settembre ottobre 2014 NUMERO 5

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1 settembre ottobre 2014 NUMERO 5 9 [2 minuti] a cura di Alice Melzi 11 [secondo me] Assistenza agli anziani non autosufficienti: vero o falso? Intervista a Fabrizio Giunco, a cura di Cristiano Gori e Sonia Guarino POLITICHE 17 Il costo economico della non autosufficienza Matteo Luppi 21 Nuovo Isee e famiglie numerose Franco Pesaresi 27 [speciale] Nidi pubblici e privati: dov è la differenza? Aldo Fortunati, Cristina Gabbiani e Maurizio Parente. Commenti di Goffredo Modena e Alberto Barenghi, Loredana Bondi, Silvia Pasqua ESPERIENZE 45 Come si sentono gli anziani nelle strutture Luisa Lomazzi 51 Salute, prossimità e territorio: i possibili sviluppi della cooperazione sociale Gianfranco Marocchi e Maurizio Serpentino 55 La diffusione delle reti oncologiche territoriali a cura di Verdiana Morando, Valeria D. Tozzi, Giampiero Fasola, Gilberto Gentili 62 La traversata del deserto Giacomo Galletti, Francesca Ierardi 67 Qual è la mission di un équipe socio-sanitaria integrata? Giovanni Fosti, Andrea Rotolo 72 [ping-pong] Le scelte difficili degli operatori Cristiano Gori e Valentina Ghetti STRUMENTI 75 [speciale] Donne vittime di violenza: azioni politiche a confronto Elisabetta Dodi, Cecilia Guidetti, Antonella Grazia, Cristina Karadole, Sara Biagi, Giulia Sannolla. Commento di Maria Merelli e Maria Grazia Ruggerini 95 L Oss, operatore della prossimità Mariena Scassellati Sforzolini 102 Un passo oltre Licia Tassinari 106 Indagine sulla qualità della vita nelle strutture per non autosufficienti Antonio Monteleone 115 La qualità di vita degli ospiti: un investigazione empirica dell osservatorio settoriale sulle RSA Antonio Sebastiano, Roberto Pigni e Marco Pagani 123 [dentro il campo] Gli ausiliari del welfare Luca Fazzi 125 [facciamo i conti] Cosa sta accadendo alle risorse per i non autosufficienti Laura Pelliccia

2 DIRETTORE RESPONSABILE MANLIO MAGGIOLI DIRETTORE CRISTIANO GORI REDAZIONE EDOARDO BARBAROSSA MAURA FORNI GIANFRANCO MAROCCHI GIOVANNI MERLO MAURIZIO MOTTA FRANCESCA PAINI FRANCO PESARESI ANTONINO TRIMARCHI FLAVIANO ZANDONAI COORDINAMENTO DI REDAZIONE SONIA GUARINO (responsabile) ALICE MELZI CONSULENTE EDITORIALE LORENZO TERRAGNA RESPONSABILE EDITORIALE FRANCESCO SINIBALDI CONTATTI Progetto Grafico Alessandro Dante Raffaella Ugolini Amministrazione e diffusione Maggioli Editore presso c.p.o. Rimini via Coriano, Rimini tel. 0541/ fax 0541/ Maggioli Editore è un marchio Maggioli S.p.a. Servizio Clienti tel fax 0541/ clienti.editore@maggioli.it Pubblicità Publimaggioli Concessionaria di Pubblicità per Maggioli S.p.a. Via del Carpino, Santarcangelo di Romagna (RN) tel. 0541/ fax 0541/ publimaggioli@maggioli.it Filiali Milano Via F. Albani, Milano tel. 02/ fax 02/ Bologna Via Volto Santo, Bologna tel. 051/ Fax 051/ Roma Via Volturno, 2/c Roma tel. 06/ Fax 06/ Napoli Via A. Diaz, Napoli tel. 081/ fax 081/ Tutti i diritti riservati È vietata la riproduzione anche parziale del materiale pubblicato senza autorizzazione dell Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio. l singoli autori si rendono responsabili di tutto quanto riportato, di ogni riferimento, delle autorizzazioni alla pubblicazione di grafici, figure, ecc. L autore garantisce la paternità dei contenuti inviati all Editore, manlevando quest ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti su tali contenuti. Registrazione Presso il tribunale di Rimini dell al n. 15/95 Maggioli S.p.a. Azienda con Sistema Qualità certificato ISO 9001:2008 Iscritta al registro operatori della comunicazione Stampa Maggioli S.p.a. Santarcangelo di Romagna (RN) CONDIZIONI DI ABBONAMENTO 2014 Il prezzo di abbonamento alla rivista Welfare Oggi + la newsletter on line quindicinale 328 news è di euro 167,00 Il prezzo promozionale per privati e liberi professionisti comprensivo di newsletter on line quindicinale 328 news è di euro 104,00 Il prezzo di una copia della rivista è di euro 32,00 Il prezzo di una copia arretrata è di euro 36,00 I direttori e i responsabili di enti e strutture appartenenti all ordine degli Assistenti Sociali possono sottoscrivere abbonamenti per l anno corrente alla rivista bimestrale Welfare Oggi al prezzo di euro 83,00 (rivista + newsletter). I prezzi sopra indicati si intendono IVA inclusa. Formato digitale: il prezzo di abbonamento alla Rivista solo in formato PDF è di euro 82,00 + IVA. Il pagamento dell abbonamento deve essere effettuato con bollettino di c.c.p. n intestato a: Maggioli S.p.a. Periodici Via del Carpino, Santarcangelo di Romagna (RN). La rivista è disponibile anche nelle migliori librerie. L abbonamento decorre dal 1 gennaio con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per il primo anno. In mancanza di esplicita revoca, da comunicarsi in forma scritta entro il termine di 45 giorni successivi alla scadenza dell abbonamento, la Casa Editrice, al fine di garantire la continuità del servizio, si riserva di inviare il periodico anche per il periodo successivo. La disdetta non sarà ritenuta valida qualora l abbonato non sia in regola con tutti i pagamenti. Il rifiuto o la restituzione dei fascicoli della rivista non costituiscono disdetta dell abbonamento a nessun effetto. I fascicoli non pervenuti possono essere richiesti dall abbonato non oltre 20 giorni dopo la ricezione del numero successivo.

3 MINUTI a cura di Alice Melzi IL DISAGIO ESPRESSO NELLE STAZIONI FERROVIARIE Secondo il rapporto annuale ON- DS, sono le persone che nel 2013 hanno usufruito dell assistenza dei 13 Help Center situati nelle stazioni ferroviarie di Chivasso, Genova, Torino, Milano, Bologna, Firenze, Pescara, Roma, Napoli, Foggia, Catania, Messina e Bari. La stazione con il maggior numero di accessi è Milano (22.380), seguita da Roma (17.482) e Bari (10.890). La maggior parte sono uomini (79%) immigrati (72,6%), di età compresa tra i 18 ed i 39 anni. Un dato preoccupante riguarda gli over60 che rappresentano il 9,4% delle persone assistite, valore più che raddoppiato rispetto al I principali aspetti di vulnerabilità rilevati riguardano: perdita del lavoro (37%), processi migratori complessi (31%), problematiche relative ad alloggio (22%) e salute (7%). I bisogni maggiormente espressi, invece, sono servizi, lavoro ed accoglienza. È interessante notare come la salute sebbene risulti primaria tra le vulnerabilità non sempre viene considerata come un bisogno primario. WELFARE FAMIGLIARE IN CRISI: FRENA LA SPESA PRIVATA PER SANITÀ E ASSISTENZA Grafico 1 Bisogni espressi per provenienza presso gli Help Center Fonte: Rapporto annuale 2013 ONDS - Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle Stazioni Italiane Nell ultimo anno la spesa sanitaria privata ha registrato un -5,7%, il valore pro capite si è ridotto da 491 a 458 euro all anno. Le famiglie italiane hanno dovuto rinunciare complessivamente a 6,9 milioni di prestazioni mediche private e per la prima volta è diminuito anche il numero delle badanti che assistono al domicilio gli anziani bisognosi: 4mila in meno. Questi sono segnali di una inversione di tendenza rispetto ad un fenomeno consolidato negli anni in cui le risorse familiari hanno compensato una ridotta offerta del welfare pubblico. Oggi anche il welfare privato familiare comincia a mostrare segni di cedimento. È quanto emerge dal Rapporto Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali di Censis e Unipol. 1 ITALIANO SU 8 SVOLGE ATTIVITÀ DI VOLONTARIATO Lo sottolinea la prima rilevazione sul lavoro volontario, Attività gratuite a beneficio di altri. Anno 2013, frutto della convenzione stipulata tra Istat, CSVnet (rete dei Centri di Servizio per il Volontariato) e Fondazione Volontariato e Partecipazione. Nel Nord-est si registra il tasso di volontariato più elevato (16%) e i volontari hanno prevalentemente tra i 55 e i 64 anni (15,9%). La tendenza a svolgere attività gratuite cresce con il titolo di studio (il 22,1% sono laureati, contro il 6,1% di quanti hanno la sola licenza elementare) e la stabilità economica della famiglia (il 23,4% appartiene a famiglie agiate e il 9,7% a famiglie con risorse insufficienti). Il grafico 2 riporta i principali settori di inserimento.

