Ricerca Corrente 2009

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1 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione Responsabile Scientifico: Giuliano Binetti L invecchiamento del sistema nervoso è spesso associato a malattie croniche tipiche dell età avanzata, che possono offrire nei loro meccanismi patogenetici e nella loro suscettibilità a particolari terapie, la chiave per la comprensione dei determinanti della senescenza. Nell invecchiamento normale e patologico i disturbi cognitivi e comportamentali costituiscono un aspetto fondamentale visto che tali deficit sono la causa di disabilità che complica notevolmente la vita dell anziano. In particolare tali disturbi raggiungono il loro estremo nelle varie forme di demenza come per la demenza di Alzheimer (AD) che rappresenta per gravità e costi sociali una vera piaga dei tempi moderni. L AD è una patologia neurodegenerativa che comporta un lento e progressivo declino delle funzioni cognitive nella popolazione anziana. Gli sforzi della comunità scientifica operante nel settore delle demenze sono sempre più volti ad identificare gli stadi iniziali della malattia, al fine di poter intraprendere precocemente strategie terapeutiche/riabilitative preventive e rallentare la progressione del deterioramento cognitivo. Questo ha portato, negli ultimi anni, alla definizione di una nuova entità nosografica: il Mild Cognitive Impairment (MCI). La condizione di decadimento cognitivo lieve è caratterizzata da disturbo di memoria isolato, senza impatto funzionale sulle attività della vita quotidiana, ad alto rischio eventi di avversi quali la progressione in demenza e mortalità. Potendo l MCI essere spesso misconosciuto nelle fasi iniziali, una diagnosi precoce ed accurata permetterebbe di intervenire tempestivamente sulle cause, avviare specifiche terapie ed organizzare al meglio la vita del malato e dei suoi familiari. In questo scenario, caratterizzato da una richiesta in forte aumento che per certi aspetti avanza istanze nuove perché provenienti da soggetti relativamente giovani e molto spesso ancora attivamente inseriti nel sociale, è di estrema importanza raffinare gli strumenti diagnostici avvalendosi del supporto fornito da tecnologie innovative al fine di effettuare una diagnosi precoce e mirata. La Linea 2 ha affrontato in modo multidimensionale questo tema mediante: (A) sviluppo di protocolli e strumenti per la diagnosi precoce e differenziale delle varie forme di demenza, validazione di nuovi criteri diagnostici, definizione di protocolli riabilitativi innovativi e realizzazione di studi di Unità Operativa - NEUROBIOLOGIA Unità Operativa - PROTEOMICA 80

2 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 valutazione dell efficacia del trattamento dei deficit cognitivi (B) identificazione dei correlati genetici, molecolari, di neuroimmagine e neurofisiologici associati all invecchiamento normale e patologico attraverso l utilizzo di tecnologie innovative (proteomica mediante SELDI-TOF MS, genomica funzionale, elettroencefalografia ad alta definizione, neuroimaging strutturale e funzionale) (C) Analisi degli aspetti etici e psicosociali correlati a tali disturbi riguardanti sia il paziente che i familiari o i caregivers: rispetto dell autonomia del paziente, consapevolezza di malattia, comunicazione della diagnosi, consulenza genetica. Grande significato riveste la presenza di una banca di materiale biologico e genetico, la Biobanca Fatebenefratelli, che raccoglie campioni di materiale biologico (plasma, siero, fibroblasti primari) e genetico (DNA, RNA) provenienti da circa 7500 pazienti affetti da malattie neuropsichiatriche (tra cui demenza di Alzheimer, demenza frontotemporale, decadimento cognitivo lieve, schizofrenia, depressione maggiore e disturbo bipolare) e controlli sani, cognitivamente integri. L alta numerosità raggiunta ha consentito di condurre studi robusti volti all identificazione di fattori di rischio genetico e marcatori molecolari di malattia. La Linea 2 ha sviluppato le aree tematiche sopraelencate stabilendo rapporti collaborativi con qualificati centri italiani, europei e statunitensi, dimostrando la capacità di operare in rete e raggiungendo soddisfacenti risultati in termini sia di impact factor sia di prodotti trasferibili o trasferiti nella pratica clinica. L aumentata integrazione pratica clinica-attività di ricerca rappresenta pertanto un risultato importante. Ampliamento della banca genomica, cellulare e di materiale biologico (CSF, plasma, siero e fibroblasti) provenienti da pazienti con patologie neuropsichiatriche (Referente Scientifico: Giuliano Binetti) La Banca di materiale Biologico e Genetico, Biobanca Fatebenefratelli (BBF), allestita presso l IRCCS- Centro S. Giovanni di Dio - FBF - Brescia, ha come obiettivo principale quello di costituire la base di partenza per gli studi volti all identificazione di un possibile profilo genetico e/o biologico, che contribuisca alla diagnosi precoce e differenziale delle malattie neuropsichiatriche. Il materiale biologico raccolto viene utilizzato per l identificazione, attraverso innovative tecniche, di nuove varianti geniche (i.e. mutazioni, polimorfismi) associate allo sviluppo delle malattie neuropsichiatriche e soprattutto di nuove proteine associate non solo ad eventi neurodegenerativi, causativi di malattia, ma anche ad ipotizzabili vie di neuroprotezione. Attualmente il materiale raccolto comprende campioni di DNA, RNA, plasma, siero, fibroblasti e liquido cerebrospinale. I campioni biologici, previo consenso informato, provengono da pazienti che afferiscono all Istituto (DH Centro per la Memoria, Unità Alzheimer, Unità Psichiatria, Ambulatorio Cognitività e Movimento, Ambulatorio Traslazionale per la Memoria) per ragioni cliniche o all interno di specifiche ricerche. La presenza presso il nostro Istituto di una banca di materiale biologico e genetico così ampia in termini di numerosità campionaria e così diversificata in termini di diagnosi (nell ambito delle patologie neuropsichiatriche) riveste un grande significato in quanto permette di studiare fenomeni patologici a distanza di tempo dai prelievi. Infine, l alta numerosità di campioni presenti nella banca consente di condividere il materiale con altri centri di ricerca al fine di raggiungere la numerosità necessaria per effettuare studi genetici su ampie coorti di soggetti (pazienti e controlli). I campioni biologici, previo consenso informato, provengono da pazienti che afferiscono all Istituto per ragioni cliniche o all interno di specifiche ricerche. Ad oggi è stato raccolto materiale biologico proveniente da circa 7500 soggetti affetti dalle principali patologie neuropsichiatriche (i.e. demenza di Alzheimer, demenza 81

