l antifascista fondato nel 1954 da Sandro Pertini e Umberto Terracini

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1 l antifascista fondato nel 1954 da Sandro Pertini e Umberto Terracini Periodico degli antifascisti di ieri e di oggi anno LXI - n 1-2 Gennaio-Febbraio 2014 L Editoriale Chi siamo e dove andiamo di Guido Albertelli L Anppia è un associazione di promozione sociale fondata nel 1946 da Umberto Terracini e Sandro Pertini, ambedue antifascisti perseguitati, al fine di tutelare la memoria dell Antifascismo e dei suoi protagonisti, analogamente a quanto fatto dall Anpi per i partigiani. Fra i suoi fini principali c è l assistenza agli antifascisti e agli ebrei perseguitati durante il Ventennio, aventi diritto, nell istruttoria delle pratiche relative alla richiesta del vitalizio di benemerenza, che sono trasmesse all apposita commissione costituita presso il Ministero delle Finanze, nella quale l Anppia è rappresentata da tre membri. L Associazione ha curato negli ultimi anni le domande di assistenza dei perseguitati razziali con circa pratiche. Per questa e altre attività l Associazione è stata insignita dal Presidente Napolitano della la Medaglia d oro al valor civile. In questi oltre sessant anni l Anppia ha provveduto alla pubblicazione di centinaia di opere sull antifascismo e sui suoi protagonisti nonché alla organizzazione di convegni, incontri e manifestazioni, tutte iniziative volte alla trasmissione della memoria. Naturalmente, dato il lungo tempo trascorso, gli antifascisti in vita sono solo poche decine, ma l Anppia si rivolge anche ai loro familiari che sono ben rappresentati tra i soci che, in totale, sono circa Ma da quando abbiamo registrato un sito on line ( in pochi mesi ci sono giunte decine e decine di adesioni di giovani, un apertura di credito che ci fa ben sperare per gli anni a venire. L Anppia edita questo periodico, l antifascista, che ha lo scopo di tenere viva la memoria, attraverso articoli, saggi, recensioni, e contributi La lunga corsa di Matteo Renzi Da segretario del Pd a premier. In pochi mesi, di fretta, ha rivoluzionato la politica italiana che si affidava a complicate mediazioni. Ora arrivano le prove decisive di Giovanni Russo Il 17 gennaio ho assistito alla trasmissione Le invasioni barbariche e alla lunga intervista a Matteo Renzi condotta da Daria Bignardi. In quell occasione il segretario del Pd ha reso noto che il giorno seguente avrebbe incontrato Silvio Berlusconi per affrontare il tema della nuova legge elettorale. Renzi è stato definito iperattivo, arrogante, cinico, spregiudicato. Per il decisionismo che Racconto d autore Nel nome del padre di Giuseppe Furno La strada lascia il mare, s aggrappa ai monti e cerca di scalare il cielo. Sale stretta, in una galleria fatta di pini, querce, acacie, castagni e faggi. Poche auto, qualche moto. Due ciclisti, imbevuti di fatica, pestano sui pedali. Di tanto in tanto, un esplosione di luce e una finestra s apre sull universo intero. È la prima volta che vengo quassù, a Campo Cècina, vasto pianoro di pietre, che pare un pezzo di luna trapiantato in terra. Guardo le Apuane. La visione mozza il fiato, fa vibrare il cuore, con lo sguardo che si libera sullo spazio sconfinato: dalle montagne toscane a quelle liguri, a Bocca di Magra, alle marine di Carrara e Massa, verso la Versilia, oltre Viareggio, sino a Bocca d Arno e Marina di Pisa, all accogliente golfo livornese, al profilo morbido dell Elba. Mentre perse nel Tirreno, in macchie d azzurro più scuro, emergono le isole di Gorgona e di Capraia, le vette della Corsica. Rischio di perdermi in questo volo d occhi e solo la strada riesce a restituirmi l equilibrio per continuare. Le insegne danno identità ai luoghi di questo bosco fitto e sconosciuto: continua a pagina 12 Attualitá Bagnoli a pagina 5 Villaggio a pagina 8 Palladino a pagina 10 Cultura Galli a pagina 14 Terracciano a pagina 16 Buffa a pagina 21 Storia Fiorentini a pagina 25 Brogi a pagina 27 Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento D.L. 353/2003 (conv.in. L. 46 del ) - Art.1, comma 2, DCB - Roma

