FIOM, FIM e UILM. Il coordinamento scientifico di Enrico Ceccotti ha consentito di «produrre» il testo qui offerto. La vicenda FIAT - «Fabbrica Italia», nei mesi scorsi, ha trovato spazio nei media in prevalente riferimento alle trasformazioni delle condizioni di lavoro ed ai cambiamenti della regolazione contrattuale e della rappresentanza sindacale, come previste dall azienda negli atti sottoscritti da una parte delle organizzazioni sindacali (FIM-CISL, UILM-UIL, FISMIC, UGL, Associazione Capi e Quadri) e poi approvati dalle lavoratrici e dai lavoratori direttamente coinvolti nei referendum di Pomigliano (giugno 2010) e Carrozzerie Mirafiori (gennaio 2011). Sin dall inizio della vertenza a Pomigliano, il PD ha messo in evidenza la difficoltà a discutere di radicali e regressive modifiche al contratto nazionale, di inasprimento delle condizioni di lavoro, di * Responsabile Economia e Lavoro, Segreteria nazionale del Partito Democratico. 13

2 impegni straordinari richiesti alle organizzazioni sindacali (ad esempio, sulla regolazione degli scioperi) e ai singoli lavoratori e lavoratrici (ad esempio, turni, pause, straordinari, mensa, assenze) in mancanza, da un lato, di una affidabile ricognizione delle tendenze globali del settore auto e, dall altro, di informazioni sufficienti per valutare la coerenza e la «credibilità» industriale del programma «Fabbrica Italia» con i previsti scenari globali. L iniziativa per provare a riempire i vuoti di analisi e di informazioni, in un paese normale, sarebbe dovuta essere del governo, in particolare del ministro dello Sviluppo Economico. Purtroppo, a differenza di quanto avvenuto negli altri grandi paesi investiti da profonde ristrutturazioni del settore automotive (Francia, per Renault-Nissan; Germania, per Volkswagen; Stati Uniti, per General Motors e Chrysler), il governo italiano se n è lavato le mani. In nome dell autonomia della società dalla politica, dello slogan «meno Stato, più società», della svolta culturale nel segno dell «antropologia positiva», il ministro Sacconi si è distinto per celebrare la strumentale inerzia del governo. Dato il profondo squilibrio nei rapporti di forza tra proprietà e lavoro, in un azienda ad effettivo rischio di delocalizzazione, la strumentale inerzia del governo è stata la strada deliberatamente scelta dal ministro Sacconi per far compiere a FIAT ulteriori passi lungo il percorso intrapreso dal governo, sin dall avvio della legislatura, verso l indebolimento, non l ammodernamento, delle condizioni contrattuali dei lavoratori e delle lavoratrici italiane. Insomma, mentre negli altri paesi coinvolti dal terremoto dell automotive i governi intervenivano non solo e non tanto con finanziamenti pubblici condizionati, ma soprattutto con una visione di politica industriale, il governo Berlusconi ed i suoi ministri di punta abbandonavano proprietà e lavoratori FIAT in una partita sbilanciata, dove il problema della produttività in FIAT e, più in generale, in Italia veniva interamente scaricato sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. In tale quadro, in coerenza con i capisaldi di una cultura riformista, il PD ha provato a fare un analisi autonoma ed empiricamente fondata della realtà. L autonomia culturale è condizione fondamentale per tentare di raggiungere i risultati possibili in base ai rapporti di forza dati, valutare gli esiti effettivi dell azione intrapresa, co- 14

