Tabella 5 Principali schemi di certificazione nell agroalimentare

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1 Diverse forme di certificazione La certificazione, pure riferendosi a principi e metodi comuni, in concreto si articola in diversi schemi, adattati alle diverse esigenze e strategie organizzative. Nella Tabella successiva si riportano sinteticamente i principali schemi di certificazione, che interessano i settori agricolo ed agroalimentare, specie in Italia. Tabella 5 Principali schemi di certificazione nell agroalimentare Tipologia di certificazione Denominazione Norma di riferimento Certificazione di sistema Sistema di gestione per la UNI EN ISO 9001:2000 Qualità Sistema di gestione ambientale UNI EN ISO 14000; EMAS Sistema di gestione etica SA 8000 Certificazione di prodotto regolamentata Certificazione di prodotto volontaria Denominazioni di origine Reg.CE 2081 e 2082/92 Produzioni biologiche Reg CE 2092/91 Etichettatura volontaria carni bovine Prodotti a marchi collettivo Leggi Regionali promossi da leggi regionali (esempio: Agriqualità Toscana) Marchi aziendali con UNI CEI EN disciplinari di qualità di prodotto certificati Marchi collettivi con UNI CEI EN disciplinari di qualità certificati Tracciabilità UNI 10939, UNI Filiera di qualità controllata UNI CEI EN Prodotto OGM free Protocolli Sincert Standard internazionali Eurepgap, BRC, IFS Certificazione di sistema per la gestione della qualità La norma di riferimento è l UNI EN ISO 9001:2000, detta anche vision 2000, come evoluzione di due versioni precedenti: la norma ISO e le ISO 9000:94. Più che una norma tecnica, rappresenta una potente linea guida per le organizzazioni che intendono adottare le logiche del total quality. Il suo grande successo è legato a due fattori fondamentali: 20

2 eccezionale flessibilità: può essere adottata da qualsiasi forma di organizzazione: piccole e grandi aziende, istituzioni pubbliche, strutture del terzo settore; riconoscimento internazionale: è riconosciuta in ambito ISO in oltre 100 Paesi. La norma ISO più che per i consumatori è orientata a favorire gli scambi ed a creare confidenza tra gli operatori economici. In questo ambito rappresenta uno strumento di facilitazione dell organizzazione delle filiere agroalimentari e di supporto alla esportazione. La norma è fondata su otto principi della qualità che riportiamo nella tabella 6. Tabella 6 I principi della gestione per la qualità Principi della qualità Orientamento al cliente Leadership Coinvolgimento del personale Approccio per processi Approccio sistemico alla gestione Miglioramento continuo Decisioni basate su dati di fatto Rapporti di reciproco beneficio con i fornitori Descrizione Le organizzazioni devono conoscere le esigenze dei clienti, soddisfare i requisiti richiesti e cercare di superare le loro aspettative Le direzioni devono sviluppare politiche di qualità e creare un ambiente interno motivato per il raggiungimento degli obiettivi della qualità Gli operatori a tutti i livelli devono conoscere, comprendere e sostenere la politica e le procedure di qualità dell organizzazione Gli obiettivi della qualità si raggiungono più facilmente quando le attività dell organizzazione sono gestite come processi, cioè come trasformazioni di input in output Tutti i processi aziendali sono correlati ed ognuno crea valore aggiunto per la soddisfazione del cliente e l efficienza organizzativa La qualità è sempre dinamica e si persegue con il miglioramento sistematico delle perfomances organizzative Le decisioni aziendali devono fondarsi su dati ed informazioni opportunamente raccolte, analizzate e sistematizzate I migliori risultati per i clienti si hanno quando tra organizzazione si sviluppano relazioni cooperative. Questi principi hanno una grande validità per le aziende e le filiere agroalimentari e la loro applicazione è opportuna anche se le aziende intendono adottare sistemi di certificazione di prodotto. 21

3 Tabella 7 Le certificazioni ISO 9000 in Italia (tutti i settori)* Anno Organizzazioni certificate ISO *Nostra elaborazione su dati Sincert Tabella 8 Certificazione ISO 9000 in agricoltura e nell agroalimentare Regioni Settore 01 * Settore 03 ** Abruzzo Basilicata 2 42 Calabria 2 65 Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria 6 33 Lombardia Marche 5 78 Molise 0 39 Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trentino Alto Adige Umbria Valle d Aosta Veneto Totale Italia * Settore 01: agricoltura - **Settore 3: Alimenti e Bevande Nostra elaborazione su dati SINCERT (dati 31 marzo 2005) In solo dieci anni la crescita di certificazioni è stata esponenziale. Tutto lascia prevedere che questa crescita sia pure a ritmi meno sostenuti debba continuare nel breve e medio periodo. 22

4 Sono spinte alla certificazione: - le aziende agricole medio grandi che commercializzano direttamente il prodotto in Italia e soprattutto all estero; - le organizzazioni economiche (cooperative ed Organizzazioni dei produttori) nelle relazioni con l industria e la distribuzione; - le industrie agroalimentari. Certificazione dei sistemi di gestione ambientale La norma di riferimento è l UNI EN ISO L impostazione generale è omologa alla norma ISO 9000, ma con l obiettivo di controllare e migliorare gli impatti ambientali connessi ai prodotti/servizi ed ai processi produttivi. La norma ha come prerequisito il rispetto della legislazione ambientale, ma prevede anche l analisi iniziale e la quantificazione degli aspetti ambientali, il monitoraggio delle prestazioni e degli impatti ed il loro miglioramento nel tempo. I principali fattori che la Norma ISO prende in considerazione sono: - l uso di materie prime e delle risorse naturali; - la presenza di residui e sostanze inquinanti e/o tossiche nei prodotti; - l utilizzo di sostanze pericolose e/o tossiche per l uomo e per l ambiente; - gli scarichi nei corpi idrici e le relative attrezzature ed impianti di trattamento; - le emissioni in atmosfera ed i relativi impianti di abbattimento; - la gestione dei rifiuti e degli effluenti; - il risparmio di energie non rinnovabili; - gli impatti specifici sugli ecosistemi in particolare protetti; - altri aspetti ambientali legati alla comunità (rumori, odori, altro). Tabella 9 Certificazioni ISO in Italia (tutti i settori) Anno Organizzazioni certificate ISO Nostra elaborazione su dati SINCERT 23