2 2 Attualità di firme prestigiose del giornalismo e della cultura. Ma il nostro giornale è anche un canale aperto con i familiari di antifascisti, in Italia e all estero, e le altre associazioni, nonché con centri di studi storici e le università. In questo quadro, essa ha concluso due importanti convenzioni: una con l Archivio di Stato per la catalogazione dei fascicoli del Ministero della Difesa relativi ai riconoscimenti della qualifica di partigiano e di patriota; l altra con l Università Roma Tre relativa alla diffusione nelle classi studentesche degli ideali dell antifascismo. Nell ambito di tali convenzioni è programmato il riconoscimento di borse di studio agli studenti più meritevoli e la premiazione delle migliori tesi di laurea sull argomento. L Anppia è una delle tre associazioni vigilate dal Ministero dell Interno che attribuisce, con decreto, i contributi statali ed effettua il controllo dell attività istituzionale e della regolarità dei bilanci delle associazioni stesse. Essa inoltre intrattiene rapporti con le altre associazioni della Memoria facendo parte della Confederazione Generale ed essendo membro del Consiglio del Museo di Via Tasso. È bene ricordare, a scanso di inutili e pretestuose polemiche, che l Anppia, come recita il suo statuto, è un associazione «a carattere democratico repubblicano ed è indipendente dai partiti politici» e i membri degli organi dirigenti prestano il loro impegno in modo totalmente gratuito. Le pubblicazioni edite riguardano la storia di antifascisti noti e meno noti (quest anno rieditiamo Aula IV che raccoglie le schede dei condannati dal Tribunale Speciale fascista). Spesso si accusano le Associazioni della Memoria di essere retoriche. Ma i pugnali fascisti che trafissero tanti patrioti (tra cui Carlo e Nello Rosselli e Giacomo Matteotti), non hanno ucciso i loro ideali di libertà, di democrazia e di purezza, che sono rimasti elementi fondanti della Repubblica e che noi dell Anppia continueremo a ricordare e onorare con l aiuto appassionato dei molti giovani che ci seguono nei dibattiti e nei cortei. lo contraddistingue e che lo ha reso inviso a molti, è stato paragonato a Craxi. Se però Craxi è stato sempre socialista, Renzi è approdato solo nel 2007 al Partito democratico, facendo tappa prima al Ppi, poi alla Margherita. Non è un novellino: ha contribuito alla nascita dei Comitati Prodi in Toscana, è stato segretario provinciale del Partito popolare, coordinatore e segretario provinciale della Margherita a Firenze, presidente della Provincia, e dal 2009 sindaco di Firenze. Chissà se pensava di raggiungere quell obiettivo quando scrisse la tesi di laurea in giurisprudenza, incentrata sulla figura di quel grande sindaco della capitale toscana che fu Giorgio La Pira. Il 17 gennaio, Renzi non si limitò a parlare dell urgenza di varare una nuova legge elettorale, essendo il Porcellum stato dichiarato incostituzionale dall Alta Corte, ma delineò tutta una serie di obiettivi che intendeva perseguire: si espresse in favore dello ius soli e delle unioni civili, della necessità sia di rivedere la legislazione sull uso delle droghe leggere, sia, last but not least, di abolire il Senato elettivo e riformare il titolo V sul federalismo. Daria Bignardi lo ascoltava attonita mentre lui continuava a ripetere quello che avrebbe ribadito nei giorni