Indice I presupposti del fallimento

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1 INSEGNAMENTO DI DIRITTO COMMERCIALE LEZIONE XI IL FALLIMENTO PROF. VALENTINA SCOGNAMIGLIO

2 Indice 1 I presupposti del fallimento Nozioni generali e recenti riforme Il presupposto soggettivo Le categorie sottratte al fallimento: l imprenditore agricolo Gli enti pubblici economici Il piccolo imprenditore Il decreto correttivo ed i nuovi requisiti di non fallibilità La questione dell imprenditore artigiano L imprenditore occulto e l imprenditore abusivo Il fallimento dell imprenditore che ha cessato l esercizio dell impresa Il fallimento dell imprenditore defunto Morte del fallito e imprenditore già fallito Il fallimento delle società commerciali Il fallimento delle società di persone li fallimento delle società di capitali Società cooperative Il presupposto oggettivo: lo stato di insolvenza Insolvenza e «pactum de non potendo» La dichiarazione di fallimento Il tribunale competente L iniziativa per la dichiarazione di fallimento L audizione obbligatoria del debitore L istruttoria Il provvedimento che respinge l istanza di fallimento Accoglimento dell istanza: la sentenza dichiarativa del fallimento Impugnazione della dichiarazione di fallimento La revoca del fallimento Le conseguenze del fallimento Gli organi preposti al fallimento Il tribunale fallimentare Il giudice delegato Il curatore Il comitato dei creditori La procedura fallimentare Custodia e conservazione del patrimonio del fallito: l apposizione dei sigilli L inventario dei beni L amministrazione del patrimonio L amministrazione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare La continuazione dell impresa del fallito L affitto dell azienda del fallito di 88

3 5.7 L accertamento del passivo La verifica delle domande di rivendicazione, restituzione e separazione delle cose mobili La previsione di realizzo insufficiente Rimedi contro lo stato passivo Domande tardive di ammissione allo stato passivo L accertamento e la liquidazione dell attivo L accertamento dell attivo La liquidazione dell attivo La liquidazione del beni immobili La ripartizione dell attivo La chiusura del fallimento I casi di chiusura del fallimento La procedura di chiusura del fallimento ed i suoi effetti Il concordato fallimentare L assuntore del concordato Esame ed approvazione della proposta di concordato Il giudizio di omologazione Effetti ed esecuzione del concordato Risoluzione e annullamento del concordato: riapertura del fallimento L esdebitazione del fallito Nozione e condizioni di ammissione Il procedimento Effetti dell esdebitazione di 88

4 1 I presupposti del fallimento 1.1. Nozioni generali e recenti riforme Il fallimento è la principale e più diffusa procedura concorsuale: le altre procedure (amministrazione straordinaria, liquidazione coatta etc.) si pongono cioè come eccezioni a cui si può ricorrere in presenza di determinati requisiti rispetto alla regola generale rappresentata dalla procedura fallimentare. La procedura fallimentare può essere definita pertanto come quella procedura giudiziale attraverso cui viene sottoposto ad esecuzione l intera patrimonio di un imprenditore commerciale quando questi si trova nell impossibilità obiettiva di far fronte regolarmente agli impegni assunti nei confronti dei propri creditori. Da questa definizione ricaviamo le caratteristiche essenziali del fallimento: a) è una procedura giudiziale: a garanzia di tutti i creditori, l intero procedimento è gestito da organi giurisdiziona1i (tribunale fallimentare, giudice delegato etc.); b) determina l esecuzione dell intero patrimonio dei debitore; si accerta cioè l ammontare complessivo di tutti i beni appartenenti all imprenditore (cd. attivo patrimoniale) e lo si sottopone a liquidazione per poter soddisfare sul ricavato tutti i creditori; c) sono richiesti determinati requisiti: il debitore deve essere un imprenditore commerciale (art c.c.) e deve trovarsi in uno stato obiettivo di incapacità a sovrintendere ai propri impegni debitori che prende il nome di stato di insolvenza. In assenza di tali requisiti i creditori non potranno beneficiare della procedura fallimentare, ma, per poter vedere soddisfatte le proprie pretese, dovranno ricorrere alle ordinarie forme di esecuzione individuale. Poiché la legge fallimentare, nella sua originaria formulazione, si dimostrava ormai inadeguata alle recenti realtà imprenditoriali e commerciali, e visti anche i numerosi interventi della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l illegittimità di alcuni articoli, il legislatore, più di recente, è intervenuto nella materia in tre diversi momenti: 4 di 88