5 Tabella 10 Certificazioni ISO in agricoltura e nell agroalimentare Regioni Settore 01* Settore 03** Abruzzo 1 6 Basilicata 0 11 Calabria 0 7 Campania 1 61 Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia 0 3 Lazio 7 9 Liguria 1 9 Lombardia 2 33 Marche 0 5 Molise 0 6 Piemonte 1 15 Puglia 0 55 Sardegna 0 34 Sicilia 0 59 Toscana 0 12 Trentino Alto Adige 1 1 Umbria 6 7 Valle d Aosta 0 0 Veneto 7 17 Totale Italia *Settore 01: Agricoltura - **Settore 03: Alimenti e Bevande Nostra elaborazione su dati Sincert (31 marzo 2005) Nei primi mesi del 2005 è stata emanata una nuova versione della norma, la ISO 14001:2004, che specifica meglio gli obiettivi della qualità ambientale, accresce la compatibilità con i principi, i metodi e le procedure della norma ISO 9001:2000 e impone una maggiore attenzione ai requisiti cogenti. La Norma Iso riguarda la gestione ambientale di un organizzazione (un azienda, ma anche un Comune o altro ente pubblico), ma in questi ultimi anni, soprattutto nel Nord Europa, si tende ad estendere l impegno ambientale lungo tutto la filiera produttiva, mediante uno strumento chiamato LCA (Life Cycle Assessment, letteralmente valutazione del ciclo di vita ). Secondo la definizione del SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) lo LCA è un processo che: - analizza gli effetti ambientali di un prodotto, processo o attività; - valuta gli impatti sull ambiente dei consumi di energia, dei rifiuti e degli effluenti; - identifica le opportunità di migliorare tali effetti ed impatti. 24

6 Per realizzare un LCA il sistema ISO ha emanato una serie di norme di riferimento: - UNI EN ISO Principi di riferimento della gestione ambientale e della valutazione del ciclo di vita; - UNI EN ISO Definizione degli obiettivi, del campo di applicazione e dell analisi d inventario nella gestione ambientale e nella valutazione del ciclo di vita; - UNI EN ISO Valutazione d impatto del ciclo di vita; - UNI EN ISO Interpretazioni relative al Ciclo di vita. Nonostante lo LCA sia relativo al prodotto esso rimane di pertinenza delle organizzazioni che adottano sistemi di gestione ambientale, senza fornire alcun logo o possibile riferimento alla certificazione da apporre sul prodotto commercializzato. A questo fine in Europa si sta diffondendo un ulteriore strumento l EPD (Environmental Product Declaration letteralmente, dichiarazione ambientale di prodotto), come strumento comunicativo rivolto essenzialmente ai consumatori. Lo schema di certificazione dell EPD è di origine svedese (MSR 1999:2) con riferimento alle norme ISO (certificazione ambientale di prodotto). Un altro modo, più istituzionale, per comunicare l impegno aziendale per l ambiente è costituito dalla Registrazione EMAS, normata dalla Unione Europea. La registrazione EMAS consiste in un sistema di gestione ambientale certificato, conforme all ISO 14001, nel quale, però, la dichiarazione ambientale iniziale (che include la valutazione ambientale dei siti e dei processi produttivi e la definizione degli obiettivi di miglioramento) viene approvata da un organismo pubblico autorizzato (in Italia dalle Agenzie regionali per l Ambiente). La registrazione EMAS viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Europea e permette l utilizzo sui prodotti di uno specifico logo (un delfino azzurro). La certificazione di gestione ambientale non mostra un trend di crescita come la certificazione per la qualità, in particolare nei settori agricolo ed agroalimentare italiani. Secondo la maggior parte degli esperti questa situazione dipende da tre fattori principali: - la ridotta sensibilità ambientale in Italia rispetto ai Paesi del Centro e del Nord Europa; - il fatto che il settore agricolo ed agroalimentare non appare particolarmente critico rispetto all ambiente; 25

7 - la preferenza del consumatore italiano per le certificazione biologica, più conosciuta e considerata efficace anche e soprattutto relativamente agli impatti ambientali. Nonostante queste considerazioni si ritiene che le imprese italiane saranno sempre più interessate anche a questi schemi di certificazione, soprattutto se intenzionate ad espandersi nei mercati scandinavi e, più in generale, nord europei ed anglosassoni. Ai fini della valutazione dei fabbisogni formativi, inoltre, bisogna tener conto che gli aspetti ambientali, e le competenze professionali relative, interessano sempre di più tutti gli schemi di certificazione, più o meno integrati. Certificazione di gestione etica In questi anni, soprattutto dopo alcune situazioni incresciose relative allo sfruttamento del lavoro minorile da parte di strutture in outsourcing di importanti multinazionali, cresce l attenzione di fasce importanti dei consumatori riguardo alla responsabilità sociale delle imprese. Il CEP (Council on economic priorities), fondato nel 1969, da associazioni sindacali, organizzazioni non governative ed imprese operanti a livello internazionale, per favorire la trasparenza dei comportamenti sociali, ha pubblicato nel 1997 lo standard internazionale SA 8000 sulla responsabilità sociale delle aziende. Il CEP ha anche costituito il CEPAA: Agenzia di accreditamento del CEP, per le strutture di certificazione relativamente alla norma SA Lo standard SA 8000, fa riferimento alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell Uomo ed alla Convenzione ONU per i diritti del fanciullo, e, in conformità con le indicazioni dell ILO (Organizzazione Internazionale del lavoro), fornisce una serie di prescrizioni minime e di sistemi gestionali di controllo, relativi essenzialmente a: - sicurezza sul lavoro e tutela della salute dei lavoratori; - rimozione di tutte le discriminazioni sul lavoro (etnia, religione e idee politiche); - pari opportunità tra uomini e donne e rimozione dello sfruttamento femminile; - libertà di associazionismo; - orario massimo di lavoro, diritto alle ferie ed al riposo settimanale; - annullamento del lavoro minorile e possibilità dei bambini di frequentare la scuola; - salario minimo per un sostentamento dignitoso sulla base del costo della vita vigente nel Paese di riferimento. 26

