Privatizzazioni: a che punto siamo? a cura di: Manin Carabba, Alessandro Notargiovanni, Antonio Ruda e Riccardo Sanna

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1 Privatizzazioni: a che punto siamo? a cura di: Manin Carabba, Alessandro Notargiovanni, Antonio Ruda e Riccardo Sanna 1. Liberalizzazioni e privatizzazioni: il decennio italiano Quel che resta del Pubblico Prima del 92, il settore delle imprese pubbliche in Italia, rispetto agli altri paesi europei, era particolarmente esteso a tutti i settori produttivi assicurativo, creditizio e manifatturiero ed affidato al Ministero delle Partecipazioni statali. Le principali imprese controllate dallo Stato erano sostanzialmente organizzate in base all attività economica e rispondevano a società caposettore il cui capitale era posseduto da quattro Enti pubblici di gestione: IRI, EFIM, ENI ed ENEL 1. I primi due enti operavano prevalentemente nell industria manifatturiera, gli altri nell energia. Nei primi anni '90 il valore aggiunto delle imprese pubbliche rappresentava all'incirca il 18 per cento del PIL. All'epoca, i tre principali conglomerati pubblici - oltre ad IRI, l'ente Nazionale Idrocarburi ENI e l'ente per le Partecipazioni e Finanziamenti dell'industria Manifatturiera, EFIM - impiegavano oltre mezzo milione di lavoratori. Lo stato possedeva 12 delle 20 maggiori aziende non-finanziarie del paese e le istituzioni creditizie pubbliche raccoglievano circa il 90 per cento degli investimenti finanziari e l'80 per cento dei depositi 2. Il 1992 è l anno della svolta. Tutti gli enti di gestione vengono trasformati in Società per Azioni ed equiparati ad aziende di diritto privato. Sono noti gli obiettivi che, successivamente, hanno dato il via ai processi di liberalizzazione in Europa ed alla creazione del Mercato unico: efficienza e competitività del sistema dei servizi e conseguentemente del sistema economico europeo. Tuttavia, in Italia vanno prese in considerazione, già a partire dal 92 ulteriori motivazioni prettamente nazionali che hanno anticipato i processi di privatizzazione; motivazioni che trovano la loro ragione fondamentale nelle nascente insofferenza che emergeva a livello diffuso nell opinione pubblica nei confronti degli ambigui rapporti tra partiti e aziende pubbliche: i finanziamenti illeciti. D altro canto non poche aziende facenti capo alle Partecipazioni Statali (la stessa IRI) presentavano bilanci disastrosi che paventavano la bancarotta. Ragioni politiche e ragioni finanziarie, quello che Giuliano Amato ha chiamato il peccato originale, avevano convinto i governi di quegli anni a mettere fine al Ministero delle Partecipazioni Statali, all esperienza italiana dello Stato imprenditore, e lanciare un segnale chiaro alla politica ed ai mercati, che lo Stato in ogni caso avrebbe totalmente rinunciato a guidare le imprese. Meno Stato, più mercato. Ciò contribuì a rafforzare l autonomia del management di quelle imprese e allontanò l idea che attraverso le partecipazioni rimaste si potesse mettere in atto una relativa politica industriale. Non era ancora emerso l obiettivo di vendere queste imprese ai privati per fare cassa a beneficio del Tesoro che venuto meno il Ministero delle Partecipazioni Statali diventava il vero azionista. La spinta a privatizzare le imprese pubbliche per soccorrere il bilancio dello Stato è conseguente. Nel caso italiano, proprio la necessità di ridurre il debito pubblico attraverso cessioni di cespiti, e di migliorare il bilancio annuale attraverso maggiori dividendi o minori interessi, ha spinto lo Stato a trasformare gli Enti economici che operavano nei servizi di pubblica utilità (Eni ed Enel nell energia), prima in società a scopo di lucro e cedere poi, del tutto o in parte, le imprese pubbliche: quindi a farsi paladino di una liberalizzazione formalmente completa (borsa elettrica, unbundling, ecc.) senza preoccuparsi della reciprocità, cioè di verificare se gli altri paese europei stessero facendo la stesso cosa (v. Francia e caso Edison-EDF). 1 Le privatizzazioni in Italia dal 1992, R&S Mediobanca. 2 Privatization Barometer. 1

2 Forse senza l impellente necessità di fare cassa liberalizzazioni e privatizzazioni avrebbero marciato più lentamente. Siamo stati in Europa i primi della classe 3. Mappa delle partecipazioni del MEF Fonte: MEF. Ogni anno in luglio, il Ministero dell economia e delle finanze presenta al Parlamento la Relazione sulle privatizzazioni, l insieme delle operazioni di cessione delle partecipazioni in società controllate direttamente o indirettamente dello Stato. Nel 2003, tali operazioni hanno generato un introito lordo complessivo pari a 16,6 miliardi di euro che affluisce al Fondo per l ammortamento dei titoli di Stato, e ne costituisce la principale fonte di alimentazione. Le operazioni di privatizzazione realizzate dal 1994 (primo anno di esercizio del Fondo) al 31 dicembre 2003, hanno permesso l afflusso al Fondo medesimo di circa 90 miliardi di euro, ai quali vanno sommati gli incassi derivanti dalle vendite delle ultime trance ENEL. Quella del 2004, considerata il più grande collocamento mondiale, che ha permesso al MEF di incassare 7,5 miliardi di euro e quella, conclusasi in questi giorni, con un incasso pari a 4,1 miliardi. La somma supera i 100 milardi! A partire dal 1992 furono implementate le prime operazioni di grandi dimensioni, precedute solamente da alcune isolate dismissioni avvenute a metà degli anni '80 che hanno visto protagonisti 3 Concorrenza e liberalizzazioni: il caso sei servizi energetici a rete, P. Ranci. 2