5 a) nel 2005, attraverso il D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (cd. «decreto competitività»), convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80, la disciplina è stata modificata solo marginalmente, in quanto i cambiamenti hanno riguardato: il sistema delle revocatorie fallimentari (artt. 67 e 70 L.F): sono stati dimezzati i termini previsti per il periodo sospetto ai fini della proposizione dell azione, è stato esteso l esonero dalla revocatoria ad un certo numero di atti e sono stati introdotti nuovi e più sistematici principi in ordine agli effetti restitutori dell azione; il concordato preventivo: sono stati modificati i presupposti di ammissione, sostituendo ai requisiti di meritevolezza dell imprenditore la previsione di un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti che preveda altresì la suddivisione dei creditori in classi omogenee e trattamenti differenziati per ogni classe; è inoltre stato ammesso alla procedura anche l imprenditore che si trovi in stato di crisi, vale a dire in una situazione anteriore all insolvenza. Queste modifiche sono entrate in vigore il 17 marzo La legge di conversione del decreto competitività (L. 80/2005) ha inoltre delegato il governo ad attuare una più sistematica e completa riforma dell intera legge fallimentare, dettandone i principi ispiratori; b) nel 2006, con il D.Lgs. 9gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), il legislatore ha completamente riscritto la maggior parte dei precedenti articoli della legge fallimentare del 42, seguendo i principi ispiratori della legge delega. Indichiamo tuttavia sommariamente i maggiori cambiamenti che caratterizzano l intervento di riforma, alla luce delle indicazioni della legge delega: è stato esteso l ambito dei soggetti esonerati dal fallimento, attraverso l introduzione di una nuova definizione di «piccolo imprenditore» e di una soglia quantitativa di insolvenza, al di sotto della quale il fallimento non può essere dichiarato; sono state ridefinite le funzioni degli organi della procedura ed i rapporti tra di essi: in particolare, sono state ampliate le competenze del comitato dei creditori, consentendogli una maggiore partecipazione alla gestione della crisi, e sono stati modificati i requisiti per la nomina a curatore; per quanto riguarda le conseguenze personali del fallimento, sono state eliminate le sanzioni personali ed è stato soppresso l istituto della riabilitazione; le limitazioni alla libertà di residenza e di corrispondenza del fallito sono state ristrette alle sole esigenze della procedura; 5 di 88

6 è stata accelerata e semplificata la fase di accertamento del passivo, abbreviando i tempi della procedura e semplificando le modalità di presentazione delle domande di ammissione; è stata velocizzata e resa più flessibile la fase della liquidazione dell attivo, prevedendo la redazione di un programma di liquidazione contenente le modalità ed i termini previsti per la realizzazione dell attivo. Le vendite possono inoltre avvenire secondo procedure competitive più duttili rispetto ai rigidi schemi dell esecuzione forzata; è stata introdotta la disciplina dell esdebitazione, che consiste nella liberazione dell ex fallito, che abbia collaborato con gli organi della procedura e che si sia comportato correttamente nei confronti dei creditori, dai debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti; è stata abrogata l amministrazione controllata. Il decreto di riforma (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2006) è entrato in vigore il 16 luglio La riforma ha inoltre dettato una disciplina transitoria, stabilendo che i ricorsi per la dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell entrata in vigore del decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data siano definiti secondo la legge anteriore; c) nel 2007, il decreto di riforma è stato parzialmente modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (cd. decreto correttivo), intervenuto per colmare le lacune ed i punti contraddittori emersi dall attuazione della riforma. In particolare, il decreto correttivo ha modificato nuovamente l area dei soggetti fallibili, introducendo un terzo parametro di assoggettabilità ed eliminando i riferimenti alla nozione di piccolo imprenditore. In questo modo, è stata allargata l area dei soggetti fallibili, sensibilmente ristretta dalla riforma, addossando al debitore (e non più ai creditori che richiedono il fallimento) l onere di provare di essere un soggetto non fallibile. Il decreto correttivo ha inoltre ampliato l ambito di applicabilità dell istituto della esdebitazione, il quale è stato esteso anche alle procedure pendenti al 16 luglio Il decreto correttivo, in vigore dal 1 gennaio 2008, è applicabile sia alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente a tale data, si ai procedimenti per dichiarazione di fallimento già pendenti. I presupposti della dichiarazione di fallimento sono sostanzialmente due, e cioè: la natura di imprenditore commerciale (privato e non in possesso dei determinati requisiti previsti dall art. i L.F.) del debitore (presupposto soggettivo); lo stato di insolvenza (presupposto oggettivo). 6 di 88

7 1.2. Il presupposto soggettivo A norma dell art. 1 L.F. sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che esercitano un attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Nel 2 comma dell art. 1, il decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, modificando ulteriormente il testo già riscritto dalla riforma, ha individuato tre criteri dimensionali (di natura patrimoniale e di indebitamento) in presenza dei quali l imprenditore non è soggetto al fallimento, abbandonando ogni riferimento alla precedente nozione di «piccolo imprenditore». Sono, per contro, sottratti al fallimento: gli imprenditori agricoli (art c.c.); gli enti pubblici cd. economici (art c.c.); gli artigiani (art c.c.); gli imprenditori che dimostrano di possedere tutti i requisiti patrimoniali e di indebitamento richiesti dall art. 1, 2 comma, L.F. per l esclusione dall area di fallibilità. Per poter capire, dunque, chi può essere soggetto a fallimento, si deve anzitutto individuare la nozione di imprenditore commerciale. Secondo gli artt e 2135 c.c. riveste la qualità di imprenditore commerciale colui il quale eserciti, con carattere di professionalità, un attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi, la quale sia riconducibile ad una delle attività indicate nell art. 2195, 1 comma, c.c.: l attributo della professionalità implica che l attività economica sia svolta in maniera sistematica e continuativa, su base programmatica, con la conseguente esclusione dalla categoria degli imprenditori di coloro i quali abbiano compiuto solo occasionalmente un determinato atto economico. Anche il compimento di un solo affare, o di sporadiche operazioni commerciali, può però conferire la qualità di imprenditore commerciale con conseguente assoggettabilità al fallimento, purché di svolgimento complesso e di rilevanza economica. Non è, invece, necessario che tale attività sia esclusiva, essendo giuridicamente possibile, ai fini dell acquisto della qualità di imprenditore commerciale, che un soggetto svolga contemporaneamente più attività, anche se non tutte di natura commerciale; né si richiede che l attività commerciale sia prevalente rispetto alle altre; 7 di 88