4 Var % 2013/2007 Indebitamento fam italiane (in mln di ) ,1% Tabella 1 Indebitamento delle famiglie dal 2007 al Valori in milioni di Nb: nel 2010 sono avvenuti alcuni cambiamenti metodologici e di contabilizzazione Fonte: Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d Italia ed Istat, GIOVANI IN FUGA: 10 PAESI DOVE VALE LA PENA DI EMIGRARE Molti giovani italiani cercano migliori opportunità di vita e di lavoro all estero, un fenomeno ormai rilevante. Come scegliere il Paese di destinazione? Su viene stilata la classifica dei Paesi più interessanti in base a 4 parametri: reddito pro capite, prospettive di crescita, facilità di fare business e accettazione degli immigrati. Ecco i primi 10 Paesi, di cui 7 europei: Qatar, Australia, Svezia, Kuwait, Singapore, Stati Uniti, Olanda, Germania, Nuova Zelanda e Taiwan. Spicca la presenza di due paesi arabi (Qatar e Kuwait) tra i primi quattro posti. Questo risultato inatteso è dovuto al basso debito pubblico e al fatto che il loro Pil pro capite è tra i più alti al mondo grazie al petrolio. LE FAMIGLIE ITALIANE SONO INDEBITATE PER Complessivamente nel 2013, i passivi accumulati con le banche e gli istituti creditizi ammontano a 496,5 miliardi di euro. Come mostra la tabella 1, dal 2007, anno di inizio della crisi, l incremento del debito medio nazionale delle famiglie consumatrici è stato del 35,1%, anche se dopo il picco massimo toccato nel 2011 le esposizioni sono in calo. Per indebitamento medio delle famiglie si intende quello originato dall accensione di mutui per l acquisto di una abitazione, dai prestiti per l acquisto di un auto/moto e in generale di beni mobili, dal credito al consumo, dai finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili, ecc. A livello territoriale le province più esposte sono quelle lombarde. Fonte: DA SIRIA, AFGHANISTAN E SERBIA, IL MAGGIOR NUMERO DI RICHIEDENTI ASILO Grafico 2 Persone di 14 anni e più che hanno svolto attività gratuite organizzate nelle 4 settimane precedenti l intervista, per settore prevalente. Anno 2013, composizione percentuale Fonte: Report Istat, Attività gratuite a beneficio di altri, anno 2013 In totale i cittadini provengono da 148 Paesi. Queste sono le informazioni diffuse da Eurostat per il primo trimestre I principali Paesi di destinazione sono Germania, Francia, Svezia e Italia: questi 4 Stati membri ricevono oltre il 70% di tutti i richiedenti asilo nell UE-28. Con più di richiedenti asilo per milione di abitanti la Svezia è il Paese con il maggior numero di candidati rispetto alla sua popolazione, seguito da Svizzera e Lussemburgo. Nell UE-28 il numero di richiedenti asilo è aumentato del 29% nel primo trimestre del 2014 rispetto allo stesso trimestre 2013.

5 SECONDO ME ASSISTENZA AGLI ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI: VERO O FALSO? INTERVISTA A FABRIZIO GIUNCO a cura di Cristiano Gori e Sonia Guarino In Italia, il progressivo invecchiamento della popolazione e la riduzione della capacità delle reti familiari tradizionali di prendersi cura dei propri anziani faranno aumentare nei prossimi anni la domanda di servizi socio-sanitari e socio-assistenziali. L invecchiamento è destinato ad avere un crescente impatto su vari settori della nostra società: dal sistema pensionistico alla domanda di servizi sanitari e, più in particolare, alla domanda di quelle prestazioni di lunga durata di carattere sociosanitario di cui l anziano necessita quando chiamato a confrontarsi con la perdita progressiva delle proprie autonomie. Prima di proiettarsi in possibili scenari futuri, riteniamo utile fotografare l attuale situazione dei servizi di cura sfatando alcuni luoghi comuni e suffragandone altri, attraverso il parere autorevole di Fabrizio Giunco, da molti anni impegnato nello studio e nelle gestione dei servizi per anziani. A CASA SI STA MEGLIO CHE IN STRUTTURA È fuori di dubbio che a casa si stia meglio che in qualsiasi struttura, soprattutto se questa ha una forte impronta istituzionale. Ovviamente, è necessario che una casa ci sia, che sia adatta alla vita di chi è anziano e che sia presente una buona rete familiare. Nella gran parte dei Paesi a economia avanzata, questo problema è stato affrontato da tempo grazie allo sviluppo di modelli di sostegno Fabrizio Giunco Medico, coordina i servizi sociosanitari dell Istituto Palazzolo, Fondazione Don Carlo Gnocchi ONLUS di Milano. È membro effettivo del Comitato Etico e del gruppo di lavoro sulla continuità assistenziale della stessa Fondazione e socio della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (SIGG) e della Società Italiana di Cure Palliative (SICP). Esperto nei problemi sociali e socio-sanitari collegati alla vecchiaia e nella progettazione di servizi. Esperto in cure palliative, con particolare riferimento alla cura delle persone con malattie di lunga durata, non oncologiche, non guaribili e a prognosi infausta. Collaboratore di diversi gruppi di ricerca sulle politiche sociali e socio-sanitarie, ha pubblicato come autore o coautore numerosi libri, articoli e ricerche originali sulla complessità assistenziale. di nuova generazione. In particolare, i più aggiornati modelli di intervento domiciliari che integrano le più tradizionali risposte sanitarie con una pari attenzione al sostegno alle necessità di tipo domestico e quotidiano sono ben collegati alla diffusione nel territorio di abitazioni adatte o adattabili alla vecchiaia e di soluzioni residenziali non istituzionali di sostegno alla vita indipendente e assistita. Anche le nuove soluzioni residenziali privilegiano il modello abitativo; appartamenti piuttosto che camere e forte attenzione alla qualità delle relazioni prima che alla sola offerta di risposte sanitarie. Non si tratta più di buone idee o di interessanti ipotesi sperimentali; soprattutto nel Nord-America e nel Nord-Europa questi modelli sono ormai realtà, sostenuti da solide riforme normative e da robusti investimenti. La famiglia viene valorizzata, ma non viene ritenuta l unica responsabile del dovere di prendersi cura dei più anziani. La logica è sussidiaria, tutelata da diffusi modelli di case-management e di governo locale; i servizi alla persona sono sempre formalizzati, an- Come dichiarato nel Commission s Demographic Report del 2006 l invecchiamento demografico, ossia l incremento della proporzione di popolazione anziana, è soprattutto il risultato del rilevante sviluppo economico, sociale e medico che ha dato la possibilità agli europei di vivere più a lungo e in condizioni di vita più confortevoli, che non hanno precedenti simili nella nostra storia.

6 SECONDO ME che quando erogati in forma privata o integrata pubblico-privato. In Europa, i casi-studio più interessanti si trovano nei Paesi scandinavi, ma anche Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna hanno da tempo adottato soluzioni di ottima qualità. In questi Paesi, ormai, le nursing homes-rsa garantiscono un assistenza di buona qualità a quella proporzione di anziani prossimi alla fine vita e con reti familiari non più in grado di sostenerne la specifica complessità. In tutti gli altri casi intervengono efficacemente i servizi domiciliari. L Italia, sotto questo aspetto, è in grave ritardo. La rete di servizi è di tipo tradizionale, centrata sugli interventi maggiori e più spesso sostitutiva che sussidiaria. PER AVERE UN POSTO IN STRUTTURA BISOGNA ASPETTARE A LUNGO Dipende molto dalle condizioni locali, davvero eterogenee nelle diverse Regioni e territori. Dove l offerta di servizi residenziali istituzionali è elevata o francamente eccessiva rispetto alla domanda, l attesa può essere anche molto breve; in altri territori la situazione è opposta e l attesa può risultare anche molto lunga. Va considerata anche la tariffa a carico delle famiglie e la consistenza dei servizi alternativi, se questi esistono. Tariffe molto elevate possono anche superare i euro al giorno favoriscono il ricorso a soluzioni alternative, soprattutto collegate al lavoro privato di cura, e riducono la pressione sulle liste di attesa. Possono diventare un vero e proprio ostacolo a utilizzare i servizi residenziali più impegnativi, anche quando questo potrebbe essere utile. È certo che, oggi, molte famiglie rinunciano a ricorrere alle RSA per motivi economici così come, anche in questo settore, sta crescendo il sottogruppo di chi già ricoverato non riesce più a far fronte ai pagamenti. In questo ambito, gli effetti della crisi economica sono stati rilevanti. L Italia ha un doppio primato nel mondo; quello del lavoro di cura gestito direttamente dalle famiglie e quello collegato all utilizzo di operatori informali (come gran parte delle badanti) in compiti di assistenza diretta. È il frutto indiretto del rapporto sfavorevole fra costi diretti e indiretti a carico delle famiglie e investimenti economici pubblici orientati verso l offerta di servizi. Gli aspetti economici diventano così prevalenti e limitano concretamente le possibilità di scelta delle famiglie. È ben diverso poter scegliere, in un territorio che garantisca buone opportunità di offerta, il mix di servizi più idoneo a garantire agli anziani una buona qualità di vita e delle cure, rispetto all essere costretti a scegliere fra quello che oggettivamente ci si può permettere o a cui si deve rinunciare per motivi solo economici. IN FUTURO CI SARÀ MENO SPESA PUBBLICA PER L ASSISTENZA PUBBLICA AGLI ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI... Se accadrà, sarà solo per motivi politici; dipenderà quindi dalle scelte dei governi nazionali e regionali dei prossimi anni. Tra molti nel nostro mondo esiste un sentimento di rassegnazione, come se i finanziamenti pubblici fossero inevitabilmente destinati a ridursi nel tempo. Personalmente, credo che la disponibilità di stanziamenti adeguati dipenderà dalle scelte complessive riguardanti la distribuzione delle risorse pubbliche tra i diversi settori. Può essere che si vada incontro a un declino come potrebbe essere che, invece, il tema della non autosufficienza ottenga il riconoscimento politico che sino ad ora non ha ottenuto e i fondi, di conseguenza, vengano riallocati in modo proporzionale. Oggi la spesa pubblica per l assistenza agli anziani è circa del 20% inferiore alla media europea (fonte Eurostat), ma se escludessimo dal calcolo l indennità di accompagnamento, la distanza aumenterebbe notevolmente. Questo, mentre l offerta di servizi sociosanitari e sociali fatica a raggiungere la metà della media europea in tutti gli ambiti, sia domiciliari che residenziali. Si tratta di un tema noto; la scelta italiana in questi anni ha privilegiato i trasferimenti monetari rispetto all offerta di servizi e l offerta di servizi sanitari (garantiti da ospedali e Asl) rispetto a quelli sociali e di comunità di competenza dei Comuni. In questo scenario, non mi limiterei a riflettere solo su un eventuale ripensamento dell indennità di accompagnamento, perlomeno nello scenario attuale e in assenza di altre soluzioni immediate. Certamente, sarebbe utile ripensarla, anche in forme diverse e meglio collegate alla qualità controllabile del suo utilizzo. Sono però convinto che si debba avere il coraggio di affrontare in modo deciso soprattutto la spesa sanitaria. Oggi spendiamo troppo in esami di laboratorio, accertamenti strumentali, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri, utilizzo di alta tecnologia e troppo poco nei servizi di sostegno territoriali, soprattutto sociali. Va considerato come, sono dati noti, una spesa sanitaria elevata non produce automaticamente salute. Tuttora, ad esempio, la gran parte degli interventi sanitari si concentra nell ultimo anno di vita delle persone e, in questo momento specifico, è gravata da elevati tassi di inappropriatezza e ridotta proprozionalità. Riportare la spesa sanitaria verso interventi davvero efficaci favorendo un utilizzo mirato e riducendo il semplice consumo di prestazioni potrebbe garantire risorse adeguate da immettere nel sistema sociale e nella costruzione di un assistenza territoriale aggiornata e coerente con l evoluzione della domanda. In ogni caso, la tabella 1, che descrive la composizione della spesa destinata all assistenza continuativa per gli anziani non autosufficienti (long-term care) fra il 2004 e il 2013 e la sua evoluzione nel tempo, evidenzia come il modello italiano sia sostanzialmente statico e conferma le osservazioni precedenti: a) il ruolo assai rilevante dell indennità di accompagnamento;