3 struire le condizioni per equilibri più avanzati. Di fronte a «Fabbrica Italia», questa è la prima valutazione per la pubblicazione di seguito proposta, riformisti e radicali, sul versante sindacale e politico, non sono stati all altezza della sfida. La divisione tra resistenza ideologica e rassegnazione pragmatica ha acuito le debolezze ed i rischi di irrilevanza degli uni e degli altri, a danno di lavoratori e lavoratrici. Il difetto principale è stato proprio di analisi. Il timore di smarrirsi ha portato a rimuovere dalla discussione la drammatica asimmetria nei rapporti di forza tra capitale, a caccia di lavoro low cost nelle sterminate praterie dell economia globale, e lavoro, relegato nella dimensione locale della politica e del sindacato. Sia nel passaggio di Pomigliano che di Mirafiori, abbiamo fatto finta di essere ancora nel Novecento, quando il lavoro negoziava con il capitale dentro i confini dello Stato nazionale e lo sciopero era un arma efficace. Abbiamo definito «accordo» un atto unilaterale dove è evidente la regressione del lavoro, mentre non si fa nessun passo avanti nella partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla governance e agli utili dell impresa, anzi si torna indietro alle rappresentanze nominate dai vertici sindacali. La nostra debolezza culturale ha lasciato a margine delle vertenze, negli interventi degli esperti di settore, la valutazione del piano industriale di «Fabbrica Italia». Così, non siamo riusciti a capire le prospettive dell adesione forzata alla proposta «prendere o lasciare» di FIAT. Tralasciato il difficile terreno dell analisi strettamente industriale, non abbiamo neppure ricordato che FIAT non sforna modelli competitivi e di conseguenza perde quote di mercato rispetto a marchi (ad esempio, Volkswagen) che pagano il lavoro il 30-40% in più che in Italia, hanno orari di lavoro ordinari di gran lunga inferiori e contrattano gli straordinari con i sindacati. Nel vuoto di analisi industriale, abbiamo anche dovuto apprendere dai soliti avanguardisti del riformismo che la modernità secondo Marchionne è l unica modernità possibile. Da loro riascoltare il disco rotto dell ideologia conservatrice: il canto della coincidenza di interessi tra lavoratori e azionisti, mentre nel 2011, anno segnato da una lunghissima cassa integrazione per il gruppo di Torino, i capital gains attesi dal dottor Marchionne sulle sue stock options FIAT ammontano ad oltre 100 milioni di euro, ossia più della somma dei salari degli operai e degli stipendi dei quadri delle Carrozzerie Mi- 15

4 rafiori in un anno di lavoro a tempo pieno. Abbiamo dovuto ricevere lezioni di cambiamento da chi è senza bussola e identifica, in ossequio ai cascami di una fallita cultura neoliberista, i problemi di produttività dell Italia e la sua carenza di investimenti esteri nella regolazione del mercato del lavoro e nell indisciplina di qualche leader sindacale. La scarsa autonomia di analisi ha impedito di alzare lo sguardo per vedere che Detroit, Pomigliano e Mirafiori da un lato e dall altro lo smantellamento del welfare in USA e in Europa servono per salvare le grandi ricchezze finanziarie di pochi alimentando la stagnazione in corso al di qua e al di là dell Atlantico. Lasciano le classi medie senza prospettive alla deriva populista e condannano l Occidente alla marginalità. Abbiamo fatto finta di avere scelta. Hanno fatto finta i sindacati che hanno firmato e la FIOM che non ha firmato. Ha fatto finta nei partiti di centrosinistra chi ha sostenuto chi ha firmato e chi ha sostenuto chi non ha firmato. Avremmo dovuto riconoscere, come hanno riconosciuto con enorme sofferenza con i «sì» e i «no», prima a Pomigliano e poi a Mirafiori, i lavoratori e le lavoratrici nel referendum a risposta unica, di non avere scelta oggi: in assenza di una valida alternativa industriale ed occupazionale, non si può rinunciare al lavoro, nonostante l arretramento delle condizioni del lavoro. In tale contesto, il PD ha provato a guardare in faccia la realtà. Abbiamo cercato di rimettere con i piedi per terra il dibattito e la vertenza FIAT. Innanzitutto, abbiamo ricordato che l Italia descritta dall amministratore delegato della FIAT non è l Italia reale. Certo, i ritardi e le carenze del contesto istituzionale, infrastrutturale, regolativo italiano esistono. Tuttavia, nonostante le note tare storiche, soltanto parzialmente aggredite dai governi di centrosinistra e colpevolmente tollerate dall esecutivo Berlusconi, un segmento importante del settore manifatturiero italiano, il cosiddetto «IV capitalismo» (secondo l ufficio studi di Mediobanca, circa imprese leader di filiere lunghe di micro e piccole imprese) è riuscito nel corso del primo decennio del secolo a conquistare quote e posizioni importanti nel mercato globale grazie agli investimenti innovativi, all innovazione di processi e prodotti, alla costruzione di filiere articolate, alla valorizzazione delle risorse umane senza mettere in discussione il sistema delle relazioni industriali. Qui è il punto di fon- 16

