Twitter e jihad: la comunicazione dell Isis. A cura di Monica Maggioni e Paolo Magri

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3 Twitter e jihad: la comunicazione dell Isis A cura di Monica Maggioni e Paolo Magri

4 ISBN Edizioni Epoké Prima edizione: 2015 Edizioni Epoké. Via N. Bixio, , Novi Ligure (AL) epoke@epokericerche.eu ISPI. Via Clerici, , Milano Progetto grafico e impaginazione: Simone Tedeschi I edizione. Edizione pdf Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta o archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo elettronico, meccanico, reprografico, digitale se non nei termini previsti dalla legge che tutela il diritto d autore.

5 Nato ottant anni fa, l ISPI è un think tank indipendente dedicato allo studio delle dinamiche internazionali, con l obiettivo di favorire la consapevolezza del ruolo dell Italia in un contesto globale in continua evoluzione. È l unico istituto italiano e fra i pochissimi in Europa ad affiancare all attività di ricerca un altrettanto significativo impegno nella formazione, nella convegnistica e nelle attività specifiche di analisi e orientamento sugli scenari internazionali per imprese ed enti. Tutta l attività è caratterizzata da un approccio interdisciplinare - assicurato dalla stretta collaborazione tra specialisti in studi economici, politici, giuridici, storici e strategici, provenienti anche da ambiti non accademici - e dalla partnership con analoghe istituzioni di tutto il mondo.

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7 Indice Introduzione Paolo Magri... 7 Parte prima - Il messaggio 1. Il califfato fra storia e mito Paolo Branca La centralità del nemico nel califfato di al-baghdadi Andrea Plebani, Paolo Maggiolini Parte seconda Le strategie di comunicazione 3. Lo Stato Islamico: una sorpresa solo per chi lo racconta Monica Maggioni IS 2.0 e molto altro: il progetto di comunicazione del califfato Marco Lombardi Parte terza - Gli obiettivi della propaganda 5. Califfato, social e sciami in Europa: l appeal della propaganda dello Stato Islamico tra i nostri aspiranti jihadisti Marco Arnaboldi, Lorenzo Vidino Il modus operandi di Isis: il messaggio politico, la propaganda e l indottrinamento Harith Hasan al-qarawee Gli autori

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9 Introduzione La presa di Mosul nell estate del 2014 da parte del sedicente Stato Islamico appare ormai molto di più che un significativo evento militare all interno del complesso scacchiere mediorientale e dell ancora più intricata situazione irachena e siriana. Gli osservatori più attenti non sono stati presi alla sprovvista da questo evento. La nascita dello Stato Islamico percorre gran parte della storia più recente di questi territori e ha ormai dimostrato la capacità di trarre beneficio dall incapacità di dare chiara soluzione alle profonde fratture politiche e sociali di questi contesti. Simbolo di questa continua evoluzione e trasformazione sono i differenti nomi con cui si è definita nel corso dei questi anni, passando da al-qaida in Iraq (Aqi); Stato Islamico in Iraq (Isi); Stato Islamico in Iraq e nel Levante (Isil/Isis); fino a giungere all attuale Stato Islamico (IS). Questo è un elemento che non deve sfuggire. IS ha dimostrato l intenzione di voler curare direttamente questo percorso di nominazione, facendo la più chiara rappresentazione della sua lenta evoluzione fino a giungere allo stadio finale con la proclamazione del califfato e l autonoma definizione di stato. Non più organizzazione, formazione, fronte o quant altro, bensì Stato Islamico, superando così i dubbi e le esitazioni degli altri movimenti jihadisti, tra cui al-qaida, e decidendo che la rifondazione del califfato sarebbe stata realizzabile ora e per di più nel cuore della storia classica dell islam. È così che, ancor prima di giungere alla dimensione delle immagini, dei proclami, della spettacolarizzazione delle operazioni militari e terroristiche e, infine, delle inique esecuzioni, l attuale IS ha dimostrato di volere affrontare ad armi pari i suoi nemici fin

10 8 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis dalla sua nascita, facendo propria una delle grandi prerogative dell Occidente moderno: la capacità di definire e nominare, pretendendo d imporre inesorabilmente le proprie categorie all esterno. Fin dall inizio IS ha sottratto al suo nemico il diritto di definire chi esso fosse, facendo dell esposizione diretta, sfrontata e provocatrice il faro del proprio agire. La comunicazione è quindi nel Dna di quest organizzazione, al di fuori delle abilità tecnologiche e della conoscenza dei tempi e dei suoi riti mediali. E così non poteva che essere, coerentemente all obiettivo preposto. Quale potere politico o regime che aspiri a imporsi come soggetto statuale in un dato contesto e nella dimensione internazionale non ha da sempre espresso, al pari della sua forza militare, coercitiva e culturale, anche la pretesa di definire liberamente le coordinate temporali e spaziali e i nomi del territorio e delle comunità su cui ha ambito esercitare sovranità, incarnandone l identità e l essenza? Nel caso di IS, tale operazione sembra realizzarsi con particolare efficacia, riuscendo abilmente a far leva sui concetti culturali della tradizione religiosa islamica, rendendola operativa nella quotidianità dei suoi sostenitori, delle sue future nuove reclute e, naturalmente, dei suoi nemici. Fino a questo momento IS sta dimostrando di riuscire a controllare e convogliare una molteplicità di messaggi e simboli differenti, a cui fornisce sintesi e indirizzo curando una comunicazione sia, per così dire, istituzionale, almeno nella pretesa, e sia più informale, delegata all intraprendenza del singolo sostenitore. Proclamandosi califfato e agendo o proponendosi quale stato moderno per tutti i musulmani, intervenendo nel territorio e comunicando nello spazio virtuale di internet, guardando negli occhi ogni individuo (musulmano e non-musulmano) pur ambendo a guidare la comunità islamica intera, IS ricompone così tempi e spazi apparentemente distanti che attraverso l uso efficace della parola, delle immagini e degli strumenti di divulgazione e diffusione trovano apparente coerenza, o comunque un evidente efficacia. Ed è così che IS lancia contemporaneamente una guerra psicologica e fisica alla regione mediorientale e al mondo intero. Una