7 SECONDO ME Servizi socio-sanitari (Asl) Indennità di accompagnamento ,45 0,52 0,48 0,65 Servizi sociali (Comuni) 0,11 0,15 Totale 1,05 1,32 Tabella 1 Spesa pubblica per l assistenza continuativa agli anziani non autosufficienti (long-term care), % del Pil Fonte: Ragioneria generale dello Stato, anni vari b) le maggiori risorse a disposizione delle Asl rispetto ai Comuni. La politica ha quindi un grande compito. Non si può restare fermi ed è necessario comprendere la centralità dei servizi di comunità e delle risposte sociali. E COSÌ LE PERSONE DOVRANNO CONTARE SULLE ASSICURAZIONI PRIVATE PER FAR FRONTE AI PROPRI BISOGNI Questo è un mito che a livello internazionale si è andato sgonfiando negli ultimi anni. Tutte le ricerche concordano nell affermare che solo un adeguato finanziamento pubblico potrà assicurare i necessari livelli di assistenza. La sfida è costruire un solido primo pilastro a finanziamento pubblico e integrarlo attraverso mix il più possibile complementare con forme private, a partire dalle assicurazioni, per chi se le può permettere. Nei paesi OCSE le assicurazioni private LTC sono poco diffuse. In termini di utenza, i mercati più ampi sono gli Stati Uniti, dove circa il 5% degli ultra 40enni ha una copertura assicurativa per la non autosufficienza e la Francia, dove la possiede circa il 15% della popolazione di pari età. Gli altri Paesi hanno valori più bassi. Inoltre, un recente studio dell OCSE osserva come stretti tra crisi economica e pressioni demografiche numerosi Paesi abbiano dedicato attenzione crescente alle assicurazioni private, immaginando potessero supplire ad un minore sforzo pubblico. Tuttavia, l OCSE evidenzia che questi sono destinati a rimanere prodotti di nicchia (Colombo et alii, Hellp Wanted, 2011): si tratta di una valutazione condivisa da tutti gli esperti del settore, sulla base tanto dei dati disponibili quanto del dibattito teorico. Bisogna poi evidenziare che le assicurazioni private si sviluppano maggiormente se svolgono una funzione integrativa di un intervento pubblico rafforzato e se le due fonti di finanziamento vengono coordinate. Lo dimostra il caso francese: il Paese transalpino, infatti, lo scorso decennio ha visto andare di pari passo una riforma tesa al rafforzamento della copertura pubblica (introduzione dell Apa, 2002) con la crescita dei fondi privati in funzione integrativa. Infine nel futuro prossimo (orientativamente nell arco di 20 anni) la capacità delle tutele assicurative private di rispondere ai bisogni degli anziani sarà ulteriormente limitata dal profilo dei beneficiari. Infatti, inizialmente le assicurazioni copriranno perlopiù persone non anziane, o perché le forme collettive sono rivolte solo a chi è in età da lavoro o perché le polizze individuali verranno sottoscritte da persone adulte pensando al proprio futuro. TRA 10 ANNI CI SARANNO MOLTI PIÙ ANZIANI DI OGGI E DOVRANNO ESSERCI PIÙ RISPOSTE ORGANIZZATE AI LORO BISOGNI. MA IL FUTURO POSSIBILE POTREBBE ESSERE: MENO RISORSE PUBBLICHE, PENSIONI PIÙ BASSE E MENO GIOVANI ANZIANI CHE SI OCCUPERANNO DEI GRANDI ANZIANI. COME FARE? Questo scenario è da tempo sottoposto ai programmatori politici con molta preoccupazione. Già oggi vediamo le conseguenze di ciò che avremmo dovuto programmare 30 anni fa: se le famiglie italiane non si fossero inventate il sistema delle badanti, dovremmo commentare oggi conseguenze molto gravi sugli indicatori di salute pubblica e di speranza di vita. Anche il pensiero programmatorio italiano sembra statico, tendenzialmente orientato verso limitate revisioni di modelli di intervento nel complesso datati, pensati in scenari ben diversi dagli attuali. Soprattutto in alcune Regioni, la rete dei servizi ruota attorno a poche soluzioni: quelle residenziali, a prevalente contenuto istituzionale, come le RSA e le loro limitate varianti; gli interventi ADI, sempre più sanitarizzati e prestazionali; i SAD comunali, in gravi difficoltà economiche e raramente ben integrati con l ADI; infine, poche esperienze semiresidenziali, come i centri diurni, che meriterebbero oggi un sostanziale ripensamento. Non mancano in realtà esperienze interessanti e anche di estrema validità in molti contesti italiani, ma è l impianto istituzionale nel suo complesso che fatica a sostenere un reale cambiamento. Ad esempio, sarà difficile parlare di integrazione fino a che Comuni, Asl, Aziende ospedaliere e Medicina generale continueranno ad operare con riferimenti e obiettivi più orientati a sottolineare le differenze e le reciproche aree di competenza che le effettive possibilità di azione comune. Se si analizzano le esperienze di altri Paesi è possibile osservare come proprio in questi ambiti si registrano riforme ormai molto mature e che hanno inciso profondamente sulla realtà dei servizi per anziani. Basti pensare ai Paesi Bassi, a quelli scandinavi, ma anche a Gran Bertagna, Francia, Germania e Spagna. In alcuni di questi Paesi, la rete dei servizi arriva a raggiungere il 25% della popolazione anziana. Soprattutto, è stata superata la tradizionale dicotomia fra risposte domiciliari e residenziali. I servizi domiciliari di nuova generazione molto orien-

8 SECONDO ME tati verso le risposte sociali e di base trovano una efficace integrazione nel miglioramento dell offerta abitativa, anche attraverso soluzioni molto originali e molto diffuse di case adatte o adattabili alle esigenze di chi è anziano e secondo una logica life-resistant. Anche negli stessi Stati Uniti, le forme abitative orientate a sostenere vita indipendente e vita assistita hanno ormai superato di numero le tradizionali Nursing Homes, favorendo una profonda revisione dell offerta domiciliare e della stessa offerta assicurativa, ora più orientata a sostenere in modo mirato gli interventi di long-term care. Si tratta di sfide che, prima o poi, l Italia dovrà affrontare con logiche simili. TUTTI VOGLIONO I CENTRI DIURNI, MA LA GENTE NON CI VUOLE ANDARE. COME MAI? In parte è la conseguenza dello scenario già descritto. I servizi diurni sono, per loro natura, un arricchimento e completamento dei servizi di comunità, non si può pensare che li sostituiscano. Se, come è avvenuto in alcune Regioni, si preferisce arricchirli di risposte sanitarie e avvicinare la loro immagine a volte la stessa localizzazione alle RSA, è quasi inevitabile che la loro offerta si concentri sulle popolazioni più gravi, non raramente già in lista di attesa per un ricovero permanente. Le logiche organizzative possono diventare escludenti e marginalizzanti, i costi aumentano e gli stessi anziani possono gradire meno il loro sostegno. I servizi semiresidenziali dovrebbero piuttosto valorizzare le funzioni di socializzazione e aggregazione, proponendosi nella realtà esistono in Italia molte esperienze interessanti, anche di tipo intergenerazionale come occasione per migliorare la qualità di vita e delle relazioni fra tutte le età. Potrebbero anche diventare il luogo idoneo a offrire alcuni servizi, ma senza mai specializzarsi troppo se non per far fronte a esigenze molto specifiche, come in alcune forme di demenza. Potrebbero anche, come sta avvenendo, allontanarsi dalle RSA e trovare migliore integrazione in centri polifunzionali di comunità che possono aggregare alloggi protetti o soluzioni leggere di vita assistista o entro i confini di interventi più ampi di housing sociale. Nel complesso, nella forma odierna, possono dare risposta solo a sottogruppi molto selezionati. LE ASL FORNISCONO SEMPRE MENO AUSILI PER GLI ANZIANI Dipende molto dai territori. Certamente tutte le Asl stanno rivedendo le proprie spese e ovunque sono in corso processi di razionalizzazione. Sicuramente è aumentata, da parte dei cittadini, in conseguenza dell età e dell aumento di patologie croniche, la richiesta di fornitura di ausili e questo genera un affanno diffuso in tutte le ASL nel rispondere alle domande. Una parte degli ausili richiesti è oggi di tipo specialistico e molto costoso, ma nella mia esperienza vengono garantiti anche in modo efficace: basti pensare alla nutrizione o ventilazione artificiale o ai comunicatori ad alta tecnologia per le persone con SLA. Sono forse migliorabili alcuni aspetti procedurali; ad esempio, non sempre le Asl sono ben attrezzate per recuperare gli ausili una volta che abbiano svolto la loro funzione o riescono a gestire al meglio e il successivo processo di revisione, riparazione e rimessa in circolo. In alcune Asl il sistema funzionale bene, in altre è fonte di gra- La Danimarca rappresenta sicuramente un riferimento di eccellenza. Nel 1976 il Governo danese ha deciso di assegnare la responsabilità di tutti i servizi di comunità domiciliari e residenziali, sanitari e sociali alle 275 Municipalità. Nel 1986, il Danish Act on Housing for the Elderly (Ældreboligloven) ha sancito l impossibilità di costruire nuove Nursing Homes e definito le linee di sviluppo di un sistema di welfare basato su soluzioni abitative adatte o adattabili alla vecchiaia, ben localizzate e ben integrate nel tessuto urbano. Nel 1996, la Danish Care Home Reform (Plejeboligreformen) ha rappresentato un ulteriore impulso per gli interventi di housing sociale e la definitiva revisione delle nursing homes*. Nel modello danese, abitare e servizi sono strettamente collegati. Tutte le persone possono ricevere interventi di pari qualità e quantità, indipendentemente dal luogo in cui essi dovranno essere garantiti: dimora naturale, housing sociale pubblico o privato, strutture specializzate a minore o maggiore protezione, nursing homes. L unica variabile è rappresentata dalle necessità delle persone, non dal luogo di erogazione. Il nuovo paradigma è nel complesso semplice. Se le case sono adatte, è più efficace spostare i servizi che costringere le persone a ripetuti cambiamenti nelle fasi più delicate della loro esistenza**. I servizi di sostegno domiciliare sono comunque diffusi e la responsabilità della loro erogazione è della municipalità. L offerta è molto ampia; sono possibili interventi di semplice sostegno logistico (consegne a domicilio, trasporti, sostegno domestico), servizi alla persona e servizi sanitari; tutti di intensità graduabile fino a livelli di intensità anche molto elevata. La continuità di cura è garantita dal governo delle municipalità, i cui servizi sono accessibili telefonicamente 24 ore su 24, mentre un case-manager accompagna il processo e governa tutti gli interventi necessari. (*) E. Colmorten, Providing integrated health and social care for older persons in Denmark, The Danish National Instituite of Social Research, March 2003, (**) The Danish Ministry of Housing, Urban and Rural Affairs. Fact sheet on housing for the elderly, ottobre 2014, files/dokumenter/publikationer/fact_sheet_on_the_danish_social_housing_sector.oct2014.pdf