8 Lo standard SA 8000 non ha avuto, per il momento una grande diffusione in Italia, specie nei settori agricolo ed agroalimentare, soprattutto perché le prescrizioni indicate sono, in genere, inferiori a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di lavoro e dagli accordi sindacali in essere. In altri Paesi Europei, lo Standard SA 8000 comincia ad essere richiesto alle imprese anche agroalimentari, che importano e trasformano materie prime e semilavorati da Paesi in via di sviluppo e con limitate tutele sindacali e/o legali del lavoro. Al momento, questa sensibilità sembra meno evidente o, comunque, più limitata in Italia. Certificazione integrata di sistema Le norme ISO 9001 e SO sono fondate sugli stessi principi e sugli stessi metodi gestionali e sistemici. Questo isomorfismo permette alle organizzazione di integrarle facilmente, mettendo sotto controllo sia i processi relativi alla qualità ed alla soddisfazione dei clienti, sia tutti gli aspetti ed impatti ambientali. Secondo molti esperti questa integrazione potrebbe garantire un approccio orientato alla qualità totale ai più bassi costi possibili per le imprese. Le imprese, inoltre, implementerebbero in modo organico e sistematico tutte le procedure richieste dalle diverse normative cogenti relative alla qualità ed all ambiente, razionalizzando gli adempimenti burocratici, sistematizzando la gestione e garantendosi più efficacemente, nei confronti delle Autorità di Vigilanza Pubblica, dal rischio di trasgressioni e sanzioni. L interesse per la certificazione integrata di sistema per le aziende agroalimentari potrebbe ulteriormente crescere per la recente emanazione della norma ISO relativa ai sistemi di gestione per la sicurezza alimentare, la ISO La norma si propone di garantire: - la pianificazione, l attuazione ed il miglioramento del sistema di autocontrolli igienico-sanitario, secondo il metodo haccp; - la gestione delle procedure di tracciabilità, gestione delle emergenze e richiamo dal mercato; - l identificazione di tutti gli attori coinvolti nel sistema, incluso i fornitori di materie prime, pesticidi, coadiuvanti tecnologici ed imballaggi; - la comunicazione interna ed esterna all azienda; - la qualificazione del personale. Con queste ulteriori implementazioni, ed eventualmente includendo anche principi di gestione etica e di responsabilità sociale delle imprese, si ha quell approccio, definito 27

9 total quality food oriented, che si imporrà, secondo molti esperti ed osservatori, come standard di riferimento negli scambi alimentari internazionali. Questo approccio ha, come si vedrà meglio in seguito, conseguenze anche nella definizione delle figure professionali e dei relativi fabbisogni di formazione e qualificazione, rendendo necessario sia competenze sistemiche generali, sia specialistiche. Certificazione di prodotto regolamentata e volontaria La certificazione di sistema favorisce gli scambi, migliora le relazioni economiche lungo la filiera, nei rapporti con la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) e nel commercio internazionale. Essa però non ha forti valenze comunicative con i consumatori finali, specie in realtà sociali come nel nostro Paese, dove è tuttora limitata la diffusione delle associazioni dei consumatori. I consumatori, individualmente, non hanno modo di accedere alle fonti informative e documentali dei sistemi di gestione certificati (norme, manuali, documenti di pianificazione della qualità, dichiarazioni di intenti, eccetera), non hanno modo di valutarne l estensione e l efficacia, rimangono disorientati rispetto a segnali della qualità relativi a diverse tipologie merceologiche di prodotti e servizi, agroalimentari e non. In alcuni Paesi sono le Associazioni dei consumatori a svolgere questo ruolo di interfaccia comunicativa, informando i propri associati dei reali impegni imprenditoriali delle aziende e stimolando le imprese ad orientarsi verso determinati obiettivi di qualità. Per questi motivi i consumatori soprattutto italiani, in un quadro generale di scarsa informazione, sembrano preferire la certificazione di prodotto, che è finalizzata a garantire specifiche caratteristiche degli alimenti immessi sul mercato e/o del loro processo produttivo. Il consumatore percepisce, infatti, la qualità nella rispondenza tra requisiti dichiarati e le proprie attese prioritarie e nello stesso tempo ricerca garanzie di veridicità su quanto dichiarato in etichetta o, più in generale, nei vari strumenti comunicativi dell impresa produttrice. Nella certificazione di prodotto l organismo terzo accreditato fornisce adeguata garanzia di conformità tra le caratteristiche del prodotto immesso sul mercato e le specifiche predeterminate in un documento normativo (il più delle volte definito disciplinare) relativo alle caratteristiche stesse del prodotto o al processo produttivo. 28

