L'intervento dei creditori dopo la riforma e la par condicio creditorum

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1 L'intervento dei creditori dopo la riforma e la par condicio creditorum Il principio dell'obbligo di intervento con titolo esecutivo e le sue deroghe. Problemi e soluzioni dell'intervento non titolato. SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Par condicio creditorum e concorso. 3. L intervento dei creditori nell assetto ante riforma. 4. (segue): il problema della tutela del debitore. 5. Le prospettive di riforma. 6. Il nuovo assetto normativo. 7. I soggetti legittimati. 8. Il tempo dell intervento. 9. L estensione del pignoramento. 10. La fase di verifica dei crediti. 11. (segue): il modello fisiologico. 12. (segue): i problemi interpretativi. 13. Cenni sull accantonamento. 14. La disciplina transitoria. 15. Le Sezioni Unite del Considerazioni conclusive. Salvatore Saija (Magistrato Addetto alla Corte di Cassazione ) Publicato in data: 15/03/ Introduzione L istituto dell intervento dei creditori nel procedimento esecutivo individuale è indubbiamente tra quelli che hanno subito il maggiore impatto a seguito dello tsunami normativo [1] che, nel , ha interessato il codice di procedura civile e segnatamente il libro III dedicato all espropriazione forzata. La disciplina dell intervento, in particolare, nell arco di un breve periodo è stata oggetto di diverse modifiche che, in un confuso gioco di ritocchi, ripensamenti e aggiustamenti dell ultima ora, quasi per successiva approssimazione, hanno portato dal 1 marzo 2006 all attuale assetto normativo, con cui l interprete deve (finalmente) confrontarsi. Le novità, com è noto, sono state originariamente introdotte dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni in l. 14 maggio 2005, n. 80; prima dell entrata in vigore delle nuove norme, però, s è sentita l esigenza di apportare loro un correttivo, con l. 28 dicembre 2005, n Infine (ma solo per le esecuzioni mobiliari e per talune norme di portata generale, che interessano solo indirettamente la materia che occupa), è stata esitata un ulteriore riforma con l. 24 febbraio 2006, n. 52[2]. Metodologicamente, si accennerà brevemente al tema della par condicio creditorum in rapporto con l istituto dell intervento, sottolineandone gli aspetti caratterizzanti, come evidenziati dalla dottrina e dalla giurisprudenza ante riforma. Si passerà poi all esame delle novità apportate alla disciplina dell intervento dei creditori, alla verifica del loro impatto dopo oltre un decennio di

2 applicazione ed, ancora, all incidenza delle modifiche normative sul mito della par condicio. 2. Par condicio creditorum e concorso Il tema della par condicio creditorum[3] è strettamente connesso con quello del concorso dei creditori. Tale ultimo concetto descrive il fenomeno per cui ciascun creditore, in forza della garanzia patrimoniale generica ex art c.c., ha facoltà di partecipare alle procedure liquidative (individuali o concorsuali) dei beni del proprio debitore[4], onde soddisfarsi sul ricavato. Il concorso costituisce, quindi, il presupposto della par condicio, il cui fondamento normativo è comunemente individuato nell art c.c., a mente del quale i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione, costituite da privilegi, pegno e ipoteca. Detta norma è stata oggetto di un vivo dibattito dottrinale[5], che ha visto schierati da una parte coloro che le attribuiscono un significato meramente programmatico (occorrendo nella sostanza onde individuare la misura dell uguaglianza tra i creditori - far riferimento alle singole disposizioni di legge che disciplinano il concorso)[6], altri che invece le attribuiscono valenza assertiva e fondamentale[7], quando non addirittura metagiuridica[8]. In realtà, come è stato osservato, il principio esplica la sua portata reale nel negare rilevanza al criterio della priorità temporale del sorgere del credito[9]; in altre parole, par condicio creditorum non significa affatto che tutti i creditori sono uguali, ma soltanto che l uguaglianza o la disuguaglianza tra i creditori è, e non può che essere, determinata esclusivamente dalle cause di prelazione[10]. Pertanto, il principio di uguaglianza formale sancito dall art. 3 Cost. non spiega una diretta influenza rispetto all art c.c., se non nel senso di costituire il parametro alla cui stregua verificare la razionalità delle scelte legislative riguardo a situazioni soggettive paragonabili[11]. In sede distributiva, in definitiva, la pratica esplicazione della par condicio comporta che, in caso d incapienza, ciascun credito verrà soddisfatto in proporzione all ammontare complessivo dei crediti azionati, fatte salve le cause legittime di prelazione. 3. L intervento dei creditori nell assetto ante riforma In estrema sintesi, è utile ripercorrere brevemente l assetto dell istituto dell intervento nella fase anteriore alla riforma. L atto d intervento nella procedura esecutiva individuale[12], disciplinato in linea generale dagli artt. 499 e 500 c.p.c., è uno dei mezzi attraverso cui in tale tipologia di procedimenti - si attua la concorsualità tra i creditori[13]. E infatti lo strumento con cui i creditori diversi dal pignorante (o lo stesso creditore pignorante, per crediti diversi da quello originariamente azionato) possono chiedere di partecipare al procedimento esecutivo, di provocarne singoli atti (se muniti di titolo esecutivo) e di potersi soddisfare sul ricavato. E stato anzi osservato[14] che ciò che caratterizza l atto d intervento, in sé e per sé, è proprio la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata (attraverso cui si attua la c.d. azione satisfattiva), e non tanto quella diretta alla partecipazione all espropriazione e alla provocazione dei singoli atti (attività funzionale alla liquidazione dei beni pignorati, ciò che costituisce estrinsecazione della c.d. azione espropriativa). Il vecchio art. 499 c.p.c. attribuiva il potere d intervento, oltre ai creditori privilegiati di cui all art. 498 c.p.c., a tutti gli altri creditori, titolati e non titolati. I poteri spettanti agli intervenienti erano disciplinati dall art. 500 c.p.c., che attribuiva a tutti i creditori il diritto di partecipare alla distribuzione della somma ricavata, nonché, alle condizioni dettate dalle singole norme previste specificamente per il pignoramento mobiliare, per quello presso terzi e per quello immobiliare, di partecipare all espropriazione (ossia, di comparire dinanzi al giudice dell esecuzione, di svolgere osservazioni, ecc.) e di provocarne i singoli atti (id est, chiedere la vendita o l assegnazione).