8 per organizzazione deve intendersi, invece, il coordinamento di mezzi (capitali o beni) e dell altrui lavoro, indipendentemente dalla loro qualità, sicché è sufficiente che l attività sia sistematica e continua, anche se esercitata con rudimentale e limitata predisposizione di documenti, danaro od altro, in maniera particolare quando essa sia incentrata in una persona e non richieda che scarsi mezzi materiali e personali; attività economica diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi, infine, è quella che, a scopo di lucro, mira a soddisfare gli altrui bisogni. Non si richiede, al riguardo, l effettivo conseguimento di un lucro, essendo sufficiente che tale scopo sia perseguito in astratto. Non è, invece, da considerarsi «attività economica»: l attività di mero godimento, come quella di amministrazione di un patrimonio da parte del titolare (così, ad esempio, mentre è imprenditore l affittuario di un fondo rustico, non lo è il nudo proprietario dello stesso anche se gode di una rendita sul fondo); l attività dei professionisti intellettuale degli artisti, in sé e per sé considerata; l attività diretta esclusivamente a ricerche minerarie, in quanto risulti continuata entro i limiti delle ricerche. La qualifica di imprenditore commerciale si acquista in conseguenza del fatto obiettivo e concreto di svolgere un attività commerciale Le categorie sottratte al fallimento: l imprenditore agricolo L imprenditore agricolo è sottratto alla più rigida disciplina dettata per l imprenditore commerciale e, in particolar modo, si sottrae alla disciplina del fallimento: il trattamento preferenziale appare giustificato dalla natura delle attività agricole che espongono l imprenditore al rischio ambientale (avversità climatiche, resa negativa del fondo etc.), ad un rischio ulteriore, cioè, a quello comune ad ogni attività d impresa. Attualmente, però, il progresso tecnologico permette la massima riduzione del rischio ambientale poiché consente lo svolgimento dei processi produttivi agricoli in ambienti totalmente o parzialmente artificiali (allevamenti in batteria, coltivazioni artificiali etc.). Per rispondere a tale mutato quadro e alle relative crescenti esigenze di tutela dei terzi che nascono dal momento che la struttura dell azienda agricola rende necessari oggi ingenti investimenti di capitali, il legislatore ha 8 di 88

9 emanato il D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 che ha modificato la nozione codicistica di imprenditore agricolo di cui all art c.c. L art c.c. nella sua attuale formulazione definisce, al 1 comma, le attività agricole essenziali, e cioè quelle dirette alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all allevamento di animali. La qualifica di imprenditore agricolo viene, oggi riconosciuta non solo a coloro che coltivano materialmente il fondo o allevano il bestiame ma anche a chi esercita allevamenti ittici, alle aziende conserviere e casearie, e a chi presta servizi a favore dell agricoltura etc. Agli imprenditori agricoli è poi consentita la vendita al dettaglio di prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende agricole (art. 4 D.Lgs. 228/2001) e può avere per oggetto anche prodotti derivati, ottenuti attraverso attività di manipolazione o trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici. La qualifica di imprenditore agricolo è, infine, riconosciuta pure alle società di persone o di capitali in cui uno o più soci abbiano le caratteristiche di imprenditore agricolo professionale (IAP, come definito dal D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99). La portata ampliativa della nuova definizione è ancora più evidente se si considera le attività agricole di allevamento di animali: nell attuale formulazione della norma è stato eliminato il riferimento al concetto tecnico di «bestiame» presente nell originaria formulazione della stessa, sembra che il legislatore abbia abbandonato il principio secondo il quale l allevamento di animali, per essere classificato agricolo, non doveva essere disgiunto dalla terra e dal suo sfruttamento (cd. collegamento funzionale con la coltivazione del fondo). In tale prospettiva la qualifica di impresa agricola dovrebbe essere riconosciuta a tutti gli allevamenti di animali, di qualsiasi tipo e genere, e dovrebbe ritenersi superata quella giurisprudenza che riconduceva all attività industriale gli allevamenti degli animali in batteria, di animali da pelliccia, di cavalli da corsa, l apicultura, l avicoltura, qualora non vi fosse un adeguato rapporto col terreno coltivato che costituisse supporto per l alimentazione e la crescita dei capi allevati Gli enti pubblici economici Secondo l art c.c., l impresa può essere esercitata anche da enti pubblici. A tale riguardo, va precisato che: gli enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni) quando svolgono attività di carattere imprenditoriale (generalmente in regime di monopolio, come, ad esempio, le imprese di 9 di 88