9 SECONDO ME Il Paese che ha sperimentato una delle iniziative più interessanti è la Danimarca. Dal 1 gennaio 1988, per scelta politica, non si sono più costruite RSA (Plejehjem) e case protette, salvo situazioni eccezionali. Il Parlamento decise che le strutture residenziali tradizionali dovevano essere sostituite con abitazioni adeguate agli anziani e servizi flessibili adatti alle loro esigenze, integrati fra il sociale e il sanitario e forniti da uno staff permanente. La Svezia è stato il primo Paese scandinavo, all inizio degli anni 80, ad avviare un cambiamento nelle politiche assistenziali per gli anziani abbandonando la priorità delle strutture residenziali per privilegiare invece il mantenimento dell anziano al suo domicilio. In Svezia i Comuni hanno la responsabilità di ogni tipo di struttura residenziale per anziani comprese quelle propriamente sanitarie (sjukhem). Le politiche dei Paesi scandinavi hanno influenzato anche la Germania che oggi può contare su un considerevole numero di appartamenti adattati alle necessità degli utenti e che costituiscono lo strumento più importante per permettere agli anziani di condurre una vita autosufficiente ed evitare l istituzionalizzazione. Nel Regno Unito, dal 1993, anno dell avvio della riforma dei servizi sociali, i comuni sono i principali responsabili dell assistenza residenziale assumendosi anche la responsabilità delle strutture socio-sanitarie, che in precedenza dipendevano dal National Health Service. Nell ultimo decennio gli anziani ospitati nelle strutture residenziali sono diminuiti anche per il supporto di una rete importante di alloggi protetti per anziani. Tratto da: La relazione tra offerta di servizi di Long Term Care ed i bisogni assistenziali dell anziano, di A. Burgio, A. Battisti, A. Solipaca, S.C. Colosimo, L. Sicuro, G. Damiani, G. Baldassarre, G. Milan, T. Tamburrano, R. Crialesi e W. Ricciardi, ISTAT vi problemi. Localmente, anche il sistema di ammissione al beneficio può essere ridondante, richiedendo iter complessi anche per richieste molto semplici. In generale, però, non appare certo come l ambito più critico, almeno oggi. Domani, sarà tutto un altro discorso. L aumento delle malattie croniche e delle disabilità collegate impone cambiamenti nella destinazione delle risorse economiche. Previste, programmate e accompagnate. Altrimenti, questi problemi saranno inevitabilmente destinati a crescere. LE BADANTI SONO TUTTE STRANIERE, MA LE ITALIANE SONO PIÙ BRAVE È uno dei molti pregiudizi diffusi ma con molte sfumature fra Regione e Regione o fra Provincia e Provincia. Devo dire che, nella mia esperienza ho incontrato anche pregiudizi di senso opposto e verso gli operatori italiani. Gli anni recenti hanno visto un numero crescente di persone italiane impiegarsi come badanti: si tratta di un effetto della maggiore difficoltà di trovare altre occupazioni dovuta alla crisi, ma anche di alcuni iniziali segnali di contrazione dei flussi migratori. Secondo il sito (il più importante sito italiano in materia), della circa badanti che operano attualmente nel nostro Paese, le italiane sono circa il 10% del totale. Nel lavoro privato di cura si instaura una relazione molto particolare. All inizio può essere un po difficile, ma poi la relazione può diventare più spesso ricca e reciprocamente soddisfacente. Molte persone che provengono da culture diverse portano con sé capacità di accudimento che nel nostro Paese si sono un po affievolite e che i più anziani imparano a apprezzare. In Spagna si stanno sperimentando i Centri Multiservizi Servizi Integrati: vivere come in casa con meno sanitarizzazione e più sostegno e accompagnamento nel percorso di vita autonoma e attiva. Sono centri vivi, aperti, più attrattivi e flessibili e di maggior qualità di offerta: attorno allo stesso centro si avviano percorsi e processi di inclusione sociale con il resto della comunità. Da questi centri parte la teleassistenza, la promozione dell autonomia personale, l aiuto a domicilio, catering, lavanderia, centro diurno, assistenza personale e, quando necessaria, assistenza residenziale. La persona anziana può usufruire di questi multiservizi a sua scelta e/o dei propri familiari decidendo di vivere in maniera permanente nel Centro o usufruire di opportunità di accudimento nel prendere un caffè, dormine nel fine settimana o per settimane, sostare per solo la giornata o solo la notte, farsi lavare la biancheria o farsi fornire il pasto per conto del Centro, in maniera duratura o saltuaria. Naturalmente il servizio residenziale è struttura in unità di convivenza per persone che vivono come se fossero nella loro casa. Le persone hanno il loro appartamento personale ma condividono nello stesso nucleo di convivenza il soggiorno, la cucina, la sala da pranzo, sale comuni per il tempo libero e attività: l idea è di permettere agli ospiti di poter personalizzare il proprio ambiente circostante, arredare il proprio appartamento. Ciascun ospite ha un referente personale che lo accompagna nel suo progetto di invecchiamento attivo, offrendo il suo contributo nella routine quotidiana e soprattutto nei casi di necessità e urgenze, informando personalmente i familiari dell anziano. La famiglia naturalmente partecipa al programma di vita, nonostante il proprio anziano sia in residenza, anche trascorrendo buona parte della propria giornata nel centro, secondo le proprie disponibilità. Gli stessi centri multiservizi possono contenere unità di convivenza sociosanitaria destinate a persone in situazione di dipendenza che in maniera provvisoria o definitiva non possono continuare la loro vita con un assistenza sociosanitaria nel proprio domicilio. Tratto da: abitaresociale.net

10 SECONDO ME Quali ausili? I dispositivi di serie sono quelli con caratteristiche polifunzionali, costruiti con metodi di fabbricazione continua o in serie, che non necessitano dell intervento di un tecnico abilitato per essere personalizzati al paziente. Qualche esempio: i cateteri, i cuscini e i materassi antidecubito, il comunicatore simbolico, le stampanti Braille ecc. I dispositivi su misura sono quelli realizzati singolarmente in conformità ad una prescrizione medica e sono destinati ad essere applicati o utilizzati solo da un determinato paziente, secondo metodi che prevedono sempre la rilevazione di grafici, misure, calchi, anche quando nella lavorazione sono utilizzate parti realizzate in serie. Eccezionalmente, infatti, sono considerati dispositivi su misura anche quei prodotti realizzati in serie che, per essere utilizzati da un determinato paziente, necessitano di un intervento di un tecnico abilitato, dietro prescrizione del medico specialista Qualche esempio: le carrozzine elettroniche o leggere, le scarpe ortopediche, i plantari, i rialzi ecc. Questi ausili sono riportati nel primo elenco del primo allegato al regolamento. L ultimo elenco di ausili è composto da quelli acquistati direttamente dalle Aziende Uls e dati in comodato d uso all assistito. Si tratta di dispositivi assai particolari ed importanti: ventilatori polmonari, apparecchi per l alimentazione enterale, montascale ecc. Possono essere forniti anche ausili non compresi in nessuno dei tre elenchi, ma riconducibili per omogeneità funzionale ad un prodotto previsto. In tal caso il prescrittore deve motivare con chiarezza la riconducibilità e supportarla con un adeguato programma terapeutico. Tratto da. Area di provenienza Area Geografica Nord Centro Sud Totale Est Europa UE 21,2 21,1 19,9 20,9 Est Europa Altri 20,1 27,4 30,8 24,5 Nord Africa 9,4 4,2 9,4 7,8 Altri Africa 9,7 3,5 8,6 7,6 Asia 20,6 21,8 19,8 20,8 America Latina 19, ,5 18,4 Totale Tabella 2 Principali aree e paesi di provenienza dei collaboratori di origine straniera, per area geografica (val. %) Fonte: indagine Censis-Ismu, 2012 Non si tratta solo di un lavoro; più spesso si tratta di due persone che devono imparare prima di tutto a vivere insieme. Ma, il fatto che questa relazione funzioni di solito abbastanza bene, non deve far dimenticare che si tratta di un modello molto delicato; si confrontano due soggetti deboli, in un contesto che può essere confinato e poco permeabile all osservazione esterna. I pericoli ci sono e per entrambi i poli della relazione. È un sistema che deve essere monitorato e tutelato: da un lato le assistenti domestiche rappresentano oggi il pilastro istituzionale del sistema di cura; dall altro, resta da comprendere se davvero una domanda cosi rilevante possa continuare ad essere affrontata in modo così informale. È importante evidenziare quanto preziosi siano questi spazi occupazionali e di servizio per chi lavora e per chi richiede e quanto sia necessario collocarli all intero di una programmazione che favorisca la messa a regime anche di questi modelli. Assistenza Domiciliare, oggi, è anche questo. Può diventare una libera invenzione delle famiglie e restare totalmente limitata all interazione privata fra persone, o può essere integrata in un sistema di offerta più ampio e meglio governato, che riconosca la priorità di queste funzioni di sostegno e provi a garantirle in integrazione con gli altri servizi. In fondo, le scelte di altri Paesi già citati sono andati in questa direzione, creando lavoro e nuovi lavori e garantendo servizi proporzionati, diffusi, prossimi e graditi. È DIFFICILE TROVARE BADANTI A TEMPO PIENO Esistono alcuni segnali che avvertono del fatto che questa modalità di cura possa modificarsi nei prossimi anni, per diversi motivi. Ad esempio, il Rapporto 2014 Censis-Unipol descrive i primi segnali di crisi del welfare familiare; nel 2014 la spesa sanitaria privata si è ridotta per la prima volta (-5,7%) (Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali. Integrare il welfare, sviluppare la white economy. Censis, Unipol. Roma, 2014). Un calo delle presenze delle badanti, regolari e non (-2,6%) si è registrato invece, soprattutto in alcune Regioni, già a partire dal 2012 (Tidoli R., Le badanti lombarde e la crisi, in Lombardia Sociale, 24 ottobre 2013 (www. lombardiasociale.it)). Il fenomeno potrebbe essere ricondotto a motivi economici legati alle famiglie o ai cambiamenti prevedibili delle storie delle persone e dei paesi. Non da meno, chi è in Italia da più tempo, cerca anche di migliorare la propria condizione; ad esempio, può avere il tempo per veder riconosciuto il valore legale di un proprio titolo di studio o acquisirne di propri. Nel complesso, sono frequenti i percorsi di integrazione sociale di persone straniere ormai in Italia da anni, che sempre più possiedono un alloggio autonomo e sono protagoniste di percorsi di ricongiungimento familiare 1. Quindi, non necessariamente oggi è difficile trovare un assistente familiare convivente, ma è probabile che lo diverrà domani. 1] S. Pasquinelli e G. Rusmini (2013), Il punto sulle badanti, in L assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, Quarto Rapporto Tra crisi e ripartenza, a cura del Network Non Autosufficienza, Rimini, Maggioli, pp

