LA BEcARìA. forba da un òlta. Macellazione del maiale. Pubblicazione abbinata al documentario n. 3 della serie:
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- Elisabetta Adamo
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1 LA BEcARìA Macellazione del maiale Pubblicazione abbinata al documentario n. 3 della serie: forba da un òlta Con il patrocinio e il contributo
2 La vera ricchezza della famiglia contadina: il maiale Uno degli animali più caratteristici della realtà contadina era indiscutibilmente il maiale, tanto che la sua macellazione diventava un atteso evento dal tono coincitato e dalla cadenza annuale. Nelle carni del suino, opportunamente lavorate e conservate, la famiglia trovava la più importante fonte di alimentazione durante il corso di tutto l anno. Il consumo veniva attentamente commisurato, osservando per i singoli prodotti il tempo più adatto e l uso più appropriato. Questi dipendevano, dalla stagionatura diversa richiesta dai singoli salumi e dal periodo dell anno nel quale ci si trovava, che rendeva più confacente il consumo di un prodotto o di un altro. Alcune parti pregiate del suino macellato, in particolare i prosciutti, venivano talora vendute per l acquisto di altri prodotti necessari al sostentamento della famiglia, come il sale, l olio, lo zucchero, o addirittura stoffe per capi di abbigliamento. Il ruolo della padrona di casa L allevamento del maiale impegnava tutti i giorni e in modo faticoso la padrona di casa, in quanto era affidato esclusivamente ad essa. Al mattino si alzava presto e la prima cosa che faceva era quella di accendere il camino o la stufa e di fare scaldare dell acqua. Aggiungendovi avanzi alimentari e scarti di lavorazioni casearie, il paiolo veniva portato al porcile e versato
3 nella mangiatoia, facendo attenzione che il maiale, affamato, non lo rovesciasse. Mentre questo divorava ingordamente il pasto, la donna puliva il porcile, avvalendosi di una ramazza e di un badile. Alla sera si ripeteva la stessa operazione. Il lavoro che la massaia svolgeva per l allevamento era alquanto impegnativo, ma la sua giornata non lo era da meno: la cucina di ogni giorno, i lavori di campagna, il cucito e, non da ultima la preghiera, la tenevano occupata senza un attimo di tregua. Altresì la macellazione del suino metteva a dura prova la contadina in tutte le fasi dell operazione: predisponeva numerose e robuste pezze di tela bianca di bucato, con la miglior cura perché tutto doveva svolgersi con pulizia e igiene. Preparava e lavava le budella del maiale per gli insaccati, obbediva con efficienza ai comandi del becheìr, cuoceva il sangue per i sanguinacci, tagliava il lardo a cubetti, le cotenne a striscioline e legava i salami dopo l insaccatura. Una credenza popolare riteneva opportuno che le femmine si astenessero dal toccare le carni in certi giorni... I bambini Anche i bambini, collaboravano all allevamento della bestiola; il maiale apparteneva pienamente anche a loro: spesso erano i più piccoli a farlo uscire dal porcile e a farlo rientrare, a fargli la guardia, a scambiare con lui i grugniti, ben sapendo che il maiale gradiva chiacchierare a modo suo. Molte volte gli portavano una manciata di erba fresca, qualche buccia di scarto rimediata a fortuna e l acqua fresca da bere.