3 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione Malattie neurodegenerative Malattie psichiatriche Altre diagnosi Controlli 23% 35% 12% 30% Figura - Distribuzione dei campioni della Biobanca DNA tra le principali categorie diagnostiche. frontotemporale, demenza vascolare, deterioramento cognitivo lieve, depressione maggiore, disturbo bipolare, schizofrenia etc.) e dai soggetti controllo. La Biobanca di DNA Fatebenefratelli, allestita presso l IRCCS- Centro S. Giovanni di Dio - FBF - Brescia, comprende campioni provenienti da pazienti affetti da malattie neurodegenerative (n=2574), da malattie psichiatriche (n= 2216), da altre malattie neuropsichiatriche (n= 882) e da controlli sani, cognitivamente e mentalmente integri (n= 1676). La costituzione di tale ampia raccolta ha come obiettivo principale quello di realizzare la base di partenza per gli studi volti all identificazione di un possibile profilo genetico associato alla comparsa e alla manifestazione fenotipica delle forme famigliari e sporadiche di demenza, disturbi del movimento e delle psicosi maggiori. Accanto alla Biobanca di DNA sono state inoltre costituite Biobanca di RNA, di fibroblasti e di plasma/siero. La Biobanca di RNA comprende campioni provenienti da pazienti affetti da malattie dementigene di diverso tipo (n= 85). La costituzione di tale raccolta ha come obiettivo principale l effettuazione di studi dell espressione genica e della sua regolazione e specificità nel tempo. La Biobanca di fibroblasti comprende campioni provenienti da pazienti affetti da malattie neuropsichiatriche (n= 714) e da controlli sani, cognitivamente e mentalmente integri (n=91). La costituzione di tale ampia raccolta ha come obiettivi principali l identificazione delle basi patogenetiche delle malattie attraverso studi molecolari e la ricerca di markers biologici di malattia e di risposta/resistenza alle terapie. La Biobanca di plasma e siero comprende campioni provenienti da pazienti affetti da malattie neuropsichiatriche (n=3583) e da controlli sani, cognitivamente e mentalmente integri (n= 720). La costituzione della banca ha l obiettivo principale di identificare markers biologici periferici che possano supportare la diagnosi di malattia di Alzheimer, di altre demenze e di patologie psichiatriche. Potenziali applicazioni della stimolazione transcranica nella riabilitazione (Referente Scientifico: Maria Cotelli) Studi recenti hanno descritto in soggetti sani e in pazienti con patologie neurologiche il miglioramento di specifiche funzioni cognitive successivamente all applicazione di Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rtms) o Stimolazione Transcranica a Corrente Continua (tdcs) ( Naeser et al., 2005; Ridding & Rothwell, 2007; 82

4 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 Figura - Il grafico rappresenta la percentuale di risposte corrette ad un compito di apprendimento di associazioni tra visi e nomi non familiari (A) e familiari (B) successivamente a stimolazione placebo (sham), e a rtms reale applicata alla corteccia dorsolaterale prefrontale destra o sinistra. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi a seconda dell utilizzo o meno di strategie di memorizzazione: US = utilizzatori di strategie; NUS = non utilizzatori di strategie. * = p < 0.05 Manenti et al., Neuroscience 2009; In press). Monti et al 2008). I lavori condotti in pazienti vascolari con deficit visuo-spaziali ne confermano il potenziale terapeutico-riabilitativo (Brighina et al., 2003; Oliveri et al., 2001; Oliveri et al., 1999). Gli effetti di facilitazione descritti sembrano essere legati alla possibilità offerta dalle tecniche di stimolazione transcranica di indurre cambiamenti nell eccitabilità corticale favorendo la riorganizzazione funzionale del network. La facilitazione indotta dalle rtms e tdcs potrebbe essere dovuta: a) reclutamento di network cerebrali compensatori; b) reclutamento di regioni cerebrale omologhe e c) reclutamento di regione cerebrali perilesionali. Negli ultimi anni sono stati condotti studi rigorosi sugli interventi riabilitativi che hanno contribuito all avanzamento delle conoscenze in questo ambito e sono stati oggetto di ampie revisioni. Studi di neuroimmagine hanno permesso, inoltre, di indagare fenomeni di plasticità, quali le modificazioni dell attività cerebrale conseguenti ad apprendimento (Shaywitz et al., 2003; Strangman et al., 2005; Warburton, Price, Swinburn, & Wise, 1999). I mutamenti cerebrali indotti dalla rtms durano oltre il periodo di stimolazione. Gli studi sui soggetti nomali dimostrano che questi cambiamenti influiscono sul comportamento e ciò ha fatto ipotizzare l utilizzo della rtms in ambito terapeutico. Non è plausibile che la rtms riesca a ristabilire connessioni perse dopo danno cerebrale (Repair Model). È possibile invece che la rtms interagisca con i normali e spontanei processi di plasticità cerebrale che intervengono dopo danno cerebrale. Secondo l Interection Model la rtms aumenta l abilità del cervello di compensare i deficit insorti dopo un danno cerebrale (Ridding & Rothwell, 2007a). Gli effetti indotti dalle tecniche di stimolazione transcranica sono tuttavia di breve durata, perciò si suppone che sedute ripetute quotidianamente di rtms o di una nuova metodica comparabile dal punto di vista funzionale, la tdcs, possano amplificare tale l effetto. L obiettivo del presente progetto è quello di valutare il possibile uso terapeutico della stimolazione magnetica e della 83

5 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione stimolazione in corrente continua, in pazienti con patologia neurologica. In due recenti studi abbiamo descritto una facilitazione della denominazione dopo stimolazione della corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC) in pazienti Alzheimer (Cotelli et al 2006). La rtms sembra modificare le abilità di denominazione in relazione al grado di decadimento cognitivo generale (Cotelli et al 2008) Infine, in un studio che ha coinvolto un gruppo di soggetti, abbiamo osservato il miglioramento delle prestazioni ad un compito di memoria episodica successivamente alla stimolazione della DLPFC (Manenti et al, Neuroscience 2009; In press). Questi lavori rappresentano un punto di partenza per l utilizzo della rtms in ambito riabilitativo. Cognitività e invecchiamento fisiologico e patologico (Referente Scientifico: Maria Cotelli) Recenti studi hanno evidenziato come il sistema nervoso centrale adulto, grazie alla plasticità, sia in grado di modificare la propria microstruttura. I pazienti con malattia di Alzheimer presentano prevalentemente difficoltà nell acquisizione di nuove informazioni e un risparmio della memoria implicita. Questi dati sono supportati da evidenze neuroanatomiche: le aree cerebrali maggiormente coinvolte nelle prime fasi di AD sono le strutture mediali del lobo temporale, in particolare l ippocampo. Tali strutture appaiono coinvolte nelle fasi di consolidamento di nuovi ricordi di tipo episodico, mentre il consolidamento di informazioni mnesiche di tipo semantico sembrerebbe richiedere un minore coinvolgimento dell ippocampo. L indagine neuropsicologica dei pazienti con patologia neurodegenerativa ha, inoltre, permesso la descrizione di specifici profili cognitivi associabili alle differenti presentazioni cliniche della demenza. A tale riguardo appare Tabella 1 - Risposte corrette al test di riconoscimento delle emozioni (Calabria et al., Brain Cogn 2009). Tabella 2 - Valori relativi al questionario dell empatia. La paziente presenta un deficit del riconoscimento delle emozioni e degli aspetti cognitivi dell empatia. (Calabria et al., Brain Cogn 2009). 84