10 trasporto) non acquistano mai la qualità di imprenditore commerciale, pur rimanendo soggetti alle norme sulle imprese limitatamente alle attività economiche esercitate; gli enti pubblici economici (sono tali quegli enti che hanno per oggetto principale o esclusivo l esercizio di un impresa commerciale) possono, invece, accanto all attività principale di perseguimento di finalità pubbliche, svolgere una attività accessoria di carattere imprenditoriale (es.: Poligrafico dello Stato; Istituto nazionale delle assicurazioni). Per tali enti, la ragione della esclusione dalle procedure richiamate nell articolo in commento risiede, secondo la dottrina più autorevole, nella inconciliabilità della tutela dell interesse pubblico che essi perseguono, con una normativa mirante alla tutela di diritti soggettivi di matrice prettamente privatistica. Conseguenza della qualificazione come ente pubblico economico è, dunque, l inapplicabilità della procedura fallimentare. Come è stato segnalato in dottrina, tale esclusione è giustificata dalla frequente e notevole ingerenza della P.A., che attraverso tali enti persegue interessi generali di carattere pubblicistico. Per il resto lo statuto professionale proprio dell imprenditore si applica integralmente agli enti pubblici economici Il piccolo imprenditore Per definire la figura di piccolo imprenditore, ai fini dell assoggettamento alla procedura fallimentare, prima dell intervento del decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, era necessario fare riferimento all art c.c. e all art. 1,2 comma, L.F. Secondo l art. 1 L.F, novellato dal D.Lgs. 5/2006 ed applicabile ai fallimenti dichiarati dal 16 luglio 2006 al 1 gennaio 2008, non erano piccoli imprenditori, per cui erano assoggettabili al fallimento o ad altra procedura concorsuale, gli esercenti un attività commerciale, in forma individuale o collettiva, che, anche alternativamente: avessero effettuato investimenti nell azienda per un capitale di valore superiore a euro; avessero realizzato, in qualunque modo risultasse, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall inizio dell attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro. 10 di 88

11 1.6. Il decreto correttivo ed i nuovi requisiti di non fallibilità Per risolvere i problemi interpretativi che la riforma del 2006 aveva lasciato irrisolti, è dunque intervenuto il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (cd. decreto correttivo). Con esso, il legislatore ha di nuovo completamente riformulato l art. i L.F., con l importante novità di eliminare finalmente ogni riferimento alla nozione di «piccolo imprenditore», che aveva suscitato problemi di coordinamento con la parallela definizione codicistica di cui all art c.c. Vengono invece individuati direttamente una serie di requisiti dimensionali massimi che tutti gli imprenditori commerciali devono avere congiuntamente per non essere assoggettati alle procedure concorsuali. Accanto ai due criteri strettamente dimensionali già individuati dalla riforma, viene inoltre introdotto un ulteriore terzo parametro, avente ad oggetto la misura dell esposizione debitoria dell imprenditore. Il nuovo presupposto soggettivo si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento ed alle procedure fallimentari, rispettivamente, iniziati o aperte successivamente al 1 gennaio 2008, data di entrata in vigore del decreto stesso, nonché alle procedure di dichiarazione di fallimento già in corso a tale data. Alla luce dell art. 1 L.F., non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell istanza di fallimento o dall inizio dell attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a trecentomila euro; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell istanza di fallimento o dall inizio dell attività sedi durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila euro; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a cinquecentomila euro. L ulteriore importante novità introdotta dal decreto correttivo riguarda l individuazione dell onere della prova del presupposto soggettivo di fallibilità: secondo la nuova formulazione dell art. 1, 2 comma, L.F., spetta al debitore l onere di fornire la prova dell esistenza dei requisiti di non fallibilità. E quindi onere dell imprenditore fallendo dimostrare di non aver superato, nel periodo di riferimento, alcuno dei tre parametri dimensionali previsti dalla norma. 11 di 88

12 1.7. La questione dell imprenditore artigiano Per quanto riguarda l esonero dell artigiano dall assoggettabilità alle procedure concorsuali, il problema è stato ampiamente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza, in quanto, mentre l art c.c. ricomprende esplicitamente l artigiano tra i piccoli imprenditori, l art. i L.F. (nel testo sia anteriore che successivo alla riforma del 2006) escludeva dal fallimento gli imprenditori in base a diversi criteri di natura quantitativa e non faceva menzione dell artigiano. I dubbi interpretativi sono destinati a concludersi con l entrata in vigore, il 1 gennaio 2008, del decreto correttivo: infatti, esso ha individuato un area di non fallibilità prescindendo dalla nozione di «piccolo imprenditore», semplicemente ancorandola alla sussistenza di requisiti dimensionali e di indebitamento, indipendentemente dalla definizione codicistica di piccolo imprenditore o di artigiano. Il problema dell assoggettabilità al fallimento delle società artigiane (che aveva suscitato numerosi contrasti in dottrina nella disciplina anteriore alla riforma per il loro difficile inquadramento nella nozione di piccoli imprenditori) è stato superato sia con l introduzione della riforma, che ha eliminato l assoggettabilità al fallimento delle società di modeste dimensioni, sia con il decreto correttivo, che ha eliminato la definizione di piccolo imprenditore L imprenditore occulto e l imprenditore abusivo L imprenditore commerciale è tale e diventa tale per il solo fatto di esercitare un attività economica professionale ed organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Nella realtà, però, spesso accade che l imprenditore organizzi la propria attività in modo da mascherare la titolarità dell impresa, allo scopo di sottrarsi alla responsabilità commerciale ed agli effetti giuridici patrimoniali derivanti dalla spendita del nome. Tale scopo viene comunemente perseguito: occultandosi dietro un prestanome imprenditore-fittizio (titolare simulato dell impresa); presentandosi simulatamente quale institore di un imprenditore-fittizio. Particolari dispute sorgono, in dottrina ed in giurisprudenza, circa l individuazione del soggetto che fallisce nelle anzidette situazioni di simulata titolarità dell impresa. La dottrina dominante afferma che, ammettendo la responsabilità dell imprenditore occulto, si violano i principi del nostro diritto. 12 di 88