11 POLITICHE IL COSTO ECONOMICO DELLA NON AUTOSUFFICIENZA Matteo Luppi* Il grado di disabilità è un rilevante fattore di incremento del rischio di povertà LA DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA La popolazione anziana sembra essere in controtendenza rispetto alle dinamiche generate dall attuale crisi economica. Una recente ricerca (CENSIS) mostra che negli ultimi vent anni ( ) la ricchezza netta delle famiglie anziane è cresciuta del 117,8%, ovvero più del doppio di quella del totale delle famiglie italiane, ferma al 56,8%. In particolare si è assistito ad uno spostamento della ricchezza privata verso le famiglie più anziane a discapito del resto della popolazione, e specialmente delle generazioni più giovani. Se nel 1991 la ricchezza familiare era prodotta prevalentemente dalla popolazione attiva, e alla popolazione anziana restava solo una piccola fetta della torta, negli ultimi vent anni i ruoli sono lentamente cambiati, e oggi le famiglie anziane detengono più di un terzo della ricchezza totale (34,2%). La recente crisi economica ha inoltre inasprito questo divario. Banca Italia (Brandolini, 2013) ha dimostrato che la stagnazione dei redditi e la crescente insicurezza occupazionale hanno generato un complessivo peggioramento della condizione economica delle famiglie italiane ed un aumento dalla quota di coloro che vivono con un reddito al di sotto della soglia di povertà. Questo fenomeno ha interessato però solo in minima parte la popolazione anziana, ed ha colpito principalmente le fasce più giovani e la popolazione in età lavorativa, interessando categorie sociali fin ad ora escluse da questi rischi (ad esempio famiglie con doppio reddito o lavoratori autonomi, ma anche famiglie con uno o due figli minorenni). LA DIFFUSIONE DELLA POVERTÀ L ultimo rapporto della CARITAS (2014) sulle politiche contro la povertà in Italia permette di cogliere nel dettaglio i mutamenti sociali avvenuti negli ultimi anni. Tra il 2007 e il 2012 il numero di individui che sperimentavano la povertà assoluta 1 è raddoppiato passando da 2,4 a 4,8 milioni, che in termini percentuali significa un incremento di 4 punti, dal 4,1% della popolazione italiana del 2007, all 8% del L unico segmento della popolazione che ha visto il tasso di povertà rimanere quasi stabile nel periodo in esame, con un incremento ben al di sotto di quello medio o addirittura negativo, sono gli anziani. Il tasso di povertà assoluta individuale, ossia la percentuale di individui che esperimentano povertà assoluta, relativo alla popolazione anziana, registra negli ultimi 5 anni una, seppur minima, riduzione passando dal 6,6% del 2007 al 6,2% del La situazione non cambia se si ragiona sui dati a livello familiare, che consentono una migliore comprensione dei diversi profili della povertà rispetto ai dati individuali. Nelle famiglie con almeno un anziano il tasso di povertà assoluta è salito dal 5,4% al 6,1%, con un incremento di +0,7%, valore nettamente inferiore rispetto all incremento medio relativo alla totalità della popolazione pari a +2.7% (dal 4,1% del 2007 al 6,8% del 2012). Occorre però prestare particolare attenzione all interpretazione di questi dati. Essi evidenziano un chiaro mutamento ed ampliamen- *] Ha da poco terminato l European PhD in Socio-Economic and Statistical Studies (SESS) presso l Università La Sapienza e collabora con diverse associazioni ed enti di ricerca. Si occupa di analisi quantitative riguardanti il settore delle politiche sociali e di welfare. I suoi interessi riguardano l invecchiamento della popolazione, la povertà e la disuguaglianza sociale, con particolare attenzione ai processi intergenerazionali.

12 POLITICHE to dei profili della povertà a discapito di nuove fasce della popolazione e suggeriscono una relativa riduzione del rischio di povertà per la popolazione anziana. Nonostante ciò l analisi sulla distribuzione della ricchezza tende a qualificare la valutazione ottimistica della situazione economica degli ultrasessantacinquenni. I redditi pensionistici confermano quanto la ricchezza familiare sia distribuita in modo tutt altro che uniforme: più del 40% degli anziani riceve una pensione lorda inferiore ai mille euro, e il valore medio (lordo) delle pensioni è pari a euro. Appare chiaro che nonostante il periodo di crescita e le generose (e onerose) politiche pensionistiche beneficiate dalla popolazione nata a cavallo degli anni 40 ed entrata nell età anziana a partire dagli anni 2000, un ampia parte della popolazione anziana non possiede sufficienti risorse economiche per far fronte ai possibili rischi derivanti dall invecchiamento, come il deterioramento delle capacità psico-fisiche e la conseguente non-autosufficienza. Questo equilibrio precario è aggravato dal limitato ruolo di supporto svolto dal sistema pubblico italiano, il quale, non avendo sufficienti mezzi economici per rispondere adeguatamente alla necessità di assistenza espressa dalla popolazione non-autosufficiente, delega alle famiglie la responsabilità di cura dei propri cari. Secondo i dati SHARE (Survey on Health, Ageing and Retirement in Europe) infatti, nel 2007 in Italia, più del 25% della popolazione di età compresa tra 50 e 64 anni presta assistenza volontariamente ai propri genitori o suoceri, dedicando in media più di 70 ore mensili. Inoltre, al netto della spesa sostenuta delle famiglie italiane per operatrici di cura irregolari di difficile se non impossibile stima, circa il 35% della spesa complessiva destinata alla non-autosufficienza è pagato di tasca propria da parte dei beneficiari 2. Per avere un idea di quanto sia gravosa la condizione di disabilità per le famiglie italiane basti pensare che nel mila famiglie hanno dovuto utilizzare tutti i risparmi per pagare l assistenza, 190mila hanno dovuto vendere l abitazione con la formula della nuda proprietà, e 152mila si sono dovute indebitare (CENSIS). ANZIANI, NON AUTOSUFFICIENZA E POVERTÀ Se, come abbiamo visto, l anzianità di per sé non rappresenta più un fattore di rischio in termini di povertà, appare chiaro che la duplice condizione di anziano e non autosufficiente comporta un elevato rischio di povertà economica. Ai fini di valutare l esistenza di una relazione tra la condizione di non-autosufficienza e rischio di povertà abbiamo fatto ricorso ad un modello che mettesse in relazione da un lato tale rischio, utilizzando l indicatore monetario di povertà definito rischio di povertà 3, dall altro i possibili fattori sia di prevenzione che di incremento del rischio di povertà per le famiglie di anziani non autosufficienti. Tra gli elementi che possono potenzialmente limitare il peso economico connesso alla cura sono stati considerati sia i servizi formali di assistenza e cura ricevuti dagli anziani (tenendo in considerazione sia la frequenza che l intensità), che l ammontare delle prestazioni monetarie specificatamente rivolte alla non autosufficienza. L incidenza delle spese di cura sui redditi familiari, l intensità delle cure informali fornite e il grado di non-autosufficienza sono stati invece considerati fattori di incremento del rischio di povertà. L obiettivo della ricerca è stato quello di stimare l incremento della probabilità del rischio di povertà causato dalla condizione di non autosufficienza sia per la popolazione anziana, che per i loro principali fornitori di cura, i loro figli adulti 4. L analisi ha interessato sei Paesi europei 5 e in questo articolo riportiamo i principali risultati relativi al contesto italiano (il box 1 riporta una sintesi schematica dei risultati degli altri Paesi). La ricerca mostra che il grado di disabilità è un considerevole fattore di incremento del rischio di povertà, e che, al contrario di quanto visto in precedenza in relazione alla popolazione anziana, la recente crisi economica aumenta la probabilità di essere esposti a tale rischio. La figura 1(a) 6 mostra che, ad eccezione del , gli anziani non autosufficienti presentano una probabilità di vivere in una famiglia con un reddito al di sotto della soglia di povertà maggiore rispetto al resto della popolazione anziana. Il grafico evidenzia che tale probabilità aumenta tra gli anni pre e post crisi economica, passando da valori prossimi all 1 a probabilità di circa 50%, 100% volte superiori rispetto alla probabilità del resto della popolazione anziana. Risulta interessante notare inoltre che l Italia è l unico Paese, tra i sei analizzati, in cui la propensione al rischio di povertà degli anziani affetti da un grado di non autosufficienza moderato appare più marcata rispetto a coloro che sono colpiti da disabilità media o grave. Questo aspetto può in parte essere spiegato dalle caratteristiche della principale prestazione monetaria italiana, l indennità di accompagnamento. L assenza di una progressività del suo importo