3 Inoltre, non era previsto alcun obbligo di notificare al debitore l atto d intervento, al cui deposito in cancelleria veniva comunemente riconosciuta anche efficacia interruttiva della prescrizione[15], in quanto costituente domanda proposta nel corso di giudizio, ai sensi dell art. 2943, comma 2, c.c. Tale assetto[16] è anche passato indenne al vaglio del giudice delle leggi; la Corte Costituzionale, infatti, con sentenza , n. 407, ha dichiarato non fondata la q.l.c. dell art. 525 c.p.c. nella parte in cui non prevede, in assenza del debitore esecutato all udienza fissata per stabilire le modalità della vendita o dell assegnazione, l obbligo di notificare al debitore medesimo il ricorso per intervento del creditore munito di scrittura privata, e ciò in quanto la diversità del processo esecutivo rispetto a quello di cognizione non rende assimilabile la posizione del debitore esecutato e quella del convenuto contumace, ai fini di quanto previsto dall art. 292 c.p.c., come preteso dal giudice a quo[17]. Significativa era la differenza di disciplina tra pignoramento mobiliare e presso terzi da un lato e pignoramento immobiliare dall altro quanto ai requisiti del credito da soddisfare: certezza, liquidità, ed esigibilità per i primi, laddove era invece stabilita per il pignoramento immobiliare la possibilità di intervenire anche per crediti sottoposti a termine o condizione, ex art. 563 c.p.c. Tale differenza veniva solitamente giustificata considerando che pretendere anche per le esecuzioni immobiliari il requisito dell esigibilità avrebbe comportato in molti casi l esclusione dei creditori ipotecari, tenuto conto che la vendita forzata ha come effetto anche quello di purgare il bene dai diritti reali di garanzia, a prescindere dall esigibilità del credito[18]. Quanto alla tempestività dell intervento, l art. 525, comma 2, c.p.c., per l esecuzione mobiliare poneva quale limite temporale discretivo la prima udienza fissata per l autorizzazione della vendita o per l assegnazione; il comma 3, poi, per la c.d. piccola espropriazione mobiliare, stabiliva che l intervento dovesse essere spiegato entro la data di presentazione dell istanza di vendita. Quanto all espropriazione presso terzi, il limite veniva individuato dall art. 551, comma 2, nell udienza di comparizione delle parti prevista dall art. 543 c.p.c.. Infine, riguardo all espropriazione immobiliare, detto termine veniva fissato dall art. 563, comma 2, c.p.c., nella prima udienza fissata per l autorizzazione della vendita. Discernere se un intervento dovesse considerarsi tempestivo o tardivo aveva una notevole rilevanza, essendo ricollegato alla possibile postergazione dell intervento tardivamente spiegato nella fase distributiva, secondo quanto disciplinato per le singole forme di espropriazione dagli artt. 528, 551, 565 e 566 c.p.c.. La questione interpretativa maggiormente dibattuta, sia in dottrina[19] che in giurisprudenza[20], era quella su che cosa dovesse intendersi per prima udienza, e cioè se occorresse riferirsi alla prima udienza comunque fissata per la vendita o la comparizione delle parti, ovvero a seguito di rinvii - a quella in cui fosse effettivamente stata disposta la vendita o l assegnazione o, ancora, il terzo avesse reso la dichiarazione. Nella prassi concretamente seguita dalla maggior parte dei Tribunali, era oramai maggiormente seguita tale ultima soluzione. 4. (segue): il problema della tutela del debitore A fronte di tale stato dell arte, si poneva il problema di individuare i meccanismi difensivi cui potesse ricorrere il debitore contro il creditore interveniente. Ebbene, mentre nel caso di intervento titolato il debitore poteva pacificamente contestare il credito sia con l opposizione ex art. 615, comma 2, ovvero con l opposizione ex art. 512 c.p.c.[21], la dottrina più attenta[22] aveva posto in evidenza l esistenza di un vero e proprio vuoto di tutela cui andava incontro l esecutato dinanzi ad un intervento non assistito da titolo esecutivo. Infatti, poiché l opposizione all esecuzione ha come finalità quella di accertare l inesistenza del diritto a procedere all esecuzione forzata, tale rimedio era comunemente ritenuto non esperibile avverso l intervento non titolato[23], dal momento che l eventuale suo accoglimento non avrebbe comunque precluso la prosecuzione del procedimento esecutivo. Proprio allo scopo di garantire una maggiore tutela al debitore in casi consimili, intorno alla metà degli anni 60 la giurisprudenza [24] aveva finito col riconoscere la possibilità di anticipare la contestazione in una fase anteriore a quella distributiva e già sul piano dell ammissibilità dell intervento, ben potendo sorgerne la necessità ai fini della riduzione del pignoramento, della conversione, ecc.. Il problema è strettamente correlato da un lato con i requisiti del credito ex artt. 525, comma 1, 551 e 563, c.p.c., previgenti [25], dall altro con l individuazione del titolo del credito di cui al vecchio art. 499, comma 2, c.p.c., aspetti che costituiscono le

4 due facce della stessa medaglia: nell ambito dei fautori della tesi pressoché totalitaria secondo cui non di titolo in senso tecnico si trattasse, ma di ragione (o di causa astratta giustificativa) del credito, era prevalente l orientamento di chi riteneva che, specie ai fini della certezza del credito, l interveniente dovesse comunque dare prova documentale del credito stesso. In quest ambito, appunto, si iscrive la citata giurisprudenza, nonché quella successiva[26], che riconosce al debitore il potere di contestare con l opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. l intervento non assistito da prova documentale. Occorre però segnalare che da ultimo aveva trovato nuova linfa l orientamento[27] per cui il creditore non titolato ai fini della valutazione sull ammissibilità dell intervento - fosse soltanto tenuto ad enunciare la ragione del credito vantato, non potendo individuarsi alcun onere di dare prova documentale, salva la necessità di produrre il titolo esecutivo onde provocare atti di esecuzione. In ogni caso, quali che fossero i requisiti di ammissibilità dell intervento non titolato ex artt. 525, comma 1, 551 e 563 c.p.c., si era osservato[28] che lo strumento dell opposizione agli atti esecutivi costituiva comunque un mezzo di tutela limitato, consentendo sì di contestare la sussistenza dei suddetti requisiti, ma di non poter dedurre prima della vendita l esistenza di fatti estintivi, modificativi o impeditivi. 