6 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 Tabella 3 -I soggetti di controllo mostrano una riduzione dei tempi di reazione delle risposte ad items visonome congruenti. L assenza di tale facilitazione riscontrata nella paziente con demenza semantica indica la perdita delle conoscenze semantiche associate al riconoscimento di visi.. (Calabria et al., Brain Cogn 2009). molto interessante lo studio dei profili cognitivi che caratterizzano e differenziano la malattia di Alzheimer da altre patologie neurodegenerative. L obiettivo del presente progetto di ricerca è l individuazione di un profilo di indicatori neuropsicologici, rappresentativi dei deficit comportamentali correlati al processo di invecchiamento, sia nella sua normale espressione fisiologica che in quella patologica. In due recenti studi abbiamo descritto la perdita delle conoscenze semantiche associate al riconoscimento di visi e l alterazione delle funzionamento emotivo e dell empatia in una paziente con demenza semantica. Il profilo cognitivo descritto sperimentalmente risulta essere associato alle alterazioni comportamentali che spesso caratterizzano la demenza semantica (Calabria M, et al.brain Cogn Aug;70(3): ; Calabria M et al.brain Cogn Jul;70(2): ). Studio finalizzato alla valutazione della qualità di vita, ansia, depressione e burden assistenziale di tipo fisico e psicologico dei caregiver di pazienti dementi e delle badanti (Progetto: Qualità di vita dei caregiver di pazienti dementi e ruolo delle badanti) (Referente Scientifico: Orazio Zanetti) Nella nostra società, la cura dei pazienti affetti da demenza è un problema sociale emergente che può alterare molte dinamiche familiari. Esiste inoltre ormai da tempo in Italia una realtà emergente caratterizzata dalla presenza di donne immigrate che svolgono attività di assistenza presso le famiglie, in particolare ad anziani non autosufficienti. Queste assistenti chiamate anche badanti costituiscono una risorsa preziosissima per le famiglie, data l assenza di manodopera locale disponibile a prezzi accettabili per redditi normali e le carenze del sistema pubblico di assistenza alle persone non autosufficienti. L assistenza effettuata dalle badanti pur essendo ricca di elementi positivi, suscita dubbi e perplessità legate alla reale competenza assistenziale di queste persone, a 85

7 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione problemi di comunicazione di tipo linguistico e culturale con la famiglia ospitante, all alto ricambio di manodopera che può mettere in crisi l anziano e la famiglia e alle dinamiche relazionali che intercorrono tra famiglia, assistito e assistente, vissuta alcune volte come membro della famiglia confidente, altre volte come membro intruso di cui poco ci si fida. Recentemente, inoltre, la presenza di una badante all interno del nucleo familiare è stata associata ad un miglioramento significativo del burden soggettivo ed oggettivo del caregiver (E. Rosa et al., 2004) e può rappresentare una popolazione a rischio di burn-out (E. Rosa et al. 2007). Poco si conosce in realtà relativamente al carico assistenziale sperimentato dalle badanti, alla loro formazione specifica, al fenomeno del turnover assistenziale ed alle difficoltà sperimentate nell assistenza a pazienti affetti da demenza. In un gruppo di 50 badanti sono state raccolte le seguenti variabili: 1) dati sociodemografici 2) sintomi depressivi (CES-D, Center for epidemiological studies depression scale) 3) carico assistenziale (CBI, Caregiver Burden Inventory ). La maggior parte delle badanti sono donne, sposate con bambini e provengono dai Paesi dell Est Europeo, soprattutto dall Ucraina (36%), dalla Romania (12%), dalla Moldavia (30%) dalla Polonia (4%) e dalla Russia (2%). Il loro livello di scolarità è mediamente elevato in quanto il 32% di loro risulta laureato nel paese d origine. Vivono in Italia da sole senza la famiglia di origine circa da due anni. Il loro carico assistenziale risulta elevato poiché dedicano in media 13±6 h al giorno a vigilare il paziente e 2±1h al giorno ad assisterlo. Il 92% ha diritto ad un giorno libero dall impegno assistenziale, solitamente la domenica. Per quanto riguarda la loro formazione l 86% di esse non ha mai partecipato a training specifici per l assistenza a pazienti affetti da demenza e desidererebbe parteciparvi (80%). Le badanti si lamentano inoltre del fatto che le informazioni assistenziali sull assistito e le modalità relazionali richieste siano definite nella maggior parte dei casi dal caregiver (74%). Altri dati significativi sono legati al burden assistenziale delle badanti: circa un terzo soffre di sintomi depressivi (34%), in particolare il 17% di moderati sintomi depressivi ed il restante 17% di sintomi depressivi di grado severo. Inoltre, i sintomi depressivi aumentano con l aumentare delle ore di assistenza al paziente (p<.043). Questi dati evidenziano che anche le badanti risultano una categoria a rischio di stress e burn-out meritevole di attenzione. Allo stato attuale il progetto si sta arricchendo tramite la raccolta di una casistica più ampia. Il campione raggiunto è di 120 badanti ed i dati sono in fase di elaborazione statistica. La presa in carico del caregiver: intervento d equipe multidisciplinare, volto alla valutazione dei bisogni e delle aspettative dei caregiver di pazienti affetti da demenza rispetto al ricovero e alla fase successiva al ricovero (Referente Scientifico: Orazio Zanetti) Il burden assistenziale associato alla cura dei pazienti affetti da demenza è documentato dalla letteratura internazionale e molti sono stati recentemente i tentativi da parte delle strutture ospedaliere che si occupano di pazienti affetti da demenza di offrire servizi rivolti alle famiglie che permettano una maggiore prevenzione dello stress ed una eventuale presa in carico delle problematiche del caregiver. E stato sottoposto un questionario rivolto alla rilevazione dei bisogni del caregiver a 112 caregivers di pazienti affetti da demenza di grado moderato severo (MMSE: 9±7) reclutati presso l U.O. Alzheimer-Centro per la Memoria. I risultati principali mostrano che i caregivers sono soprattutto donne (69%), di età media 55±10anni, sono per lo più sposate (81%) e vivono con il paziente (39%). Il 35% di questi familiari si avvale dell assistenza di una badante che sta in media 6±10 ore al giorno ad accudire il paziente. I bisogni di tipo medico espressi dai familiari sono principalmente relativi ad una maggiore conoscenza della malattia (77%) e della diagnosi (64%); i bisogni di tipo educativo espressi sono soprattutto relativi all acquisizione di competenze comunicative (82%) e di gestione di disturbi cognitivi (76%) e 86