13 POLITICHE Figura 1 Popolazione ultrasessantacinquenne, probabilità del rischio di povertà per livello di disabilità e per quartili di incidenza di spese di cura sul reddito famigliare Note: Categorie di riferimento: popolazione non affetta da non autosufficienza (a); nessuna incidenza delle spese di cura (b). Q1, Q2, Q3 e Q4 indicano i quartili della distribuzione dell incidenza delle spese sul reddito, dove Q1 indica una incidenza inferiore al 4% del reddito familiare e Q4 indica una incidenza superiore al 20% del reddito familiare. Fonte: Elaborazione dell autore su dati SHARE (wave 1, 2 e 4). né rispetto al grado di disabilità né rispetto al reddito del beneficiario, rischia di generare una situazione duplicemente svantaggiosa: gli anziani affetti da elevata disabilità ricevono un trasferimento il cui importo è significativamente inferiore alle spese di cura da loro sostenute, mentre coloro che presentano livelli moderati di non autosufficienza devono far affidamento interamente sulle proprie risorse, in quanto esclusi dalla ricezione di tale prestazione. Inoltre tra la popolazione non-autosufficiente le categorie più esposte al rischio di povertà sono coloro che vivono da soli, e che non possono beneficiare direttamente dell aiuto informale da parte dei familiari; aiuto che la ricerca ha dimostrato essere un elemento di protezione dal rischio di impoverimento per le famiglie di anziani non autosufficienti. Oltre che dallo stato di salute, il rischio di povertà della popolazione anziana non autosufficiente è seriamente influenzato dall incidenza delle spese di cura. Come mostra la figura 1(b), in Italia alti livelli di spesa in proporzione al reddito causano un significativo aumento della probabilità di vivere al di sotto della soglia di povertà. Questo dato sembra indicare che nonostante l accesso ai servizi e ai trasferimenti per la cura sia regolato da requisiti di reddito (come l ISEE), gli anziani che vivono con redditi bassi o al di sotto della soglia di povertà devono comunque sostenere spese di cura molto elevate in relazione alle loro disponibilità economiche. I dati SHARE mostrano infatti che le famiglie italiane di over 65 non autosufficienti con un reddito compreso nel primo quartile della distribuzione spendono per la cura circa il 40% del loro reddito. Inoltre l analisi dell incidenza delle spese di cura sul reddito evidenzia chiaramente quanto sia onerosa la condizione di non autosufficienza: Il valore medio dell incidenza di queste spese sul reddito familiare per la popolazione ultrasessantacinquenne a rischio di povertà è pari a 17,4%, mentre se si restringe l osservazione alle famiglie con un membro non autosufficiente, tale valore medio raddoppia, e sale al 30,16%. LA POVERTÀ TRANSGENERAZIONALE La ricerca inoltre evidenzia che la condizione di non autosufficienza rappresenta un ulteriore elemento di trasmissione delle diseguaglianze di reddito tra genitori e figli. La caratteristica intergenerazionale del rischio di povertà si accentua nel caso degli anziani non-autosufficienti che vivono soli. L analisi, a tal proposito, evidenzia che la probabilità dei rispettivi figli adulti di vivere in una famiglia a rischio di povertà aumenta di anno in anno tra il 2004 e il Questo rischio è più forte tra i figli di anziani con livelli di disabilità elevata, che nel 2012 presentano una probabilità di vivere in famiglie a rischio di povertà superiore del 50% rispetto ai figli adulti di anziani senza problemi di non-autosufficienza. Una possibile causa di questo impoverimento deriva dal tempo dedicato alla cura e potenzialmente sottratto al lavoro. In Italia fornire ai propri familiari anziani un elevato numero di ore mensili di assistenza incrementa la probabilità del rischio di povertà dei figli

14 POLITICHE adulti: tra il 2004 e il 2012, i familiari che prestano un alta intensità di cure informali presentano una costante crescita della probabilità di vivere in una famiglia con un reddito al di sotto della linea di povertà, probabilità che nel 2012 raggiunge più del 60%. Questi aspetti evidenziano che l attuale condizione del sistema di assistenza agli anziani, e l implicita delega della responsabilità di cura verso le famiglie hanno generato una situazione in cui la non autosufficienza vincola le condizioni economiche non solo dei diretti interessati e delle loro famiglie, ma colpisce anche le generazioni più giovani, i quali sono obbligati a sacrificare la serenità economica per far fronte alle necessità dei propri genitori. CONCLUSIONI L analisi evidenzia che il settore di cura rivolto agli anziani, contraddistinto da un assenza di riforme di carattere nazionale e da continui tagli alla spesa sociale, non è efficace nel proteggere la popolazione anziana non autosufficiente dal rischio di povertà. Inoltre emerge un aspetto preoccupante: la recente crisi economica ha acuito la relazione tra non-autosufficienza e povertà. Alla luce dei dati presentati nella prima parte dell articolo, che mostrano LETTURE... Bibliografia Brandolini A., (2013), The Big Chill. Italian Family Budgets after the Great Recession, Forthcoming in C. Fusaro and A. Kreppel (eds.), Italian Politics 2013, New York, Berghahn. Caritas, (2014), Il bilancio della crisi, le politiche contro la povertà in Italia, rapporto 2014, Censis, (2014), anticipazione primi risultati della ricerca Longevi e non autosufficienti in Italia: il piano della cultura sociale collettiva realizzata in collaborazione con Fondazione Generali, comunicato_stampa= un relativo miglioramento della condizione degli ultrasessantacinquenni, questa considerazione evidenzia quanto la condizione di non-autosufficienza sia da considerarsi un problema sociale multiplo, che vincola la vita degli anziani oltre che dal punto di vista psico-fisico anche dal punto di vista economico. In secondo luogo, la condizione dei figli adulti di anziani non autosufficienti deve essere vista prospetticamente. L invecchiamento della popolazione comporterà un aumento dei costi di cura, sia pubblici che privati, a fronte di una riduzione della fascia attiva della popolazione. La componente intergenerazionale del rischio di povertà connesso alla non-autosufficienza pone il governo davanti ad una duplice responsabilità: sostenere e proteggere gli anziani dai rischi connessi alla non-autosufficienza, e prevenire il rischio di povertà dei loro figli adulti. I prossimi pensionati avranno infatti redditi nettamente inferiori rispetto agli attuali, e saranno molti di più di oggi, e l onere della cura e dell assistenza spetterà a una sempre più ridotta popolazione in età lavorativa, che non avrà le forze necessarie per far fronte autonomamente a questo compito. 1] La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza. Una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario. 2] Stima ottenuta in base ai dati System of Health Accounts (SHA). 3] Questo indicatore è costruito a livello famigliare e considera a rischio di povertà coloro che vivono in una famiglia con un reddito inferiore al 60% del valore mediano della distribuzione dei redditi nazionale. 4] L analisi condotta si è basata su dati SHARE, ricerca multidisciplinare e cross-national che fornisce micro dati sullo stato di salute, sulla condizione socio-economica e sul supporto sociale e familiare delle popolazioni dei Paesi europei ultracinquantenne e non istituzionalizzata. 5] I risultati presentati in questo articolo riguardano un analisi comparativa svolta su un ristretto campione di Paesi europei, nello specifico: Italia, Spagna, Polonia, Francia, Svezia e Belgio. 6] Il grafico riporta i risultati di modelli di regressione logistica: valori di rapporto di probabilità superiori a 1 indicano crescenti probabilità di essere a rischio di povertà rispetto alla categoria di riferimento.

15 POLITICHE NUOVO ISEE E FAMIGLIE NUMEROSE Franco Pesaresi* Il nuovo Isee è stato approvato con d.p.c.m. 5 dicembre 2013, n. 159 per superare le criticità evidenziate dall uso ultradecennale del vecchio Isee. Con la nuova norma, molti dei problemi posti dal dibattito sembrano essere superati o ridimensionati, mentre rimane aperta la discussione sull orientamento dell Isee nei confronti delle famiglie numerose. Il quesito dunque è: il nuovo Isee tutela le famiglie numerose? LA POSIZIONE DELLE ASSOCIAZIONI L Associazione nazionale famiglie numerose (Anfn) e il Forum delle Associazioni familiari ritengono che il nuovo Isee non tuteli adeguatamente le famiglie numerose. L Associazione afferma che il nuovo modello non solo non ha risolto quei limiti di scarsa equità che già caratterizzava il vecchio Isee, ma per certi versi, li ha anche peggiorati. In particolare afferma che le scale di equivalenza, pur se lievemente migliorate per le famiglie con tre o più figli, non restituiscono i pesi che effettivamente rappresentano i figli all interno delle spese familiari (Associazione nazionale famiglie numerose, 2014). Inoltre, sono dimenticate le famiglie con sei, sette e otto figli (Bolzonaro, 2014). Le due associazioni da molto tempo chiedono che l Isee riconosca un maggior peso per le famiglie con figli ed in particolare di quelle con più di 2 figli. Anche in passato, a proposito del vecchio Isee, l Anfn rilevava che le economie di scala in presenza di più componenti non permettono risparmi molto superiori al 20% perché alcune spese come quelle mediche e dell istruzione dei figli sono indivisibili. Secondo l Anfn per mantenere inalterato il livello di vita di ogni componente, la scala di equivalenza dovrebbe valutare i figli, riconoscendo loro un parametro pari a 0,785 a figlio. Non viene specificato il metodo di calcolo di tale proposta quantitativa, se non che la stessa si avvicina al quoziente familiare alla francese, al quoziente Parma oggi annullato e al Fattore famiglia del Forum (Anfn, 2013). Il Forum delle Associazioni familiari (2012), sempre su questa linea, rileva che la scala di equivalenza non valuta in modo realistico l effettivo impatto del costo dei figli man mano che il loro numero cresce: una indagine condotta su un campione di ventimila famiglie su dati Istat, afferma il Forum, evidenzia come il primo figlio da 0 a 18 anni costa mediamente 0,5 volte il costo di un adulto, il secondo figlio costa 0,62 volte, il terzo figlio costa 0,78 volte e così via (Forum famiglie, 2012). Per comprendere il peso delle proposte delle Associazioni occorre rammentare che il vecchio e il nuovo Isee prevedono un parametro di 0,35 per ogni ulteriore membro familiare superiore al quinto a cui si aggiungono le maggiorazioni per i figli. Molto meno di quello proposto dalle Associazioni. *] Direttore Azienda servizi alla persona Ambito 9 Jesi (AN).