3 Alitalia, Sirti e Stet. La scelta di privatizzare venne adottata per contrastare la profonda crisi finanziaria in cui si riversava il Paese, anche sotto la spinta dell'unione Europea. Il documento programmatico presentato nel 1992 dal primo ministro Amato al Parlamento enunciava tra l'altro i quattro obiettivi generali del processo di privatizzazione: 1) migliorare l'efficienza operativa delle imprese pubbliche; 2) aumentare la concorrenzialità dei mercati; 3) ampliare i mercati finanziari e favorire l'internazionalizzazione del sistema industriale; 4) ridurre il debito pubblico. Nel 1993 e 1994 furono vendute tramite offerta pubblica tre delle maggiori banche del paese Il governo di Centro-sinistra (97-99), guidato da Prodi e, successivamente, da D Alema, accelerò il processo di privatizzazione. Le dismissioni raggiunsero nei tre anni 67 miliardi $, pari il 55 per cento dei proventi totali raccolti durante l'intero processo. Tale attività, in tre anni, ha fruttato quasi 67 miliardi di US$, rappresentando oltre il 55% dei proventi totali raccolti durante l'intero processo. Le operazioni di maggior rilievo sono: nel 1997, vendita del 12,5 per cento dell' Eni, per un valore di oltre 8 miliardi di US$; nel 1998, l'offerta pubblica di Telecom Italia (44,7 per cento del capitale venduto per circa 11 miliardi di US$), di Alitalia (18,3 per cento del capitale) e BNL; nel 1999, vendita diretta per trattativa privata della società Autostrade combinata con la successiva offerta pubblica, collocamento in borsa del 32 per cento del capitale dell'enel che rappresentò la maggiore IPO della storia a livello internazionale (più di 17 miliardi di US$ di proventi). Nel 2000, l'iri venne liquidata e il Ministero del Tesoro, trasformatosi nel frattempo nel Ministero dell'economia e delle Finanze (MEF), incaricò il Comitato dei Liquidatori di completare entro la fine del 2003 la vendita o il trasferimento degli asset residui. Le partecipazioni azionarie dell'iri in Alitalia (53 per cento) e RAI (99,5 per cento) furono trasferite al MEF. Durante il governo Amato, le entrate annuali derivanti dalle operazioni di privatizzazione diminuirono a 6 miliardi di US$. Nel 2001, a seguito dell'insediamento del Centro-destra, il processo di privatizzazioni è proseguito con la vendita alla fine del 2002 della quota residua del Tesoro nel capitale di Telecom Italia, e nel 2003 con la privatizzazione totale dell'eti, l'ex monopolio pubblico del tabacco, e con la vendita ad investitori istituzionali di una quota del 6,6 per cento di ENEL. Nel dicembre 2003 il Ministero dell'economia ha ceduto alla Cassa Depositi e Prestiti (CdP), contestualmente alla sua trasformazione in società per azioni, partecipazioni rilevanti di Eni, ENEL e Poste Italiane. Successivamente, il 30 per cento del capitale della CdP è stato ceduto mediante trattativa diretta alle fondazioni bancarie a fronte di un controvalore di circa 1,3 miliardi di US$. Durante il primo semestre 2004, si sono registrate l'offerta pubblica del 9,5 per cento di SNAM Rete Gas (per un controvalore di quasi 800 milioni di US$), e l'ipo di Terna, la società che possiede la rete di distribuzione elettrica, società partecipate rispettivamente da Eni e da ENEL. Nell ottobre 2004 il MEF ha completato l Offerta Globale di circa il 20 per cento del capitale di ENEL, la terza tranche della compagnia elettrica ad essere collocata sul mercato. Il collocamento composto da un offerta pubblica e un offerta a investitori istituzionali nazionali e internazionali ha ottenuto proventi per circa 9,5 miliardi di US$, rappresentando la più grande operazione realizzata al mondo negli ultimi quattro anni. Nel 2005 si segnala la vendita di circa il 14 per cento del capitale di Terna da parte di ENEL tramite un offerta istituzionale accelerata. In precedenza, una quota pari a circa il 30 per cento del capitale della stessa società era stata trasferita alla Cassa Depositi e Prestiti. Confronti internazionali In Italia, Le dismissioni effettuate dal 1992 corrispondono complessivamente all 11,9% del PIL. Valore paragonabile a quanto è stato realizzato, in un diverso arco di tempo, dal Regno Unito (13,5%) e superiore alle percentuali stimate rispettivamente in Spagna (8,6%), in Francia (7,8%) e in Germania (3,9%). Sulla base dei dati complessivi sui processi di privatizzazione realizzati in Europa, l Italia si pone al primo posto avendo sopravanzato anche il Regno Unito. I proventi delle 3

4 privatizzazioni dal 1992 al 1996 hanno contribuito alla (tras)formazione del Pil mediamente per lo 0,30%. Dal 1997 al 2000 per l 1,13%. Dal 2001 al 2004 i proventi ammontano al 0,47% del Pil. Proventi italiani rispetto ai proventi globali - milioni di euro correnti (valori assoluti e percentuali) % Italia 14% 11% % 4% % 10% % 8% 34% % 15% Fonte: elaborazioni Ires su Securities Data Corporation. Al collocamento sul mercato di quote di capitale di società pubbliche, inoltre, non ha sempre corrisposto una cessione del controllo ai privati, trattandosi, in molti casi, di un trasferimento di quote minoritarie, o di quote che, pur coinvolgendo la maggioranza del pacchetto azionario, garantivano il mantenimento di una minoranza di controllo in mano pubblica. Il passaggio di quote azionarie dal tesoro a istituzioni o enti controllati comunque dal settore pubblico. Per ora, il Tesoro detiene ancora il controllo dell Eni e dell Enel, l Iri della Finmeccanica. I comuni ancora molte municipalizzate. Considerando le banche, il controllo è passato alle fondazioni bancarie, istituzioni pressoché non esposte alla concorrenza. Le privatizzazioni hanno, comunque, comportato un sensibile ridimensionamento della presenza pubblica nell Industria italiana. L indagine R&S ufficio studi Mediobanca indica che le partecipazioni statali, nel periodo , hanno all incirca dimezzato la loro quota in termini di fatturato (dal 40% del 1991 al 20,7%), di dipendenti (39,8% al 19%) e di capitale (dal 48% al 23,3%). In ogni caso, nel Regno Unito e in Spagna le cessioni hanno riguardato imprese che già operavano in regime di concorrenza e gli ex monopoli pubblici delle public utilities. In Francia il processo di privatizzazione ha riguardato principalmente imprese operanti in settori esposti alla concorrenza. Nel Regno Unito, dopo una prima fase in cui sono state privatizzate le imprese che già operavano in un mercato competitivo (Amersham International, Britoil, British Airways e Royal Ordnance; ), il governo ha privatizzato le public utilities (British Telecom, British Gas, le imprese regionali di elettricità, Water and Sewerage companies; ), accompagnando, però, questa fase con la creazione di appositi sistemi di regolamentazione governati da autorità di settore per rendere contendibili i mercati in cui operavano queste aziende. L esperienza inglese ha insegnato che le regole per un assetto concorrenziale del mercato devono essere definite prima della privatizzazione, per evitare di creare incertezza fra gli azionisti e soprattutto per evitare di trasferire ai privati un impresa monopolistica (caso British Gas) 4. La ripartizione dei proventi da 4 CSC. 4

5 privatizzazioni evidenzia, in Italia come in Spagna e in Regno Unito, il prevalere delle dismissioni legate ai servizi di interesse generale, quali i servizi energetici e le telecomunicazioni. Distribuzione dei ricavi delle privatizzazioni per settore ,9% Regno Unito 3,4% 13,4% 21,5% Trasporti Tlc Manifatturieri Industria petrolifera Utilities Italia Trasporti Tlc 19,3% 4,1% Germania 3,4% 12,2% Trasporti Tlc Manifatturieri Risorse naturali 14,1% 7,7% Servizi 20,6% 6,8% 10,7% Manifatturieri 9,6% 1,3% 4,3% 45,8% Utilities Costruzioni Spagna Trasporti 10,3% Industria petrolifera Francia Trasporti 13,2% 2,7% 11,6% Tlc Utilities 2,6% 6,6% Tlc 1,0% 30,2% 13,7% 16,0% Manifatturieri Industria petrolifera Utilities 32,9% 18,7% Finanza e Proprietà immobilari 28,2% 1,2% 24,9% Manifatturieri Industria petrolifera Utilities 11,5% Costruzioni 10,4% 26,2% Finanza e Proprietà immobilari Fonte: elaborazioni Ires su dati Privatization Barometer. La natura pubblica delle reti L Autorità Antitrust nei casi di disinteresse dei privati, e/o in specifiche fasi della filiera di un sistema quale quello dell energia, trasmissione e trasporto, considera opportuno conservare la natura pubblica dell impresa. Alcuni settori investiti dai processi di liberalizzazione e privatizzazione, quale quello dell energia (elettricità e gas) presentano un mercato centrale con tutte le caratteristiche del monopolio naturale. Si tratta delle reti di trasmissione necessarie e non duplicabili per il trasporto dell energia elettrica e del gas naturale. In alcuni processi di privatizzazione già realizzati (es: Tlc) rimane un problema connesso alla soluzione spesso adottata, di privatizzare l operatore nazionale lasciando in essere una struttura verticalmente integrata. In questo caso si creano delle condizioni di monopolio di rete, con il rischio dell uso strumentale dei diritti di passaggio per ostacolare la concorrenza nei mercati a monte e/o a valle anche se teoricamente liberati. In assenza di separazione proprietaria tra le diverse fasi verticalmente integrate, i processi di privatizzazione o di dismissione rischiano di rendere sterile, nel futuro, il tentativo di avviare il gioco concorrenziale. Spesso la stessa separazione proprietaria non è suffiente in assenza di una chiara attività di regolazione. L Antitrust ribadisce che separazione e regolazione non possono essere scisse. Laddove manca la prima risulta impotente la seconda. E qui, che trovano spazio le forme più appropriate di presenza pubblica, funzionale alle problematiche concorrenziali di alcuni settori (es. energia elettrica e gas). In campo energetico l Autorità ha espresso il convincimento che si sta tramutando in realtà, che la riunificazione tra 5