13 Immediato responsabile (salvo poi ad analizzare i rapporti tra i due soggetti) è il solo prestanome, che costituisce una figura di mandatario senza rappresentanza del cd. imprenditore occulto. Pertanto, a stretto rigore di legge, chi fallisce è il solo prestanome, in quanto «colui per conto del quale altri esercita un impresa in nome proprio non è imprenditore, perché l impresa non si imputa giuridicamente a lui». Nessun dubbio, invece, può sorgere circa l assoggettabilità al fallimento degli imprenditori commerciali cd. abusivi, di coloro cioè che abbiano esercitato un attività commerciale contro un divieto di legge. La violazione del divieto, infatti, rende illecita l attività svolta da questi soggetti, ma non vale certamente ad esimerli da eventuali responsabilità da essa derivanti Il fallimento dell imprenditore che ha cessato l esercizio dell impresa L imprenditore, sia individuale che collettivo, che, per qualunque causa, ha cessato l esercizio dell impresa, può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l anno successivo (art. 10 L.F. novellato dalla riforma). La norma mira ad impedire che l imprenditore venutosi a trovare in stato di insolvenza si sottragga alla dichiarazione dl fallimento semplicemente cessando l esercizio dell impresa. Tale manovra, infatti, vanificherebbe la tutela che il legislatore, attraverso la procedura fallimentare, ha inteso apprestare alla massa dei creditori. Il secondo comma dell art. 10 attribuisce tuttavia la possibilità di dimostrare il momento dell effettiva cessazione dell attività da cui decorre il termine, qualora essa si sia verificata in un momento diverso dalla cancellazione, facendo pertanto salva in tal caso la disciplina anteriore alla riforma. Il decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) è intervenuto sulla norma in esame precisando che solo il pubblico ministero ed i creditori possono fornire la prova di tale effettiva cessazione dell impresa. Analoga facoltà non è permessa invece al debitore qualora la cessazione sia avvenuta anteriormente alla cancellazione: la difformità tra situazione di fatto e risultanze del registro delle imprese non può infatti giovare all imprenditore che non si sia curato di cancellarsi tempestivamente dal registro stesso. 13 di 88

14 I creditori ed il P.M. possono invece portare in avanti la data della cessazione dell impresa e far fallire il loro debitore anche dopo il decorso di un anno dalla cancellazione, dando prova che l impresa è proseguita anche dopo l avvenuta cancellazione Il fallimento dell imprenditore defunto L imprenditore defunto può essere dichiarato fallito entro un anno dalla morte, se l insolvenza si è manifestata anteriormente alla morte o entro l anno successivo (art. 11 L.F.). L erede può chiedere il fallimento del defunto, purché l eredità non sia già confusa con il suo patrimonio. Infatti, effetto fondamentale del fallimento post-mortem è la separazione del patrimonio del defunto da quello dell erede e la sua destinazione alla soddisfazione prioritaria dei creditori ereditari: a) quando l eredità è stata accettata dall (unico) erede senza beneficio d inventano, si avrà la costituzione di due masse patrimoniali distinte: la prima, formata dai beni ereditari, la cui liquidazione concorsuale è esclusivamente rivolta alla soddisfazione paritaria dei creditori del defunto; la seconda, formata dai beni appartenenti all erede a qualunque titolo, la quale rimane soggetta all azione esecutiva individuale sia degli stessi creditori ereditari (verso i quali, in seguito all accettazione pura e semplice, l erede è divenuto illimitatamente responsabile) sia dei creditori personali dell erede medesimo; b) nell ipotesi, invece, in cui vi sia una pluralità di eredi: se già vi è stata la divisione dell eredità: gli effetti del fallimento riguarderanno l intero asse relitto (viene dichiarato, infatti, il fallimento del defunto e non quello della singola quota ereditaria) e quindi gli organi fallimentari avranno il potere di apprendere il possesso di tutti i beni che lo compongono; ciascun coerede, però, ex art. 754 c.c., potrà pagare i debiti inerenti la propria quota ed impedire così la prosecuzione dell azione esecutiva sui beni pervenutigli, versando al curatore le somme corrispondenti; se ancora non è intervenuta la divisione: secondo la dottrina tradizionale, non può procedersi alla stessa, poiché non appare ammissibile la divisione della comunione ereditaria sottoposta al fallimento. Lo stato di insolvenza deve riguardare sempre ed esclusivamente l imprenditore defunto, non già l erede, ed è sempre al defunto che vanno riferiti gli effetti personali della dichiarazione di fallimento, salvo che il dissesto sia stato provocato dall erede subentrato nell esercizio dell impresa 14 di 88