5. Le prospettive di riforma L assetto così delineato, se da un lato era il frutto (anche) di meditazione ultratrentennale sull istituto, non poteva però sfuggire - verosimilmente a causa della contrapposizione dei molteplici interessi sottesi alla disciplina dell intervento[29] - a serrate pulsioni riformatrici di parte della dottrina, trasfusesi anche in iniziative parlamentari o governative. In particolare, e solo per soffermarsi all ultimo trentennio, già la commissione Tarzia[30] aveva proposto di attribuire la legittimazione all intervento ai soli creditori muniti di titolo esecutivo, ai creditori pignoratizi e ai creditori iscritti, correlativamente prevedendo un ampliamento del novero dei titoli esecutivi. Analogamente era stato previsto nell ambito dello schema di d.d.l. recante modifiche urgenti per il processo civile [31], approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del Che proposte di tal genere non potessero ritenersi vulnera apportati al principio della par condicio era stato sostenuto con vigore in dottrina[32], evidenziandosi in particolare che alcuna violazione della regola di pari trattamento poteva individuarsi a fronte di situazioni soggettive legate al possesso o meno del titolo esecutivo in capo a ciascun creditore affatto diverse. 6. Il nuovo assetto normativo Nel marzo del 2005, le suddette istanze riformatrici hanno finalmente trovato il veicolo attraverso cui incidere sul tessuto normativo previgente. Nell ambito del c.d. decreto competitività[33], infatti, è stata introdotta una significativa riforma del processo esecutivo individuale, con la novellazione quanto all intervento dei creditori tra l altro degli artt. 499, 500, 510, 512, 525, 526, 528 e 564 c.p.c., restringendo la legittimazione ai soli creditori muniti di titolo esecutivo[34], nonché a quelli che, al momento del pignoramento, hanno eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero hanno un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. E stato poi generalizzato l istituto dell estensione del pignoramento, dapprima previsto per il solo pignoramento mobiliare dall art. 527 c.p.c.[35], e sono stati abrogati sia l art. 525, comma 1, che l art. 563, comma 1, il che pone il problema dei requisiti del credito dell interveniente, ossia se debba ancora ritenersi necessaria la sua certezza, liquidità ed esigibilità, a prescindere dal tipo di pignoramento[36]. Altre modifiche hanno riguardato il tempo dell intervento, attraverso una ridefinizione della disciplina concernente la tempestività. Ancora, è stato ridisegnato l art. 500 c.p.c., con modificazioni di carattere meramente formale, resesi necessarie a seguito delle novità apportate all istituto. Poco prima dell entrata in vigore della superiori modifiche[37], peraltro, l art. 499 c.p.c. ha subito un ulteriore e assai significativa - rimodulazione per effetto dell art. 1, comma 3, l , n. 263[38], che da un lato ha esteso la legitimatio ad

5 interveniendum in favore di altra categoria di creditori non titolati, ossia gli imprenditori commerciali, e dall altro ha forgiato ex novo uno strumento endoprocedimentale offerto al debitore onde anticipare la possibilità di disconoscere prima della vendita la sussistenza o l ammontare del credito non assistito da titolo esecutivo: l udienza di verifica. Si era infatti da più parti osservato[39] che l impostazione adottata dal legislatore a maggior tutela del debitore con la legittimazione attribuita ai soli creditori titolati nonché agli altri indicati dall art. 499 c.p.c. come novellato dalla l. n. 80 avrebbe finito col comportare un travasamento del contenzioso da un settore all altro della giurisdizione, per la necessità di munirsi di un titolo esecutivo, con conseguente esponenziale aggravio di costi che, in definitiva, sarebbe andato pur sempre a carico del debitore, con minore possibilità di sua totale esdebitazione. Ad oltre dieci anni dalla scelta del legislatore correggente, è ancora arduo dare un giudizio definitivo in proposito. Si può però osservare che nel regime antecedente ferma restando la sussistenza di un effettivo vuoto di tutela per il debitore, come s è detto dal punto di vista statistico la rilevanza dell intervento non titolato assumeva nella prassi un volume non molto significativo, stante la normale insufficienza delle somme ricavate a soddisfare i creditori, specie se chirografari. In ogni caso, avrebbero forse potuto percorrersi altre e più agili strade rispetto alla farraginosa soluzione introdotta che, come si dirà, apre non pochi problemi all interprete. D altra parte, la stessa esperienza pratica denota almeno finora - lo scarso successo dell udienza di verifica, strumento che evidentemente non è stato recepito dagli operatori quale panacea per la soluzione del problema in discorso. Si procederà ora all analisi dell istituto, partendo dal testo definitivo dell art. 499 c.p.c. riportato volta per volta, per maggiore comodità, in ciascun paragrafo d interesse. 7. I soggetti legittimati Come più volte cennato, la riforma ha profondamente inciso anzitutto sulla legittimazione soggettiva all intervento. Il nuovo art. 499, comma 1, c.p.c., stabilisce che Possono intervenire nell esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo, nonché i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri ovvero erano titolari di un diritto di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all art del codice civile. Schematicamente, i creditori abilitati ad intervenire ex art. 499 c.p.c. nuovo conio sono quindi i seguenti: 1. creditori muniti di titolo esecutivo; 2. quelli, non titolati, il cui diritto nasce dall espropriazione in corso ex art c.c.; 3. i creditori non titolati che, al momento del pignoramento, hanno già stabilito un legame diretto con il bene pignorato (per la realizzazione della garanzia patrimoniale ex art c.c.), per essere sequestranti, pignoratizi o aventi diritto di prelazione risultante da pubblici registri; 4. i creditori non titolati il cui credito, al momento del pignoramento, risulta dalle scritture contabili di cui all art c.c. Quanto ai creditori