seguenti: che non c è tempo da perdere, che le riforme non si fanno da soli. E venne 18 gennaio, il giorno del fatidico incontro: in un certo senso una data storica nella storia del nostro Paese. Per la prima volta il segretario del principale partito della sinistra riusciva a stanare il giaguaro, non con l intento di smacchiarlo ma per accoglierlo a casa propria, nella sede del Pd a Largo del Nazareno. Mentre l auto blu del Cavaliere si avvicinava al luogo dell appuntamento fra ali di folla indignata che lo bersagliava di uova, è probabile che Renzi ripensasse a come il caso o la fortuna e Renzi è un uomo fortunato, nel 94 vinse 48 milioni di lire partecipando al programma televisivo che si chiamava La ruota della fortuna rimescoli le carte. Tre anni prima, il 6 dicembre 2010, per discutere di alcuni temi legati all amministrazione di Firenze era stato lui a recarsi in visita ad Arcore nella villa del padre-padrone di Forza Italia. La notizia aveva provocato reazioni contrastanti e polemiche a non finire anche tra i suoi sostenitori, in ogni caso però non paragonabili al putiferio seguito all incontro del 18 gennaio. A scatenare l animosità hanno contribuito le dichiarazioni dei due leader al termine del colloquio, che mettevano in risalto la profonda sintonia riscontrata nelle due ore e mezzo di dialogo. Che cosa si rimprovera a Renzi? Di aver sollevato dalla polvere e riportato sugli altari un pluri-indagato, pluri-processato e condannato per reati infamanti come frode fiscale in via definitiva e in primo grado per prostituzione minorile, concussione aggravata e rivelazione di segreti d ufficio: il Nemico Pubblico Numero Uno della sinistra, che molti davano per finito. Renzi ha risposto ai suoi compagni di partito, che hanno osato contrastarlo, in modo tale che si sono verificate le dimissioni di due esponenti di peso come Gianni Cuperlo e Stefano Fassina. Ma ha anche ribadito che le riforme sono diventate un esigenza prioritaria e da soli non si possono realizzare. Scartati i piccoli partiti, non restava che mettersi in contatto con Forza Italia e il Movimento 5stelle. Renzi, avendo i grillini rifiutato l approccio, ha cercato il leader della seconda forza politica del Paese. Pur consapevoli del personaggio, gli italiani che si sono espressi per Berlusconi all ultimo suffragio sono stati il 22 %, ovvero alla Camera e al Senato.

3 Attualità 3 Su che cosa c è stata la profonda sintonia con il Nemico? In primo luogo sulla riforma della legge elettorale. Si è approdati al seguente accordo: soglia di accesso al premio al 37%, premio del 15% con tetto massimo del 55%; sbarramento per l ingresso in Parlamento al 4,5%; per entrare in Parlamento i partiti devono inoltre ottenere il 9% in almeno tre regioni (definita questa la clausola salva Lega); liste bloccate. Questo figlio dell intesa Renzi-Berlusconi, battezzato Italicum, dispiace a parecchi. Rosy Bindi e Cuperlo hanno dichiarato battaglia, Grillo che non ci sta a farsi rubare la scena ha organizzato piazzate a Montecitorio, i piccoli partiti, dal canto loro, hanno ribattezzato la legge Vampirellum perché non ci stanno alla prospettiva di essere falcidiati. Renzi, ostenta una calma che non si riesce a capire se apparente o reale e si mostra assai soddisfatto per aver raggiunto questo primo risultato. Adesso sotto con il Senato, le Province, il titolo V. E soprattutto con il Jobs act. Per concludere un programma di così ampio respiro è però necessario tempo e Matteo Renzi non è un temporeggiatore. Con il passare dei giorni le stoccate che comincia a lanciare al Governo in generale e al capo del Governo in particolare anziché pungoli per realizzare al più presto le riforme sembrano in realtà affondi