15 ovvero si sia manifestato dopo l accettazione pura e semplice dell eredità (atto che determina la confusione del patrimonio dell erede con quello del de cuius): in tali casi, infatti, è l erede che fallisce. Analogamente a quanto dispone l art. 10 L.F., che regola la diversa ipotesi di fallimento dell imprenditore che ha cessato l esercizio dell impresa, anche nella ipotesi in commento lo stato di insolvenza deve essersi manifestato anteriormente alla morte ovvero entro l anno successivo alla cessazione dell impresa. Ai fini della determinazione del momento della cessazione, bisogna distinguere: nell ipotesi che il defunto esercitasse ancora l impresa al momento della morte, la data di cessazione dell attività verrà a coincidere con quella del decesso; nel caso, invece, che l imprenditore sia deceduto dopo la cessazione dell impresa, il termine annuale per la dichiarazione di fallimento decorre dal giorno della cessazione Morte del fallito e imprenditore già fallito Se l imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d inventario. Se ci sono più eredi, la procedura prosegue in confronto di quello che è designato come rappresentante. In mancanza di accordo nella designazione del rappresentante entro quindici giorni dalla morte del fallito, la designazione è fatta dal giudice delegato. Un problema molto dibattuto è altresì quello che concerne il nuovo fallimento dell imprenditore già fallito. Al riguardo bisogna distinguere due ipotesi: a) se l imprenditore, mentre era ancora in corso la precedente procedura fallimentare, ha esercitato una nuova attività imprenditoriale, egli per il principio secondo cui tutto ciò che si acquista al fallito durante la procedura fallimentare si acquista al fallimento non può nuovamente fallire in quanto il cd. nuovo fallimento non è altro che un ampliamento del precedente; b) se, invece, egli ha intrapreso la nuova attività dopo che la precedente procedura fallimentare si era chiusa, allora si avrà un vero e proprio nuovo fallimento. 15 di 88

16 1.12. Il fallimento delle società commerciali A norma degli artt. 1 L.F. (come novellato dalla riforma e dal decreto correttivo) e 2221 c.c. devono ritenersi assoggettati alle disposizioni in materia di fallimento gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, con esclusione degli enti pubblici e degli imprenditori che dimostrano di possedere i requisiti dimensionali e di indebitamento previsti dal 2 comma dell art. 1 L.F. Da ciò si deduce, in via di principio, la assoggettabilità al fallimento di ogni soggetto collettivo, dotato di autonomia patrimoniale anche se non di personalità giuridica, che eserciti un impresa commerciale, che non sia un ente pubblico e che superi i limiti dimensionali stabiliti nella legge fallimentare. Ricordiamo, infatti, che il legislatore della riforma ha previsto la esclusione dal fallimento delle società commerciali di modeste dimensioni. Di conseguenza, qualsiasi tipo di società avente ad oggetto un attività non agricola non sarà considerata fallibile in quanto tale, ma solo qualora siano superati i limiti dimensionali individuati dalla norma. Devono ritenersi, pertanto, soggetti al fallimento: le società commerciali (aventi, cioè, ad oggetto un attività commerciale, art c.c.); le associazioni (riconosciute e non riconosciute), le fondazioni e gli enti no-profit, qualora abbiano come scopo esclusivo o prevalente l esercizio di un attività commerciale; i consorzi fra imprenditori con attività esterna e le società consortili; le società cooperative che in concreto esercitino attività commerciale, ancorché questa non ne costituisca l oggetto statutario; i Gruppi europei di interesse economico (cd. GEIE); le società sportive: alle quali si applicano le procedure concorsuali in seguito all entrata in vigore della legge 18 novembre 1996, n. 586, che ha riconosciuto alle società sportive professionistiche la possibilità di avere scopo di lucro. Sono escluse, invece, dalle procedure concorsuali: a) le società semplici, sempreché, di fatto, non esercitino attività commerciale; b) le comunioni a scopo di godimento; e) le associazioni in partecipazione. L assoggettamento della società commerciale alla procedura fallimentare prescinde dall effettivo esercizio dell attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore 16 di 88

17 commerciale dal momento della loro costituzione, non dall inizio del concreto esercizio dell attività d impresa, al contrario di quanto avviene per l imprenditore commerciale individuale. La legge fallimentare detta alcune norme speciali (artt. 146 e seguenti) che regolano, in caso di insolvenza sociale, il fallimento delle società commerciali e dei soci illimitatamente responsabili; la responsabilità per dolo o colpa degli amministratori di società di capitali; nonché i complessi rapporti tra fallimento sociale e fallimenti individuali dei soci. Le più importanti situazioni che riguardano il fallimento dei soggetti collettivi sono: A) Il fallimento del socio a responsabilità illimitata Il fallimento di uno o più soci illimitatamente responsabili non produce il fallimento della società (art. 149 L.F.). Al contrario, l art. 147 L.F., al primo comma, sancisce che la sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche 1, illimitatamente responsabili. Pertanto: il fallimento di una società in nome collettivo (registrata o irregolare) è causa del fallimento di tutti i soci (artt e 2297 c.c.); il fallimento dì una società in accomandita per azioni è causa del fallimento dei soci accomandatari(art c.c.); il fallimento di una società in accomandita semplice è causa del fallimento di tutti i soci accomandatari e dei soci accomandanti che abbiano compiuto atti di amministrazione, ovvero trattato o concluso affari in nome della società, non in forza di procura speciale per singoli affari (art cc.), o che abbiano consentito che il loro nome fosse compreso nella ragione sociale (art c.c.) o nelle accomandite non registrate che abbiano partecipato alle operazioni sociali (art c.c.). Il secondo comma dell art. 147 L.F. nel testo riformulato dalla riforma stabilisce che il fallimento dei soci illimitatamente responsabili conseguente al fallimento societario «non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione,fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati». 1 La riforma è intervenuta sul primo comma dell art 147 L.F. precisando attraverso l inciso «pur se non persone fisiche» che il fallimento dei soci illimitatamente responsabili riguarda sia le persone fisiche che le eventuali società (sia di capitali che di persone) socie di società di persone. 17 di 88