10 I principi ed i metodi della certificazione di prodotto sono leggermente differenti da quella di sistema. Per questo motivo le norme di riferimento per l accreditamento sono diverse EN per i prodotti, EN per i sistemi gestionali. Si distingue tra: - certificazione di prodotto regolamentata, quando le indicazioni di fondo nella realizzazione dei disciplinari e degli altri documenti normativi sono fissate da leggi ed i prodotti ottengono un riconoscimento o un autorizzazione pubblica (dop, igp, biologico) - certificazione volontaria, quando le indicazioni di fondo nella realizzazione dei disciplinari e degli altri documenti normativi sono fissate dal sistema normativo volontario. Le due tipologie non sono distinte, ma strettamente integrate. La legislazione, soprattutto comunitaria fissa alcuni principi di fondo, in conformità agli obiettivi che intende raggiungere, e poi delega al sistema volontario l organizzazione dei controlli e della certificazione. Dal punto di vista organizzativo e procedurale, in definitiva, la certificazione di prodotto regolamentata, corrisponde a quella volontaria, con alcune indicazioni e prescrizioni aggiuntive stabilite per legge. Denominazioni di origine protetta Rappresentano le più importanti strategie italiane di qualità legata al territorio. In Italia il sistema di prodotti a denominazione d origine ha una storia consolidata e complessa. Basti pensare che la normativa nazionale sui formaggi risale al 1954 e che, con apposite leggi, sono state riconosciute le denominazioni di prodotti quali il Parmigiano, prosciutto di Parma e quello di San Daniele. Ad ognuna di queste produzioni corrispondeva un Consorzio di tutela riconosciuto che svolgeva funzioni di tutela, di valorizzazione, di vigilanza e di controllo. Questi consorzi sono nati per lo più sulla base dell iniziativa dell industria di trasformazione ed a volte della cooperazione. Il Consorzio con queste caratteristiche ha assunto un ruolo centrale e determinante nella definizione delle politiche di qualità (disciplinare), nei rapporti con la filiera e le istituzioni, nella programmazione delle produzioni e nella promozione e comunicazione sul mercato. 29

11 Questo lavoro ha consentito l affermarsi di filiere e distretti produttivi, che hanno costituito un primo sistema delle denominazioni, con un peso culturale ed economico significativo sia in sede nazionale che internazionale. Tutto questo è andato di pari passo con il crescente interesse dei consumatori verso i prodotti tipici. Con il Regolamento Comunitario 2081/92 abbiamo assistito ad un notevole ampliamento delle produzioni tutelate e si è posto il problema di una evoluzione normativa ed organizzativa del sistema, nonostante che nel Regolamento non si facesse menzione dei Consorzi di tutela. Questo, infatti, è un elemento caratteristico del sistema italiano (anche in Francia per la verità esiste un sistema di filiera delle Dop a carattere interprofessionale assai avanzato). Nella maggior parte dei casi i comitati promotori delle Dop e Igp non erano Consorzi già costituiti e la presenza di nuovi settori produttivi (vedi olio e ortofrutta) ha posto l esigenza anche di nuove forme organizzative. Queste esigenze hanno comportato un adeguamento della legislazione italiana preesistente con la normativa comunitaria, in particolare per quanto riguarda la distinzione netta fra compiti e funzioni dei Consorzi e ruolo degli organismi di controllo/certificazione. Per ogni prodotto deve essere individuato un organismo di controllo/certificazione indipendente. Questo organismo deve essere autorizzato dal Mipaf e deve operare in modo conforme a quanto indicato nella norma EN (certificazione di prodotto). Per questo motivo la maggior parte degli organismi autorizzati dal Ministero sono anche accreditati dal Sincert. La scelta dell organismo spetta al Consorzio o, in sua assenza, alla Regione. I prodotti Dop hanno le seguenti caratteristiche: tutta la filiera produttiva, dalla produzione delle materie prime e la trasformazione sino al prodotto finito deve essere inserita nell area geografica delimitata di cui il prodotto porta il nome; le caratteristiche qualitative del prodotto devono essere determinate esclusivamente o essenzialmente dal territorio di origine (includendo in questo termine non solo i fattori climatici e pedologici, ma anche storici e culturali): i prodotti Dop sono irripetibili altrove. Nei prodotti Igp, invece, parte della filiera, per esempio la produzione delle materie prime, può essere esterna all area geografica di riferimento, ma è da questo territorio 30

12 che il prodotto assume le sue essenziali caratteristiche qualitative che lo rendono, anche in questo caso, irripetibile altrove. Il documento normativo di base dei prodotti Dop ed Igp è il disciplinare che deve essere approvato e pubblicato dall Unione Europa. Concettualmente il disciplinare di produzione, ha funzione di norma di riferimento per tutta la filiera, contenendo, oltre alle specifiche di qualità di prodotto e di processo, anche prescrizioni relative alla distribuzione e alla commercializzazione. Fondamentalmente è costituito dai seguenti elementi: - nome del prodotto agricolo o della derrata alimentare, che riguarda la denominazione di origine o l'indicazione geografica; - descrizione del prodotto comprendente le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e/o organolettiche del prodotto stesso; - delimitazione dell'area geografica; - elementi comprovanti che il prodotto è originario dell'area geografica (indicazioni storiche); - descrizione del processo di produzione secondo metodi locali e tradizionali; - elementi che giustificano il legame con l'ambiente geografico; - elementi specifici di etichettatura. Su un totale europeo di poco più di 600 denominazioni, quelle italiane sono 149 (101 dop e 48 Igp), contro le 141 della Francia, le 93 del Portogallo, le 90 della Spagna e via via gli altri Paesi. Tabella 11 Denominazioni di origine in Italia Tipologie merceologiche Dop ed Igp italiane Formaggi 31 Olive da tavola 2 Prodotti a base di carne 28 Ortofrutticoli, cereali e legumi 40 Carne 2 Panetteria 3 Olio di oliva 36 Altri (aceti balsamici, bergamotto, miele,..) Nostra elaborazione su dati Mipaf (31 agosto 2005) 31