6 proprietà e gestione della rete elettrica nazionale di trasposto (fino a pochi mesi fà separata tra Grtn e Terna), possa rappresentare un miglioramento della originaria impostazione del processo di liberalizzazione del settore elettrico (che aveva posto in testa ad Enel, tramite TERNA, la nuda proprietà della rete di trasmissione elettrica), in particolare in quanto contribuisce a predisporre più stringenti incentivi a effettuare gli investimenti in infrastrutture di trasmissione idonei a sostenere l incremento di offerta necessaria a coprire il crescente fabbisogno interno. Stessa riflessione appare valida per la rete nazionale di trasporto del gas metano che, da Eni (attraverso Snam-retegas) dovrà passare a proprietà pubblica, anche in questo caso al fine di liberare tutte le potenzialità di investimento. Le eventuali debolezze dei sistemi nazionali di approvvigionamento, elettricità e gas, si riflettono anche sullo specifico funzionamento del mercato, in quanto ostacolano la concorrenza tra gli operatori presenti e pregiudicano le condizioni di entrata da parte dei concorrenti potenziali. Inoltre, ai fini della sicurezza degli approvvigionamenti e della continuità del servizio, il sistema di rete dovrebbe dare risalto all obiettivo di assicurare costantemente la disponibilità di un livello adeguato di capacità trasmissiva. Tale obiettivo, sostiene l Antitrust, potrebbe non essere agevolmente perseguito da parte di operatori guidati da logiche privatistiche, con il conseguente rischio di una sistematica carenza di dotazioni infrastrutturali. Ciò implica che l assetto ideale dovrebbe lasciare in mano pubblica il Sistema di rete, procedendo invece alla privatizzazione dei mercati a monte (produzione, generazione, approvvigionamento) e a valle (sicuramente la vendita perché il sistema di distribuzione mostra anch esso le caratteristiche del monopolio naturale). Le partecipazioni ancora nel portafoglio del MEF mostrano il prevalere delle utilities, anche perché il processo di privatizzazioni in Italia si è caratterizzato nella prima fase come la trasformazione dei grandi conglomerati, ad esempio l IRI, in società più centrate sul loro core business (Finmeccanica). Quindi, nell area manifatturiera tutte le attività al di fuori del perimetro sono state completamente dismesse e, nella gran parte dei casi, acquistate da società operanti negli stessi settori. Nel campo dei servizi, escludendo il caso di Telecom e Autostrade, le privatizzazioni non hanno riguardato le aziende, ma quote di capitale, come nel caso di Eni e Enel. Ad oggi il MEF, anche attraverso Cassa Depositi e Prestiti detiene il controllo di entrambe le società. Enel, Eni e i 45 miliardi del DPEF ENI. La Società comunica, nell ultimo bilancio presentato, che al gli azionisti possessori di quote superiori al 2% del Capitale sono: Ministero dell economia e delle finanze 20, 31% Cassa depositi e prestiti Spa 10,00% Eni Spa (azioni proprie) 5,85% Il capitale sociale dell Eni è rappresentato da azioni ordinarie del valore nominale di 1 euro. Ogni azione da diritto ad un voto. Solo lo Stato italiano (art.6 dello Statuto) può possedere azioni della Società che comportino una partecipazione superiore al 3% del capitale sociale. Il superamento di tale limite comporta l impossibilità di esercitare il diritto di voto spettante alle azioni eccedenti detto limite. 6

7 Ripartizione dell'azionariato per area geografica Numero Azionisti Numero di azioni Azionisti Italia UK e Irlanda Altri Stati UE USA e Canada Resto del Mondo Azioni proprie alla data del pagamento del dividendo Altri Stati UE n.d Totale ,5 6,85 3,37 5,81 0,21 58,3 Italia UK e Irlanda Altri Stati UE USA e Canada Resto del Mondo Azioni proprie alla data del pagamento del dividendo Altri Stati UE 5,0 Ripartizione dell'azionariato per area geografica Numero Azionisti Numero di azioni Azionisti > 10% % - 10% % - 3% % - 2% ,5% - 1% ,3% - 0,5% ,1% - 0,3% < 0,1% Azioni proprie alla data del pagamento del dividendo Altri Totale ,5 0,21 5,81 5,8 0,2 Fonte: elaborazioni Ires su dati Eni (Bilancio 2004) 3,37 20,3 6,85 4,8 10,0 > 10% 3% - 10% 2% - 3% 1% - 2% 0,5% - 1% 0,3% - 0,5% 0,1% - 0,3% < 0,1% Azioni proprie alla data del pagamento del dividendo Altri Per quanto riguarda la ripartizione dell azionariato per fascia di possesso si può parlare di azionariato diffuso (dal 30 al 60 per cento) con partecipazioni che solo per un 6,46 per cento superano il possesso dell 1%. La ripartizione per area geografica autorizza a parlare di Azienda Europea, con una presenza USA e Canada del 6,5 per cento, e resto del mondo pari al 3,37%. Una società i cui azionisti risiedono in Italia ed in Europa. Una public company saldamente in mano allo Stato italiano. ENEL. Il capitale della Società è costituito esclusivamente di azioni ordinarie, nominative, con diritto di voto sia nelle assemblee ordinarie che straordinarie. Nessun soggetto, ad eccezione di: Ministero dell economica e delle finanze 21,35% del capitale sociale Cassa D.P. 10,25% Risulta partecipare al capitale stesso in misura superiore al 2% ne esistono patti parasociali aventi ad oggetto le azioni della società. Monte Paschi di Siena e Assicurazioni Generali sono risultati temporaneamente in possesso di una partecipazione superiore di poco al 2% del capitale della società Enel. In ottobre 2004 il Governo italiano ha venduto una quota di azioni Enel pari al 19% in suo possesso. E stata la più grande offerta pubblica di vendita realizzata nel mondo negli ultimi 5 anni, che ha consentito di allargare la base degli investitori istituzionali e di raggiungere 2,3 milioni di azionisti retail-diffusi. 7