8 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 M +D.S. M + D.S. F p Bisogno di acquisire strategie di Coping per gestire lo stress Yes NO Carico fisico Carico emotivo CES-D STAI Y Bisogno di elaborazione di reazioni emotive Carico oggettivo Carico evolutivo Carico sociale Carico emotivo CES-D STAI Y Problemi di accettazione della malattia Carico fisico Carico evolutivo CES-D STAI Y Problemi relativi all inversione dei ruoli Carico fisico Carico evolutivo Carico sociale CES-D STAI Y Bisogno di un supporto psicologico per l elaborazione del lutto Carico fisico Carico evolutivo CES-D STAI Y Bisogno di supporto psicologico per l inserimento in RSA Carico sociale Note: Limite di significatività p < 0.05 Tabella - Associazione tra i bisogni espressi dai caregiver e il burden oggettivo e soggettivo percepito (n= 112) (Rosa et al., Arch Gerontol Geriatr 2009;Epub ahead of print). comportamentali (80%); i bisogni di tipo psicologico espressi riguardano l area della gestione dello stress emotivo dell assistenza (37%) e l elaborazione di ansia, rabbia e senso di colpa ( 48%); i bisogni di tipo sociale riguardano soprattutto la conoscenza dei servizi (60%) e la richiesta di informazioni relativamente all inserimento in una RSA o in un Centro diurno (44,5%). Inoltre, l analisi della varianza mostra una relazione significativa tra i bisogni psicologici espressi e i livelli di ansia e depressione espressi dai caregiver. E degno di nota, inoltre, osservare che nonostante i pazienti siano affetti da una demenza di grado moderato severo, i familiari esprimano ancora bassi livelli di conoscenza della malattia. I nostri dati mostrano che è importante conoscere i bisogni espressi dai familiari per impostare interventi di counselling mirati alla prevenzione dello stress dei caregiver. Un ulteriore elaborazione di dati ha portato alla seguente pubblicazione di cui si allega una tabella. (Rosa et al., Arch Gerontol Geriatr 2009;[Epub ahead of print]). 87

9 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione Aspetti bioetici relativi alla diagnosi, cura e ricerca nell ambito della malattia di Alzheimer (Referente Scientifico: Corinna Porteri) La diagnosi e cura di pazienti con malattia di Alzheimer e la loro partecipazione a protocolli di ricerca pongono specifici problemi bioetici legati alla tipologia della malattia che comporta una compromissione della capacità di comprendere e di decidere. Tale compromissione implica la necessità di trovare da un lato modi di valorizzazione dell autonomia residua della persona e dall altro modi di tutela del paziente e di promozione del suo benessere. La ricerca, che è stata condotta anche all interno del progetto di RF Analisi delle problematiche di bioetica implicate nella diagnosi e nel trattamento delle malattie neurodegenerative a lenta evoluzione, è stata centrata in particolare sui seguenti temi: - la capacità di decidere la partecipazione a trials clinici in persone affette da malattie dementigene Il progetto prevede il coinvolgimento di pazienti candidati per la partecipazione a trials farmacologici in corso in istituto e dei loro caregiver. Al fine di valutare la comprensione del trials e la capacità di decidere la partecipazione vengono somministrati due strumenti: il CT-Und elaborato in istututo e il MacCAT-CR di Appelbaum e Grisso. Sono stati per ora arruolati 7 pazienti e 8 caregivers nell ambito dello studio AZ la comunicazione della diagnosi di malattia di Alzheimer ai pazienti e ai loro familiari il progetto è articolato in due parti: 1) Analisi etica di casi clinici relativi alla comunicazione della diagnosi di malattia di Alzheimer s formulata utilizzando i nuovi criteri diagnostici. La discussione è stata condotta tenendo in considerazione in particolare (i) la questione del confine tra procedure di ricerca e pratica clinica; (ii) i concetti di evidenza scientifica e di incertezza scientifica; (iii) la questione dell autonomia del paziente e del suo miglior interesse; (iv) lo specifico contesto sociale e personale del paziente. (Porteri C. et al. Can. J. Neurol. Sci. 2010; 37: 67-75) 2) Descrizione del processo di comunicazione della diagnosi di malattia di Alzheimer s nella prassi clinica dell Istituto. L indagine viene effettuata attraverso la somministrazione di tre questionari uno per i medici, uno per i pazienti e uno per i familiari finalizzati a descrivere il comportamento dei medici e le motivazioni che lo determinano, nei confronti della comunicazione della diagnosi di malattia di Alzheimer al paziente e al suo familiare caregiver; descrivere come la diagnosi comunicata dal medico viene recepita dal paziente e dal familiare; descrivere la soddisfazione di pazienti e familiari sul processo di comunicazione della diagnosi. Nel 2009 sono stati raccolti 38 questionari per medico, 25 questionari per il paziente, 36 questionari per il familiare. La tabella riporta i dati socio-anagrafici dei pazienti e familiari arruolati. Patients Caregivers n=25 n=36 Age, years 75,76±7, ±12.09 (range) (57 to 91) (30 to 77) Gender, F/M 17 (68%) 8 (32%) 25 (69%) 11 (31%) Education, years 8,44±5,15 11,75±3,91 (range) (3 to 23) (5 to 23) Mini Mental State Exam. 20,6±5,93 29,78±0,59 (range) (9 to 29) (27 to 30) Tabella - Dati socio-anagrafici dei pazienti e familiari arruolati. 88

10 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 Fattori predittivi di mortalità nella demenza (Referente Scientifico: Orazio Zanetti) La malattia di Alzheimer è all origine del 7,1% di tutte le morti nei soggetti anziani (Ewback, 1999). La stima della sopravvivenza e dei predittori che la influenzano rappresenta un utile risorsa per i pazienti, i familiari, i clinici e gli amministratori. Nei soggetti con demenza sono risultati essere importanti predittori di mortalità: l età (Schaufele et al, 1999; Gambassi et al, 1999), l esordio precoce della demenza (Ueki et al, 2001), il genere maschile (Ueki et al, 2001 Gambassi et al, 1999), la presenza di comorbidità, la severità del declino cognitivo (Ueki et al, 2001; Larson et al, 2004), la presenza di disabilità motoria (Schaufele et al, 1999; Gambassi et al, 1999)e funzionale (Larson et al, 2004), la presenza di EPS,la comorbidità somatica (Gambassi et al, 1999) e la presenza di BPSD (Scarmeas, 2005). Scopo dello studio: valutare una vasta serie di fattori socio-demografici e clinici (stato cognitivo, funzionale, somatico e psichico) quali possibili predittori di mortalità in un gruppo di soggetti con demenza. Materiali e metodi: Pazienti ricoverati presso l IRCSS Fatebenefratelli di Dio (Brescia) dal 2000 al I dati sono ottenuti dalla cartella clinica del paziente stilata da un medico durante la degenza ospedaliera o presso il Centro Diurno. Le informazioni ottenute riguardano alcuni fattori sociodemografici: età al momento del ricovero considerata sia come variabile continua espressa in anni che come variabile categoriale (Categorie previste < o = 75; tra 76 e 80; tra 81 e 85; >85 anni), sesso (Categoriale: maschile vs femminile) e scolarità codificata sia come variabile continua (anni di studio) che categoriale (categorie< o = a 5; tra 6 e 8; tra 9 e 13; >13). L utilizzo di tabacco, ricavato dall anamnesi, espresso come una variabile categoriale (presente o assente) e come una variabile continua (numero di sigarette/die).l utilizzo di alcool espresso come variabile categoriale (presenza/assenza).bmi misurato come variabile continua. Durata della malattia misurata come variabile continua. Severità della demenza: valutata come variabile categoriale. La severità dei sintomi del deficit cognitivo misurata con il Mini Mental State Examination ed espressa come variabile categoriale (definire le categorie?) e continua (punteggio grezzo e corretto di MMSE). I soggetti verranno contattati per un follow-up telefonico per verificare la condizione clinica attuale e l eventuale decesso a partire dal giugno Demenze atipiche: disturbi cognitivi e disordini del movimento (Referente Scientifico: Giuliano Binetti) La concomitante presenza di deficit cognitivi associati a disordini del movimento apre uno spettro clinico, diagnostico e terapeutico che si colloca oltre la malattia di Alzheimer ed interessa forme di demenza che vanno dalla Demenza a Corpi di Lewy (DLB), alla Demenza Frontotemporale (FTD), fino ad abbracciare vari disturbi di tipo extrapiramidale che includono la Parkinson-Demenza, la Degenerazione Corticobasale (CBD) o la Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP). L eziopatogenesi di queste malattie resta ancora largamente sconosciuta ed una larga diffusione nei paesi industriali rende il fattore ambiente un primo candidato nella ricerca di agenti causativi di malattia. Studi condotti nei comuni della Valle Camonica situati in prossimità delle industrie di ferroleghe indicano una maggiore prevalenza delle sindromi parkinsoniane rispetto al territorio bresciano extra- Valle Camonica (Lucchini et al., 2003): nel corso dell anno 2009 sono state indagate le possibili origini ambientali di tale aumento. E stato dimostrato che i pazienti della Valcamonica presentano un incremento del Cu sierico, nonché del rapporto AST / ALT, e una diminuzione di Zn e Fe sierici rispetto ai casi provenienti dal comune di riferimento (Brescia) ed ai controlli. Casi e controlli dalla Valcamonica mostrano livelli superiori di MNB e MNU rispetto a casi e controlli di Brescia. La gravità del disturbo del movimento correla con i livelli di rame (Cu) sierici e con il rapporto AST/ALT. I nostri risultati suggeriscono la possibilità che, in 89