titolati, occorre ovviamente far riferimento al nuovo testo dell art. 474 c.p.c., che come già cennato prevede un più ampio spettro di titoli esecutivi, ricomprendendovi tra l altro le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute. Ai fini che qui strettamente interessano, occorre solo considerare che si pone il problema se ancorare o meno la legittimazione al tempo della formazione del titolo esecutivo. In altre parole, poiché il nuovo art. 474 c.p.c. è entrato in vigore il 1 marzo 2006, ci si chiede se un intervento spiegato dopo tale data in forza di un atto oggi costituente titolo esecutivo, ma formatosi nel vigore del vecchio art. 474 c.p.c., allorquando esso atto non poteva avere tale veste (si pensi ad una scrittura privata autenticata in epoca precedente), debba qualificarsi titolato o non titolato, con conseguente inammissibilità in tale ultimo caso. La risposta preferibile[40] porta a ritenere che, ai fini dell efficacia esecutiva dell atto, occorra far riferimento alla

6 legge esistente al momento della sua formazione. Pertanto, deve escludersi che in tal caso l intervento possa considerarsi titolato, ove tra l altro si consideri[41] che il debitore, all epoca della sottoscrizione e dell autenticazione, non era per nulla avvertito di questa possibile (ed ulteriore) conseguenza. Riguardo ai creditori di cui all art c.c., occorre solo dire che, com è stato osservato in dottrina[42], anche a prescindere dalla riemersione della categoria dei creditori non muniti di titolo esecutivo, già nella stesura intermedia prevista dalla l. n. 80 la mancata inclusione della categoria in esame nell art. 499, comma 1, c.p.c., non avrebbe comunque potuto escluderne la legittimazione, dal momento che è la stessa norma sostanziale a stabilire la surroga dei diritti parziari inopponibili al creditore ipotecario col diritto a partecipare alla distribuzione, con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte in epoca successiva alla trascrizione dei diritti stessi. Quanto alla terza categoria, si tratta di creditori che non sono in possesso di titolo esecutivo, ma che si trovano in una specifica condizione rispetto alla res pignorata: il creditore sequestrante, il creditore pignoratizio e quello titolare di privilegio risultante da pubblici registri. Riguardo al sequestro, è da ritenere[43] che la norma faccia riferimento a quello conservativo, in quanto strumentale alla trasformazione in pignoramento ex art. 686 c.p.c., giacché il sequestro giudiziario non è di per sé correlato all esistenza di un diritto di credito. Nulla di particolare v è da osservare riguardo al creditore pignoratizio, mentre restano evidentemente esclusi quei creditori il cui privilegio non risulti da pubblici registri[44]. Non v è dubbio, però, che la categoria che desta maggiore interesse, per la presumibile rilevanza statistica (almeno, nelle intenzioni del legislatore) e per l aspetto di netta rottura rispetto alle dichiarate linee guida della riforma della l. n. 80[45], è quella dei creditori di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all art c.c.. Tale ultima norma stabilisce che l imprenditore che eserciti un attività commerciale[46] a meno che non rientri nella categoria dei piccoli imprenditori - deve tenere il libro giornale, il libro degli inventari e le altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell impresa. L ulteriore riforma, quindi, ha esteso la legittimazione ai creditori che esercitano attività d impresa, così consentendo loro di intervenire nel procedimento esecutivo purché alleghino, a pena d inammissibilità, estratto autentico notarile delle scritture contabili da cui si evinca l esistenza del credito[47]. Al riguardo, possono però individuarsi taluni aspetti problematici[48]. Anzitutto, va osservato che la tecnica normativa adottata, a stretto rigore, sembrerebbe escludere dalla legittimazione all intervento la categoria dei piccoli imprenditori, giacché essi non sono obbligati a tenere le scritture di cui all art c.c.. Tuttavia, se la ratio legis (come sembra a chi scrive[49]) va individuata nell esigenza di evitare alla categoria imprenditoriale la necessità di far ricorso in prima battuta, in alternativa all intervento, al procedimento monitorio[50], deve ritenersi che anche il piccolo imprenditore possa intervenire nel processo esecutivo, nella misura in cui lo si riteneva (e lo si ritiene[51]) legittimato ad agire in monitorio avvalendosi del disposto dell art. 634, comma 2, c.p.c.: ossia, in forza di estratto autentico delle scritture contabili obbligatorie che egli abbia regolarmente tenuto pur non essendovi obbligato. Considerazioni analoghe possono svolgersi per l impresa familiare ex art. 230 bis c.c. in relazione all attività concretamente svolta; non altrettanto, invece, per l imprenditore agricolo[52]. Si ipotizzi però più in generale che il credito risulti dalle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie (ad es., dal Registro I.V.A.) e il creditore intenda avvalersi dell estratto autentico notarile di tali scritture, estratto che - ai sensi dell ultima parte dell art. 634, comma 2, c.p.c. - costituisce pur sempre prova scritta idonea ai fini dell emissione del decreto ingiuntivo. Il nuovo art. 499 c.p.c., nel rinviare alle sole scritture di cui all art c.c., non pare consentire tale estensione; il che comporterebbe che l intervento spiegato ut supra andrebbe considerato inammissibile. In realtà, se la ratio legis è quella sopra individuata[53], non v è ragione di escludere che il creditore[54] possa supportare con detto estratto autentico il proprio ricorso per intervento[55]. Certo, a fronte dell individuata ratio, meglio sarebbe stato che la nuova norma avesse fatto diretto riferimento all art. 634, comma 2, c.p.c., piuttosto che all art c.c.. Ma tant è. E stato poi correttamente osservato[56], che la norma pone il problema del coordinamento con la normativa in tema di tenuta delle scritture contabili e della relativa autenticazione notarile per estratto. A questo proposito, resta dubbia l ammissibilità di un intervento per credito fondato su fattura. Sempre richiamando la superiore chiave di lettura, potrebbe forse ritenersi - ma la questione è altamente opinabile - che l interveniente possa allegare a corredo del ricorso la copia autentica (e quindi integrale) della fattura stessa, a condizione che ne risulti l avvenuta registrazione in contabilità e che l autenticazione sia effettuata da notaio