18 Contro la sentenza del tribunale che dichiara il fallimento del socio è ammesso appello ai sensi dell art. 18 L.F. ; in caso di rigetto della domanda è invece proponibile il reclamo alla Corte d Appello (ex art. 22 L.F.). Si ricordi che, a partire dal 1 gennaio 2008, ai sensi del decreto correttivo (D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) il procedimento di appello è sostituito con quello del «reclamo»: il rito camerale viene dunque adottato non solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase di gravame, in quanto mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio. B) Estensione del fallimento al socio occulto illimitatamente responsabile L art. 147, 4 comma, L.F. attribuisce al tribunale che abbia pronunziato il fallimento della società la competenza a dichiararne l estensione a carico dei soci illimitatamente responsabili successivamente individuati. La riforma fallimentare ha inserito nella norma le precedenti decisioni della Corte Costituzionale, attribuendo la facoltà di presentare istanza di fallimento dei soci illimitatamente responsabili non più solo al curatore, ma anche ai creditori (uno o più), e agli altri soci falliti. È invece stata eliminata la dichiarazione d ufficio, in linea con la soppressione dell iniziativa d ufficio della dichiarazione di fallimento. C) Estensione del fallimento e società occulta Ponendo fine ai problemi giurisprudenziali e dottrinali sorti nel vigore del testo anteriore alla riforma, il quale non prendeva in considerazione il problema della società occulta, il nuovo 5 comma dell art. 147 L.F. stabilisce che «qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile», è possibile proporre istanza di dichiarazione di fallimento della società occulta e degli altri soci illimitatamente responsabili, su istanza del curatore, dei creditori o del socio fallito. La società occulta sorge quando più persone costituiscono una società, ma si accordano per non rivelare all esterno la sua esistenza, per cui nei confronti dei terzi essa si manifesta come un impresa individuale e tutte le operazioni sono svolte in nome e per conto dell unico soggetto individuato come imprenditore. D) Socio unico di società di capitali 18 di 88

19 Il socio unico di società di capitali, allorché si verifichi una delle situazioni regolate dagli artt. 2325, 2 comma e 2362 c.c. (unico azionista di s.p.a.) e dall art c.c. (unico quotista di s.r.l.), quando la società si trovi in uno stato di insolvenza, risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui la totalità delle azioni o quote gli sono appartenute, ma non fallisce. La riforma societaria (D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) ha peraltro limitato l operatività della responsabilità illimitata, per l ipotesi di insolvenza, dell unico socio a due sole ipotesi: quando non sia stato versato l intero ammontare dei conferimenti (artt e 2464 c.c.); quando gli amministratori o lo stesso socio unico non abbiano depositato la dichiarazione di pubblicità presso il registro delle imprese richiesta dall art c.c. per le s.p.a. e 2470, 4 comma, c.c. per le s.r.l. Quanto alla non fallibilità del socio unico, secondo la dottrina dominante e la giurisprudenza della Cassazione, non sarebbe applicabile a tali casi l art. 147, 1 comma, L.F. La norma infatti si riferirebbe solo ai soci che sono originariamente illimitatamente responsabili, non anche a soggetti che lo possono diventare occasionalmente ed eccezionalmente. Il socio unico di società di capitali non potrebbe quindi essere dichiarato fallito a seguito del fallimento societario. E) Socio finanziatore Per molti anni, dottrina e giurisprudenza hanno escluso che il fallimento della società si estendesse al socio finanziatore; ugualmente era escluso dall estensione del fallimento il socio che avesse assunto avalli o fidejussioni, in proprio, nell interesse della società. Più di recente, la Cassazione ha modificato il precedente orientamento affermando che l esistenza del rapporto sociale può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell imprenditore, allorquando essi siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali (Cass., 14 febbraio 2003, n. 2200). G) Società di fatto e società apparente Sono assoggettabili a fallimento anche le società di fatto, cioè quelle società non registrate, sorte per lo più senza un vero e proprio atto costitutivo, scaturite dalla semplice unione di capitali e di volontà rivolte alla ricerca di un lucro attraverso lo svolgimento di attività commerciale. 19 di 88