16 POLITICHE Componenti familiari Isee (D.P.C.M. 159/2013) Proposta Forum Associazioni familiari OECD USA (Orshansky) UK (CSO/DSS) 1 1,00 1,00 1,00 1,00 1,00 2 1,57 1,60 1,70 1,26 1,52 3 2,04 2,20 2,20 1,51 1,93 4 2,46 2,80 2,70 1,89 2,30 5 2,85 3,60 3,20 2,23 2,63 6 3,20 4,40 7 3,55 5,20 8 3,90 6,00 Maggiorazioni nuovo Isee (d.p.c.m. 159/2013): 0,35 per ogni ulteriore componente; 0,2 in caso di tre figli minorenni, 0,35 in caso di quattro figli minorenni, 0,5 in caso di almeno cinque figli minorenni; 0,2 per nuclei familiari con figli minorenni, elevata a 0,3 in presenza di almeno un figlio di età inferiore a tre anni compiuti, in cui entrambi i genitori o l unico presente abbiano svolto attività di lavoro e di impresa per almeno sei mesi nell anno di riferimento dei redditi dichiarati. Maggiorazioni proposte dal Forum associazioni familiari 0,67 per ogni adulto in più; 0,78 per ogni figlio a carico fino a 26 anni; 1,2 in caso di presenza di disabile grave; 0,2 in caso di assenza di coniuge e presenza di figli minori; 0,2 per nuclei familiari con figli minori, in cui entrambi i genitori svolgono attività di lavoro e di impresa. Tabella 1 Confronto fra diverse scale di equivalenza Fonte: Cerea (2011) modificato; Pesaresi (2012) LA SCALA DI EQUIVALENZA DELL ISEE La proposta principale delle associazioni di rappresentanza delle famiglie numerose è dunque quella di una modifica della scala di equivalenza dell Isee. Ma che cosa è la scala di equivalenza? La scala di equivalenza è composta da una serie di coefficienti (che aumentano di valore all aumentare del numero dei componenti familiari), che consentono di rapportare il reddito familiare al numero dei componenti. La scala di equivalenza deve tener conto contemporaneamente dei maggior costi che ogni componente aggiuntivo comporta per ogni famiglia, così come delle economie di scala di cui la famiglia stessa beneficia al crescere del numero dei componenti. In altri termini, il costo per ogni componente aggiuntivo non è unitario, ma rappresenta una frazione di costo rispetto alla struttura familiare di partenza, poiché alcune voci di spesa familiare crescono meno che proporzionalmente rispetto al numero dei suoi componenti (Pesole Raitano, 2012). Per esempio, la spesa pro-capite di riscaldamento di una famiglia di due persone sarà sostanzialmente della metà in un alloggio simile abitato da una sola persona. Discorso similare si può fare per le spese pro-capite per l illuminazione dell alloggio che si riduce più che proporzionalmente al crescere dei componenti della famiglia. Uno stesso reddito monetario complessivo percepito da un single o da una famiglia di quattro componenti è rappresentativo di tenori di vita fortemente distanti. Per questo, i redditi di nuclei di diversa struttura vanno allora resi comparabili attraverso le cosiddette scale di equivalenza. Il rapporto fra il reddito familiare complessivo e la scala di equivalenza fornisce il reddito equivalente, ovvero il livello di benessere goduto da ogni singolo componente del nucleo indipendentemente dalla dimensione familiare. L importanza delle economie di scala familiari sconsiglia di considerare come indicatore del tenore di vita familiare il semplice reddito procapite, utilizzando dunque come scala il mero numero dei componenti. Per mantenere immutato il benessere economico, al crescere dei componenti il reddito familiare complessivo deve presumibilmente crescere in misura meno che

17 POLITICHE proporzionale. La scala di equivalenza indica infatti di quanto debba variare il livello del reddito familiare complessivo all aumentare del numero di componenti per mantenere immutato il benessere economico (Pesole, Raitano, 2012). Il d.p.c.m. 159/2013 sull Isee non modifica la vecchia scala di equivalenza del 1998 (cfr. tabella 1), ma vengono invece modificati i parametri aggiuntivi che si aggiungono alla scala di equivalenza costituendone parte integrante, nel modo seguente: maggiorazioni per nuclei familiari con figli minorenni: a) 0,2 in caso di tre figli minorenni, 0,35 in caso di quattro figli minorenni, 0,5 in caso di almeno cinque figli minorenni; b) 0,2 per nuclei familiari con figli minorenni (come prima), elevata a 0,3 in presenza di almeno un figlio di età inferiore a tre anni compiuti, in cui entrambi i genitori o l unico presente abbiano svolto attività di lavoro e di impresa per almeno sei mesi nell anno di riferimento dei redditi dichiarati; c) la maggiorazione di cui alla lett. b) si applica anche in caso di nuclei familiari composti esclusivamente da genitore solo non lavoratore e da figli minorenni; ai soli fini della verifica del requisito di cui al periodo precedente, fa parte del nucleo familiare anche il genitore non convivente, non coniugato con l altro genitore, che abbia riconosciuto i figli, (a meno che non ricorra uno dei casi di cui all articolo 7, comma 1, lettere dalla a) alla e) del d.p.c.m. 159/2013) 1. Rimane invece identico alla precedente normativa sull Isee l incremento di 0,35 per ogni ulteriore componente oltre il quinto. Al fine di trattare con maggior attenzione le famiglie numerose sono state introdotte, come abbiamo visto, le maggiorazioni per 3 o più figli che in precedenza non erano previste. Scompare invece dalle scale di equivalenza il parametro aggiuntivo dello 0,50, precedentemente riconosciuto per i nuclei in cui fosse presente una persona con disabilità con invalidità superiore al 66% sostituito dalla contemporanea introduzione della franchigia da a euro in presenza di un soggetto disabile. Scompare, infine, la maggiorazione di 0,2 in caso di assenza del coniuge e presenza di figli minori. IL NUOVO ISEE FAVORISCE O PENALIZZA LE FAMIGLIE NUMEROSE? Le modalità di calcolo dell Isee contenute nel d.p.c.m. 159/2013 introducono delle novità nel trattamento di alcune tipologie familiari con carichi particolarmente gravosi, segnatamente le famiglie numerose (con tre o più figli) e le famiglie con disabili. Per le famiglie numerose vengono introdotte specifiche maggiorazioni alla scala di equivalenza, con l effetto di ridurre il valore dell Isee. Queste uniche correzioni nelle maggiorazioni e non nella scala di equivalenza non hanno trovato il consenso del Forum delle Associazioni familiari. Questo organismo chiede da tempo la revisione della scala di equivalenza puntando ad accrescere i valori dei parametri per le famiglie con un maggior numero di componenti arrivando a parametri che superano significativamente quelli utilizzati dai Paesi industrializzati (cfr. tabella 1). Nel loro complesso, le modificazioni dei coefficienti della scala di equivalenza che il Forum propone di adottare non sembrano riflettere il costo aggiuntivo che l una o l altra delle situazioni di disagio individuate comportano per il nucleo familiare, ma sono definite in modo arbitrario (Guerra, 2010). In altre parole, fatta salva la legittimità della richiesta di una maggiore attenzione per le famiglie numerose è la misura proposta che appare non convincente. Nel complesso il d.p.c.m. 159/2013 raccoglie l esigenza di dare un maggior peso alle famiglie numerose aumentando i parametri aggiuntivi per le famiglie con 3 o più figli. Questo si traduce in una scala di equivalenza che cresce rispetto al vecchio Isee del 9,8% nelle famiglie con tre figli, del 13,2% nelle famiglie con 4 figli, del 16,0% in quelle con 5 figli e del 14,6% in quelle con 6 figli, ecc. (cfr. tabella 2). Si rammenta che la scala di equivalenza, essendo il divisore del reddito familiare per renderlo equivalente, riduce il valore Isee. Pertanto, più è alto il valore della scala di equivalenza più è basso il valore dell Isee. Nel caso delle famiglie numerose pertanto il valore Isee, a parità di altre condizioni economiche della famiglia, con il d.p.c.m. 159/2013 si riduce del 10-16% rispetto alla situazione normativa precedente. Per le famiglie con 6-8 figli la riduzione del valore Isee è del 12,5-14,6%. Possiamo pertanto arrivare ad una prima conclusione che spazza via una parte degli argomenti critici evidenziati all inizio: il nuovo Isee migliora in modo significativo la valutazione dei redditi equivalenti delle famiglie numerose abbassandone i valori. Si tratta adesso di valutare se questa modificazione è insufficiente, equa oppure addirittura eccessiva.

18 POLITICHE Componenti famiglia Scala di equivalenza Vecchi parametri aggiuntivi Nuovi parametri aggiuntivi Differenze parametri Nuovo/vecchio 4 di cui 2 figli (uno con meno di 3 anni) 2,46 +0,20 Per presenza figli minori +0,30 (0,2+0,1) +0,10 5 di cui 3 figli (uno con meno di 3 anni) 2,85 +0,20 Per presenza figli minori +0,50 (0,2+0,2+0,1) +0,30 6 di cui 4 figli (uno con meno di 3 anni) 3,20 +0,20 Per presenza figli minori +0,65 (0,35+0,2+0,1) +0,45 7 di cui 5 figli (uno con meno di 3 anni) 3,55 +0,20 Per presenza figli minori +0,80 (0,5+0,2+0,1) +0,60 8 di cui 6 figli (uno con meno di 3 anni) 3,90 +0,20 Per presenza figli minori +0,80 (0,5+0,2+0,1) +0,60 Tabella 2 La scala di equivalenza delle famiglie numerose fra vecchio e nuovo Isee IL NUOVO ISEE È EQUO CON LE FAMIGLIE NUMEROSE? Numero di componenti Isee Italia Stima sui consumi attuali OECD Proposta Forum Associazioni familiari 1 1,000 1,000 1,00 1,00 2 1,570 1,640 1,70 1,60 3 2,040 2,164 2,20 2,20 4 2,460 2,626 2,70 2,80 5 2,850 3,046 3,20 3,60 6 3,200 3,436 4,40 7 3,550 3,802 5,20 8 3,900 4,150 6,00 9 4,250 4, ,600 4,801 Tabella 3 Scala Isee e scale di equivalenza alla Engel stimate in Italia e nel Sud e isole Fonte: Pesole, Raitano (2012) modificata Non esiste un criterio o una metodologia condivisa per valutare se i nuovi valori dei criteri aggiuntivi che vanno ad integrare la scala di equivalenza siano più o meno equi 2. In effetti, l attuale scala di equivalenza Isee, che il nuovo decreto non ha cambiato, si basa per il numero dei componenti familiari su stime effettuate con riferimento a dati di oltre venti anni fa (Cerea, 2011), mentre per quel che riguarda gli attuali valori delle maggiorazioni, non sono noti i percorsi di elaborazione. Si rammenta infatti che i parametri della scala di equivalenza riferibili al numero dei componenti riprendono i risultati delle stime a suo tempo effettuate da Giuseppe Carbonaro nel 1985 nell ambito del Rapporto sulla povertà (Cerea, 2011). In questi ultimi venti anni sono cambiati i redditi e le abitudini di spesa delle famiglie italiane e pertanto l attuale scala di equivalenza potrebbe non essere più rappresentativa dei valori e delle economie di scala realizzabili all interno della famiglia. Pesole e Raitano, in uno studio del 2012 hanno provato ad aggiornare la scala di equivalenza utilizzando gli stessi criteri relativi alle scelte di consumo alimentare delle famiglie, ma adeguandolo ai dati sui consumi alimentari attuali delle famiglie (utilizzando dati dell Istat). I risultati sono indicati nella tabella 3. Le simulazioni di Pesole e Raitano (2012) ci confermano l idea che l attuale scala sia leggermente sottodimensionata rispetto ai consumi familiari e alle economie di scala che oggi si realizzano