13 Con un impostazione simile a quella delle Dop e delle Igp, il Regolamento Comunitario 2082/92 disciplina l attribuzione a prodotti agroalimentari dell attestazione di specificità (STG specialità tradizionale garantita). Per essere registrato il nome deve essere specifico, chiaramente distinto da eventuali prodotti simili. In questo caso non è il territorio di origine a caratterizzare il prodotto, ma il suo metodo di produzione tradizionale. A differenza di quanto accade per le Dop e le Igp, qualsiasi produttore dell Unione Europea può utilizzare l attestazione STG, rispettando le indicazioni e le prescrizioni del disciplinare registrato e sottoponendosi ad adeguate forme di controllo/certificazione. Attualmente solo due prodotti hanno ottenuto la registrazione e tra questi, nel nostro Paese, la Mozzarella italiana. Sono state, inoltre, avanzate le proposte di registrazione del Miele Vergine Integrale, dell Antico Cioccolato Artigianale e del Gallo Ruspante. Nonostante l alto numero di registrazioni solo una minoranza delle Dop e delle Igp italiane sono realmente commercializzate con il marchio. Questa situazione è determinata da diversi fattori interagenti: - difficoltà organizzative nella istituzione del Consorzio di tutela; - limiti nella redazione del disciplinare con conseguente difficoltà a strutturare schemi di controllo e certificazione a costi accettabili - difficoltà organizzative nelle filiere produttive a fronte degli schemi di controllo e certificazione. Nonostante queste difficoltà, che evidenziano la necessità di formare personale operante nei Consorzi e nelle filiere produttive con competenze sistemiche ed organizzative orientate alla qualità, si ritiene che l importanza di queste strategie nello sviluppo dell agricoltura e dell agroalimentare italiano determinerà anche nel prossimo futuro una crescita del numero di denominazioni, delle aziende interessate e delle quantità di prodotto commercializzato. Nell ambito delle denominazioni di origine un discorso a parte è da riservare al settore vitivinicolo, normato da una serie di regolamenti comunitari e leggi nazionali di tipo verticale, relativi ai Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate (VQPRD). Tra questi si distinguono: - Vini a Denominazione di Origine Controllata a Garantita (DOCG) - Vini a Denominazione di Origine Controllata (DOC) - Vini ad Indicazione Geografica Tipica (IGP) 32

14 Anche in questo caso è il disciplinare di produzione, registrato attualmente con Decreto Dirigenziale del Mipaf, a rappresentare il documento normativo di base, mentre i controlli di conformità sono al momento svolti essenzialmente dalle Camere di Commercio. In Italia i vini di qualità con origine controllata sono oltre 450, con continue ulteriori implementazioni. Tabella 12 Le denominazioni di origine nel vino Regione DOCG DOC IGT Totale Valle d Aosta 1 1 Piemonte Lombardia Veneto Trentino Alto Adige Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Marche Umbria Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale Italia Nostra elaborazione su dati Mipaf (31 marzo 2005) In questo settore le strategie di qualità si caratterizzano per la ricerca dell eccellenza enologica per i vini di fascia alta o per la ricerca dell equilibrio prezzo/qualità per quelli di fascia media o medio/alta. Per questi ultimi l implementazione di un sistema certificato di gestione per la qualità può rappresentare un utile opportunità per migliorare l organizzazione produttiva, ridurre i costi, garantire una certa costanza nei requisiti di qualità e di servizio, favorire la commercializzazione e l esportazione. Le produzioni biologiche 33

15 L agricoltura biologica si è molto diffusa nel nostro Paese insieme alla crescente sensibilità ecologica ed ambientalista della società ed ha ricevuto un forte impulso dai regolamenti di sostegno alle tecniche agroambientali della Pac. Attualmente gli operatori sottoposti al sistema di controllo/certificazione sono circa , con oltre un milione di ettari di superficie interessata (considerando anche quella in fase di conversione). L agricoltura biologica è stata normata con il Regolamento CEE 2092/91, che, tra l altro, prevede un sistema di controllo esterno conforme alla Norma EN Si tratta quindi operativamente di un sistema di controllo/certificazione di parte terza. Gli organismi operanti in Italia ed autorizzati dal Mipaf sono attualmente 17, molti dei quali anche accreditati dal Sincert, per favorire la conformità alla EN Tabella 13 Gli operatori biologici certificati in Italia Regione Operatori biologici Abruzzo Basilicata Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia 377 Lazio Liguria 471 Lombardia Marche Molise 422 Piemonte Trentino Alto Adige 777 Puglia Sardegna Sicilia Toscana Umbria Valle d Aosta 69 Veneto Totale Italia Nostra elaborazione su dati Mipaf (31 marzo 2005) 34

16 Nel biologico i documenti normativi di riferimento sono gli strumenti di pianificazione aziendale, che devono essere conformi alle indicazioni della regolamentazione comunitaria. L agricoltura biologica si è radicata in Italia, prima che si diffondesse una moderna cultura gestionale della qualità. Questa situazione ha comportato alcuni limiti: - una certa commistione tra strutture di consulenza ed assistenza e strutture di controllo e certificazione (per alcuni anni, sono stati quasi esclusivamente i tecnici del biologico a promuovere l applicazione del Reg.CEE 2092/91) - un approccio fortemente tecnico ed aziendalistico, che ha limitato, di fatto al di là delle intenzioni dei tecnici, l organizzazione di filiere biologiche Relativamente al secondo punto c è da considerare che ancora oggi parte significativa della produzione biologica viene commercializzata come convenzionale, per assenza di canali di commercializzazione specifici, e che, nel settore, si evidenziano alti costi logistici e di transazione, che ne frenano l ulteriore sviluppo. La conformità alla normativa non è sufficiente, inoltre, per soddisfare tutte le aspettative che i diversi target di consumatori esprimono: informazioni, servizi connessi, comodità d uso, costanza dei requisiti, rapporto prezzo/qualità. Anche in questo settore, pertanto, si verifica un forte fabbisogno di innovazioni organizzative soprattutto di filiera o, comunque, post raccolta. Tra queste, per gli scopi di questo lavoro, è opportuno considerare: l implementazione di sistemi di gestione per la qualità e la customer satisfaction. Altre forme di certificazione di prodotto regolamentata Oltre a quelle indicate si stanno diffondendo altre forme di certificazione di prodotto regolamentata: sistemi di tracciabilità ed etichettatura della carne bovina con la possibilità di inserire anche requisiti di qualità volontari produzioni a marchio collettivo promossi da Leggi Regionali. Il primo caso nasce della regolamentazione comunitaria sviluppata a seguito della crisi della BSE, ma che con il tempo assume un orientamento alla qualità, specie per la possibilità di implementare requisiti volontari oltre quelli obbligatori relativi essenzialmente alla tracciabilità. 35