8 Oggi Enel può essere considerata, al pari di ENI, una Public Company, con una base di investitori globale. Il 75% degli investitori istituzionali risiedono fuori dell Italia e più del 50% degli investitori risiedono in Gran Bretagna o Stati Uniti d America. Una Public Company Angloamericana? Un informazione in più da considerare in tutto il suo peso, controbilanciata ad oggi dal Controllo dello Stato Italiano. E questo degli assetti proprietari, costituisce uno dei nodi fondamentali a cui dedicare la massima attenzione. Le brevi schede su Eni e Enel dimostrano che nel carnet delle partecipazioni statali le società in pole position sono proprio queste due Public company. Eni e Enel, insieme a Finmeccanica, costituiscono la polpa, sia in termini di valore economico che in rapporto ai fattori determinanti per lo sviluppo, quali la ricerca e l innovazione, i saperi professionali e la formazione continua, e la capacità di fare massa critica in termini di investimenti, ecc. Peraltro, la questione imprescindibile rimane che i processi di liberalizzazione dei servizi energetici hanno subito un rallentamento durante il governo di Centro-destra, le indagini antitrust e A.E.E.G. individuano in entrambe le società posizioni dominanti. Pensare di privatizzare, perché questo significa scendere al di sotto del 30% di Eni e Enel, senza aver completato le liberalizzazioni, dimostrerebbe solamente una forte volontà di fare cassa, oltre qualsiasi strategia di politica industriale, e risulterebbe la rinuncia ai cospicui utili che ogni anno vengono distribuiti. Quindi, un introito una tantum. La nuova Cassa depositi e prestiti A fine maggio 2005 è stato presentato il bilancio del primo esercizio della Cassa depositi e prestiti Spa ( ; ). Il bilancio iscrive un utile netto di 285,54 milioni di euro e prevede un dividendo per azione di 0,775 euro, pari al 7,75% del capitale nominale. Una Cassa che intende rimanere fedele alla originaria missione di operatore con finalità pubbliche e di interesse generale ma si adegua ai profondi cambiamenti del quadro normativo e istituzionale dei suoi mercati di riferimento potenziando la capacità d azione e rendendo più flessibile e funzionale la gestione operativa. Dal 12 dicembre 2003, con la trasformazione in Spa l ingresso nel capitale (30%) di 65 Fondazioni bancarie private, il posizionamento di Partecipazioni strategiche dello Stato (Eni, Enel, ecc.), la Cassa ha cambiato natura. Questa banca che non poco peso ha giocato nella costruzione dell intero Sistema Italia, a seguito della trasformazione in S.p.A. ha incardinato la propria attività in due, forse tre, distinti rami di attività: Il primo, completamente innovativo, quello di custodire partecipazioni strategiche dello Stato in alcune delle principali Aziende ex pubbliche (10% di Eni, 10,35% di Enel, 35% di Poste Italiane, solo per citarne alcune). Il secondo, denominato gestione separata, per la raccolta del risparmio postale e di altri strumenti di finanziamento eventualmente assistiti dalla garanzia dello Stato, attraverso il quale la Cassa proseguirà la sua missione di interesse economico generale, cioè il finanziamento degli investimenti dello Stato, delle regioni, degli enti locali, degli enti pubblici e degli organismi di diritto pubblico. Il terzo ramo, denominato gestione ordinaria, preposto al finanziamento di opere, di impianti, di reti e di dotazioni destinate alla fornitura di servizi pubblici e bonifiche. Allo scopo CDP potrà raccogliere fondi con l emissione di titoli, l assunzione di finanziamenti e altre operazioni finanziarie senza garanzia dello Stato, dunque investimenti non contabilizzati nel deficit pubblico e sottratti al controllo di Bruxelles. Una fetta non trascurabile. 8

9 Mappa delle partecipazioni della C.DD.PP. Fonte: Cassa Depositi e Prestiti (MEF). Molti interrogativi sorgono in riferimento alla cosiddetta gestione ordinaria. In questo settore, l accesso a finanziamenti privi di copertura da parte dello Stato, oltre a determinare l applicazione alla Cassa delle norme del TU bancario, farà scendere l Istituto nell arena del mercato. Con le spalle coperte da una indiscussa solidità economica, la CDP si appresta così a compiere un balzo in avanti dalle proporzioni macroscopiche. L obiettivo è di passare da un impegno complessivo pari a circa 69 miliardi di euro nel 2004, ad un totale di oltre 97 nel Come? Attraverso una crescita dei tre principali settori di impiego delle risorse. In particolare, i finanziamenti degli investimenti pubblici dovranno passare dai 61 mld di euro del 2004 ai 73 del 2007; nelle grandi opere si punta a registrare una crescita pari ad oltre il doppio dell impegno attuale, da 7,6 a 18 miliardi; il finanziamento delle opere infrastrutturali per i servizi pubblici locali, infine, che rappresentano il nuovo grande terreno di business per la CDP, dovrebbe passare dagli odierni 0,5 ai 6,7 miliardi di euro nel La nuova Cassa Depositi e Prestiti punta ad una crescita degli impegni finanziari nel triennio pari ad oltre il 45 per cento. Ad essa farà da contraltare il previsto raddoppio della raccolta, che dovrebbe impennarsi da 106 a 205 miliardi di euro, e farà leva sull aumento di tutti i titoli interessati: buoni, libretti e, soprattutto, i già citati covered bond. Se così stanno le cose, si può considerare la Cassa come una organizzazione senza strategie? Certamente no. Quel che invece legittimamente si può fare è chiedere se queste strategie non vengano elaborate nei piani alti del ministero dell economia, che è titolare del 70% della Cassa ed è legittimo proprietario. Il rapporto tra Poste Italiane S.p.A. e CDP (che detiene il 35%) lascia spazio alla fantasia. CDP è una grande banca che non possiede sportelli sul territorio ma che impiega il risparmio raccolto attraverso gli sportelli di Bancoposta. Poste Italiane S.p.A. vuole diventare una banca e alleggerirsi del servizio postale: tutte le condizioni per un matrimonio. Una grande banca presente capillarmente sul territorio che raccoglie risparmio dalle famiglie, lo impiega per finanziarie investitori quali Stato, Regioni, Comuni, infrastrutture e Aziende dei servizi pubblici locali e che contemporaneamente controlla le grandi Public utilities dei servizi ed è partecipato dalle Fondazioni bancarie. Non sarà il nuovo Ministero delle partecipazioni statali, ne la nuova Mediobanca, ma 9