11 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione Figura - I livelli di manganese come percentuale del totale delle polveri depositate nella provincia di Brescia (interpolazione Kringing). (Squitti R, et al. J Neural Transm 2009). questa area, una esposizione in vita a neurotossicità e in particolare a Mn, se accompagnata a una disfunzione epatica subclinica, può comportare un aumento del rischio per malattie neurodegenerative attraverso anomalie nel metabolismo dei metalli (Cu, Zn, Fe) (Squitti et al., J Neural Transm 2009). È attualmente in corso uno studio delle caratteristiche neuropsicologiche, funzionali, comportamentali, biologiche e genetiche in grado di influenzare la risposta al trattamento farmacologico e riabilitativo. Sono state condotte analisi sulla risposta alla riabilitazione cognitiva e alla stimolazione motoria di 145 pazienti (55 MCI, 90 affetti da demenza) e dei loro caregiver (n = 131) partecipanti a interventi informativi / psicoeducativi. Sessantotto dei 145 soggetti si sono rivelati pazienti che rispondono alla riabilitazione: questi mostrano una minor compromissione della capacità introspettiva, maggiori capacità funzionali e un numero minore di disturbi comportamentali, quali comportamenti deliranti, euforia e comportamenti motori afinalistici, rispetto ai pazienti che non rispondono alla terapia (Binetti et al., in preparazione). Storia naturale del decadimento cognitivo lieve: correlati clinici e di neuroimaging (Referente Scientifico: Cristina Geroldi) La prevalenza del decadimento cognitivo aumenta esponenzialmente con l età. Per identificare i soggetti a maggiore rischio di sviluppare malattia di Alzheimer (AD) è stata creata la categoria diagnostica del decadimento cognitivo lieve (MCI). Sebbene sia ormai riconosciuto che i pazienti con MCI hanno un maggiore rischio di sviluppare AD, il valore predittivo della categoria MCI non è clinicamente soddisfacente. Studi longitudinali di lunga durata hanno, infatti, dimostrato che fino al 50% dei pazienti con MCI rappresenta il normale invecchiamento e non sviluppa AD. Quindi, è cruciale distinguere i pazienti che progrediranno da quelli che non progrediranno, anche perché i pazienti con MCI e AD incipiente sono i 90

12 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 SMC MCI AD Demenze p Total N=12 N=37 N=55 non-ad N=40 N=144 Caratteristiche sociodemografiche Età Sesso (femmine) 4 (33%) 26 (70%) 41 (75%) 20 (50%) # (63%) Scolarità Caratteristiche cliniche MMSE < IADL perse # NeuroPsychiatric Inventory BSI depressione Esami strumentali Magnetic resonance imaging 12/12 (100%) 36/37 (97%) 47/55 (85%) 38/40 (95%) /144 (92%) FDG PET 6/12(50%) 22/37 (59%) 34/55 (62%) 16/40 (40%).17 78/144 (54%) Lumbar tap 4/12(33%) 24/37 (65%) 38/55 (69%) 28/40 (70%).10 94/144 (65%) Tabella - Descrizione dei primi 144 pazienti arruolati. Le colonne e le barre di errore indicano la percentuale e gli intervalli di confidenza al 95% dei pazienti con almeno 1, almeno 2 o tutti e 3 i marker positivi. * nessun segno o segni uguali denotano nessuna differenza significativa (p<.05) al test del 2. Figura - Marker di AD in 144 pazienti riferiti all ATM. 91

13 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione candidati ideali per il trattamento con farmaci che modificano la storia naturale della malattia, attualmente in sviluppo. Recenti evidenze indicano che la AD può essere identificata allo stadio di MCI sulla base di una serie di marcatori biologici, quali atrofia temporale mesiale alla risonanza magnetica (MR) strutturale, ipometabolismo temporoparietale alla PET con fluorodesossiglucosio (FDG-PET), e inversione del rapporto tau/abeta nel liquor. Tuttavia, non è ancora noto quale sia il marcatore o la combinazione di marcatori con la maggiore accuratezza diagnostica e prognostica. Nell anno 2009, sono stati elaborati i dati descrittivi riguardanti i primi 144 pazienti arruolati consecutivamente nello studio (vedi descrizione in tabella). I risultati di questa prima analisi indicano che la sensibilità di ogni marcatore biologico (volume dell ippocampo studiato con risonanza magnetica, ipometabolismo temporoparietale con PET, tau e Abeta liquorali) è maggiore nella demenza di Alzheimer (da 65 a 87%) rispetto all MCI (da 18 a 50%). La loro specificità versus il disturbo soggettivo di memoria è buona (83%), moderate rispetto alle demenze non-ad (53%). La positività ad almeno1 dei marker aumenta di 38 volte la probabilità di appartenere al gruppo AD (p<.0001). Caratterizzazione delle alterazioni macro- e micro-strutturali nel decadimento cognitivo con tecniche di imaging avanzato (Referente Scientifico: Michela Pievani) Le moderne tecniche di imaging strutturale permettono di indagare con maggiore dettaglio anatomico le Figura - Aree di maggiore atrofia temporale nei portatori di APOE4 ( 4+) rispetto ai non portatori ( 4-) (sinistra), e di maggiore atrofia frontale-parietale nei non-portatori (destra). (B) Mappe percentuali: differenza percentuale di riduzione di sostanza grigia tra portatoti e non portatori (Pievani et al., Neuroimage 2009). 92