11 Introduzione 9 guerra psicologica fatta di testi, immagini, iconografie che quest organizzazione diffonde capillarmente, mirando a un effetto moltiplicatore che sembra ingigantire e celebrare le sue gesta oltre i reali risultati sul campo e le effettive capacità, che ovviamente non vanno sottovalutate, ma che richiederebbero una più consapevole e cosciente valutazione. Questo libro nasce dalla volontà di affrontare criticamente la narrazione che IS propone e impone attraverso un percorso ragionato che scompone e analizza i messaggi, i mezzi, le strategie di comunicazione, i destinatari. Nel primo capitolo, Paolo Branca ripercorre la storia di lungo periodo dell istituto del califfato, mettendo in luce gli snodi problematici che hanno accompagnato la sua evoluzione, mostrando le profonde differenze rispetto all attuale pretesa di IS. Il sedicente califfato non pare porsi come reale alternativa alle attuali forme statuali, ma mette a nudo la profonda crisi politica e identitaria di un mondo globalizzato, quindi non solo arabo o mediorientale, che di fronte alla scarsità di alternative credibili si aggrappa a qualsiasi identità o proposta convincente. Andrea Plebani e Paolo Maggiolini affrontano nel secondo capitolo il tema del rapporto tra IS, nemico e comunicazione. Appare evidente come IS sia riuscito a far risuonare prepotentemente il suo messaggio proprio attraverso l abile rappresentazione del nemico, della sua umiliazione, uccisione e sconfitta. IS ha dimostrato di saper utilizzare i tempi e gli strumenti della comunicazione contemporanea sincronizzando le sue attività in una dimensione locale, regionale e internazionale. Il nemico e la sua manipolazione divengono lo strumento di quest operazione nella prospettiva di una continua campagna di reclutamento e per la diffusione del terrore a tutti i livelli. Monica Maggioni tratteggia in Lo Stato Islamico: una sorpresa solo per chi lo racconta un viaggio nel tempo e nello spazio del rapporto tra movimenti jihadisti e comunicazione e mette in evidenza come la proclamazione del califfato sia stata accompagnata fin dall inizio da un abile campagna mediatica sul territorio e a livello globale. Il documento con cui IS ha proclamato la

12 10 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis rinascita del califfato esprime immediatamente i molti registri e simboli di cui si compone la sua comunicazione, accompagnando la naturale chiamata a sé di tutti i musulmani del mondo con un implicita e sottile minaccia verso chi non risponderà a tale invito e mobilitazione. Gli interventi di al-baghdadi, i comunicati affidati a specifici portavoce, le immagini delle esecuzioni di chi devia, vengono rielaborati e confezionati da specifiche unità di comunicazione e agenzie del califfato che li affidano ai mezzi di diffusione mondiale facendo risuonare prepotentemente il messaggio. Una comunicazione mai casuale, ma lucida e focalizzata a raggiungere interni (imporsi quale soggetto statuale credibile) ed esterni (fare proseliti) e, soprattutto, ad annettere alla presenza dello Stato Islamico su scala globale un senso d inevitabilità che s impone ai nostri racconti, alle scalette dei telegiornali e alle prime pagine dei giornali. Nel quarto capitolo Marco Lombardi esamina il tema della comunicazione di IS all interno dello spazio mediatico di internet. L autore evidenzia l abilità di IS nel destreggiarsi all interno del web, sfruttando i suoi molteplici linguaggi e strumenti. Da una parte combinando una comunicazione istituzionale con quella emozionale, il web diviene un territorio dove diffondere le sue trappole comunicative con lo scopo di promuovere l idea di un conflitto generalizzato e diffuso che alzi il livello di scontro e rafforzi la sua presa e prestigio. Dall altra, IS ha dimostrato di aver ben compreso il potenziale della cosiddetta gamification. Giochi di ruolo e di combattimento all infedele vengono diffusi via web con lo scopo di dare un minimo di training, reclutare e fidelizzare ma, soprattutto, rompere le barriere etiche che governano la vita. In Califfato, social e sciami: l appeal della propaganda dello Stato Islamico tra gli aspiranti jihadisti europei, Lorenzo Vidino e Marco Arnaboldi si concentrano, invece, sull appeal che la comunicazione di IS riscontra tra le nuove generazioni musulmane d Europa. I due autori offrono una diversa prospettiva nell analisi di come IS si muove all interno del web, sottolineando il ruolo dei social network e delle dinamiche di sciame. I social network

13 Introduzione 11 permettono ai giovani aspiranti jihadisti di essere coinvolti in un ambiente comunicativo orizzontale nel quale ogni destinatario e consumatore è un potenziale mittente e produttore di materiale propagandistico e divulgativo. In questo modo, il materiale condiviso ha potuto circolare in forma decentralizzata, determinando un aumento vertiginoso di potenziali destinatari e di knowhow creativo. In conclusione, il contributo di Harith Hasan al-qarawee pone l attenzione sulla dimensione locale della comunicazione di IS all interno dei contesti di Siria e Iraq. È in questo campo che IS ha dovuto sviluppare una comunicazione sempre più sofisticata e differenziata per poter vincere la sfida di trasformarsi da movimento jihadista a quasi stato. Infatti, avendo presto compreso che la legittimità non può essere acquisita solo con l uso della forza, IS ha utilizzato gli strumenti della propaganda per raffigurarsi come modello amministrativo attraente, rappresentando la soddisfazione degli abitanti che vivono nei territori sotto il suo controllo. In questo modo, combinando comunicazione globale con quella locale, diretta al contesto e alle popolazioni tra cui opera, IS esprime la sua naturale propensione all espansione, sia simbolica che fisica. Guerra ideologica e scontro militare in cui IS fa della propaganda un teatro fondamentale dove testare la propria forza ed efficacia. Paolo Magri Vice-presidente esecutivo e direttore dell'ispi.