20 Il fallimento di tali enti comporta il fallimento di tutti coloro che vi partecipano (soci di fatto). Quanto alla assoggettabilità a fallimento della cd. società apparente, configurabile allorquando due o più soggetti si comportino in modo da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed immune da colpa che essi agiscano come soci e siano tali nella realtà. In questa ipotesi il comportamento degli agenti assume una funzione preminente ai fini della tutela dell affidamento dei terzi, senza che sia necessario indagare se la società esista o meno in concreto. Si afferma, pertanto, che la prova contraria non deve riguardare l inesistenza della società, ma deve essere rivolta a fare escludere il comportamento mediante il quale i soci apparenti hanno ingenerato nei terzi di buona fede il convincimento incolpevole dell esistenza della società. Per limitare in certo modo la portata di tali principi, la Suprema Corte richiede però: che l affidamento dei terzi non discenda da loro colpa, per avere trascurato l onere di accertarsi della realtà delle cose; che all apparenza oggettiva della situazione giuridica e alla buona fede del terzo si accompagni un comportamento doloso o colposo da parte del titolare della situazione apparente che ha causato l errore del terzo. In presenza di queste condizioni, è ammesso il fallimento della società apparente Il fallimento delle società di persone Nelle società di persone i singoli soci illimitatamente responsabili falliscono anche in proprio. Il fallimento della società e quello dei singoli soci illimitatamente responsabili vengono dichiarati con la stessa sentenza: le diverse procedure e le masse fallimentari rimangono, però, distinte a causa dell autonomia patrimoniale della società (d altra parte, se è vero che i creditori sociali sono anche creditori dei singoli soci, è pur vero che i creditori dei singoli soci non sono necessariamente anche creditori della società). Ne consegue che: deve procedersi alla formazione di distinti stati passivi ed il decreto con il quale viene dichiarato esecutivo lo stato passivo del fallimento del singolo socio ha efficacia preclusiva solo nell ambito della massa di tale debitore; 20 di 88

21 per i creditori della società l insinuazione al passivo della società medesima si intende avvenuta anche nel fallimento dei singoli soci (per l intero e con il medesimo eventuale privilegio) ed essi partecipano a tutte le ripartizioni fino all integrale pagamento, salvo il regresso fra i fallimenti dei soci per la parte pagata in più della quota rispettiva; per i creditori particolari dei soci l insinuazione è limitata al fallimento dei soci loro debitori li fallimento delle società di capitali Per il fallimento delle società di capitali mancando una persona fisica rispetto alla quale possono verificarsi effetti personali, la dichiarazione di fallimento non può che influire sullo stato patrimoniale del soggetto collettivo; limitate conseguenze personali si verificano soltanto rispetto ad alcune persone. Pertanto: il fallimento va dichiarato in nome della società, in persona degli amministratori che la rappresentano; la dichiarazione di fallimento è causa di scioglimento, non di estinzione, della società e gli organi di questa continuano ad operare con i poteri compatibili con il perdurante fallimento; la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione della società regolamentata dal codice civile o la sospende se essa è in atto; il giudice delegato può, su proposta del curatore, ingiungere con decreto, ai soci a responsabilità limitata ed ai precedenti titolari delle azioni o delle quote, di eseguire i versamenti ancora dovuti, anche qualora non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento ; gli amministratori ed i liquidatori sono tenuti agli obblighi imposti al fallito dall art. 49 L.F.; l eventuale responsabilità penale per bancarotta ricade sugli amministratori e sui liquidatori; gli amministratori e i liquidatori vanno sentiti ogni qual volta la legge prescrive che sia sentito il fallito; l azione di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori, a norma degli artt e 2394bisc.c., è esercitata dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori. 21 di 88

22 Allo stesso modo, il curatore può esercitare l azione di responsabilità contro i soci della s.r.l., ai sensi dell art. 2476, 7 comma, c.c. (precisazione introdotta dalla riforma) Società cooperative Le società cooperative sono soggette al fallimento qualora svolgano un attività commerciale, salvo i casi in cui leggi speciali prevedano l obbligatorio assoggettamento alla procedura alternativa della liquidazione coatta amministrativa (es.: società cooperative che esercitano il credito, casse rurali ed artigiane, cooperative per la costruzione e l acquisto di case popolari ed economiche). Per quanto concerne il regime della responsabilità dei soci, la riforma del diritto societario, modificando l art c.c., ha eliminato la distinzione tra società cooperativa a responsabilità limitata ed illimitata, ed ha introdotto un unico regime di responsabilità, prevedendo che per le obbligazioni sociali è esclusivamente responsabile la società con il suo patrimonio Il presupposto oggettivo: lo stato di insolvenza L art. 5 L.F. dispone: «L imprenditore che si trova in stato d insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato d insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». Tale norma riveste una duplice importanza in quanto da un lato precisa cos è lo stato di insolvenza e dall altro indica come esso si manifesta. L inadempimento consiste nella mancata esatta prestazione di ciò che era dovuto. Esso: si riferisce sempre e soltanto ad una singola, determinata obbligazione; si obiettiva in una mancata prestazione. Va rilevato che l inadempimento, oltre che dalla impossibilità per il debitore di adempiere, può anche dipendere da differenti cause (ad esempio: dalla erronea credenza di nulla dovere o dalla esistenza di eccezioni che il debitore in buona fede possa ritenere fondate etc.). Su un piano diverso si pone, invece, l insolvenza. Essa, infatti: si riferisce non ad una singola obbligazione, bensì a tutta la situazione patrimoniale del debitore; non consiste necessariamente in una mancata prestazione. 22 di 88

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