19 POLITICHE Componenti famiglia 4 di cui 2 figli (uno con meno di 3 anni) 5 di cui 3 figli (uno con meno di 3 anni) 6 di cui 4 figli (uno con meno di 3 anni) 7 di cui 5 figli (uno con meno di 3 anni) Scala di equivalenza + vecchi parametri aggiuntivi Tabella 4 Parametri aggiuntivi della scala di equivalenza. Confronto fra nuovo e vecchio Isee all interno delle famiglie. I consumi attuali giustificherebbero una scala di equivalenza leggermente più elevata con scarti percentuali che oscillano fra il +4,5% per nuclei familiari di 2 persone e il +7,5% per nuclei familiari di 6 persone. Occorre sottolineare che lo scarto riguarda però tutti i nuclei familiari e non solo quelli numerosi. Nelle famiglie con 2, 3 e 4 membri, la scala di equivalenza aggiornata ai valori attuali dovrebbe crescere in media del 5,8% mentre nei nuclei familiari numerosi e cioè con 5, 6 o 7 membri la scala di equivalenza, secondo la simulazione di Pesole e Raitano, dovrebbe crescere mediamente del 7,2%. Per cui possiamo affermare che la scala di equivalenza attuale, senza i criteri aggiuntivi, penalizza le famiglie numerose di un percentuale modestissima, pari all 1,4%, più che recuperata dai criteri aggiuntivi come si vedrà con la tabella 4. Nel complesso, l aggiornamento della scala di equivalenza ai valori attuali porterebbe a valori molto simili a quelli della scala OECD modificata (cfr. tabella 3). Scala di equivalenza + nuovi parametri aggiuntivi Stima Pesole Raitano (2012 su Istat 2009) 2,66 2,76 2,63 3,05 3,35 3,05 3,40 3,85 3,44 3,75 4,35 3,80 Contro il nuovo Isee La scala di equivalenza sottovaluta il peso dei figli. La sottovalutazione diventa molto pesante quando i figli sono più di cinque. Il nuovo modello non solo non ha risolto quei limiti di scarsa equità che già caratterizzava il vecchio Isee, ma per certi versi, li ha anche peggiorati. La scala di equivalenza dovrebbe riconoscere un parametro di 0,785 a figlio. La scala di equivalenza utilizzata da molti anni, dunque, è leggermente al di sotto degli attuali modelli di consumo di tutte le famiglie italiane e non solo di quelle numerose, ma la simulazione della sua eventuale attualizzazione ci ha dimostrato che un suo aggiornamento darebbe comunque dati molto lontani da quelli proposti dalle associazioni rappresentative delle famiglie numerose. Le lievi disparità che si registrano nella mancata attualizzazione della scala di equivalenza sono però ampiamente corrette dai criteri aggiuntivi, che anzi favoriscono in modo significativo le famiglie numerose. I criteri aggiuntivi stabiliti nel d.p.c.m 159/2013 aggiungono un punteggio di 0,30 alla scala di equivalenza per le famiglie con 3 figli sia rispetto al vecchio Isee sia rispetto a quanto risulterebbe da una attualizzazione della scala di equivalenza secondo le stime di Pesole e Raitano (2012). Tale maggior punteggio sale a 0,40 e a 0,60 per le famiglie rispettivamente con 4 e 5 figli. In sostanza alle famiglie con 3 o 4 figli il nuovo Isee riconosce una scala di equivalenza come se quella famiglia avesse un figlio in più di quelli che realmente ha (cfr. tabella 4). È un modo per riconoscere le spese per i figli non soggette ad economie di scala come le spese per l istruzione e le spese mediche? Può darsi, anche se non viene esplicitato nel decreto e nella relazione di accompagnamento al Parlamento. CONCLUSIONI Sulla base di questi dati possiamo serenamente affermare che il nuovo Isee, così come delineato nel d.p.c.m. 159/2013, non solo non penalizza le famiglie numerose, ma A favore del nuovo Isee Il valore Isee delle famiglie numerose, a parità di altre condizioni economiche, con il d.p.c.m. 159/2013 si riduce mediamente del 10-16% rispetto alla normativa precedente. Il valore Isee delle famiglie con 6-8 figli, a parità di altre condizioni economiche, con il d.p.c.m. 159/2013 si riduce mediamente del 12,5-14,6% rispetto alla normativa precedente Il nuovo Isee non solo non penalizza le famiglie numerose ma forse le favorisce. Alle famiglie con 3 o 4 figli il nuovo Isee riconosce una scala di equivalenza come se quella famiglia avesse un figlio in più di quelli che realmente ha. Tabella 5 Tesi a confronto sulle conseguenze del nuovo Isee sulle famiglie numerose

20 POLITICHE Bibliografia Associazione nazionale famiglie numerose (Anfn), Nuovo Isee, per le famiglie numerose si stava meglio quando si stava peggio, 14 giugno 2013, sito web: Associazione nazionale famiglie numerose, Forum Associazioni familiari, Nuovo Isee, chi ci guadagna e chi ci rimette, 2014, sito web: Bolzonaro R., Il nuovo Isee penalizza le famiglie, ecco perché, 2014, sito web: Cerea G., Le scale di equivalenza e il loro impiego per le politiche sociali, in Prospettive sociali e sanitarie, n , ottobre Forum delle Associazioni familiari, Finalmente il nuovo Isee. Ma la valutazione del suo impatto familiare è priorità assoluta, 2012, Sito web: org/tema/sistema%20fiscale%20e%20tariffario/61. Forum delle Associazioni familiari, Una proposta di revisione dell Isee per migliorare l equità della misura dei carichi familiari, giugno 2012, Sito web: Forum delle Associazioni familiari, Isee Proposta di revisione, 2007, Sito web: Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159: Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell indicatore della situazione economica equivalente (Isee). Gori C., Nuovo Isee, serve unconfronto pubblico, 2014, sito web: societa/famiglia/nuovo-isee-serve-un-confronto-pubblico.html. Guerra M.C., Indicatori, un rischio le declinazioni locali, in Guida agli enti locali, n. 2 del 9 gennaio Pesaresi F., La riforma dell Isee, in Forum Terzo settore (a cura di Cristiano Gori) Quale futuro per il welfare?, in I Quaderni del Forum, Roma, Pesole A., Raitano M. (2012), Distribuzione dei redditi nelle regioni italiane e scale di equivalenza, in La rivista delle politiche sociali, n. 3. Pesole A., Raitano M., Selettività delle politiche pubbliche ed influenza delle scale di equivalenza: un esercizio di simulazione, Relazione presentata a Espanet del 21/9/2012: sito web: Sessione_R/R_3_PESOLE_RAITANO.pdf. forse le favorisce. L assenza di spiegazioni ministeriali relative alla identificazione dei punteggi dei criteri aggiuntivi non ci permette una valutazione rigorosa sulla dimensione di tale vantaggio, che appare comunque non basato su criteri scientifici. Certo, sarebbe stato più opportuno un lavoro ministeriale più rigoroso nella revisione della scala di equivalenza e dei criteri aggiuntivi, che invece non sembra esserci stato. Un lavoro rigoroso ed oggettivo di aggiornamento dei parametri individuati per la definizione della scala di equivalenza da affidare ad organismi come l Istat, che sulla base degli attuali modelli di consumo delle famiglie, avrebbe potuto meglio fotografare le reali differenze fra le famiglie. Tale lavoro avrebbe messo in condizione il decisore politico di approvare una scala di equivalenza più rappresentativa dei consumi alimentari essenziali familiari in relazione alla diversa composizione (numero dei figli, disabili, ecc.) delle famiglie stesse, anche se è bene sottolineare che un aggiornamento, secondo le simulazioni di Pesole & Raitano, avrebbe probabilmente modificato in modo molto contenuto l attuale scala (esclusi criteri aggiuntivi). Per i criteri aggiuntivi, fatto salvo che la direzione politica perseguita con tali criteri è quella giusta, sarebbe stato opportuno definire anche in questo caso un percorso di ricerca statistica rigorosa per arrivare a dei parametri equi e supportati da solide basi scientifiche. Per evitare distorsioni ed iniquità, la scelta della scala di equivalenza non può essere politica; deve essere una scelta tecnica basata sui modelli di consumo e di reddito delle famiglie italiane in relazione alla loro composizione (Pesaresi, 2012). La valutazione dei soli consumi alimentari per costruire la scala di equivalenza non è più sufficiente a rappresentare i modelli di spesa familiare e per certi versi potrebbe portare anche a risultati fuorvianti; pertanto occorre lavorare per una nuova scala di equivalenza che consideri tutti i consumi essenziali (e non solo quelli alimentari) delle famiglie necessari per una vita piena, seppur sobria. Questo è l unico modo per avere una scala di equivalenza più equa. 1] Inoltre, ai fini della determinazione del parametro della scala di equivalenza, qualora tra i componenti il nucleo familiare vi sia un componente per il quale siano erogate prestazioni in ambiente residenziale a ciclo continuativo ovvero un componente in convivenza anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989, che non sia considerato nucleo familiare a se stante ai sensi dell articolo 3, comma 6, tale componente incrementa la scala di equivalenza, calcolata in sua assenza, di un valore pari ad 1. 2] In letteratura non esiste nemmeno un chiaro consenso su quale debba essere la scala di equivalenza più appropriata. La principale scala pragmatica è la cosiddetta scala OECD modificata che viene applicata ufficialmente in sede EUROSTAT per la valutazione della diseguaglianza dei redditi e della povertà relativa nei Paesi dell Unione europea. Essa è costruita attribuendo ad ogni nucleo un numero di componenti equivalenti dato dalla somma fra 1 (il capofamiglia), 0,5 per ogni membro di almeno 14 anni e 0,3 per ogni componente di età inferiore ai 14 anni. In Italia, si usa invece una scala alla Engel stimata da Carbonaro nel 1985, elaborata sulla base del consumo di beni quali i generi alimentari, che attribuisce un peso non elevato alle economie di scala familiari e che presenta valori dei coefficienti elevati (quindi non di molto inferiori al numero dei componenti). A parità di condizioni, l applicazione delle scale alla Engel tende a ridurre il reddito equivalente dei nuclei con più di un componente e ad impoverire relativamente di più i nuclei numerosi (Pesole Raitano, 2012).

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