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15 Parte prima - Il messaggio

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17 1. Il califfato fra storia e mito Paolo Branca Il termine arabo khalifa designa, nel Corano, Adamo stesso, quale vicario di Dio sulla terra (2, 30) e l autorità regale-profetica di Davide (38, 26). La designazione di un sostituto del Profeta non prevista da alcuna disposizione di quest ultimo, né dal Testo sacro mostra come si avvertisse il bisogno di dare continuità all opera iniziata da Muhammad dandogli un successore: la sua funzione non sarebbe stata più ovviamente quella di trasmettere la rivelazione, ma piuttosto di custodire l unità della neonata Comunità islamica (umma) e la sua fedeltà agli insegnamenti divini e all esempio del fondatore. L istituzione califfale appena formatasi dovette tuttavia far fronte a tensioni di ogni tipo. Com è noto, già il primo califfo Abu Bakr si trovò a combattere le spinte centrifughe attraverso le quali lo spirito beduino cercò di svincolarsi dal potere centrale dopo la scomparsa del Profeta e le cose non migliorarono coi suoi successori a motivo del contrasto che si ebbe tra le differenti fazioni. Con il conflitto tra il quarto califfo Ali (l ultimo in linea cronologica dei primi quattro califfi) e i suoi avversari, eredi di Uthman (il suo predecessore assassinato), l unità della umma si spezzò definitivamente, dando origine a differenti e opposte formazioni che non si limitarono a contendersi titoli e ruoli, ma elaborarono argomentazioni che implicavano una diversa concezione della natura e dell esercizio della suprema autorità, sostenuta da interpretazioni delle fonti e letture dei paradigmi originari molto diversificate, quando non del tutto antitetiche. La stessa tradizione islamica, celebrando l epoca d oro dei primi quattro califfi ben diretti (rashidun), se da un lato

18 16 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis manifesta il desiderio di preservare del periodo delle origini un immagine idealizzata, talvolta poco aderente alla realtà, ma proprio per questo ancor più paradigmatica, dall altro esprime la consapevolezza della grave frattura prodottasi in seguito come di un fatto in un certo senso irreversibile. Le teorizzazioni e le diatribe intorno alla figura e alle funzioni del capo supremo della comunità prendono tutte le mosse da questa crisi, dalla sua costante rilettura e dalle interpretazioni che ne sono state date nelle epoche successive, spesso più con l intento di avallare questa o quella tendenza contemporanea agli autori che presero posizione a riguardo che con l obiettivo di ristabilire con esattezza il dato storico. È inoltre indispensabile richiamare l attenzione sul fatto che nel corso della storia, come spesso accade, la pratica si discostò dalla teoria e il califfato, se pure ufficialmente abolito soltanto all inizio del secolo scorso, era già stato di fatto affiancato o addirittura sostituito da altre forme di autorità che trovavano la loro legittimazione più nella necessità di riconoscere ruoli e funzioni di chi in pratica deteneva il potere che nella rispondenza di quest ultimo a qualità e requisiti teoricamente stabiliti a proposito di chi dovesse reggere le sorti della Comunità. Dal punto di vista storico, la distruzione di Baghdad da parte dei Mongoli nel 1258 venne sicuramente percepita nel mondo islamico come una sorta di vera e propria Apocalisse. In seguito, nonostante formali passaggi del titolo califfale prima ai Mamelucchi d Egitto e quindi agli Ottomani, non si riprodusse, di fatto, un vero califfato universale. Quest ultima pur gloriosa e plurisecolare manifestazione storica, che almeno nominalmente ha potuto rifarsi al califfato, non assoggettò mai il Marocco e a oriente non seppe spingere il suo controllo oltre l Iraq, lasciando autonome enormi aree del mondo islamico come quella iranica e centro-asiatica, il subcontinente indiano e l insulindia, così come la gran parte dei paesi musulmani dell Africa. Con il crollo dell Impero ottomano sia il sultanato sia il califfato vennero aboliti definitivamente de iure, ponendo fine alla secolare storia dell istituto califfale e passando immediatamente alla fondazione di stati nazionali moderni in cui il recupero di un autorità

19 Il Califfato tra storia e mito 17 sovranazionale non si è mai riproposta neppure come progetto definito, tantomeno tramite azioni politiche o persino militari. Come, dunque, e perché si sia giunti solo ora a pretendere la restaurazione del califfato, forse non assente tra quanto a lungo vagheggiato, ma mai individuato almeno come obiettivo programmatico realizzabile a breve termine, resta un problema da chiarire. Anzitutto va tenuto conto che il fenomeno del terrorismo di matrice islamica, benché abbia scelto bersagli simbolici anche in Occidente, non è tanto ingenuo da poter pretendere di sconfiggere direttamente la superpotenza americana né Israele, ma ha sempre mirato piuttosto a una destabilizzazione a danno dei vari regimi arabi e islamici. L acuirsi della tensione fra sunniti e sciiti e la degenerazione della situazione irachena e siriana verso una vera e propria guerra civile ne sono la più eloquente dimostrazione. Il caos seguito al periodo delle cosiddette primavere arabe ha interessato principalmente questi due paesi che da un lato sono stati le sedi storiche del califfato omayyade di Damasco e di quello abbaside di Baghdad e dall altro sono emersi come entità statuali proprio un secolo fa con la Prima guerra mondiale, il dissolvimento dell Impero ottomano e l iniqua spartizione dei territori arabi tra Francia e Gran Bretagna in forza degli accordi segreti Sykes-Picot, concordati proprio mentre Lawrence d Arabia ne convinceva i governanti all alleanza coi futuri vincitori a danno dei turchi e dello schieramento di cui questi ultimi facevano parte. Un occasione troppo ghiotta per non cercare di ottenere in un sol colpo numerosi vantaggi: la liquidazione del nazionalismo arabo, o di quel che ne resta, nonostante i suoi meriti nell ottenimento dell indipendenza dalle potenze coloniali, denunciandone l origine allogena e quindi illegittima, se non addirittura perniciosa per aver favorito una frammentazione della grande umma in entità fragili e litigiose; la messa in stato d accusa di tutti i regimi che si sono da allora succeduti, collusi con le potenze straniere e responsabili della svendita della causa araba e dell orgoglio islamico cui sarebbe