7 [57]. Deve invece certamente escludersi l ammissibilità dell intervento da parte di una banca che fondi il credito sull attestazione ex art. 50 T.U.B.[58]. Anche in tal caso, quindi, occorre che al ricorso sia allegato l estratto autentico notarile delle scritture contabili [59]. Occorre infine evidenziare che riguardo all intervento del creditore sequestrante, del creditore pignoratizio, del creditore privilegiato iscritto e del creditore imprenditore commerciale, la norma cristallizza la posizione individuale al momento del pignoramento. Ciò comporta correlativamente che ai fini dell ammissibilità dell intervento, il sequestro, il pegno, il privilegio e il credito stesso devono essere sussistenti al momento in cui il pignoramento si perfeziona. Tuttavia, se la scelta legislativa in relazione al sequestro conservativo e ai privilegi iscritti, aventi ad oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri - può dirsi del tutto coerente con la previsione, rispettivamente, degli artt. 2915, comma 1, e 2916, nn. 1, 2 e 3, c.c.[60], va evidenziato che essa pone una grave limitazione in relazione al credito chirografario puro non titolato (fondato su estratto di scritture contabili), non potendo evidentemente ritenersi ammissibile sulla base del tenore testuale - né un intervento per un credito sorto tout court dopo il pignoramento, né un intervento in estensione (da parte del creditore pignorante o di taluno degli intervenuti) per crediti che, durante la procedura esecutiva, continuano a maturare[61]. E certamente vero che la limitazione temporale pare costituire un inutile menomazione delle facoltà dei creditori chirografari[62], tanto più che essi ben possono procurarsi un titolo esecutivo e spiegare quindi intervento (salvi gli effetti dell eventuale tardività). Tuttavia, come si vedrà infra, detta limitazione letta in correlazione alla prima parte dell art. 499, comma 2, c.p.c. - finisce col colpire anche il creditore privilegiato non titolato, obbligato ad intervenire tempestivamente (e sempre che il debitore non disconosca il credito) onde non vedersi costretto a procurarsi il titolo esecutivo per far valere la propria prelazione[63]. 8. Il tempo dell intervento Il nuovo art. 499, comma 2, c.p.c., stabilisce che Il ricorso deve essere depositato prima che sia tenuta l udienza in cui è disposta la vendita o l assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569, deve contenere l indicazione del credito e quella del titolo di esso, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l esecuzione. Inoltre, se l interveniente ha credito risultante dalle scritture contabili, come s è già detto, egli deve depositare col ricorso, a pena d inammissibilità, l estratto autentico notarile delle scritture medesime. Al riguardo, occorre anzitutto osservare che l innovazione alla prima parte del comma apportata dalla l. n. 263[64] si presta a molteplici letture. Premesso infatti che la locuzione prima che sia tenuta l udienza comporta che il termine per il deposito dell intervento vada individuato fino ad un momento prima che essa abbia inizio[65], dal tenore letterale della norma ( il ricorso deve ) sembrerebbe esclusa la possibilità stessa di intervenire (sia con titolo che senza) dopo l inizio dell udienza ex artt. 530, 552 e 569 c.p.c.[66], e quindi tardivamente. In altre parole, potrebbe ritenersi che il legislatore correggente avrebbe inteso abrogare implicitamente le singole norme speciali[67] che disciplinano le conseguenze della tardività dell intervento (ai fini dell eventuale postergazione dei crediti in sede distributiva) nelle singole forme di espropriazione. Tuttavia, poiché la fissazione del termine è funzionalmente collegata all instaurazione del meccanismo di fissazione dell udienza di verifica[68], pare preferibile ritenere che la nuova previsione si riferisca esclusivamente ai creditori senza titolo, la cui posizione processuale deve necessariamente passare, come si vedrà, attraverso le forche caudine dell udienza stessa. In definitiva, quindi, i creditori titolati possono intervenire in ogni tempo - ma ovviamente prima del provvedimento di distribuzione (art. 528 c.p.c. per il p. mobiliare), o di assegnazione ex art. 553 c.p.c. (per il p. presso terzi) o dell udienza ex art. 596 c.p.c. (artt. 565 e 566 per il p. immobiliare[69]) fatte salve le conseguenze della tardività specificamente previste per le singole forme di espropriazione, per i soli creditori chirografari: essi, infatti, subiscono la postergazione ai creditori privilegiati, nonché ai chirografari tempestivi, potendo solo concorrere su quella parte della somma ricavata che sopravanza dopo soddisfatti i diritti del creditore pignorante, di quelli

8 privilegiati e di quelli intervenuti in precedenza. Riguardo alle conseguenze della tardività per i creditori titolati nell ambito dell e. immobiliare, deve peraltro segnalarsi un contrasto nella giurisprudenza di legittimità: infatti, all orientamento tradizionale[70], che si ritiene preferibile e secondo cui, dal disposto dell art. 629 c.p.c. (che prevede che l estinzione del processo esecutivo possa pronunciarsi nel caso di rinunzia agli atti esecutivi da parte del creditore pignorante e dei creditori intervenuti muniti di titolo, senza ulteriore specificazione), discende che non può distinguersi tra creditori privilegiati e chirografari, sicché anche questi ultimi, per quanto intervenuti oltre l udienza di cui all art. 564 c.p.c., hanno la facoltà di compiere i singoli atti di esecuzione (id est, di chiedere la vendita o l assegnazione), si contrappone altro orientamento[71], che muove dal dato letterale degli artt. 565 e 566 c.p.c.