4 La colobia L alimento quotidiano del maiale nei periodi invernali era costituito da un paiolo di sostanza brodosa tiepida formata dai resti di cucina. Il maiale veniva alimentato due volte al giorno, al mattino, e alla sera. La massa brodosa veniva integrata con bucce di patate bollite, scarto del fieno, a volte ortaggi o farine, ma soprattutto con il siero del latte. L impiego alimentare di detti prodotti era motivato dalle loro proprietà energetiche e dal fatto che erano molto comuni, specialmente laddove si allevavano bestie da latte. I contadini hanno sempre preferito seguire la filosofia del riciclo naturale che non costava quasi nulla. Il siero di scarto della lavorazione del latte, quando nell azienda agricola si faceva il formaggio di latte bovino o di latte ovino, è sempre stato destinato all alimentazione del maiale, che traeva benessere dallo stesso e che altrimenti non avrebbe trovato altro impiego. La macellazione del maiale Nel giorno stabilito, dopo aver consultato calendari, fasi lunari e segni zodiacali, il becheìr raggiungeva la dimora del contadino prestissimo, con una sacca, nella quale c era tutto il necessario per il suo lavoro. I padroni di casa erano già alzati, avevano messo un calderone d acqua sul fuoco, per portarla all ebollizione: sarebbe servita in seguito per contribuire a raschiare con un coltello affilato le setole dalla pelle del maiale, appena ucciso. Il becheìr colpiva il maiale all arteria del collo e della trachea, recidendola. Subito ne sgorgava il sangue e la donna lo raccoglieva con un recipiente, accostandolo alla ferita. Sucessivamente si raspavan via le setole, rigirandolo in modo da completare l operazione su tutto il corpo. Una volta pelato,
5 l animale veniva sollevato con una corda applicata alla base delle gambe posteriori, sotto il tendine (perché non cedesse al peso), e fatta passare su una carrucola appesa in alto. Una volta che il maiale era stato sollevato, con la testa in basso, ad altezza d uomo, veniva subito aperto e diviso nelle due mezzene, estraendo gli organi interni, fegato, cuore, rognoni ecc. e gli intestini, che venivano subito puliti e immersi nell acqua e aceto. Poi cominciavano le operazioni di sezionamento e di lavorazione delle carni, che si protraevano per tutta la giornata, fino a sera. Il becheìr dopo aver lasciato le opportune istruzioni, rimandava l insaccamento al giorno successivo. Gli ingredienti usati erano minimi: sale, aglio, vino rosso e, in particolare per il salame, a gradimento, pepe, cannella e noce moscata. Uno dei temi preferiti nelle conversazioni erano le genealogie, cioè, parlando di una persona, si ricordavano tutti i suoi famigliari, con i loro nomi e soprannomi, la discendenza dei figli, dove si erano accasati, gli eventi noti, lieti e tristi della loro vita, la serietà, il valore, i sacrifici le disgrazie, la mala sorte e la fortuna.
6 lardo e strutto Il lardo e lo strutto avevano nella cucina di un tempo un uso quotidiano e assoluto. Il lardo serviva a fare la minestra in brodo, che si consumava, di norma, a mezzogiorno e a sera, salvo in estate, quando la cena era spesso a base di insalata, con formaggi, frittata con uova e ortaggi, uova fritte con lo strutto in padella. Il lardo sciolto e versato bollente sui piatti poveri conferiva ad essi un sapore gradito e appetitoso. Delle due mezzene del lardo, una parte veniva nell immediato tagliata scrupolosamente a dadini minuscoli per i salami, mentre la rimanente veniva salata per bene e conservata in luogo fresco, solitamente la cantina. Al momento dell utilizzo, il lardo veniva liberato della cotenna che non veniva buttata, ma arrostita sulle brace del camino o sul piano della stufa per mangiarla calda, come una vera golosità. Anche lo strutto aveva un impiego molto largo e differenziato, prima di tutto come ingrediente di cottura e di condimento e poi per altri usi: per friggere o per ungere gli scarponi, anche se si preferiva la sugna (songia), se disponibile. La conservazione dello strutto era fatta dentro ad appositi recipienti. Il grasso, dopo averlo tenuto diverse ore sul fuoco per lo scioglimento a bollitura lenta, veniva filtrato con un telo grande e robusto. Alla fine dell operazione di filtrazione, il telo, con il contenuto che era rimasto, veniva strizzato. Quanto rimaneva costituiva li garitola, un prodotto povero riutilizzato nella cucina per la preparazione di altre pietanze. Lo strutto fuso e bollente, raffreddandosi, si solidificava, assumendo un colore bianchissimo. Era comunemente usato per più fritture, per cui lo si lasciava nella padella, dove solidificava di nuovo. Dopo alcuni utilizzi ripetuti, però, lo strutto era rinnovato totalmente.