14 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 alterazioni tissutali macro- (sostanza grigia) e micro-strutturali (fasci di sostanza bianca), offrendo nuove potenzialità per la comprensione dei meccanismi patologici responsabili del decadimento cognitivo e della malattia di Alzheimer (AD). Il progetto si è proposto di studiare l effetto di APOE4, il maggiore fattore di rischio genetico della malattia, sull atrofia corticale ed ippocampale in pazienti con AD, utilizzando le tecniche di cortical pattern matching e di radial atrophy mapping. Lo studio ha mostrato un diverso pattern di atrofia corticale tra portatori e non portatori, i primi essendo maggiormente colpiti nelle aree temporali mesiali e i secondi nelle aree parieto-frontali (Pievani et al., Neuroimage 2009;45:1090-8). Oltre al danno a carico della sostanza grigia, i pazienti con AD sembrano presentare alterazioni nella sostanza bianca sin dalle fasi precoci della malattia. E stato ipotizzato che alterazioni a carico di specifici tratti possano danneggiare la connettività funzionale e quindi avere un effetto sulla cognitività. Combinando l imaging strutturale con la tecnica di EEG, è stato studiato l effetto delle lesioni vascolari lungo i tratti colinergici sui ritmi encefalo grafici in una popolazione di soggetti con decadimento cognitivo lieve. Lo studio ha mostrato come la presenza di lesioni colinergiche sia associata ad anomalie dei ritmi elettroencefalografici (Babiloni et al, HBM 2009;30: ). Correlati di neuroimmagine nell invecchiamento fisiologico e nel decadimento cognitivo (Referente Scientifico: Dott. Giovanni B Frisoni) L imaging funzionale (PET con fluorodesossiglucosio, FDG-PET e risonanza magnetica funzionale a riposo, rfmri) è di fondamentale importanza per lo studio e la diagnosi del decadimento cognitivo in quanto fornisce una modalità in vivo per studiare le alterazioni cerebrali funzionali legate ai sintomi più precoci di demenza, ancora prima che si sviluppi un significativo ed irreversibile danno strutturale. Infatti, la FDG-PET studia l ipometabolismo cerebrale ed è uno dei marcatori biologici precoci di AD e la rfmri ha di recente guadagnato interesse per lo studio della connettività funzionale negli stadi precoci di AD. Inoltre, lo studio del carico di amiloide con imaging molecolare (PET con PIB) può identificare in vivo un evento precoce nella patogenesi della AD, la deposizione di beta-amiloide ed è cruciale non solo per la diagnosi precoce, ma anche per il monitoraggio della malattia e la valutazione di efficacia di nuovi farmaci anti-amiloide negli studi clinici randomizzati. Infine, l uso combinato delle diverse modalità di imaging può avere un importante valore aggiunto per la diagnosi e il monitoraggio della malattia. Infatti, l uso di singole modalità di neuroimaging fornisce solo una visione ristretta delle alterazioni cerebrali legate alla malattia nel corso del tempo, mentre l uso multimodale di immagini è in grado di dare una completa visione delle alterazioni funzionali, strutturali e molecolari. Lo studio ha consentito di dimostrare che nelle regioni temporali mesiali l accumulo di amiloide si accompagna a neurodegenerazione, fenomeno non rilevabile in altre aree cerebrali. Inoltre, lo studio combinato di immagini di risonanza strutturale e PET con glucosio ha permesso di evidenziare le aree cerebrali in cui il tessuto cerebrale residuo è dotato di particolare salienza e resistenza alla neurodegenerazione e quelle caratterizzate da maggiore suscettibilità. Studio dei modelli dell attività cerebrale correlati all invecchiamento normale e patologico attraverso la costituzione di un archivio EEG (Referente Scientifico: Vito Davide Moretti) L invecchiamento del sistema nervoso è spesso associato a malattie croniche tipiche dell età avanzata, che possono offrire nei loro meccanismi patogenetici e nella loro suscettibilità a particolari terapie, la chiave per la 93

15 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione comprensione dei determinanti della senescenza. Nell invecchiamento normale e patologico i disturbi cognitivi e comportamentali costituiscono un aspetto fondamentale visto che tali deficit sono la causa di disabilità che complica notevolmente la vita dell anziano. Solo da pochi anni le tecniche di neuroimaging sono state utilizzate al fine di costruire modelli dell attività cerebrale correlata all invecchiamento. Ad esempio, studi recenti di neurofisiologia sperimentale mettono sempre più in luce l importanza delle connessioni cortico-corticali intraed inter- emisferiche nel mediare i fenomeni di sincronizzazione e desincronizzazione dell attività neuronale nello studio del funzionamento cerebrale. È, infatti, noto che uno dei possibili linguaggi attraverso il quale, i raggruppamenti di cellule nervose, comunicano tra loro è basato su transitori incrementi o decrementi di sincronizzazione della loro scarica elettrica ritmica, in assenza di significative variazioni della frequenza di scarica medesima. Tale problematica può esser oggi efficacemente affrontata mediante lo studio della coerenza di un segnale neuroelettrico ritmicamente oscillante emesso da due gruppi di neuroni separati tra loro. L importanza clinica di tale approccio deriva anche dal fatto che le connessioni orizzontali cortico-corticali rappresentano uno tra i primissimi sistemi ad essere colpiti dai processi degenerativi presenti nell invecchiamento cerebrale patologico, perciò tale metodica potrebbe essere un ottimo indicatore della funzionalità del sistema cerebrale. L integrazione di queste informazioni di connettività e funzionalità con dati strutturali, neuropsicologici, marcatori biologici periferici e dati genetici, permetterebbe di ottenere un quadro fisiologico di funzionamento su un preciso substrato strutturale. L obiettivo di questo progetto è quello di costruire dei modelli d attività cerebrale correlata ad attività specifiche nell invecchiamento normale e patologico e di verificare il funzionamento di vari circuiti neuronali. Si vuole inoltre verificare l ipotesi che la connettività funzionale cortico-corticale alla base dei ritmi cerebrali a riposo fornisca importanti informazioni predittive sul possibile declino cognitivo di soggetti in uno stadio preclinico individuando dei markers elettroencefalografici in grado di distinguere pazienti con deficit cognitivi lievi che convertiranno, da quelli che non convertiranno in AD. Il progetto ha analizzato l attività elettroencefalografia (EEG) in soggetti affetti da mild cognitive impairment (MCI), con l obiettivo di identificare markers EEG capaci di distinguere fra sottogruppi di pazienti con differente substrato patologico. In particolare, sono stati analizzati soggetti MCI con: 1) danno vascolare sottocorticale; 2) atrofia ippocampale; 3) danno vascolare delle vie colinergiche. L analisi è stata condotta tramite i seguenti indici caratterizzanti l attività elettrica cerebrale: 1) potenza spettrale relativa dei ritmi cerebrali; 2) indici di frequenza EEG; 3) coerenza spettrale. I risultati principali hanno dimostrato che: 1) nei pz. MCI con danno vascolare sottocorticale si verifica un rallentamento EEG (aumento basse frequenze, diminuzione in alpha) proporzionale alla severità del danno vascolare. Questo indica una progressiva disconnessione; 2) nei pz. MCI con atrofia ippocampale la variazione degli indici non è proporzionale al danno (aumento di alpha solo nel gruppo con danno moderato). Questo indica uno stato possibile di attivazione, reattivo al danno degenerativo, di tipo compensatorio, in una fase particolare del decorso; 3) il danno delle vie colinergiche provoca alterazioni dei meccanismi di controllo attentivi extra-talamici in senso inibitorio-sincronizzante nei tratti a breve raggio (perisilviano e mediale) e disinibitorio-desincronizzante nel tratto a lungo raggio (capsulare); 4) nei pz. con danno vascolare e colinergico si verifica una diminuzione di coerenza fronto-parietale intraemisferica mentre vi è un aumento della coerenza temporale interemisferica nei pz. con danno ippocampale. 94