miranti a far naufragare la barca. E Letta, che ha retto il timone della coalizione governativa destreggiandosi fra scissioni e ministri costretti a chiarimenti (vedi il caso Cancellieri e le dimissioni di Nunzia De Girolamo e Josefa Idem, oltre a due viceministri e quattro sottosegretari), constata progressivamente il restringersi dell area di manovra. Mentre l appoggio del partito che lo aveva sostenuto in questi dieci mesi sembra sfaldarsi come neve al sole, Renzi, i cui modi spicci, la battuta sferzante, per non parlare dell idea della rottamazione senza incentivi dei dirigenti di lungo corso del Pd avevano reso inviso all establishment del partito, pare acquisire nuovi consensi. Giorno dopo giorno, nonostante dichiarazioni contrarie, diviene evidente che l obiettivo cui tende il sindaco-segretario è sostituire il capo del Governo. Come mai questa frenesia improvvisa? Perché Letta ha mal governato? Al contrario, sia pure a piccoli passi, il presidente del Consiglio stava avviando il Paese sulla strada della ripresa: debito pubblico in discesa, aumento delle entrate fiscali, spread mai così basso. Il rischio è che Letta realizzi i programmi in un ragionevole lasso di tempo, il che allontanerebbe indefinitamente la data di nuove elezioni o la necessità di un cambio al vertice. Gli attacchi di Renzi al Governo, accusato di non fare abbastanza e abbastanza rapidamente, subiscono un accelerazione. Cominciano a circolare voci di dimissioni, respinte Un momento del discorso di Matteo Renzi per la fiducia al Senato da Letta che pare non preoccuparsene, al punto di mettere mano ad un programma per il rilancio dell economia. Il 12 febbraio durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi smentisce per l ennesima volta le voci che lo vogliono dimissionario e presenta Impegno Italia. Il piano prevede un nuovo patto di coalizione tra i partiti che sostengono il Governo, riduzione di tasse alle imprese sul costo del lavoro, riforma del codice del lavoro, incentivi alle famiglie. Sembra come sempre calmo e fiducioso: è possibile che non si sia reso conto di quanto la situazione gli stesse sfuggendo di mano, di quanto grande fosse la voragine che Renzi stava scavando ai suoi piedi? Il 13 febbraio il segretario del Pd scopre finalmente le carte: convoca la Direzione nazionale e chiede di votare un documento che segni una fase nuova con un esecutivo nuovo, in parole povere, di defenestrare Letta e sostituirlo alla guida del Governo. Renzi sa di avere il partito in mano: l 8 dicembre 2013, sbandierando un programma che prevede riduzione del costo della politica, eliminazione di una delle due Camere, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e dei vitalizi, cancellazione dei contributi statali ai giornali di partito, ha vinto le primarie del Pd con oltre il 67,5 % di preferenze. La proposta è messa ai voti e viene approvata da una maggioranza schiacciante: 136 favorevoli, 18 contrari, 2 astenuti. Non una voce si leva a difesa di Enrico Letta. Il giorno seguente, a bordo della sua utilitaria e senza scorta, il capo del Governo si reca al Quirinale e rassegna le dimissioni. Proprio in queste ore mi accade spesso di ripensare a quella trasmissione televisiva del 17 gennaio, in cui Renzi annunciava l incontro con Berlusconi, alle dichiarazioni dei due leader al termine del colloquio, a proposito della loro profonda sintonia. Berlusconi non ha mai nascosto una velata simpatia nei confronti del segretario del Pd, che può essere accusato di molte cose ma non di essere mai stato comunista. Entrambi, inoltre, hanno uno spregiudicato senso della realpolitik. Viene quindi da chiedersi: quanto è stata profonda la loro intesa? Quali sorprese ci riserverà in futuro?