20 18 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis stato impedito scientemente e sistematicamente di ritornare agli antichi splendori; lo scavalcamento di tutta la galassia di movimenti islamisti che negli ultimi decenni hanno in vario modo accettato d intraprendere una sorta di lunga marcia nelle istituzioni, rinunciando alla lotta armata o comunque riducendola, colpevoli di tradimento anche e forse soprattutto per esser scesi a patti con un sistema, almeno formalmente e gradualmente, indirizzato verso una pluralizzazione delle forze politiche e sociali chiamate a confrontarsi all interno di una competizione politica ispirata ai modelli dell odiato Occidente; l intercettazione di un certo numero di militanti delusi e scoraggiati in forza sia di un programma di mobilitazione senza tentennamenti, sia del collegamento con simboli forse arcaici, ma appunto per questo meno usurati dalla globalizzazione, e dalla crisi economica, che hanno tolto smalto a tutte le ideologie più recenti, sia infine di un abile e spregiudicata campagna mediatica che unisce l utilizzo degli strumenti tecnologici più raffinati al recupero di antichissime attese messianiche che parlano degli stendardi neri dei combattenti musulmani provenienti da est prima della fine dei tempi e dell avvento dell atteso Mahdi, la versione musulmana del Messia. 1.1 Fine del nazionalismo? Il concetto stesso di nazionalismo è un prodotto del pensiero occidentale moderno. La sua affermazione presso popoli abituati a concepire i rapporti tra etnia, lingua e stato in altri termini non si è quindi realizzata senza incontrare problemi e molteplici contraddizioni. Nel mondo musulmano, in particolare, dove l appartenenza all unica umma si fondava essenzialmente su basi religiose, per un certo periodo l ideale panislamico costituì un alternativa alla penetrazione del nazionalismo. Nonostante ciò quest ultimo finì per prevalere a causa di diverse ragioni. Intere aree del grande impero islamico avevano, infatti, conservato nel corso dei secoli una propria specificità nella quale sussistevano molti elementi che

21 Il Califfato tra storia e mito 19 potevano essere interpretati come costitutivi di una particolare identità nazionale. Inoltre, con il progressivo indebolimento del potere centrale si era assistito alla rinascita di tradizioni letterarie e culturali locali che, pur non mettendo in discussione l adesione alla comunità islamica, rappresentavano la manifestazione più recente dell antica insofferenza nei confronti vuoi di un arabizzazione mai definitivamente compiuta (come nel caso dei persiani o dei berberi), vuoi dell egemonia di una determinata etnia all interno della umma stessa (come nel caso degli arabi nei confronti dei turchi). Essendo infine parte integrante della cultura di quei paesi europei che stavano progressivamente mostrando la loro potenza e imponendo la propria egemonia sul resto del mondo, il nazionalismo sembrava il mezzo più adatto sia per mettersi alla scuola dell Occidente nella speranza di colmare il distacco accumulato negli ultimi secoli, sia per affrontarlo in prospettiva sul suo stesso terreno. Le concezioni e gli ideali propri del nazionalismo hanno così fatto il loro ingresso anche nel mondo arabo e musulmano, e sono stati paradossalmente tanto più assimilati da ciascun paese quanto maggiormente esso ha dovuto penare per vederli riconosciuti e realizzati grazie a un aspra lotta per ottenere l indipendenza proprio da quanti avevano contribuito a far conoscere e diffondere quegli stessi concetti e ideali. L ambiguità del rapporto con l Occidente, ritenuto nello stesso tempo un modello e un ostacolo, ha origine appunto in questo paradosso, pur essendosi arricchita di altri fattori nel corso delle fasi successive. Queste ultime a loro volta non sarebbero comprensibili se non si tenesse conto del fatto che, per quanto innovativi, gli elementi provenienti dalla cultura occidentale non furono in grado di scalzare del tutto quelli tradizionali, né seppero amalgamarsi con essi in una sintesi compiuta, sovrapponendovisi piuttosto come un ulteriore stratificazione tutto sommato piuttosto precaria. Si deve inoltre tener conto che, per quanto epica ed esaltante, la lotta di liberazione nazionale ha ottenuto risultati soltanto parziali, così come restavano irrisolte altre delicatissime questioni: il nazionalismo che aveva avuto ragione dei colonialisti non aveva

22 20 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis paradossalmente allo stesso tempo legittimato proprio quelle entità territoriali che essi avevano creato spartendosi le spoglie dell Impero ottomano in funzione dei loro interessi? Quali istanze avrebbero dovuto avere la precedenza nella politica dei nuovi stati indipendenti? Quelle che miravano al superamento di una condizione di frammentazione giudicata comunque innaturale con opzioni in chiave panarabista o addirittura panislamica? Oppure ulteriori autonomie avrebbero dovuto essere concesse a quei raggruppamenti che non avevano ancora goduto dei benefici della battaglia indipendentista (etnie, come berberi e curdi, o comunità religiose come drusi e maroniti)? In tal modo, come i movimenti islamici non avevano potuto non aderire alle campagne nazionaliste pur rifiutandone l ideologia, dopo l indipendenza i governi dei nuovi stati, nonostante la loro più o meno esplicitamente dichiarata laicità, si trovarono a fare appello all islam come fattore di legittimazione e di coesione più efficace e sicuro di altri di fronte alla complessità e alla delicatezza della situazione che dovevano affrontare. Troppi insuccessi lungo un ampio arco di tempo hanno fatto perdere al nazionalismo progressivamente anche la sua maggior fonte di legittimazione: il prestigio di aver conquistato l indipendenza. Se per gli adulti, infatti, quest ultimo resta intatto, le nuove generazioni, non avendo memoria diretta di quegli eventi, avvertono maggiormente la delusione per le loro speranze disattese. L importanza della stagione nazionalista non va però troppo ridimensionata, poiché sembra conservare comunque un valore non del tutto svilito. Non a caso gli esponenti dell attuale radicalismo islamico si affannano molto di più nel contestare il valore del nazionalismo che non nel criticare le concezioni più tipiche della fase successiva, ossia quella rivoluzionaria. Quest ultima, infatti, non ha interessato tutti i paesi arabomusulmani, ma soltanto una parte di essi, è stata inoltre più breve e ha avuto un carattere più intellettuale ed elitario. D altra parte, come l ultimo scorcio del XX secolo ha dimostrato con fin troppa evidenza, tra le ideologie che lo hanno caratterizzato, quella nazionalista non sembra la più indebolita, ma anzi quella capace di