16 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 Figura - Rappresentazione schematica dei possibili effetti del rapporto tra i ritmi theta e gamma in funzione dei deficit di memoria. (Moretti et al., Clin Neurophysiol 2009). Identificazione di profili molecolari e genetici, associati all invecchiamento normale e patologico ed all espressione di specifici endofenotipi clinico-neuropsicologici e comportamentali (Referente Scientifico: Roberta Ghidoni) L attuale dibattito scientifico, nel campo delle malattie neurodegenerative, è concentrato sull identificazione di marker biologici di supporto alla formulazione di una diagnosi differenziale ed in grado di predire l insorgenza e/o la progressione della malattia. La condizione di decadimento cognitivo lieve non associato a demenza (Mild Cognitive Impairment, MCI) è 95

17 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione caratterizzata da disturbo di memoria isolato, senza impatto funzionale sulle attività della vita quotidiana, ad alto rischio di progressione in demenza. Si stima che circa il 40% dei soggetti con MCI sviluppi malattia di Alzheimer (AD) entro 2-3 anni. Risulta quindi importante identificare precocemente i soggetti più a rischio di sviluppare demenza, per intraprendere percorsi terapeutici nelle prime fasi della malattia e ritardarne così la comparsa. Sono stati sviluppati i seguenti progetti: 1) Marcatori molecolari (a) Approccio classico Recenti studi hanno evidenziato come la perdita di neuroni in pazienti affetti da malattie neurodegenerative, possa derivare da una complessa interazione tra differenti fenomeni cellulari tra cui la perturbazione dell omeostasi di alcuni metalli (rame e ferro) e di enzimi ad essi associati con conseguente produzione di specie reattive dell ossigeno (Squitti et al., 2006; Squitti et al., 2008). Nel corso del 2009 abbiamo condotto uno studio dei livelli serici di rame libero non coniugato alla ceruloplasmina in pazienti affetti da demenza di Alzheimer e decadimento cognitivo lieve (MCI) valutandone la correlazione con parametri clinico-neuropsicologici. Il risultato principale di questo studio suggerisce che una deregolazione del rame libero può determinare variabilità nella progressione del declino cognitivo nella malattia di Alzheimer (Squitti et al., Neurology 2009). (b) ImmunoProteomica - Sebbene sia noto che alla patogenesi dell AD concorrono la formazione di aggregati proteici e la perdita di popolazioni neuronali, poco noti sono gli eventi molecolari alla base del processo di morte causato dalle proteine coinvolte. Nel corso del 2009 è stato studiato il ruolo dei frammenti di abeta troncati alle estremità N e C terminali (monomeri ed oligomeri) nelle forme famigliari di demenza (soggetti portatori di mutazioni in APP, PS1 e PS2). Lo studio è stato effettuato nel liquido cerebrospinale mediante tecnologia SELDI TOF. E stato da noi dimostrato che la presenza di mutazioni patogenetiche determina un abbassamento globale di tutte le forme del peptide A presenti nel CSF, inclusi i frammenti troncati nelle estremità C- ed N- terminali. Valutando le percentuali relative delle specie A (rispetto alla quantità totale di A ) è stato dimostrato che solo la mutazione A PP T719P presenta uno sbilanciamento delle proporzioni relative dei peptidi A con una notevole riduzione di A 1 40 e A 1 42 ed un parallelo aumento di A and A 1 38 (Ghidoni et al., Journal of Alzheimer Disease, 2009). E stato studiato il ruolo di cistatina C nelle malattie neurodegenerative: il metabolismo di cistatina C e di A è stato studiato mediante spettrometria di massa in modelli cellulari di malattia. E stato dimostrato che cistatina C viene trasportata extracellularmente attraverso gli esosomi e che tale nuova via di comunicazione inter-neuronale è compromessa in presenza di mutazioni patogenetiche in PS2 associate ad Alzheimer famigliare (Ghidoni et al., Neurobiology of Aging 2009). 2) Marcatori genetici - Obiettivo del 2009 è stato l identificazione di fattori genetici di rischio associati allo sviluppo delle forme sporadiche di demenza (i.e. FTLD, demenza di Alzheimer, demenza vascolare) con particolare attenzione ai geni codificanti per proteine coinvolti nei processi infiammatori a livello del SNC. a) Abbiamo dimostrato che una comune variante genetica (rs , G>C) nel locus 9p21.3, precedentemente collegata a un aumentato rischio vascolare, è in grado di influenzare la suscettibilità alla demenza vascolare (VaD) e alla demenza di Alzheimer ad esordio tardivo (LOAD), indipendentemente dal fattore di rischio APOE e4 e da altri fattori di rischio vascolari. Questi risultati collegano per la prima volta 96