7 bontà stagionate Non vi è bisogno di dilungarsi sull impiego dei salumi perchè l uso comune, come del resto anche oggi, era costituito dall affettato. Salami, pancette, coppe, prosciutti, avevano un impiego parsimonioso ed attentamente distribuito nel corso dell anno, in rapporto alla stagionatura dei singoli pezzi e conservati accuratamente negli scrigni. Il capo famiglia faceva la cernita dei salumi da prendere volta per volta, giudicandoli al tocco e alla vista. Facevano eccezione solo i cotechini, destinati ad essere consumati lessi, nel breve periodo successivo alla macellazione, con contorno delle immancabili patate bollite. Gli affettati, e in particolare il salame, assolvevano anche al compito di fare ospitalità in occasione di una visita di un parente o di una persona di riguardo, serviti insieme ad un bicchiere di buon vino rosso. gli attrezzi Gli attrezzi ed i materiali che riguardano la macellazione del maiale, la lavorazione delle sue carni e la loro conservazione sono ancora presenti in molte case ed abitazioni, tanto da passare inosservati. Le cantine conservano ancora i pali per la stagionatura (i latìn), oppure vi sono ancora i chiodi o gli anelli nei soffitti ai quali i prodotti venivano appesi. Le operazioni di lavorazione dei vari pezzi di carne avevano luogo in casa, data la stagione fredda, con strumenti del tutto comuni, soprattutto coltelli, robusti ed affilati, su un tavolaccio mobile (al taulaz) che ogni famiglia possedeva per lo scopo. La carne veniva tritata con le opportune piastre, a seconda della tipologia di salame. L aglio con un pugno di sale, venivano battuti nell apposito mortaio ed erano poi sapientemente distribuiti nelle varie paste. La dosatura di sale e spezie, che i più
8 esperti pesavano a occhio, richiedeva un religioso silenzio, considerato che da questo passaggio ne dipendeva il risultato finale. La distinzione delle varie tipologie di insaccati era evidenziata dalla diversa legatura dello spago. I salumi, dopo essere stati tenuti qualche giorno in un locale aerato e intiepidito per farli asciugare, venivano a volte leggermente affumicati. Si trasferivano poi al fresco, per la stagionatura, in genere nella cantina, dove si controllavano le opportune distanze fra i singoli pezzi, in maniera che non si toccassero mai tra di loro, poiché questo poteva dar luogo a marcescenza. Stessa prassi veniva riservata ai cotechini, anche se questi erano destinati al consumo immediato o nell arco di brevissimo tempo. I pezzi nobili venivano tenuti da parte in idonei contenitori per la salatura che richiedeva qualche giorno. Dopo di chè, il becheìr ripassava presso la famiglia per le pancette che venivano arrotolate (quindi private della cotenna) o lasciate tese (con la codiga ), per i prosciutti e per le coppe. Questi ultimi erano avvolti e legati nella pellicola della vescica del maiale, opportunamente conservata. Da questo momento in poi il padrone di casa si faceva carico di seguire la stagionatura di tutti i tipi di salumi, controllandone in maniera certosina la perfetta conservazione e maturazione degli stessi. Era buona consuetudine riservare un salamet stagionato dell anno precedente al becheìr. Elaborato a cura di Gianluca Cossi
9 La becarìa...in Valfurva... Tutti i valligiani un tempo avevano i maiali e, poiché il contadino non calcolava mai il valore del suo lavoro, si può dire che l allevamento del suino non era molto costoso. L azienda rurale, infatti, forniva tutti i prodotti necessari al nutrimento di questi animali: il siero (residuo della lavorazione del latte), la crusca (derivata dalla macinazione della segale), le patate di piccole dimensioni (selezionate appositamente dal raccolto), il terzuolo (cioè il foraggio raccolto nel tardo autunno), lo scarto minuto del fieno accumulato nei fienili, poi ancora alcune verdure dell orto ed i cardi raccolti nei pascoli durante l estate. Ogni famiglia possedeva almeno un maiale: lo acquistava a primavera dai mercanti che provenivano solitamente da Grosio, paese di forte tradizione contadina. Spesso il maialino passava l estate in alpeggio con il resto del bestiame e rientrava in autunno alla stalla di paese, dove veniva poi accuratamente custodito e ingrassato.