23 Il Califfato tra storia e mito 21 trarre alimento dalla crisi delle altre, che appare molto più rovinosa e inarrestabile. 1.2 Delegittimazione religiosa Ogni forma di governo che non dipenda direttamente dalle norme islamiche sarebbe priva di qualsiasi legittimità. Non si tratta certamente di un argomento nuovo, basti pensare (oltre ai kharijiti 1 ) che persino il califfato omayyade di Damasco (terminato del 750 d.c.) fu accusato di essere solo una forma di potere (mulk) e di essersi distaccato dalla prassi corretta improntata alla religione (din) dei primi quattro califfi ben diretti. Ma è soltanto nell epoca più recente che l anatema (takfir) rivolto all intera società ritenuta non più musulmana o apostata ha cercato di giustificare il ricorso al terrorismo che colpisce indiscriminatamente anche innumerevoli civili innocenti. Nessun compromesso sembra pertanto possibile, come del resto è stato ribadito dal portavoce dell IS Abu Muhammad al-adnani al-shami nella 1 Tale movimento ebbe origine dai contrasti nati tra i seguaci di Ali dopo che quest'ultimo ebbe accettato di interrompere il combattimento in atto a Siffin, nel 657 d.c., per affidare a un arbitrato la soluzione della controversia che lo opponeva ai suoi avversari. Se non vi sono dubbi sul fatto che questa sia stata la causa immediata della defezione dal campo di Ali da parte dei kharijiti, le vicende relative a questo movimento dissidente sono ben più complesse e rivelatrici di dinamiche profonde che sono state giustamente richiamate dagli specialisti. Ciò che è più interessante per noi, in questa sede, è notare come già nella denominazione di questo movimento e nelle sue parole d ordine fossero prefigurate posizioni che ancor oggi si ritrovano presso gli esponenti del radicalismo islamico, che le riprendono più o meno consapevolmente. Si sa che il loro principio ispiratore di fondo fu quello espresso dall'affermazione Non v'ha giudizio se non quello di Dio (la hukma illa li-llah) e che uno dei versetti coranici da loro più volte citato era Combatteteli finché non vi sia più scandalo e il culto tutto sia reso solo a Dio (Corano 8, 39). All estremo opposto si trovavano quanti ritenevano opportuno rinviare (irja ) a Dio il giudizio sulla fede dei singoli, mirando così a stemperare l aspetto ideologico delle controversie per privilegiare l interesse della Comunità che aspirava a vivere in pace e garantendo l ordine sotto un autorità riconosciuta più per la necessità della sua esistenza che per la legittimità delle sue origini e l'impeccabilità dei suoi comportamenti.

24 22 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis lettera aperta resa nota all inizio del mese di Ramadan nella quale ogni autorità salvo quella califfale sarebbe «un semplice regno, frutto di conquista e di conseguenza, foriero di distruzione, corruzione, ingiustizia, terrore e riduzione dell essere umano al livello animale». Nella stessa missiva si annunciava tra l altro la modifica dell acronimo Isis semplicemente in IS, unica forma di stato ammissibile per i credenti non fuorviati da democrazia, laicità o nazionalismo, perciò invitati a riconoscersi in esso e a schierarsi dalla sua parte. La recente risposta delle istituzioni islamiche ufficiali conferma la natura assai problematica di una questione irrisolta e tutta interna: la barbara esecuzione del pilota giordano arso vivo dall Isis ha scatenato, come si sa, la reazione militare del suo paese, ma anche l università di al-azhar non ha mancato di far udire la sua condanna in termini perentori: «Devono essere uccisi, crocifissi e bisogna tagliare loro le mani e i piedi». La durissima affermazione è coranica, ma ripeterla tale e quale senza contestualizzarla rischia di far percepire il linguaggio del Testo sacro simile a quello dei fanatici che si vorrebbero in tal modo intimorire. La sanzione stabilita dal Corano è, infatti, riservata al brigantaggio e oggi sarebbe da interpretare piuttosto come somma minaccia per la criminalità organizzata, tenendo però anche conto che all epoca del Profeta non esistevano prigioni e vigeva la legge del taglione in una società che non poteva certo definirsi uno stato di diritto. Quand anche si ritenga il Corano parola di Dio alla lettera, non si dovrebbe dimenticare che nessun testo può esser letto senza la testa (a meno che non lo si ripeta come i pappagalli) e occorrerebbe riflettere sul motivo che ha spinto il creatore a mettere la testa in cima a tutto il resto del corpo. Altrimenti si corre il serio rischio di ragionare con altre parti assai meno nobili del corpo stesso, finendo per sragionare e dare implicitamente ragione ai nostri avversari semplicemente perché ci mettiamo al loro livello, legittimandone il linguaggio e la logica che esso sottende. Logica 2 for-al-hayat-media-center/translated-official-speeches/-this-is-the-promise-of-allah-- -sh-abu-muhammad-al--adnani

25 Il Califfato tra storia e mito 23 perversa e distruttiva per entrambi i presunti contendenti, due facce della medesima moneta fasulla. 1.3 Primavere ambigue Con le recenti sollevazioni che in molti paesi arabi hanno condotto alla fine di regimi autoritari e corrotti abbiamo visto grandi masse mobilitarsi in nome di princìpi e valori che ritenevamo estranei o comunque lontani dalla sensibilità di popolazioni in gran parte musulmane. Anche l assenza di slogan anti-occidentali o comunque ostili all imperialismo, al neocolonialismo e al sionismo hanno sorpreso non pochi osservatori, e chi ha potuto seguire in lingua originale il dibattito che si è aperto in quei giorni ha avuto occasione di constatare che esso verteva anche su neologismi altamente significativi. Il concetto di laicità, infatti, comunemente espresso in arabo col termine ilmaniyya (da ilm, scienza, o da alam, mondo ), fortemente dipendente da concezioni appunto razionaliste o secolariste tipicamente europee e un po datate, è stato sostituito dal termine madaniyya (unito a dawla, cioè stato ) che significa civile, non soltanto contrapposto a militare, ma anche a clericale o religioso in senso confessionale. Ciò spiega, tra l altro, anche la decisa partecipazione alle proteste sia di cristiani arabi sia di musulmani non radicali. Il fatto che, specialmente in Tunisia e in Egitto, si sia passati alla vittoria di movimenti islamisti alla prima tornata elettorale sembrerebbe contraddittorio, ma era in parte inevitabile che ne approfittassero inizialmente quei movimenti già esistenti e radicati nel territorio che hanno a lungo rappresentato l unica forza di opposizione organizzata in quei paesi. Il processo di trasformazione iniziato con le primavere arabe ha dunque contribuito a un emersione ancor più evidente di molti nodi irrisolti piuttosto che alla loro soluzione. Si sono manifestate così dinamiche finora represse o sottostimate che potrebbero ancora dar frutto nel medio periodo. Ne sono una prova alcune provocazioni che esponenti dei gruppi più tradizionalisti hanno osato manifestare e che, pur nel