18 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 Figura -Cistatina C (CysC) e le sue forme glicosilate vengono rilasciate dai neuroni mediante esosomi: una nuova via di comunicazione neuronale implicata nella patogenesi della malattia di Alzheimer (Ghidoni et al., Neurobiol Aging 2009). un locus precedentemente coinvolto nella patogenesi degli eventi aterotrombotici allo sviluppo di demenza, rafforzando ulteriormente il concetto che i fattori di rischio vascolari siano in grado di svolgere un ruolo nel declino cognitivo e nei disturbi dementigeni (Emanuele et al., Neurobiol Aging. 2009). b) L analisi dei fattori di rischio genetici che predispongono al decadimento cognitivo lieve (MCI) è fondamentale per valutare la predisposizione individuale a sviluppare l a dmenza di Alzheimer (AD). Per questo motivo abbiamo effettuato uno studio caso-controllo al fine di valutare se il decadimento cognitivo lieve sia influenzato dai polimorfismi del gene codificante per la proteina tau (MAPT). I risultati di questo suggeriscono che aplotipo H1 di MAPT conferisce un maggior rischio per la condizione di MCI: il decadimento cognitivo lieve presenta quindi un background genetico comune alla malattia di Alzheimer. (Di Maria et al., Journal of Alzheimer Disease, 2009). c) Sulla base delle ipotesi eziologiche delle malattie neurodegenerative oggetto di studio, sono stati selezionati alcuni geni canditati e sono stati effettuati degli studi di associazione per identificare nuovi fattori genetici di rischio per demenza (i.e. FTLD e AD). Sulla base dei risultati ottenuti, alcuni geni sono stati indicati quali potenziali fattori di rischio genetico per la demenza, ed in particolare per la demenza frontotemporale: il gene che codifica la forma neuronale dell enzima ossido-nitrico sintasi (NOS3) (Venturelli et al., Eur J Neurol 2009); il gene Monocyte Chemoattractant Protein (MCP-1) (Galimberti et al., Journal of Alzheimer Disease, 2009); il gene DCUN1D1 (Villa et al., Eur J Neurol 2009); il gene che codifica per cistatina C, CST3 (Benussi 97

19 Ricerca Corrente 2009 Linea 2: Riabilitazione & Ghidoni et al., Eur J Neurol 2009) e il gene che codifica per progranulina, PGRN (Galimberti et al., Journal of Alzheimer Disease, 2009). È stato invece escluso un ruolo del gene CCL8/MCP-2 nella comparsa della demenza di Alzheimer e della demenza frontotemporale (Villa et al., J Neurol 2009). Studio delle forme familiari di demenza e consulenza genetica (Referente Scientifico: Luisa Benussi) La malattia di Alzheimer e la demenza frontotemporale (FTD) sono malattie che comportano una progressiva perdita delle funzioni cognitive, con impatto sugli aspetti funzionali e la vita di relazione. Per la demenza di Alzheimer i casi familiari rappresentano il 5% del totale dei casi rilevati, mentre per la demenza frontotemporale questa quota si attesta intorno al 30-50%. Alcuni test molecolari sono oggi disponibili per una diagnosi delle forme ereditarie di demenza. Presso l IRCCS Centro S. Giovanni di Dio- Fatebenefratelli è stata intrapresa un attività di studio e ricerca preliminare all attivazione di un servizio di consulenza genetica per pazienti affetti da demenze a carattere ereditario ed i loro familiari. In primo luogo è stato condotto uno studio atto a valutare attitudini, conoscenze ed esperienze relative alle forme famigliari di demenza in un gruppo italiano di famigliari di pazienti affetti da demenza a carattere ereditario. Sono state inoltre raccolte le intenzioni a sottoporsi ad un eventuale test molecolare e le variabili che influenzano queste ultime. Le variabili raccolte sono state quindi paragonate a quelle, precedentemente descritte, relative ad un gruppo di famigliari americani. L indagine effettuata dimostra un elevata intenzione nei famigliari a sottoporsi al test genetico (più del 70%); al contempo tali soggetti hanno una scarsa conoscenza della malattia e una bassa minore percezione del rischio genetico cui sono soggetti rispetto alla popolazione americana (Binetti and Benussi et al, Patient Education and Counselling 2006). In risposta ai bisogni rilevati, e con il contributo dell equipe multidisciplinare partecipante al progetto Ministeriale RF1/02 Conv.194, è stato strutturato un protocollo di consulenza genetica per le demenze ereditarie. Si tratta di un protocollo multidisciplinare che è stato sviluppato in accordo con le linee guida internazionali per la Corea di Huntington (International Huntington Association and the World Federation of Neurology Research Group on Huntington s Chorea. Guidelines for the molecular genetics predictive test in Huntington s disease. Journal of Medical Genetics 31: , 1994 e Neurology 44: , 1994). Nel corso del 2009 sono state apportate nuove conoscenze sulle cause genetiche delle demenze familiari: a) È stato condotto uno studio volto a stimare il ruolo di PGRN quale determinante genetico per la demenza frontotemporale (sporadica e familiare): complessivamente, mutazioni in PGRN rendono ragione di circa un terzo dei casi familiari di demenza frontotemporale: tale test genetico è stato introdotto nel protocollo di consulenza genetica (Benussi&Ghidoni et al., Neurobiology of Disease 2009). Inoltre è stato ipotizzato che, nei pazienti FTD non portatori di mutazioni in PGRN, la variante allelica PGRN rs possa conferire un maggior rischio di sviluppare la malattia (Galimberti et al., Journal of Alzheimer Disease 2009). b) È stato valutato il ruolo del gene CST3 (codificante per il fattore trofico cistatina C) quale fattore di rischio per la demenza frontotemporale sporadica e familiare. Dall analisi è emersa una maggior presenza dell aplotipo B di CST3 (OR = 1.619, P = 0.002) e dei genotipi AB/BB (OR = 1.704, P = 0.008) nei pazienti FTD (sia famigliari che sporadici). Per questo motivo è possibile ipotizzare che l aplotipo CST3 B possa essere un fattore di rischio genetico per FTD (Benussi & Ghidoni et al., European Journal of Neurology 2009). 98

20 Linea 2: Riabilitazione Ricerca Corrente 2009 Tabella - Distribuzione delle varianti aplotipiche di CST3 (gene che codifica per cistatina C) nei controlli (CTR) e nei pazienti affetti da degenerazione frontotemporale lobare (FTLD) portatori e non di mutazioni nel gene di progranulina (PGRN), il maggior determinante genetico di FTLD famigliare nella nostra popolazione. PGRN (+): pazienti portatori di mutazioni in PGRN; PGRN (-): pazienti negativi per mutazioni in PGRN. (Benussi&Ghidoni et al., Neurobiol Dis 2009). c) Attività di consulenza genetica: Il monitoraggio dell anamnesi familiare dei pazienti afferenti al Centro per la Memoria IRCCS Centro S. Giovanni di Dio-FBF, Brescia ha messo in evidenza una tratto familiare nel 39% dei pazienti. Il 10% dei pazienti ha richiesto di poter effettuare un test genetico diagnostico per demenze ereditarie in consulenza genetica: a seguito della verifica della presenza di un effettiva familiarità, il test è stato proposto all 82% dei pazienti (n=59), pari al 20% dei pazienti con familiarità che afferiscono al nostro Istituto. Il test diagnostico è risultato positivo (presenza di mutazione) nel 25% dei pazienti: il 60% dei pazienti sono portatori di mutazioni in PGRN, 20% in PSEN1, 7% in PSEN2, 7% in APP, 7% in MAPT. A 26 famigliari a rischio, appartenenti a famiglie in cui è stata identificata la causa genetica della malattia, è stato proposto il test pre-sintomatico: 12 hanno accettato (42%) ed hanno iniziato il protocollo di consulenza genetica per sogeggti pre-sintomatici. Variabili psicosociali e le conoscenze/attitudini nei confronti della malattia (demenza) e del test genetico nella fase pre-test sono state misurate in 28 famigliari e 15 pazienti. Unità Operativa - NEUROPSICOLOGIA 99

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