10 2. Il Mezzogiorno tra Impresa pubblica e Agenda di Lisbona Obiettivi dell Agenda di Lisbona Il Consiglio d Europa svoltosi a Lisbona nel Marzo del 2000 stabilì un insieme di obiettivi strutturali da conseguire entro un decennio al fine di fare dell UE la più competitiva e dinamica economia del mondo basata sulla conoscenza. In particolare, gli obiettivi iniziali consistevano nella crescita sostenibile, in nuovi e migliori posti di lavoro, in una accresciuta coesione sociale. Nel 2001, il Consiglio d Europa aggiunse alla strategia di Lisbona un nuovo pilastro riguardante le politiche per l ambiente. Attualmente l Agenda di Lisbona appare in difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi fissati, a causa soprattutto della mancanza di un azione politica determinata e unitaria e per il metodo seguito, basato inizialmente su un approccio venato di dirigismo, incapace di implementare in una strategia unitaria le diverse iniziative nazionali. Negli ultimi cinque anni, infatti, la crescita dell economia europea è stata deludente, mentre la mancanza di una politica di riforme, condivisa da tutti i Paesi e dalle diverse componenti della società, ha aggravato la situazione di crisi ciclica in cui si trova immersa l economia dell UE. Tasso di occupazione totale e femminile, in età anni, per area geografica. Confronto con i parametri dell Agenda di Lisbona al 2010 (IV trimestre 2004, dati in percentuale della popolazione di riferimento) Totale Femminile 57,8 65,2 55,2 61,6 51,6 67,0 57,0 45,9 46,5 31,2 Fonte: Istat. Italia Nord Centro Mezzogiorno Ag. Di Lisbona 2010 L Italia mostra un preoccupante ritardo in riferimento ai principali obiettivi europei. Il nostro Paese registra un tasso di occupazione pari al 57,8% a fronte di un obiettivo del 67% per il 2005 (70% per il 2010). Il tasso di occupazione femminile, fissato al 57% negli obiettivi dell Agenda per il 2010, risulta pari al 45% nella media nazionale. Altri obiettivi di importanza cruciale, per il conseguimento dei traguardi fissati dal Consiglio d Europa, consistono nella crescita degli investimenti in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL e in un maggiore concorso delle imprese in questo settore. Secondo i dati più recenti oggi disponibili, l Italia impegna appena l 1,1% del PIL in spese per la ricerca, contro il 2% dell Europa dei quindici e il 3% fissato come obiettivo a Lisbona. La partecipazione del settore industriale alle spese in ricerca risulta pari a circa il 48% del totale a fronte di un obiettivo pari ai 2/3 del totale. Un altro aspetto critico ai fini della crescita è costituito dal grado di coinvolgimento della popolazione in età lavorativa in programmi di formazione e/o istruzione permanente (lifelong 10

11 learning). L Italia è agli ultimi posti in Europa il Mezzogiorno con il 3,4% ancora di più, seguita soltanto da Grecia e Portogallo, con il 4% di popolazione coinvolta in programmi di istruzione e formazione permanenti a fronte di un obiettivo europeo del 12,5% per il 2010 e di un risultato del 9,4% raggiunto nell Europa dei 15 finalizzati all acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro. Spesa per ricerca e sviluppo sul PIL in Italia, per area geografica (2002) Confronto con i parametri dell Agenda di Lisbona al ,0% 2,2% 1,1% 1,1% 0,8% Nord Centro Sud Italia Ag. Di lisbona 2010 Fonte: Istat. È importante ricordare che gli indicatori descritti presentano ampi divari nel confronto fra il Centro-Nord da un lato e il Mezzogiorno dall altro. In diversi casi, come nella quota di spesa per ricerca e sviluppo finanziata dalle imprese o nei tassi di occupazione, i parametri che si registrano per il Centro-Nord non si discostano in maniera eccessiva dagli obiettivi di Lisbona. Appare evidente che per aggredire i nodi che bloccano la transizione dell Italia verso più elevati livelli di competitività occorre superare i ritardi del Mezzogiorno. Alla luce di queste considerazioni, nella parte successiva di questa nota si procederà a fornire una rapida descrizione della dinamica della spesa per investimenti attuata nel nostro Paese negli anni recenti e il ruolo assegnato al Mezzogiorno al suo interno. Spesa in R&S finanziata dal settore industriale sulla spesa totale (2002) Confronto con gli obiettivi dell Agenda di Lisbona al ,1% 66,7% 48,3% 37,5% 24,5% Nord Centro Mezzogiorno Italia Ag. Di lisbona 2010 Fonte: Istat. 11

12 Indagine su Life long learning in Europa: Popolazione con età compresa fra i 25 e i 64 anni che ha partecipato ad iniziative di formazione e/o istruzione nelle 4 settimane precedenti l intervista (valori percentuali) ,0 18,9 16, ,7 8,1 7,4 7,1 6,0 5,1 4,1 3,7 3,1 0 Regno Unito Danimarca Olanda Irlanda Belgio Francia Austria Germania Spagna Italia Grecia Portogallo Fonte: Eurostat, Labour Force Survey. Spesa e investimenti delle Amministrazioni Pubbliche e ruolo del Mezzogiorno La spesa per investimenti, insieme ai trasferimenti in conto capitale, effettuati dalla Pubblica Amministrazione ammontava nel 2003, sulla base dei Conti Pubblici Territoriali curati dal Ministero dell Economia e delle Finanze, a circa 54,1 miliardi di euro pari al 4,2% del PIL. Al Mezzogiorno sono stati destinati circa 20,5 miliardi di euro pari al 6,4% del PIL dell area. Negli ultimi anni la quota di spesa nazionale in conto capitale destinata al Sud risulta in sensibile diminuzione, passando dal 41,2% del 2001 al 37,8% del Pubblica amministrazione Spesa d'investimento e trasferimenti in conto capitale (Valori correnti in milioni di euro) Italia In % PIL Mezzogiorno In % PIL ,9 4,1% c 6,4% ,0 4,0% ,6 6,5% ,6 4,1% ,2 6,9% ,5 4,2% ,6 6,7% 2003* ,3 4,2% ,4 6,4% (*) Stima Indicatore Anticipatore del sistema dei Conti Pubblici Territoriali. Fonte: Banca Dati Conti Pubblici Territoriali, MEF. 12

13 Un ulteriore quota di spesa in conto capitale, pari all 1,1% del PIL, sia nella media nazionale che per il solo Sud (dato 2002), deriva dagli enti pubblici e a partecipazione statale che insieme alle Amministrazioni pubbliche costituiscono il Settore Pubblico allargato 5. Settore pubblico allargato Spesa d'investimento e trasferimenti in conto capitale (Valori correnti in milioni di euro) Italia In % PIL Mezzogiorno In % PIL ,2 4,7% ,0 7,1% ,2 4,5% ,7 7,2% ,7 4,9% ,4 7,8% ,2 5,3% ,6 7,8% Fonte: Banca Dati Conti Pubblici Territoriali, MEF. In sintesi, gli investimenti pubblici destinati al Mezzogiorno, pur rimanendo stabili in rapporto al PIL dell area si riducono come quota sul totale nazionale a partire dal Si ha l impressione che le politiche di investimento per il Sud seguano, a partire da una certa data, più una logica interna di manutenzione e di compatibilità con l economia dell area piuttosto che obiettivi di superamento dei divari territoriali. Naturalmente, si tratta di sensazioni che andrebbero verificate con ben più approfondite analisi. In ogni caso, gli investimenti dell Impresa pubblica registrano un andamento crescente che, però, non riesce a compensare la mancanza di un apporto più consistente da parte della Pubblica amministrazione. Spesa d'investimento e trasferimenti in conto capitale: quota del Mezzogiorno sul totale nazionale ( ) Pubblica Amministrazione 43% Settore pubblico allargato 41% 41,2% Impresa pubblica Poli. (Pubblica Amministrazione) 39% 38,8% 39,7% 38,9% 39,1% 39,4% 37,8% 37,4% 37% 36,5% 36,6% 35% 33% 33,5% 32,9% 31% 29% 27% 28,5% 27,7% 25% ,4% Fonte: Banca dati Conti Pubblici territoriali, Ministero dell'economia e delle Finanze. 5 Il Settore Pubblico Allargato comprende, sulla base di quanto richiesto dall'ue, la Pubblica Amministrazione e diversi enti classificati secondo i seguenti criteri: Enti che appartengono al settore che produce servizi di pubblica utilità; Enti che appartengono formalmente al Settore pubblico, sottoposti, cioè, al controllo pubblico (diretto o indiretto) nella gestione e interessati da finanziamenti derivanti da Enti pubblici; Enti che nel passato hanno ottenuto, o hanno la possibilità di ottenere nel futuro, quote dei Fondi strutturali comunitari. 13