5 do del nostro discorso politico: per declinare, nell epoca dopo Cristo, lavoro e diritti è necessario puntare sull innovazione e sulla qualità dei prodotti. I dati raccolti da Enrico Ceccotti confermano il distacco di FIAT in termini di risorse dedicate alla ricerca e sviluppo rispetto alle altre grandi case automobilistiche europee, statunitensi e giapponesi. Insomma, il trade-off squilibrato, lo scambio regressivo tra lavoro e diritti, non è una necessità storica imposta dalla globalizzazione dei mercati di produzione e di vendita. È una scelta politica miope, alimentata dalla convinzione che la democrazia fondata sul lavoro, la democrazia delle classi medie, è un esperienza storica irrimediabilmente confinata nel Novecento. Invece, noi riteniamo che sia compito della politica e delle forze sociali ricostruire le condizioni per valorizzare il lavoro e superare l impasse nel quale si dibattono le economie a sviluppo maturo. L innovazione è la chiave per la svolta progressiva. Pertanto, abbiamo guardato dentro la black box dell automotive e, in particolare, di «Fabbrica Italia». Ceccotti documenta i principali ed ancora incompleti risultati della nostra indagine. La radicale riorganizzazione del settore è inevitabile, non è un espediente tattico della FIAT. La riorganizzazione deve coinvolgere anche le condizioni del lavoro. Tuttavia, ecco il punto, la riorganizzazione per essere vincente non può eludere il tema di quali investimenti, per quali stabilimenti, per quali modelli. Il progetto «Fabbrica Italia» non appare sufficientemente coerente. In particolare, l azienda non ha chiarito e ad oggi non chiarisce l effettiva acquisizione di capacità di progettare modelli ad alto valore aggiunto e perciò adatti ad essere prodotti in paesi ad elevato costo del lavoro. È vero, è motivo di orgoglio nazionale, che nella storia della FIAT si ritrovano successi come la Panda, la 500 e la Punto. Ma, purtroppo, è anche vero che vi sono promesse sbagliate in ambito Alfa Romeo, Lancia e, in generale, nei modelli di «gamma alta». Il conflitto chiuso e la rassegnazione pragmatica intorno alle vertenze di Pomigliano e Mirafiori potevano essere limitati e forse finanche evitati se le condizioni del lavoro volute ed ottenute da FIAT per i suoi stabilimenti in Italia fossero state poste all interno di un chiaro piano industriale. Come l analisi di Ceccotti documenta, i dubbi sono, purtroppo, più che legittimi. Dopo le fanfare ini- 17

6 zialmente suonate da tanti facili corifei della modernità spalancata all Italia dall a.d. del gruppo FIAT, rimane ignoto ed incerto il futuro della gran parte degli investimenti previsti da «Fabbrica Italia». I 20 miliardi di euro prospettati nel quinquennio per portare la produzione di auto in Italia al raddoppio rispetto ai livelli del 2009 (da circa ad 1,4 milioni) sono stati effettivamente allocati in misura minima: 700 milioni a Pomigliano per la «Nuova Panda» e 600 milioni a Torino nelle Carrozzerie Mirafiori (la quota residua per arrivare al totale di circa un miliardo di euro è a carico di Chrysler) per la produzione di Suv e berline di fascia medio-alta su piattaforma impostata da FIAT ma sviluppata da Chrysler. Gli altri 18,7 miliardi dove si prevede di investirli? Quando? Per quali modelli? Le incertezze e le paure, anche da parte di quanti hanno firmato cambiali in bianco all azienda, sono forti. È stata sufficiente una battuta ambigua, pronunciata dall a.d. del gruppo FIAT a San Francisco, a margine di un incontro con gli investitori all inizio di febbraio scorso, sulla possibile fusione FIAT tra Auto Group e Chrysler ed il conseguente spostamento del quartier generale da Torino a Detroit, per creare il panico e costringere il governo ad uscire dal sonno strumentale ed opportunista e a chiedere chiarimenti ed improbabili garanzie. In conclusione, l analisi dello scenario dell automotive e di «Fabbrica Italia», come raccontato nel testo, è fonte di grande preoccupazione. Il destino, tuttavia, non è segnato. È nelle nostre mani. Il presidente Prodi ha rivendicato la forza manifatturiera dell Italia. In un appassionato editoriale per Il Messaggero (9 febbraio 2011) ha ricordato, a proposito delle giustificazioni per le ricorrenti minacce di delocalizzazione, alcuni dati di realtà. «La rete dei fornitori italiani è molto articolata, mediamente efficiente e competitiva, e solo parzialmente dipendente dalle commesse FIAT. Contribuisce positivamente alla bilancia dei pagamenti. È fornitrice di componenti raffinati alle case tedesche e francesi con quote di export in crescita. Ma, come in altri paesi, va sostenuta da una adeguata politica industriale nazionale e regionale. Resta inoltre assodato che la risorsa che si trova a minore costo in Italia sono proprio gli ingegneri, sulla qualità media dei quali nessuno nutre dubbi, tanto che ora sono richiesti e corteggiati dalle aziende tedesche a stipendi che si avvicinano al doppio dei nostri. Ci si deve a questo punto chiedere perché non 18

7 dovrebbero nascere in Italia le strutture indispensabili per le future innovazioni, a partire dalla tanto attesa auto elettrica, che il governo francese ha imposto, dopo un adeguato negoziato, che fosse localizzata in Francia». L analisi e le riflessioni proposte nel saggio di Ceccotti sono un imprescindibile strumento di controffensiva politica, prima che economica, per una modernità centrata sulla valorizzazione della persona che lavora. 19

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