17 Il secondo caso è relativo ad iniziative delle Regioni, che hanno cercato di favorire una valorizzazione commerciale ai sistemi di agricoltura integrata, sviluppati a seguito delle cosiddette misure agroambientali comunitarie: i disciplinari sono predisposti dalla Regione (tramite propri enti strumentali) mentre il controllo/certificazione viene delegato ad organismi terzi accreditati dal Sincert. Certificazione di prodotto volontaria La certificazione di prodotto volontaria si sta lentamente diffondendo nel settore agroalimentari italiano, ma la maggior parte degli esperti e degli osservatori ritiene che si svilupperà moltissimo nei prossimi mesi ed anni. A favore di questi schemi di certificazione giocano: il maggior impatto nei confronti dei consumatori, rispetto alla certificazione di sistema; la grande flessibilità e dinamicità, rispetto agli impianti regolamentati che poggiando su basi legislative, di questi acquisiscono i vantaggi (autorevolezza), ma anche gli svantaggi (tempi lunghi di regolazione e revisione, rigidità, approccio tendenzialmente erga omnes). Nella certificazione di prodotto volontaria, un organismo terzo attesta, con fondata attendibilità, che un determinato prodotto possiede le caratteristiche indicate in un disciplinare di riferimento. La certificazione più precisamente, attesta che: - i prodotti commercializzati hanno le caratteristiche specificate nel disciplinare di riferimento; - i produttori e/o trasformatori gestiscono un sistema di autocontrolli specificati nel disciplinari ed efficaci a perseguire gli obiettivi di qualità del prodotto predefiniti; - che i controlli, le visite ispettive e le eventuali prove effettuate dall organismo terzo confermano la conformità dei prodotti, l efficacia degli autocontrolli e, in generale, il buon funzionamento del sistema produttivo; - che le eventuali non conformità riscontrate internamente o esternamente (per esempio da reclami) vengono opportunamente gestite. Il documento base è il disciplinare che contiene una parte pubblica con l indicazione degli obiettivi e dei requisiti della qualità, la descrizione del prodotto, i riferimenti legislativi e normativi e che dovrebbe essere portata a conoscenza dei consumatori. 36

18 La seconda parte, invece, è più tecnica e contiene le procedure di controllo e di sistema. Normalmente questa parte è stata sottovalutata, per esempio nei disciplinari regolamentati delle dop e delle igp, con il risultato che il disciplinare stesso diventa difficilmente gestibile o che le procedure di certificazione siano particolarmente costose. In ogni caso per essere certificabili i disciplinari devono contenere requisiti specificati, controllabili e verificabili, diversi o più restrittivi di quelli cogenti. Per avere il necessario successo di mercato, inoltre, i disciplinari devono contenere requisiti realmente apprezzati e valorizzanti per lo specifico target di consumatori, ai quali il prodotto è rivolto. Tutto ciò dimostra che la realizzazione di un disciplinare è operazione delicata e richiede competenze diverse, aggiuntive alla conoscenza del prodotto e delle tecniche di produzione. Di questo occorre tenere conto nella definizione e descrizione dei fabbisogni formativi. Come si intuisce da queste sintetiche indicazioni, la certificazione volontaria di prodotto ha implementato alcune procedure di sistema, che accrescono fortemente la sua efficacia. Prima di tutto è riscontrabile almeno un triplice livello di controlli: 1. gli autocontrolli pianificati svolti dagli stessi operatori impegnati nei processi produttivi; 2. un controllo da parte di un valutatore interno, che verifica l applicazione dei requisiti pianificati nel disciplinare e la sua efficacia; 3. un controllo esterno da parte dei valutatori dell organismo di certificazione. Il cosiddetto controllo interno può essere svolto da personale specificatamente finalizzato e formato, distinto dal personale impegnato nei processi produttivi, nelle grandi aziende di trasformazione; oppure da consulenti incaricati, nelle piccole aziende. In alcuni casi, specie nell agroalimentare, questi valutatori interni, assumono una valenza di filiera: per esempio possono essere impegnati in Organizzazioni di Prodotto o in strutture di manipolazione, confezionamento, trasformazione e svolgere il controllo anche nelle aziende agricole conferenti o fornitrici del fresco o delle materie prime. 37

19 Altro aspetto importante è la cosiddetta gestione delle non conformità. E evidente che in tutte le fasi del processo produttivo i controlli evidenziano una certa percentuale di non conforme (se tutto fosse sempre conforme il controllo sarebbe inutile!). Gestire il non conforme vuol dire non limitarsi ad evidenziare la sua segregazione, ma pianificare la possibilità di rilavorazione per raggiungere i requisiti di accettabilità, oppure di vendita declassata (fuori certificazione), oppure, nei casi peggiori, di scarto. In ogni caso una corretta e documentata gestione del non conforme fornisce, oltre a maggiori garanzie sul rispetto dei requisiti pianificati, anche elementi fondamentali da analizzare e valutare per ridurre il ripetersi di situazioni indesiderate e/o migliorare i processi produttivi. Tabella 14 Schema tipo di un disciplinare di prodotto Sezione A parte pubblica Sezione B parte interna - Obiettivi e motivazioni - Schematizzazione del processo - Descrizione depositario del disciplinare - Individuazione punti critici per la qualità - Descrizione del prodotto (specifiche di qualità) - Piano di sicurezza igienico sanitario - Descrizione commerciale del prodotto - Identificazione e tracciabilità - Riferimenti Legislativi e normativi - Piano dei controlli - Gestione delle non conformità - Azioni correttive - Verifiche ispettive interne - Riesame - Piano di formazione - Gestione della documentazione Come è possibile immaginare gli schemi di certificazione di prodotto comprendono diverse tipologie e possono supportare diverse strategie di qualità aziendale, di filiera e territoriale. Riguardo le tipologie si possono distinguere: - certificazioni orientate ai requisiti essenziali per esempio quando si vuole evidenziare specifiche caratteristiche organolettiche e/o salutistiche del prodotto (basso contenuto in grassi, oppure acidità inferiore a, contenuto in antiossidanti naturali,eccetera); - certificazioni orientate ai requisiti di processo per esempio quando si vuole evidenziare che le materie prime sono ottenute con metodi di lotta integrata; 38