4 4 Attualità Priebke negava di aver sterminato anche ventisei adolescenti La cronaca del viaggio ad Albano di Eugenio Perugia e di suo cugino Georges de Canino. L artista che seguì il processo Priebke dice al nostro giornale: «Ho urlato sulla bara del boia perché non dimentico quei ragazzi vittime innocenti» di Georges de Canino Martedì 15 ottobre Poco dall orrore delle deportazioni, dei rastrellamenti, delle Fosse Ardeatine. Qualcuno prima delle 16 Rai News divulgava la notizia che il sindaco di Albano Laziale, Nicola Marini, capitano nazista. ha osato pronunciare la parola pietà per il aveva firmato l ordinanza che vietava Mio cugino Eugenio Perugia ed io non il passaggio della salma e il funerale di potevamo non andare ad Albano, non potevamo sottrarci al dovere morale di gri- Erich Priebke sul territorio del comune dei Castelli. Seguiva la contro ordinanza dare e di urlare sulla bara di Priebke, uno del prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, che non ha mai riconosciuto i suoi crimini, che annullava l ordinanza del sindaco, le sue responsabilità. concordando, forse con il Viminale, la Eugenio ha urlato ai poliziotti i nomi decisione del funerale nella residenza privata della Fraternità di San Pio X. I padri Eugenio è figlio di Lello, A15803, e nipote dei suoi zii assassinati ad Auschwitz: lefebvriani di Albano rappresentano quella parte della Chiesa anti-conciliare, anti- romanzo La tregua di Primo Levi. Mio di Angelo. Lello Perugia era Cesare nel semita e negazionista. Sono un punto di cugino Eugenio, un mite come suo padre, forza e di appoggio per i neofascisti di è stato capace di urlare e di ribellarsi ad casa nostra e i numerosi gruppi neonazisti europei. nel giugno del 1992 a Roma, a Piazza Verdi, Albano come aveva fatto suo padre Lello Nel delirio generale scatenato sulla quando con la moglie Arduina Polacco manifestarono contro il negazionista David stampa, con la morte del capitano delle SS, boia di via Tasso che, da poco, aveva festeggiato i 100 anni, si è riproposta la pac- scendere per strada e a rompere un silen- Irving insieme ai deportati, obbligati a cottiglia fascista, fatta di bugie divulgate zio durato troppo tempo. in 70 anni da storici mercenari di destra La folla dei cittadini di Albano, anziani e giovani, che si era riversata in e di sinistra, revisionisti e negazionisti. Giornate di sofferenza e di ferite riaperte, strada indignata e desiderosa di dare la troppi ricordi di una generazione che è propria testimonianza civile, scandiva stata lacerata e portata via dal dolore, ripetutamente, quasi in coro: «Siamo Albano, ottobre Scontri tra polizia e manifestanti che tentano di impedire i funerali di Priebke tutti qui, siamo antifascisti». Chi si è diretto, come noi, in via Trilussa, davanti ai cancelli della Fraternità di San Pio X, era consapevole che quella sceneggiata del funerale al nazista era la dimostrazione e la prova dell inettitudine dello Stato. Lo Stato ad Albano non era in grado di difendere e rispettare il diritto, la dignità della memoria dei suoi cittadini. Lo Stato veniva meno al dovere di tutelare la cultura della nostra storia, la memoria repubblicana, civile, democratica e antifascista. Hanno scritto alcuni di Priebke, definendolo un militare nazista di serie B, un relitto della seconda guerra mondiale. Quegli anni che sembrano lontani, Priebke, a Roma, fu un tremendo artefice dell occupazione tedesca: durante quei drammatici nove mesi non ebbe un ruolo secondario tra i tanti organizzatori di violenza e di terrore. Militari italiani, antifascisti, partigiani, semplici cittadini che difendevano la loro vita, ebrei rei di essere nati, intellettuali militanti, religiosi, donne disperate per la fame e le sopraffazioni: queste furono le vittime del terrore. I fascisti italiani, delatori, spie, criminali, collaboratori dei nazisti dei quali non erano meno spietati, agivano anche per interessi personali e di bande. Quel terrore inesorabile e implacabile fu possibile per le responsabilità di un gruppo ristretto di militari nazisti, padroni di Roma, e tra essi Priebke spicca per il carattere inflessibile di burocrate dello sterminio, per la malvagità del militare. Ad Albano Laziale ho pensato ai ventisei adolescenti e minorenni trucidati alle Fosse Ardeatine. Priebke, durante una udienza del Tribunale militare, nel primo processo del 1996, negò che vi fossero degli adolescenti tra le vittime delle Fosse Ardeatine. Ero presente a quella udienza, ero stato invitato dall avvocato Oreste Bisazza Terracini: Priebke ripetè che per l esecuzione alle Fosse Ardeatine erano stati scelti comunisti e badogliani. Penso a quei 26 ragazzi. Non ho dimenticato. Io ricordo. Non possiamo dimenticare.