10 Tutte queste attenzioni erano finalizzate a far sì che il maiale crescesse sano e soprattutto robusto, così da poter avere dalla sua macellazione una consistente provvista di insaccati, destinati al consumo per tutto l anno da parte della famiglia. La persona che presiedeva alle varie fasi del lavoro era un esperto del mestiere; talvolta poteva essere il padrone di casa, comunque uno che aveva imparato il mestiere da giovane, facendo tirocinio o con il padre o lavorando con un vicino per due o tre anni. Era una persona di fiducia perché dal suo lavoro dipendeva la qualità dei salumi ed il loro stato di conservazione. Provvedere all alimentazione del maiale era compito della donna di casa, che doveva aver cura di dosare razioni e somministrare i pasti regolari e sempre alla giusta temperatura. L insieme di queste operazioni dedicate alla macellazione e alla produzione dei salumi era detta nel gergo dialettale becarìa (dal latino medioevale beccharius, ossia macellaio dei becchi). Dato il considerevole numero dei suini da macellare, in ogni paese vi erano più macellai, veri e propri professionisti stimati. La data della macellazione veniva fissata di comune accordo tra contadino e macellaio, tenendo conto non solo delle fasi lunari e dei segni dello zodiaco, secondo una sag-
11 gezza arcaica, ma anche dalla disponibilità del macellaio che da dicembre a primavera inoltrata era continuamente occupato presso diverse famiglie. Il macellaio disponeva di tutti gli attrezzi necessari: coltelli, sega, macchina tritacarne, macchina insaccatrice; strumenti che nel tempo hanno subito un importante evoluzione, facendo risparmiare all uomo tempo e fatiche. L abilità del macellaio stava soprattutto nel saper selezionare la carne per i vari tipi di salumi, distinguendone qualità e quantità, nel fare un giusto dosaggio di sale, spezie e lardo, ingredienti necessari al gusto e alla conservazione dei prodotti. Accanto e alle dipendenze del macellaio lavoravano alcune persone della famiglia e altra gente (vicini di casa, conoscenti) che a loro volta potevano contare sul reciproco aiuto nel momento della loro becarìa. Il lavoro si protraeva anche per più giorni e si concludeva con la cena a base di un assaggio di tutti i tipi di insaccati (cotechini, sanguinacci, mortadelle di fegato, salami di testa, salsicce di prima e seconda qualità), accompagnati dalle patate, rigorosamente di propria coltivazione. Mentre si cenava, si commentava il lavoro svolto e si tessevano lodi al macellaio. Inoltre, non si mancava mai, in quel momento di allegra convivialità, di rievocare divertenti episodi e simpatiche vicende accadute in paese. Oggi, proprio per mantenere viva la tradizione della becarìa, c é ancora qualcuno che con passione e fatica svolge questo lavoro, ritagliandosi del tempo tra altre occupazioni, districandosi tra i meandri della burocrazia e delle norme vigenti, ma con la soddisfazione di un gusto immutato e di un sapore d altri tempi dei buoni insaccati fatti in casa. A cura dell Associazione Museo Vallivo della Valfurva
12 Piazza Capitano Arnaldo Berni Valfurva (SO) Tel Impaginazione e grafica: Gianluca Cossi Servizi Informatici Stampa:
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