26 24 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis loro carattere paradossale o forse proprio grazie a esso, pongono in questione alcuni punti cruciali e dirimenti rispetto alla posizione dei singoli e dei gruppi circa uno stato moderno e rispettoso dei diritti umani dei suoi stessi cittadini. Il presunto ritorno all applicazione integrale e intransigente della cosiddetta legge islamica, che mai è stata codificata e si è configurata piuttosto come una giurisprudenza che come un diritto positivo, ha rappresentato il pretesto per qualcuno non solo di proporre il ripristino (come ad esempio in Tunisia dov era vietata) della poligamia, ma addirittura del concubinato. Il Corano, come del resto la Bibbia, registra, infatti, la schiavitù come una prassi che tenta di moderare nelle sue manifestazioni estreme, ma non vieta esplicitamente. È chiaro che lo status di non mogli legalmente ammissibili dipenderebbe da una reintroduzione della schiavitù, cosa non immediatamente percepibile né apertamente rivendicata dai sostenitori di questa restaurazione, in quanto improponibile anche alla sensibilità dei loro stessi fautori. Analogamente, quando si giunge a proporre di ritornare alla tassa di sottomissione da parte delle minoranze cristiane o d altra fede, è implicita una regressione verso epoche e stili di vita di carattere feudale, dove la mancanza di uno stato di diritto poteva far concepire come legittimo uno status di cittadinanza di serie B per i seguaci di religioni diverse da quella dominante, dispensati dal servizio militare, ad esempio, e proprio per questo tenuti a compensare tale privilegio con uno speciale tributo. Quando certa propaganda si ostina a considerare l islam in se stesso incompatibile con la democrazia in quanto teocratico, commette due errori fondamentali: il primo è quello appunto di usare un termine errato, il vero rischio in ambito musulmano, infatti, non è quello della teocrazia ma del cesaropapismo, essendo il potere politico a strumentalizzare la religione e non viceversa (almeno in campo sunnita, che rappresenta circa il 90 per cento del mondo islamico), il secondo è quello di dare per scontato che tutti i musulmani ritengano giusto, se non indispensabile, reintrodurre le norme mutuate dalle fonti tradizionali, ignorando che molto probabilmente gran parte di loro riterrebbe inconcepibile tornare

27 Il Califfato tra storia e mito 25 alla schiavitù o alla discriminazione delle minoranze religiose, una volta posta chiaramente di fronte a tale prospettiva. Resta tuttavia evidente che la gestione piuttosto fallimentare del consenso ottenuto dai gruppi islamici radicali storici in casi come quello dell Egitto possano aver contribuito a un ritorno di fiamma favorevole ai movimenti oltranzisti ed eversivi quali appunto l IS. 1.4 Decadenza e messianismo Infine, ma non meno importante, è l atmosfera apocalittica che si è rafforzata: il caos dominante quasi ovunque e la consapevolezza di vivere un periodo di profonda crisi porta fatalmente alla ribalta simboli e slogan da fine del mondo. Lo stesso stendardo nero del neo-califfato è collegato, nella lettera menzionata in precedenza, a quello che i veri credenti innalzeranno in prossimità del Giudizio finale per passarlo al Messia nello scontro decisivo fra le forze del bene e del male. Quanto tale amalgama di catastrofismo e di attese epocali possa attrarre militanti sia dall interno del mondo islamico sia da altrove è intuibile, benché forse il fenomeno dei foreign fighters abbia una rilevanza più simbolica e mediatica che effettiva. Il 19 settembre 2014 oltre centoventi sapienti musulmani hanno reso nota una lettera aperta indirizzata al neo auto-dichiarato califfo, significativamente nota con un titolo che non vi appare You Don t Understand Islam. Il testo tenta di confutare le argomentazioni del discorso d insediamento di al-baghdadi con ampio ricorso a versetti coranici e detti profetici. Se da un lato ciò è stato in qualche misura inevitabile, dall altro mostra quanto lo pseudo-califfo abbia costretto i suoi avversari a confrontarsi con lui sul medesimo terreno, il che è già di per sé emblematico. Un conflitto sull interpretazione delle Fonti rivela, infatti, da un lato quanto esse siano ancora potenti, ma dall altro manifesta anche una spaventosa carenza di elaborazione di un discorso politico alternativo, esito di una stagnazione e perfino di una regressione intellettuale quanto mai perniciosa.

28 26 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis È tuttavia rilevante che molte prassi dell IS siano state condannate proprio in forza di quelle fonti, come l uccisione di civili innocenti e disarmati o di emissari diplomatici, l inammissibile scomunica di altri musulmani, il mancato rispetto per le minoranze religiose, le conversioni forzate, l indiscriminata applicazione di pene corporali e la distruzione di luoghi cari alla pietà popolare. Sul versante politico, tuttavia, si ammette che il califfato sia un istituzione che i musulmani dovrebbero restaurare, senza però riconoscere ad al-baghdadi l autorità necessaria per poterlo pretendere. Molto meno chiaro sembra chi e a quali condizioni potrebbe farlo. L amore per la propria patria, intesa non come la umma araba o quella islamica, viene difeso, così come si reputa assurda la richiesta che i musulmani emigrino per vivere finalmente sotto tutela di un vero stato islamico e tantomeno per supportarlo e difenderlo. Le ragioni storiche e soprattutto l esperienza dei milioni di credenti che da secoli ormai conducono un esistenza perfettamente in linea con i principi e i precetti dell islam in condizioni socio-politiche svariatissime non è purtroppo in grado di mettere in crisi un modello mitico che sembra resistere a ogni contestualizzazione e analisi critica articolata. Conclusioni Alcune problematiche classiche del rapporto tra religione e politica in ambito islamico tornano dunque a ripresentarsi, anche se con spirito e in forme inediti. Si tratta di una questione che per sua stessa natura è destinata a non essere mai definitivamente risolta, ma costantemente riletta e reinterpretata alla luce sia dei suoi presupposti più antichi sia delle esigenze e delle inquietudini del presente.