14 Anche per ciò che riguarda la spesa per ricerca e sviluppo l apporto pubblico, esclusa l università, risulta insufficiente a compensare lo scarso apporto del settore privato e pari, come abbiamo visto precedentemente, appena al 24,5% contro una media nazionale del 48,3%. Ripartizione della spesa per Ricerca e Sviluppo per settore istituzionale Amministrazi oni pubbliche 9% Italia settentrionale Università 24% Imprese 38% Italia centrale Amministrazi oni pubbliche 29% Mezzogiorno Imprese 24% Amministra zioni pubbliche 16% Imprese 65% Istituzioni private non profit 2% Istituzioni private non profit 1% Università 32% Istituzioni private non profit 1% Università 59% Fonte: Istat. L Impresa pubblica assume, comunque, un ruolo importante nella R&S in Italia. Considerando solamente Eni, Enel, Fintecna, Finmeccanica e Ferrovie dello Stato, la quota della ricerca svolta da queste imprese sul totale della R&S intra-muros realizzata nel 2004 dalle imprese italiane è pari al 15%. Osservando la sola quota di Eni e Finmeccanica (esclusa la componente Difesa) dal 2002 al 2004 si nota un contributo consistente e sempre crescente della ricerca attivata da queste due grandi imprese pubbliche. L entità della R&S di Eni e di Finmeccanica rappresentano rispettivamente il 30% e l 82% contando anche la Difesa, Finmeccanica arriva al 165% del totale di R&S operata dalle imprese nel Mezzogiorno, nel Quota della R&S di Eni e Finmeccanica (escl. Difesa) sul totale della R&S intra-muros delle imprese italiane Eni 2,5% 3,3% 3,5% Finmeccanica 6,8% 8,7% 10,0% Fonte: Istat e Bilanci Eni e Finmeccanica (2003)

15 Investimenti delle imprese a Partecipazione Statale e Mezzogiorno Gli investimenti delle imprese sottoposte al controllo pubblico, comprese le imprese pubbliche locali, sono state nel 2004 pari a oltre 20 miliardi di euro corrispondenti all 1,5% del PIL e al 7,6% circa degli investimenti fissi lordi realizzati in Italia. È importante mettere in evidenza due aspetti relativi alla dinamica di questa componente: 1. La quota degli investimenti delle imprese pubbliche sul totale è cresciuta costantemente negli ultimi anni passando dal 5,4% del 2000 al 7,3% del Questa componente dell accumulazione mostra un andamento anticiclico attenuando la caduta dei tassi di crescita nelle fasi di rallentamento del PIL. Si noti che nel 2003, anno nel quale il PIL reale è cresciuto di appena lo 0,3% malgrado lo 0,4% registrato nel 2002 il contributo degli investimenti delle imprese pubbliche (0,13%) alla crescita del reddito ha sopravanzato quello degli investimenti privati (0,02%). In pratica, senza l apporto delle imprese a controllo pubblico, la crescita del PIL si sarebbe fermata nel 2003 allo 0,23%. Nel 2004, infatti, si riconferma la peculiare rigidità degli investimenti pubblici che, rispetto al contributo privato, riducono il loro apporto allo 0,10%. Resta, dunque, l interrogativo sulle motivazioni che spingono il governo a non attivare una politica industriale che utilizzi al meglio tali risorse. Investimenti delle imprese a partecipazione pubblica 2004 (valori in milioni di euro correnti) Comp. % Partecipazioni statali* ,7% di cui: IRI-Fintecna 351 1,7% Eni ,6% Fimeccanica 259 1,3% Cinecittà Holding 14 0,1% ENEL (comprese le telecomunicazioni) ,0% Gruppo Ferrovie dello Stato ,7% Poste SPA 544 2,7% Imprese pubbliche locali ,9% Totale ,0% Rapporti in % Sul Pil 1,5% Sul totale Invest. Fissi lordi 7,6% Fonte: Relazione Generale sulla situazione economica del Paese (2004). 15

16 Quota degli investimenti delle imprese a controllo pubblico sul totale degli investimenti fissi lordi (sono esclusi gli investimenti in telecomunicazioni) 7,2% 7,3% 6,1% 6,6% 5,4% Fonte: Ministero delle Attività Produttive - IRI S.p.A., ENI S.p.A., Cinecittà holding S.p.A.. Contributo degli investimenti totali e delle imprese a controllo pubblico alle variazioni del PIL 1,10% 2,2% 1,00% 2,0% 0,90% 1,8% 0,80% 1,6% 0,70% 1,4% 0,60% 1,2% 0,50% 1,0% 0,40% 0,8% 0,30% 0,6% 0,20% 0,4% 0,10% 0,2% 0,00% ,0% Totale investimenti fissi l. Invest. Imprese a controllo pubblico Variazione Pil a valori costanti Fonte: Ministero delle Attività Produttive - IRI S.p.A., ENI S.p.A., Cinecittà holding S.p.A.. 16

17 Nella Relazione Generale sulla situazione economica del Paese sono presenti i dati sugli investimenti delle imprese a partecipazione statale in Italia, nel Mezzogiorno e non localizzabili. Esaminando la quota di investimenti nel Sud e nelle Isole rispetto al totale nazionale, emerge un andamento sostanzialmente decrescente: nel 2000, l incidenza degli investimenti del Mezzogiorno era pari al 33%; poi, tale quota, già bassa, è scesa per due anni (28% nel 2001 e 27% nel 2002); ha recuperato qualche punto nel 2003 (29,6%). Isolando gli investimenti del solo settore manifatturiero, emerge un trend in linea con quello generale che vede una flessione degli investimenti delle imprese pubbliche nel Sud del Paese dal 36% nel 2000 al 30,4% nel L entità degli investimenti delle imprese pubbliche riconducibili ai servizi e alle infrastrutture nel Mezzogiorno non supera mai il 3% degli investimenti delle stesse nell area come, d altronde, la percentuale nazionale di investimenti pubblici in tali settori, che, dal 2000 al 2003, non arriva mai oltre il 10% del totale. Confrontando, inoltre, l incidenza degli investimenti delle imprese pubbliche in servizi e infrastrutture del Mezzogiorno rispetto al totale degli stessi in tutto il Paese, si rileva, anche qui, una diminuzione dal 2000 (in cui la quota era pari al 5,3%) al 2003 (in cui era il 2,5%). 3. Sistemi di governance dell impresa pubblica La governance del nuovo settore pubblico dell economia L attenzione politico-culturale verso il ruolo effettivo dell impresa pubblica sembra essersi allentata: sia nei confronti delle potenzialità (che permangono) delle imprese pubbliche come strumento di politica economica, sia come attenzione ai processi effettivi di governo dell impresa pubblica, così come oggi è presente nella struttura economica italiana. Quel che resta è la priorità assegnata alle riflessioni ed alle indagini sui temi delle privatizzazioni, regolazioni, liberalizzazioni. Ma si corre il rischio di lasciar privo di analisi un campo fenomenologico molto vasto. Il processo avviato, interrotto, ripreso, delle privatizzazioni e liberalizzazioni (due termini di riferimento che non procedono, a loro volta, in parallelo) ha generato, per via del mutamento della natura dei soggetti gestori (e, da ultimo, per effetto della finanza creativa) un campo di imprese a partecipazione statale la cui ampiezza non ha riscontro in nessun precedente periodo della storia economica italiana. Le regole, gli indirizzi, i programmi dell attuale sistema di imprese in mano pubblica (e l analisi, in questa sede, si limita allo Stato centrale) non appaiono trasparenti. La loro ricostruzione non è facile; e comunque, a noi sembra, manchi, sia nella letteratura grigia che in dottrina. La documentazione ufficiale disponibile non fornisce un panorama descrittivo, complessivo e analitico del sistema delle imprese a partecipazione statale. Occorre, perciò, operare una ricognizione delle società in mano del Tesoro (o, se ne ricorrono ipotesi) di altri Ministeri che includa: 1) la struttura delle holding e la loro articolazione; 2) una classificazione per missioni e funzioni; 3) un esame comparativo delle gestioni (anche sulla base dei risultati dei controlli interni ed esterni). In una seconda fase la mappa dovrà estendersi al sistema, ormai complesso ed ampio, delle società di servizi o industriali controllate dalle Regioni e, soprattutto, dagli enti locali. Questo organigramma da costruire deve essere intrecciato con le analisi e gli studi in materia di liberalizzazioni e concorrenza; si può pervenire, così, ad una classificazione tipologica delle imprese in mano statale, utile per riflettere sul sistema di regolazione e indirizzo ( governance ). 6 Dalla Relazione Generale sullo situazione economica del Paese pubblicata a maggio 2005, non è possibile desumere l andamento degli investimenti nel 2004 secondo la suddivisione per settori (servizi e infrastrutture e manifatturieri) operata nella Relazione Generale del 2003 e nelle versioni precedenti. Pertanto, si è scelto di focalizzare l analisi sulla suddetta classificazione degli investimenti delle imprese a partecipazione statale dal 2000 al