[72], per escludere invece detta facoltà, riservata ai soli creditori privilegiati, quand anche tardivamente intervenuti. La soluzione della questione che precede ha, ovviamente, rilevanti ricadute nel caso in cui, per qualunque ragione, si ponga il problema della c.d. surroga (o sostituzione) del creditore intervenuto al creditore procedente, come ad es. nel caso in cui questi rinunci, ex art. 629 c.p.c.: a seguire l orientamento più recente, infatti, nell e. immobiliare, il subentro del creditore intervenuto chirografario, munito di titolo esecutivo, sarebbe possibile solo se l intervento sia tempestivo. In ogni caso, la regola dettata dall art. 629 c.p.c., come evidenziato dalla giurisprudenza che aderisce all orientamento tradizionale, pare difficilmente superabile, perché resterebbe in caso contrario priva di giustificazione la necessità, ai fini della pronuncia di estinzione, della rinuncia di tutti i creditori intervenuti muniti di titolo (compresi i tardivi). Questione parzialmente collegata a quella appena esaminata è quella dell intervento spiegato nel momento in cui sia il creditore pignorante che gli eventuali intervenuti titolati abbiano rinunciato agli atti esecutivi, ex art. 629 c.p.c.: anche qui si deve registrare un contrasto giurisprudenziale, essendosi dapprima affermato che, fintantoché il giudice dell esecuzione non abbia pronunciato l ordinanza di estinzione del procedimento, i creditori possono liberamente intervenire[73]; più recentemente[74], si è invece sostenuto che, stante la natura meramente ricognitiva del provvedimento, l effetto estintivo si determina sin dalla formulazione dell unica rinuncia, se vi è il solo pignorante, o dell ultima se vi sono altri creditori intervenuti titolati e tutti abbiano rinunciato agli atti esecutivi. In tale ultimo caso, pertanto, l atto d intervento dispiegato dopo il deposito dell ultima rinuncia, benché prima dell emissione dell ordinanza ex art. 629 c.p.c., sarebbe da ritenersi inammissibile. Tornando alla novella del , nei primi commenti successivi si era ritenuto che l intervento tardivo fondato su credito non titolato, chirografario o privilegiato che fosse, restasse colpito dalla sanzione d inammissibilità. La superiore soluzione, pure formalmente ineccepibile alla luce della ratio ispiratrice della riforma, lasciava tuttavia sul campo gravi interrogativi sulla scelta legislativa, specie in ordine alla sorte del creditore privilegiato (ed in particolar modo ipotecario) senza titolo che non abbia spiegato intervento tempestivamente, sebbene ritualmente avvisato ex artt. 498 e 569 c.p.c.[75]. Ove questi, infatti, depositi il ricorso per intervento in epoca successiva all udienza di autorizzazione della vendita o di assegnazione, il suo diritto di prelazione potrebbe trovare riparo dagli effetti purgativi della vendita solo se egli si munisse di titolo esecutivo entro l udienza ex art. 596 c.p.c.. Ma se, per le ragioni più varie, egli non riuscisse a conseguire il titolo in tempo utile, il diritto d ipoteca verrebbe inesorabilmente a ridursi a lettera morta. Considerazioni nella sostanza analoghe (ossia sul piano dell inopportunità della scelta legislativa) possono però svolgersi, in linea più generale, per tutti i creditori non titolati tardivi, anche se chirografari. E allora, nell ottica del recupero di un minimo di compatibilità della norma rispetto all impianto costituzionale e segnatamente al diritto di difesa ex art. 24 Cost., sembra preferibile una interpretazione secondo cui il creditore interveniente tardivo non titolato, pur non potendo beneficiare del meccanismo dell udienza di verifica, possa chiedere l accantonamento delle somme che gli spetterebbero ed attivare, nei trenta giorni successivi al deposito, l azione necessaria onde munirsi di titolo esecutivo, analogamente a quanto avviene in caso di contestazione da parte del debitore[76]. In tal modo, quindi, si riconosce al creditore non titolato una sorta di diritto di prenotazione, che gli lascia un certo margine di tempo per salvaguardare adeguatamente il proprio diritto. Altro problema concerne il termine finale per il deposito dell atto d intervento tempestivo. Infatti, come s è già detto[77], nel vigore dei vecchi artt. 528, comma 1, e 563, comma 2, c.p.c., era oramai invalsa l interpretazione per cui occorresse far riferimento non già alla prima udienza[78] fissata per l autorizzazione della vendita o per l assegnazione, bensì a quella in cui effettivamente tali provvedimenti fossero adottati.

9 Orbene, fermo restando che la nuova formulazione dell art. 499, comma 2, c.p.c. ( prima che sia tenuta l udienza in cui è disposta la vendita o l assegnazione ), attenendo al piano dell ammissibilità, non incide sulla questione in esame, giacché come s è detto l obbligo di deposito del ricorso prima della detta udienza è riferito ai soli creditori non titolati, è da ritenere che ai fini della valutazione della tempestività dell intervento riguardo all eventuale postergazione in sede distributiva occorra ancora far riferimento alle norme speciali per ciascuna forma di espropriazione[79]. E così, per l espropriazione mobiliare e presso terzi[80], l art. 528 c.p.c. novellato continua a riferirsi alla prima udienza fissata per l autorizzazione della vendita o per l assegnazione, così come, per l immobiliare, l art. 565 c.p.c. novellato[81]. In favore di tale opzione ermeneutica, anche riguardo al nuovo testo dell art. 564 (e 565) c.p.c., s è recentemente espressa la S.C.[82]. Un ultima notazione va effettuata riguardo al riferimento - operato dalla nuova norma - alla udienza in cui è disposta l assegnazione. Infatti, poiché nell esecuzione immobiliare l assegnazione ad uno o più creditori presuppone che la vendita non abbia luogo per mancanza di offerte, ai sensi dell art. 590 c.p.c., il superiore riferimento potrebbe interpretarsi nel senso che, per la sola esecuzione immobiliare, i termini per la proposizione dell intervento non titolato sarebbero suscettibili di riapertura. Ciò deve tuttavia fondatamente escludersi, almeno per due ordini di motivi. Il primo, testuale, muove dalla considerazione che il nuovo art. 590 c.p.c.[83] non prevede più come in precedenza la fissazione di un udienza perché si provveda sulle istanze di assegnazione, dovendo ora il giudice (o il professionista delegato, ex art. 591 bis, comma 3, n. 7, c.p.c.) provvedere direttamente sulle istanze (da presentarsi, ex art. 588 c.p.c. nel testo vigente, nel termine di dieci giorni prima della data fissata per la vendita) subito dopo aver constatato che la vendita stessa non ha avuto luogo[84]. Considerazioni di carattere sistematico portano poi a ragionevolmente escludere che, alla luce delle linee guida della riforma, il legislatore abbia inteso differenziare il regime del termine per il deposito dell intervento non titolato a seconda del tipo di espropriazione, non potendo ravvisarsi alcuna ragione neppure sul piano logico per introdurre tale distinguo. Il riferimento all assegnazione va quindi letto con esclusivo riguardo all espropriazione mobiliare (la cui ammissibilità, specie dopo le ultime riforme del , è comunque assai discussa[85]) e presso terzi. 