29 Il Califfato tra storia e mito 27 L articolo 6 della recentissima Costituzione tunisina 2014 relativo alla libertà di culto ne è un impressionante dimostrazione 3. Il clima è evidentemente assai pesante, ma la realtà degli stati nazionali moderni che si sono via via costituiti in tutta l area musulmana difficilmente potrà esser rimessa in discussione, tantomeno da parte di gruppi settari ed estremisti, fortemente localizzati e determinati da conflittualità contingenti. La resurrezione di un califfato almeno come suprema autorità morale, dell immensa e articolata umma musulmana manca ancora dei minimi requisiti basilari, tutto il resto gioca invece a favore di un ulteriore e drammatica frammentazione etnica e religiosa: più che di un sogno si tratta di un incubo, pagato a caro prezzo non solo dalle minoranze del Medio Oriente, ma dalla totalità della popolazione che rischia di non trovare più nella fede islamica almeno quel riferimento etico e spirituale che, nonostante tutto, per secoli ha rappresentato per milioni e milioni di credenti. Per gli arabi in particolare tutto ciò avviene come se ogni acquisizione compiuta almeno negli ultimi due secoli, e l ancor più ricca e poliedrica esperienza delle epoche precedenti, semplicemente non fosse mai esistita. Lo stesso riformismo islamico che durante la nahda ha effettivamente saputo aprire inedite prospettive all interno di una dinamica generale di rinnovamento, si è presto trovato ad assumere una funzione di supplenza rispetto a quanto nella società è stato invece bloccato da involuzioni autoritarie. E ha per di più dovuto farlo rispondendo a esigenze contrastanti e quasi mai in posizione di reale indipendenza dal potere politico. Le parole d ordine religiose che riemergono sono pertanto logore già in 3 L articolo della recentissima Costituzione tunisina relativo alla libertà di culto ne è un impressionante dimostrazione: L État est gardien de la religion. Il garantit la liberté de croyance, de conscience et le libre exercice des cultes; il est le garant de la neutralité des mosquées et lieux de culte par rapport à toute instrumentalisation partisane. L État s engage à diffuser les valeurs de modération et de tolérance, à protéger les sacrés et à interdire d y porter atteinte, comme il s engage à interdire les campagnes d accusation d apostasie et l incitation à la haine et à la violence. Il s engage également à s y opposer.

30 28 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis partenza e vanamente pretendono di rispondere a quell ansia di riscatto e di rinascita nazionale che pure ne determinano il relativo successo, in mancanza di alternative. Ciò che non si è realizzato nelle istituzioni e nella prassi di stati solo apparentemente moderni, non ha alcuna chance di prodursi in forza di slogan più demagogici che carismatici, velleitari nelle intenzioni e atroci nelle prassi che producono, ancora una volta a danno di popoli che stentano a essere riconosciuti come cittadini e sembrano condannati a rimanere sempre e comunque sudditi. Il presunto califfato non si pone dunque come credibile alternativa, al pari di quel che apparirebbe per l Europa la pretesa di una restaurazione del Sacro Romano Impero. Dice però molto a proposito di alternative credibili che scarseggiano in tutto il mondo globalizzato che si aggrappa a qualsiasi identità (più nel senso del belonging che del believing), quand anche fosse posticcia e un tantino irrealistica (come il matrimonio alle fonti del Po, che i Celti non hanno mai praticato), ma comunque utile punto di riferimento agli sbandati della società liquida, come il non troppo remoto destino dei vicinissimi Balcani ha molto eloquentemente e dolorosamente dimostrato non tanti anni fa, a due passi da casa nostra.

31 2. La centralità del nemico nel califfato di al-baghdadi Andrea Plebani, Paolo Maggiolini L idea di affrontare il tema della conflittualità e del rapporto con l altro può apparire nel caso del sedicente Stato Islamico (IS), in arabo Dawla al-islamiyya o anche Dawla Islamiyya fi Iraq wa Sham (Stato Islamico nell Iraq e nel levante - Isil/Isis o Daish), un esercizio prettamente retorico, quasi tautologico. Il carico di violenza che sottende l attività di IS e la sua brama espansionistica contro tutto e tutti, infatti, sono gli aspetti che più connotano l azione del movimento retto da Abu Bakr al-baghdadi questo anche alla luce del fatto che per IS la distinzione tra avversario (inimicus) e nemico (hostis) non ha di per sé alcuna valenza. Non è di fatto riconosciuto uno spazio sociale o politico minimamente condiviso all interno del quale concedere all altro un reale diritto di esistenza, al di fuori della sottomissione e della spogliazione. Tale principio ispira tutta la narrazione di IS a partire dalla peculiare concezione di califfato da essa supportato, come chiaramente spiegato nel contributo precedente, fino a giungere alla definizione e relazione con l altro. Ciò è vero non solo per la sfera non musulmana, ma anche nei confronti della medesima dimensione musulmana, come dimostrato dal ricorso continuo allo strumento del takfir 1, e per gli stessi 1 Il termine takfir identifica l atto di dichiarare infedele (kafir, da cui comporre il termine takfir) una persona o una pratica. Per l Islam, la dichiarazione di takfir rappresenta una grave accusa e comporta delle serie conseguenze sia per l accusatore, il quale può vedersi rivolgere la medesima accusa qualora la sua dichiarazione fosse giudicata falsa, sia per l accusato, passibile di morte. Secondo l interpretazione militante jihadista, la questione del takfir viene direttamente posta