18 Tale ricognizione mette in evidenza l intreccio fra poteri di regolazione delle autorità e poteri di indirizzo dei ministeri. È molto invasivo e determinante il potere del Tesoro azionista e risulta incerto il confine (nel caso di società con il Tesoro socio unico o di maggioranza o di controllo) fra effettive responsabilità degli organi di amministrazione e decisionismo della assemblea monocraticamente dominata dal Tesoro. Il campo più vasto, nell attuale sistema delle partecipazioni statali, è occupato dai grandi servizi di interesse economico generale : energia (Enel, Eni, Grtn, Sogin); trasporti (Ferrovie dello Stato, Alitalia, Enav); poste (Poste italiane); assicurazioni pubblicistiche (Consap, Sace); comunicazioni e media (RAI). Ciascuno di questi grandi comparti richiede un analisi ad hoc. Lo spazio occupato, nel caso italiano, dall estensione dei diritti speciali e di esclusiva e dai rapporti di concessione, spesso sottratti a meccanismi concorsuali; insomma da un processo di privatizzazioni non accompagnati da percorsi di liberalizzazione. In materia di servizi di interesse economico generale hanno, evidentemente, un rilievo molto grande le reti, sostanzialmente nazionali, gestite dai gestori dei servizi locali (acqua, trasporti urbani ed extraurbani, rifiuti). Tema che potrebbe essere oggetto di una distinta indagine. Sotto il profilo della governance una attenta ricognizione deve avere ad oggetto le linee di confine fra i poteri attribuiti alle Autorità indipendenti (e all interno di quest area i nessi fra potestà generali dell Autorità per la concorrenza ed Autorità di settore) e quelli propri dei Ministeri vigilanti. In questa legislatura la tendenza, che non ha potuto dispiegarsi completamente, per merito della resistenza dell opposizione e della cultura istituzionale, segnala uno spostamento a favore dell ingerenza ministeriale rispetto ai compiti delle Autorità. Si può affermare che i profili istituzionali di maggior importanza riguardano: la estensione e la tutela delle regole della concorrenza (in relazione, da ultimo, con la direttiva UE 2004/17 sui settori esclusi ); la salvaguardia delle attribuzioni delle autorità indipendenti, ovvero, laddove si registri un vuoto incolmabile, la creazione di nuovi organismi o la nuova disciplina di organi esistenti nei settori ancora sostanzialmente privi di copertura (poste, lavori pubblici, informatica); la revisione delle regole in campi debolmente presidiati e caratterizzati dall eccesso e dell inefficienza delle regolazioni. Si ricorda, quanto ai lavori pubblici ed all informatica, che la conformazione dell Autorità dei lavori pubblici e quella del CNIPA non assumono i caratteri di indipendenza e neutralità indispensabili. Quanto ai temi concernenti la programmazione strategica delle grandi utilities è essenziale una riflessione: sul ruolo di ciascuna impresa pubblica all interno delle grandi politiche di settore (energia, comunicazioni, trasporti); sul ruolo della domanda pubblica espressa da queste imprese di pubblica utilità per la politica industriale (ricerca e innovazione tecnologica, orientamento verso l export, Mezzogiorno, rapporti con le piccole e medie imprese e con le imprese cooperative). Un indagine particolare deve avere ad oggetto la presenza delle imprese in mano statale nel settore delle infrastrutture e dell edilizia. La legge obiettivo (l.n. 443/01), le modifiche della legge Merloni (l.n.166/02), la privatizzazione dell ANAS, i rapporti di concessione in materia autostradale e di alta velocità, l affidamento a Fintecna dell operazione ponte sullo stretto, l attività delle Infrastrutture S.p.A. e dalla Patrimonio S.p.A., configurano un sistema che merita un severo confronto con la disciplina della concorrenza e del mercato. Anche in questa materia si devono tracciare confini fra poteri di regolazione, poteri di indirizzo, attribuzioni del Ministro dell economia azionista; quanto alla regolazione i poteri dell Autorità lavori pubblici e la conformazione di questo organismo non sembrano corrispondere, come già detto, ai necessari requisiti di neutralità e indipendenza. Sotto il profilo dell analisi economica ci si deve chiedere se il sistema configurato dalla legge Lunardi e dalla rete di concessioni sia appropriato per consentire la crescita e l espansione nell economia internazionale di imprese di impiantistica e grandi infrastrutture efficienti e competitive. 18