9. L estensione del pignoramento Accogliendo gli auspici di parte della dottrina[86] e riprendendo anche precedenti progetti di riforma del procedimento esecutivo [87], la l. n. 80/2005 ha generalizzato per tutte le forme di espropriazione l istituto dell estensione del pignoramento[88], dapprima previsto dall art. 527 c.p.c. per la sola espropriazione mobiliare, inserendo la relativa previsione nel nuovo quarto comma dell art. 499 c.p.c. e correlativamente abrogando il predetto art. 527 c.p.c.. Si stabilisce ora che Ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato o all udienza in cui è disposta la vendita o l assegnazione, l esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro il termine di trenta giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione. Evidenziato anzitutto che la l. n. 263/2005 ha apportato alla norma un piccolo ma importante ritocco[89], va poi affrontato un primo problema posto dalla generalizzazione dell istituto. Infatti, l attività che il creditore pignorante deve effettuare onde indicare agli intervenuti l esistenza di altri beni presuppone, ovviamente, che egli sia anzitutto a conoscenza del fatto che uno o più interventi siano stati spiegati, e che tale conoscenza sia tempestiva, evidente essendo la necessità di avere il tempo occorrente per svolgere le opportune ricerche. La nuova previsione dev essere poi coordinata con l altrettanto nuovo art. 492, comma 6, c.p.c., che così recita: Qualora, a seguito di intervento di altri creditori, il compendio pignorato sia divenuto insufficiente, il creditore procedente può richiedere all ufficiale giudiziario di procedere ai sensi dei precedenti commi ai fini dell esercizio delle facoltà di cui all articolo 499, quarto comma.

10 Ebbene, come è stato osservato[90], la riforma non ha esteso in linea generale quella norma - prevista dall art. 525, comma 2, c.p.c., per la sola espropriazione mobiliare - per cui il cancelliere deve dare notizia al creditore pignorante di ogni intervento tempestivo. Tra l altro, nell impianto originario dell art. 527 c.p.c., il creditore pignorante avrebbe potuto indicare gli altri beni, in ogni caso, non oltre i cinque giorni successivi alla comunicazione stessa. Ora, la dimenticanza del legislatore sembrerebbe tuttavia superabile, mediante interpretazione sistematica, ben potendo ritenersi che il cancelliere sia comunque tenuto a dare il suddetto avviso in ogni forma di espropriazione[91], comprese quindi quella immobiliare e presso terzi[92]. D altra parte, ove così non fosse, il senso della generalizzazione dell istituto resterebbe inevitabilmente frustrato, con il paradosso che l avviso del cancelliere la cui finalità è del tutto ovvia dovrebbe considerarsi obbligatorio per la sola forma di espropriazione (quella mobiliare) statisticamente meno incisiva ed importante sul piano economico-sociale. Il che sarebbe davvero paradossale. Il tema della tempestività dell informazione, invece, è strettamente legato a quello del termine ultimo per l indicazione degli altri beni da pignorare. Dal tenore letterale della norma, che non riproduce il riferimento al termine di cinque giorni dalla comunicazione già contenuto nel vecchio art. 527 c.p.c. (v. supra), sembrerebbe che il dies ad quem debba individuarsi nell udienza in cui è effettivamente disposta la vendita o l assegnazione. Ora, poiché il creditore chirografario può intervenire tempestivamente, ex art. 499, comma 2, fino a che non sia iniziata l udienza in cui è disposta effettivamente la vendita o l assegnazione, da ciò deriva che il creditore pignorante potrebbe vedersi costretto a subire l iniziativa ritardata del chirografario particolarmente accorto e a non poter materialmente indicare l esistenza di altri beni cui estendere l azione esecutiva, per non esserne evidentemente a conoscenza [93]. In altre parole, il creditore pignorante potrebbe scoprire appena prima dell udienza ex artt. 530, 552 o 569 c.p.c. l esistenza di un intervento di creditore chirografario, il quale, depositando il ricorso in limine, potrebbe così aspirare a sottrarsi al meccanismo dell estensione del pignoramento, non essendo questo esperibile in base al tenore testuale della norma - dopo che sia stata disposta la vendita o l assegnazione. Allo scopo di evitare la definitiva compromissione di un (possibile, qualora gli intervenuti senza giusto motivo non estendano il pignoramento) diritto di prelazione processuale[94] spettante al creditore pignorante, due sono allora le soluzioni prospettabili: o si ritiene che il creditore pignorante possa legittimamente avanzare richiesta di rinvio dell udienza[95], onde attivare l ufficiale giudiziario ai sensi del nuovo art. 492, comma 6, c.p.c. (o procurarsi aliunde le informazioni necessarie); oppure si ritiene che lo stesso pignorante possa insistere nell istanza di vendita o di assegnazione (che seguirà quindi il suo corso con l emissione della relativa ordinanza giudiziale), riservandosi al contempo di indicare ai creditori intervenuti l esistenza di altri beni cui estendere il pignoramento. Tale ultima soluzione, indubbiamente più ragionevole anche nell ottica della contrazione dei tempi processuali, lascia però sul campo il problema della mancanza di un termine finale entro cui il creditore debba indicare gli altri beni[96]. Tra le altre questioni interpretative concernenti l abrogato art. 527 c.p.c. che verosimilmente possono riproporsi sul piano generale la più significativa riguarda la natura dei beni da indicare, ossia se gli stessi debbano essere o meno omologhi rispetto a quelli pignorati, onde preservare l unità del processo esecutivo[97]. Riprendendo le ricostruzioni dottrinali sulla norma abrogata [98], dovrebbe quindi ritenersi che gli altri beni utilmente pignorabili debbano necessariamente avere la stessa natura di quelli pignorati, non debbano essere soggetti a diritti di prelazione e debbano trovarsi nella stessa circoscrizione dell Ufficio dinanzi a cui si procede; ciò perché scopo della norma sarebbe non già quello di far sorgere distinte espropriazioni anche dinanzi a giudici diversi, bensì quello di estendere l oggetto dell originario pignoramento, rivelatosi inadeguato rispetto all ammontare dei crediti da soddisfare[99]. 10. La fase di verifica dei crediti Si tratta certamente della più significativa novità introdotta dalla l. n. 263/2005. Essa è disciplinata dall art. 499, comma 3, 5 e 6, c.p.c.. E previsto in particolare che Il creditore privo di titolo esecutivo che interviene nell esecuzione deve notificare al debitore, entro i dieci giorni successivi al deposito, copia del ricorso, nonché copia dell estratto autentico notarile