32 30 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis altri attori della galassia jihadista non disposti a riconoscere l autorità del nuovo califfo. È evidente che qualsiasi diversità, alterità o contrapposizione sia interna al mondo a cui questi soggetti si riferiscono che, a maggior ragione, all esterno di questo è interpretata secondo la dimensione del nemico e mai come avversario. Un nemico verso cui non è concessa esitazione o pietà alcuna. Le pagine che seguono si propongono di approfondire il percorso inaugurato nel capitolo precedente ripensando, dopo l analisi di quale sia il concetto di califfato nel messaggio di IS, a quale sia il rapporto che IS ha stabilito tra il nemico, nei suo molteplici volti, e la dimensione della comunicazione mediatica, concentrandosi sulla definizione di chi sia realmente l oggetto della violenza di questo gruppo e del perché esso sia stato incluso nella categoria di hostis. Infatti, ancor più dei risultati effettivi conseguiti sul campo, IS è riuscita a far risuonare prepotentemente il proprio messaggio attraverso l abile rappresentazione del nemico, umiliato e sconfitto. Inoltre, nel saper alimentare efficacemente questo rapporto, IS è stata in grado di sincronizzare la sua attività unendo dimensione locale, regionale e internazionale, sostenendo al contempo una campagna di reclutamento e diffusione del terrore su tutti i livelli disponibili Il binomio IS/violenza La contestualizzazione del tema dell esercizio della violenza per IS e del suo rapporto con il nemico all interno della più ampia sfera della comunicazione consente di delineare una serie di tratti importanti per la comprensione del gruppo e del suo progetto politico. In questo senso, l esercizio brutale della violenza da parte del Dawla al-islamiyya e la sua rappresentazione estetica non all interno della dimensione musulmana divenendo lo strumento per legittimare l uccisione di fedeli musulmani giudicati empi o negatori della vera fede. 2 I. Eido, ISIS: The Explosion of Narratives The Land of the Revolution Between Political and Metaphysical Eternities, Jadaliyya, 3 ottobre 2014, [ONLINE]

33 La centralità del nemico nel califfato di al-baghdadi 31 segnano semplicemente un salto qualitativo nella tecnica e nella regia di un attività che il terrorismo jihadista contemporaneo ha dimostrato di curare con particolare attenzione fin dalle prime apparizioni di al-qaida. Nel caso di IS, infatti, la relazione sembra assumere una rilevanza ancor più significativa. Il nemico non è solamente l ostacolo che si frappone alla realizzazione di un progetto politico, e non è nemmeno semplicemente la condensazione di tutto ciò verso cui combattere o la minaccia strutturale che può essere sia vicina sia lontana (i tristemente celebri near e far enemy). Esso diviene piuttosto oggetto e soggetto della dottrina del gruppo, tanto da finire col rappresentare una parte costituente della stessa, senza la quale l intero castello dottrinale di IS rischierebbe di perdere buona parte del proprio significato. Dal punto di vista ideologico, la peculiare interpretazione del rapporto esistente tra messaggio religioso e obiettivo politico (la ricostituzione del califfato e l imposizione della sharia) favorisce, in una sorta di cortocircuito, quasi la reificazione della violenza, politicizzando la dimensione e l affiliazione religiosa. Tale risultato è raggiunto attraverso una duplice operazione. Da una parte la violenza è mediatizzata attraverso la trasmissione d immagini e testi che apparentemente la incardinano all interno di formule istituzionalizzate del monopolio della forza (guerra, punizione del nemico, somministrazione della punizione a chi devia dalla legge ecc) 3. Dall altra, la continua e terribile esposizione della violenza produce un effetto banalizzante e assuefatorio. Attraverso la sua reificazione, che non potrebbe esistere senza la leva mediatica e la sfera di internet, IS mira ad affascinare nuove reclute e a terrorizzare i nemici. Nel proporsi come realizzazione fisica dell ideale di stato islamico, IS porta questa riflessione, comune a tutte le formazioni jihadiste, alle estreme conseguenze escludendo categoricamente il concetto di compromesso con l altro da sé, sia all esterno sia all interno dello spazio controllato dal gruppo. Al tempo stesso, la reinterpretazione delle fonti coraniche che fonda la peculiare 3 C. Lister, Profiling the Islamic State, Brookings Doha Center Analysis Paper, no. 13, novembre 2014, p. 26.

34 32 Twitter e Jihad. La comunicazione dell Isis riflessione fondamentalista di formazioni come al-qaida e IS porta a una concezione del mondo chiaramente ancorata al principio della necessità di combattere il nemico, ovunque esso sia. In questo senso tra l esperienza di al-qaida e IS non si rilevano differenze sostanziali a livello dottrinale nei confronti della categoria di nemico, che viene strutturata e definita sulla base di una personale rilettura dei testi coranici nella prospettiva del proprio progetto politico. L Occidente, terra dei crociati, i cristiani e gli ebrei (per IS ontologicamente infedeli, kufiruna oppure kuffar), gli sciiti e i sunniti che osteggiano l attività jihadista e, in particolare per IS, le altre minoranze religiose presenti in Medio Oriente sono i nemici per eccellenza. Inoltre, rispetto alla visione tradizionale che ha dominato le formazioni politiche succedutesi nel mondo musulmano nel corso dei secoli, i movimenti jihadisti tendono a rileggere tale tipologia da una prospettiva prettamente etica e de-territorializzata. Il fronte della battaglia è ovunque, poiché la divisione tra compagno nella lotta e nemico si pone in ogni luogo e su ogni livello. Ciò perché questi movimenti propongono una lettura del mondo non più fondata su una separazione tra un campo dell islam (dar al-islam), definito dalla presenza di un sistema politico retto da musulmani, e una terra della guerra (dar al-harb). È lo stesso IS che tiene a ribadire questa visione nel primo numero del suo giornale Dabiq quando parla di un «mondo diviso in due campi»: da un lato, si staglia il campo dell islam e della fede (dar al-islam), ovunque si trovino musulmani e mujaheddin che sostengono la causa. Dall altro, si estende il campo della miscredenza (kufr) e dell ipocrisia, composto da ebrei, crociati, i loro alleati e con loro il «resto delle nazioni e delle religioni kufr, tutte quante guidate dall America e dalla Russia, e mobilitate dagli ebrei» 4. Emergono, però, distinguo nell ordine di priorità nell affrontare i molteplici nemici della causa jihadista, ritenuta espressione unica e definitiva dell islam, e nella scelta tattica di come convogliare la violenza contro questi. Per bin Laden e al- Zawahiri la lotta deve essere indirizzata primariamente, o secondo 4 Dabiq, n.1, 1435, Ramadam, p

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