20 - certificazioni orientate ai requisiti di servizio ad esempio quando si vuole evidenziare l identificazione e la tracciabilità degli alimenti e delle materie prime; - certificazioni integrate quando si comprendono diversi requisiti appartenenti alle tre tipologie precedentemente indicate (in questa tipologia rientra, ad esempio, la certificazione di filiera di qualità controllata che evidenzia l origine delle materie prime, le tecniche di processo e le caratteristiche d qualità del prodotto). Questa ricchezza di opportunità evidenzia ancora la flessibilità dello strumento e la sua capacità di supportare diverse strategie di qualità non solo aziendali e di filiera, ma anche territoriali. In questo caso depositario del disciplinare (o dei disciplinari) è un istituzione territoriale (Comune, Comunità Montana, Ente Parco, Camera di commercio, Consorzio tra privati) e la certificazione può riguardare diversi produttori della stessa specialità, ricadenti nella stessa area geografica, o di diverse specialità prodotte in una stessa area geografica. Per molti aspetti si tratta di una situazione intermedia tra la certificazione di prodotto volontaria e quella regolamentata. Attualmente le filiere commerciali interessate da certificazioni di qualità controllata sono alcune decine (si stima in poco più di un centinaio), soprattutto nei comparti carne e derivati, ortofrutta e florovivaismo, lattiero caseario. Sono molti a ritenere, però, che si tratta di uno schema di certificazione che avrà in futuro un forte incremento, per il suo impatto positivo con i consumatori e per la sua adattabilità alle diverse situazioni produttive e commerciali. L opportunità data dalla certificazione di prodotto volontaria, sia pure non ancora molto sfruttata, è stata proposta anche per promuovere organizzativamente e commercialmente i cosiddetti prodotti tradizionali, di cui all art.8 del D-lgs 173/98. Si tratta attualmente di oltre 2000 specialità iscritte negli atlanti regionali dei prodotti tradizionali, nati per l interesse del legislatore di garantire autorizzazioni sanitarie specifiche che favorissero il permanere di metodiche produttive tradizionali, efficaci per la sicurezza igienica anche se non standardizzate; ma che rappresentano in generale delle grandi opportunità di sviluppo locale. Spesso si esaltano questi cosiddetti giacimenti gastronomici e culturali, ma ben poco si fa per organizzare e garantire efficacemente queste produzioni. E necessario, invece, definire con maggiore accortezza gli atlanti, redigere correttamente i disciplinari (attualmente i prodotti sono identificati con brevi descrizioni senza alcuna valenza operativa), organizzare sistemi di certificazione efficaci e sostenibili per i 39

21 produttori, promuovere accuratamente le specialità sui mercati locali e verso i consumatori. Una particolare tipologia di certificazione di prodotto: la rintracciabilità La rintracciabilità di filiera è la possibilità di ricostruire la storia di un alimento, delle diverse materie prime ed ingredienti, delle fasi di produzione e degli operatori che hanno contribuito alla loro realizzazione, trasformazione e commercializzazione. Talvolta si distingue tra rintracciabilità come possibilità di risalire la filiera dal prodotto finito all origine delle materie prime e tracciabilità come evidenziazione documentata delle varie fasi della filiera dal campo alla tavola. Per molti si tratta di una distinzione un po capziosa, perché, stante il flusso dato dalla filiera produttiva, un prodotto per essere rintracciato deve essere opportunamente tracciato. Di valenza diversa e più importante è, invece, il dibattito su quali siano gli elementi specifici ed i fattori produttivi da tracciare. Da alcuni anni questi concetti, sono usciti dall ambito ristretto degli addetti ai lavori dei sistemi operativi e gestionali della qualità (la tracciabilità è un requisito necessario dei sistemi qualità già a partire dalla norma ISO degli anni 80) per diventare motivo di discussione tra operatori, esperti, istituzioni, organizzazioni professionali e dei consumatori. Il motivo di questo interesse è da ricercarsi in due fattori di fondo. Il primo è dato dalla volontà del legislatore, prima di tutto europeo, di avere uno strumento utile nell ambito delle politiche tendenti a garantire la sicurezza igienico sanitaria. Dopo le crisi europee della BSE e della carne contaminata da PCB, si ritiene necessario avere un sistema di tracciabilità cogente in grado di: - individuare e sanzionare le eventuali responsabilità lungo tutta la filiera; - isolare i focolai di contaminazione in modo da poter operare efficaci ritiri dal mercato ed evitare che le crisi assumano, come è successo, dimensioni europee; - avere un ulteriore deterrente verso comportamenti non conformi alle leggi. Il secondo fattore che ha alimentato l interesse è dato da settori del mondo produttivo agricolo, che hanno riscontrato nella tracciabilità la possibilità di rendere cogenti sistemi di etichettatura, che menzionassero l origine dei prodotti agricoli. Questo interesse ha spinto alla emanazione di due norme volontarie, la UNI sulla tracciabilità di filiera e la UNI per la tracciabilità aziendale. Un certo interesse è stato riscontrato al momento specie per la prima, per il fatto che la tracciabilità può dare valore aggiunto, perché, interessa al consumatore soprattutto quando riguarda tutto il processo produttivo dal campo alla tavola, mentre la seconda 40