19 Si deve aggiungere che le privatizzazioni immobiliari nel campo dell edilizia abitativa (spesso legate ad operazioni di cartolarizzazione) hanno dato luogo alla presenza, dentro il sistema delle imprese a partecipazione statale, di grandi operatori immobiliari, primi fra tutti Fintecna, Consap, SCIP. Questo settore dell edilizia abitativa può essere oggetto di un aggiornamento delle posizioni politico- culturali sui temi (oggi meno studiati) della casa all interno di una politica sociale. Si viene estendendo, nell ambito delle politiche di ammodernamento dell amministrazione, la tendenza all affidamento esterno di attività di servizio, talora strettamente connesse alle missioni istituzionali dell amministrazione. Anche in questa materia il censimento deve verificare la completezza delle informazioni ufficiali. Il fenomeno dell outsourcing non è di per se negativo ad alcune condizioni: il rafforzamento delle capacità di programmazione e controllo delle performance all interno dell amministrazione in senso proprio; il rispetto di procedure concorsuali per la scelta del soggetto gestore dei servizi; il rispetto delle regole della concorrenza, a valle, da parte del soggetto incaricato della gestione del servizio; il mantenimento della distinzione fra compiti strumentali finalizzati al miglior esercizio delle funzioni dell amministrazione di riferimento e compiti di gestione diretta dei servizi. Probabilmente i casi di maggior rilievo sono identificabili nella Sogei, che gestisce i servizi per l anagrafe tributaria e nella Consip per i servizi informatici e per l acquisto di beni e servizi. Il caso della Sogei pone interrogativi importanti (già formulati in sede parlamentare da audizioni e referti della Corte dei conti); prima di tutto si tratta di un ruolo strettamente legato all esercizio di una funzione pubblicistica che incide sui rapporti fra pubblici poteri e cittadini; in secondo luogo la società (ora integralmente del tesoro) da un lato svolge compiti strumentali di sostegno delle attività di programmazione e controllo dell amministrazione finanziaria, dall altro gestisce direttamente un area molto vasta dei servizi operativi di informatica pubblica. La presenza, in capo allo stesso soggetto esterno, di compiti di cooperazione con le funzioni pubblicistiche e di mansioni operative desta dubbi rilevanti. Una soluzione interessante, che merita un approfondimento, è quella offerta dalla Arcus spa, configurata, dalla legge n. 29/03, come una agenzia di servizi specializzati per la promozione e il sostegno finanziario, tecnico-economico e organizzativo di progetti e altre iniziative di investimento per la realizzazione di interventi di restauro e recupero dei beni culturali e di altri interventi a favore delle attività culturali e dello spettacolo, nel rispetto delle funzioni costituzionali delle regioni e degli enti locali. In questo campo è importante il tema della politica della cultura nelle sue connessioni con lo sviluppo economica e sociale (turismo, servizi) soprattutto nel Mezzogiorno. In materia di finanza, credito e incentivazioni, il ruolo centrale è assunto dalla Cassa Depositi e Prestiti, nella nuova conformazione, a due comparti distinti (il primo, definito gestione separata, riguarda lo svolgimento delle funzioni tradizionali della Cassa; il secondo per il finanziamento dei gestori di servizi pubblici per le opere, gli impianti, le reti e le dotazioni necessarie alla loro fornitura), disegnata dal decreto legislativo n. 269/03. E da verificare la coerenza e sostenibilità della congiunta attribuzione alla nuova Cassa di compiti pubblicistici (con la connessione, che resta, con il risparmio postale), compiti di grande istituto di credito a non breve termine (che ricorda il tradizionale modello Crediop) e ruolo di holding di gestione di partecipazioni pubbliche. Un ruolo meno rilevante, ma pur da registrare e valutare, è attribuito, con particolare riguardo alle incentivazioni nel Mezzogiorno, alle società Italia Lavoro, Sviluppo Italia, FIME. In questo campo devono essere esplorati i confini con le attività di incentivazione gestite attraverso fondi e contabilità speciali dal Ministero per le attività produttive, e con la configurazione regionalistica della materia industria, nel quadro della disciplina del nuovo Titolo V, Parte II della Costituzione. La valutazione d assieme costituisce un approccio, parziale ma significativo, ai temi generali dei contenuti della politica industriale dell intervento meridionalistica. 19

20 Nei settori industriali o di servizio in regime di concorrenza, operano i gruppi Finmeccanica e Fintecna. Nel gruppo Finmeccanica la polpa è identificabile nei campi di interesse militare (aeronautica ed avionica, elicotteristica, spazio, elettronica per la difesa, sistemi di difesa). Restano importanti settori civili: trasporti per il sistema ferrovie, energia( impianti,servizi tecnologici), aeronautica civile, elettronica. Il settore dell industria militare richiede un approfondimento a se stante, da inquadrare nel contesto internazionale. Per i settori civili sono in corso studi e concertazioni che suggeriscono la loro attribuzione ad un diverso gestore (si è parlato di Fintecna). Fintecna è un gruppo che nasce dalla liquidazione IRI, con un sostanzioso capitale di dotazione (derivante appunto dalle, ben condotte operazioni di liquidazione e dismissione) e con un assetto inizialmente caratterizzato dal casuale resto di attività difficili da collocare sul mercato (cantieristica, linee di navigazione). Negli ultimi tre anni Fintecna mostra la tendenza ad una nuova espansione, i cui termini di riferimento strategici sono difficili da ricostruire. Fintecna è diventata: una società di servizi per il Tesoro (liquidazione enti soppressi, cartolarizzzazioni e dismissioni immobiliari); la holding di riferimento per la gestione del progetto ponte sullo stretto; uno dei soggetti chiamati a concorrere alla gestione dei servizi Alitalia. Si tratta, dunque, di una holding priva di una strategia istituzionale chiara, che mescola funzioni di servizio, di grande gestione immobiliare (nata dalle dismissioni del Tesoro di fine 2002 e 2003), interventi di salvataggio, gestione di servizi di interesse pubblico residuali. Ipotesi di lavoro sulla governance delle imprese a partecipazione statale La distinzione che sorregge la costruzione di una ipotesi ricostruttiva del sistema di governance del nuovo settore delle partecipazioni statale individua tre ordini di temi: le attribuzioni delle Autorità indipendenti, di regolazione e controllo; i poteri di indirizzo e programmazione del CIPE e dei Ministeri; i poteri dello Stato azionista, oggi concentrati nel Dipartimento per il tesoro (Ministero dell economia). Per quanto attiene all esercizio dei poteri dello Stato azionista, in connessione con i temi della governance societaria, la situazione attuale è tornata a ricalcare uno schema come quello dell immediato dopoguerra, caratterizzato dal potere proprietario del demanio, ed oggi, dall unificazione delle attribuzioni in capo al Dipartimento del tesoro. Il rapporto fra indirizzi di merito, poteri di auditing e controllo, compiti degli organi societari è confuso. Chiunque abbia svolto funzioni di controllo sulle gestioni societarie, conosce la labilità dell indipendenza degli organi della governance societaria (certamente legati al regime di diritto comune delle società per azioni) nei confronti del Tesoro azionista unico o di controllo. Si generano situazioni nelle quali è indefinibile il confine fra indirizzi strategici impartiti dal Governo alle proprie imprese (con una sostanziale invasione, da parte del tesoro/azionista, anche dei poteri del CIPE e dei Ministri di settore) e poteri dell assemblea societaria; ma, soprattutto si indebolisce ulteriormente la tenuta degli organi preposti alla gestione della holding, con gravi rischi di deresponsabilizzazione che allargano ulteriormente i pericoli di non sana gestione societaria, già posti in gioco, come è noto, dalle recenti vicende, concernenti imprese private, dei dissesti di gruppi importanti. Il rimedio non può certo consistere nel ripercorrere la strada che condusse, dopo un importante lavoro politico-culturale (legato all opera di Ugo La malfa, di pasquale saraceno, di Orio Giacchi) alla legge 1589 del 1956, con l ordinamento delle partecipazioni statali. Si deve, tuttavia, garantire l indipendenza ed efficienza dell esercizio dei poteri dello Stato azionista sulla base delle buone regole della governance societaria. Piuttosto che alle partecipazioni statali della legge 1589 si può pensare al modello dell Ispettorato IRI delle origini, legato all opera di Beneduce, Menichella, Saraceno. Non un Autorità (perché si tratta di attribuzioni di governo) ma una Agenzia della quale sia garantita la autonomia tecnica e la fedeltà alle regole della disciplina societaria. Ma su questa 20

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