11 attestante il credito se l intervento nell esecuzione ha luogo in forza di essa. ( ) Con l ordinanza con cui è disposta la vendita ai sensi degli articoli 530, 552 e 569 il giudice fissa, altresì, udienza di comparizione dinanzi a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una delle parti. Tra la data dell ordinanza e la data fissata per l udienza non possono decorrere più di sessanta giorni. All udienza di comparizione il debitore deve dichiarare quali dei crediti per i quali hanno avuto luogo gli interventi egli intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando in quest ultimo caso la relativa misura. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi in assenza di titolo esecutivo. In tutti i casi il riconoscimento rileva comunque ai soli effetti dell esecuzione. I creditori intervenuti i cui crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore partecipano alla distribuzione della somma ricavata per l intero ovvero limitatamente alla parte del credito per la quale vi sia stato riconoscimento parziale. I creditori intervenuti i cui crediti siano stati viceversa disconosciuti dal debitore hanno diritto, ai sensi dell articolo 510, terzo comma, all accantonamento delle somme che ad essi spetterebbero, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di avere proposto, nei trenta giorni successivi all udienza di cui al precedente comma, l azione necessaria affinché essi possano munirsi del titolo esecutivo. L introduzione della fase di verifica trova la sua origine storica nel disegno di legge delega n approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione dell 8 maggio 1981[100]; detto disegno, riguardo alla disciplina dell intervento[101], prevedeva di mantenere la legittimazione anche in capo ai creditori non titolati, purché però dessero idonea prova documentale del credito [102]; era altresì prevista l eliminazione della distinzione tra interventi tempestivi e tardivi ai fini della distribuzione, con la generalizzazione dell estensione del pignoramento a tutte le forme espropriative. Ma soprattutto, ai fini che qui più interessano, era prevista la sottoposizione a verifica dell ammissibilità degli interventi (evidentemente non titolati, riguardo all idoneità della prova scritta) da parte del giudice, all udienza in cui vengono fissate le modalità della vendita, dell assegnazione o la conversione del pignoramento, questione da decidersi con ordinanza immediatamente esecutiva, non avente efficacia di giudicato né sull an né sul quantum, ma soltanto effetti endoprocessuali. Detta ordinanza avrebbe potuto essere impugnata con le forme dell opposizione all esecuzione, funzionale non più soltanto al travolgimento del processo esecutivo, ma anche alla sospensione della distribuzione [103]. Scopo della fase di verifica era non soltanto quello di provocare il contraddittorio sulle eventuali contestazioni, ma anche quello di fissare il termine finale per il controllo dell ammissibilità degli interventi, in modo da determinare una volta per tutte l importo che il debitore avrebbe dovuto versare per ottenere la conversione del pignoramento[104]. Già in una prospettiva de jure condendo, peraltro, non era mancato in dottrina chi[105] a fronte dei possibili vantaggi derivanti da una fase di accertamento dei crediti modellata sull accertamento del passivo fallimentare aveva sottolineato l improprietà dello strumento proposto, sia per la minore complessità (anche per numero dei creditori) dell espropriazione individuale rispetto alla liquidazione concorsuale, sia per la possibile incidenza degli accantonamenti delle quote controverse a danno dei creditori muniti di titolo, sia per l esigenza di predisporre una fase preparatoria, occorrendo avvertire tutti i creditori, onde evitare il pericolo di molteplici verifiche nel corso del processo, con conseguente rallentamento dei tempi. La soluzione introdotta dalla l. n. 263, che ha riesumato pur con profonde differenze - la fase di verifica di cui al citato d.d.l., costituisce una sorta di mediazione tra le rigide posizioni a sostegno vuoi della tesi della restrizione dell intervento ai soli creditori muniti di titolo (dapprima fatta propria dalla l. n. 80), vuoi della tesi favorevole al mantenimento dello status quo ante. Orbene, se il modello normativo adottato consente di superare taluni aspetti poc anzi evidenziati, per altro verso esso a causa della cattiva tecnica di redazione utilizzata e della sua evidente asistematicità - pone invece sul tappeto numerosissime questioni che l interprete deve necessariamente affrontare. In questa sede, preme però evidenziare che la scelta legislativa innesta nell ambito del processo esecutivo nel sistema precedente diretto ad attuare un diritto certo, liquido ed esigibile, fatto salvo quanto prima osservato per l e. immobiliare un subprocedimento che è indubbiamente permeato da aspetti cognitivi[106], con le singolari circostanze che, da un lato, la mancata comparizione del debitore (sia pure ai soli fini dell espropriazione) equivale a riconoscimento del debito[107] e che, dall altro, è sufficiente una semplice dichiarazione dello stesso debitore, anche del tutto sfornita di qualsiasi argomento di prova, perché si escludano dal riparto uno o più crediti, senza che sia previsto alcun accertamento sommario da parte del giudice (a differenza del modello di riferimento): il debitore, cioè, diventa in questa fase vero e proprio arbitro[108] dell ammissione al riparto.

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