22 può interessare le aziende agricole, che vendono direttamente proprie produzioni e/o che intendono garantirsi maggiormente rispetto alla vigilanza pubblica. La norma UNI segue l impianto della certificazione di prodotto volontario e richiede di tracciare oltre i prodotti, le materie prime e gli ingredienti minori, anche tutti gli elementi che possono impattare sulla sicurezza igienico sanitaria, per esempio i fitofarmaci nelle produzioni agricole o gli altri coadiuvanti tecnologici che entrano a contatto con gli alimenti. Nonostante l interesse, alcuni osservatori ed esperti ritengono che la norma si avvantaggia del gran parlare intorno alla tracciabilità, ma ha un limite di fondo. Essa richiede l implementazione di adempimenti e procedure di gestione (controlli, documentazione, gestione delle non conformità), ma fornisce garanzie limitate alla tracciabilità ed alla sicurezza, tralasciando altri aspetti importanti della qualità e spesso valorizzanti per i consumatori: sarebbe in ultima analisi sproporzionata nel rapporto costo/benefici rispetto ad altri schemi di certificazione di prodotto, come quella relativa alla filiera di qualità controllata, che include la tracciabilità e la sicurezza, ma permette ai produttori di valorizzare altri eventuali requisiti. Attualmente le filiere commerciali certificate a fronte della norma UNI sono stimate in circa duecento, per le considerazioni esposte la maggior parte degli osservatori ritiene che l incremento futuro sarà sempre più limitato, a vantaggio della certificazione volontaria di prodotto e di filiera e degli standard internazionali. Gli standard internazionali In questi anni si stanno diffondendo alcuni schemi di certificazione definiti standard nazionali o internazionali o anche sistemi di gestione o di prodotto richiesti dal cliente. Si tratta di regole proposte da organismi in qualche modo autorevoli, al di fuori del sistema internazionale di normazione (ISO), ma che per la loro applicazione si servono degli organismi terzi accreditati, operanti nel sistema internazionale di certificazione, sulla base di norme ISO Uno standard è, come abbiamo visto, lo SA 8000, definito dal CEP per la gestione etica. Di una certa importanza per i sistemi agricolo ed agroalimentari italiani sono gli standard BRC (British Retail Consortium), IFS (International Food Standard) ed EUREPGAP. Sono standard proposti dalla Grande Distribuzione Organizzata, che deve la sua autorevolezza alla posizione dominante assunta nelle filiere commerciali. 41

23 Proponendo e/o imponendo questi standard la GDO opera verso la qualificazione dei propri fornitori e riduce i costi dei propri controlli, riversandoli, sui fornitori stessi che si accollano le spese della certificazione. L utilizzo della certificazione per creare fiducia tra le parti, per qualificare prodotti ed organizzazioni produttive e per ridurre, in generale, i costi di transazione rappresenta, come abbiamo visto, una grande opportunità. L aspetto che alcuni considerano negativo, relativamente a questi standard, è che sono in qualche modo unilaterali: è la qualità vista dalla GDO, che potrebbe non considerare o sottovalutare elementi importanti per i produttori agricoli ed i trasformatori industriali. Per loro natura, per esempio, questi standard non considerano gli aspetti della tipicità e della tradizionalità. Occorre considerare, comunque, che questi standard non nascono dal nulla o cervelloticamente, ma da analisi approfondite dei requisiti richiesti dai consumatori e dalla legislazione. Un altro rischio, sottolineato da esperti, è il moltiplicarsi di standard diversi con l istaurarsi di rigidità nelle relazioni commerciali, di vincoli e canali preferenziali, in pratica il ritorno ad una situazione ante ISO Per evitare questo rischio sono state proposte diverse azioni. In generale sembra molto opportuna una maggiore integrazione tra certificazione di sistema e di prodotto, insieme con la necessaria sottolineatura del carattere dinamico-evolutivo e non tecnico-burocratico dei sistemi qualità ISO. Importantissima è anche la qualificazione di tutto il personale impegnato nei sistemi di consulenza e certificazione. Una valutazione economica e politica approfondita di questi standard esula dagli obiettivi di questo lavoro; importante è registrare la loro forte diffusione dovuta in sintesi a quattro fattori: - il ruolo della GDO nella commercializzazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari; - il rapporto stretto tra GDO e consumatori; - le difficoltà del mondo produttivo, soprattutto agricolo, di organizzarsi e proporre direttamente validi schemi di certificazione; - la fiducia e, in generale, il ruolo positivo svolto dal sistema della certificazione nell organizzazione delle filiere e nelle transazioni commerciali. Il BRC è uno standard proposto da un consorzio formato dalle più importanti centrali della GDO inglese in collaborazione con l UKAS, l ente di accreditamento britannico (corrispondente al nostro SINCERT). 42

24 Il BRC, rivolto ai prodotti a marchio delle aziende agroalimentari, richiede fondamentalmente: - una rigida applicazione dell autocontrollo igienico sanitario secondo il metodo haccp; - alcuni elementi del sistema di gestione per la qualità conformi alla norma ISO 9001, anche se non è richiesta obbligatoriamente la certificazione ISO 9001; - alcuni buone pratiche relativamente agli impatti ambientali; - sistematiche procedure di controllo dei prodotti e di processo. Lo standard non ha elementi di particolare originalità, ma rappresenta un efficace aggregazione di diversi requisiti di qualità, con una forte e puntuale attenzione agli aspetti igienico sanitari. Il BRC, inoltre, prevede due livelli di adesione: foundation (di base) ed higher (livello superiore) e fornisce strumenti, metodi e raccomandazioni per il miglioramento. Il sistema di controllo e certificazione di BRC è coordinato da ISA (International Supplier Auditing), un organizzazione internazionale di certificazione, ma fondamentalmente inglese, che opera in molti Paesi, compreso l Italia con convenzioni con altri organismi di certificazione accreditati e ritenuti affidabili. Analogo al BRC è lo standard IFS, proposto dall Associazione dei retailer tedeschi. I requisiti sono molto simili, con alcune significative differenze: l IFS, per esempio, richiede sostanzialmente produzioni OGM free. L EUREPGAP (Euro Retailer Produce Working Group Good Agricolture Practises) è uno standard sempre di origine tedesca, ma con la partecipazione di retailer di diversi Paesi Europei, rivolta essenzialmente ai produttori di ortofrutta fresca, con una forte attenzione alle buone pratiche agricole. I requisiti richiesti dall Eurepgap sono suddivisi in 15 capitoli: 1. tracciabilità 2. gestione della documentazione 3. varietà e portinnesti 4. gestione dei siti produttivi 5. gestione del terreno e dei substrati 6. impiego dei fertilizzanti 7. irrigazione 8. difesa integrata delle colture 9. raccolta 43

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