5 Attualità 5 I democratici vogliono migliorare l Europa, i fascisti spazzarla via Alle prossime elezioni europee si gioca la partita decisiva della democrazia, non solo per il nostro continente di Paolo Bagnoli Dalla fine della seconda guerra mondiale il vecchio continente si trova di fronte a una prova che non può essere sbagliata, a meno di conseguenze nefaste di grande portata. L Europa, infatti, piaccia o non piaccia, rimane ancora oggi il teatro strategico della civiltà occidentale e, quindi, campo privilegiato nello scontro tra la ragione e l oscurantismo fideistico. E l Europa non sembra rendersi conto di ciò di cui è gravata: smarrimento di ideali, burocrazia ragionieristica, interessi egoistici e mancanza di una classe dirigente all altezza, una classe che, prima degli interessi, parli degli ideali su cui costruire una politica che dia una identità comune. Avviene, invece, tutto il contrario: ci illudiamo che una sequela di trattati fuori della realtà contribuiscano a rinsaldare l Europa, nel paradosso di una moneta che dovrebbe aiutare a risolvere i problemi e non ad accrescerli. Ma dove è andata la speranza legata alla nascita dell Euro se, stando al presente, la moneta comune non funziona né coi paesi deboli né con i forti? Crediamo che ogni europeista abbia sentito un brivido quando le autorità comunitarie hanno invitato la Germania, su cui pure pesano non poche responsabilità, a essere economicamente più debole poiché vi sono Paesi che sono fortemente deboli. Una seria politica e, quindi, una classe dirigente degna di questo nome avrebbe ragionato sull Euro e sulla sua funzione non come può farlo un banchiere o un istituto di emissione, bensì vedendo nell Euro un pilastro su cui poggiarsi per andare avanti contro il burocratismo soffocante vigente e aiutare i più deboli a crescere, non a sentirsi più forti perché è più debole la Germania. Stando così le cose, oggi l Europa viene vista, da tanti suoi cittadini, come un fattore socialmente negativo, un soggetto da smontare, partendo proprio dal punto più alto cui è giunta, ossia l Euro. Su ciò si incardina non solo una ripresa di nazionalismo o di riaffermazione delle funzioni tradizionali dei singoli stati, ma un qualcosa di più e di più pericoloso, vale a dire la legittimità stessa dell idea di Europa, il tentativo di trovare un modo per stare insieme che, certo, non è quello di questa assurda, farraginosa e antidemocratica costruzione comunitaria. Ancora. La ripresa di un prevalente sentimento a favore del ripristino di legittimità piena degli stati nazionali nasconde qualcosa di più insidioso e pericoloso, che mira alla distruzione stessa dell idea politica di Europa, nell incoscienza delle conseguenze, in un frangente nel quale lo scontro con i fondamentalismi religiosi e gli integralismi territoriali sembra lievitare giorno dopo giorno. Bisogna ragionare. Una cosa è il disaccordo con questo modo di essere comunitario, ma da europeisti e, quindi, da democratici; un altra esserlo da antieuropeisti; c è una bella differenza, anche per quel che ne consegue. Infatti, mentre le forze dell antidemocrazia, quelle della destra europea, si stanno organizzando, quelle della democrazia sembrano in tutt altro affaccendate, non consapevoli che questa volta non sono esse all attacco, bensì in difesa. Marine Le Pen ha lanciato la crociata: le destre di tutti i Paesi che fanno parte dell Unione si uniscano nell Europarlamento in una Alleanza per la libertà. Al progetto sono già arrivate le prime adesioni: quelle degli olandesi e degli austriaci (il nome delle rispettive formazioni è identico: Partito della Libertà), e si fa sapere che si attende all appuntamento pure la Lega e crediamo che non mancherà l adesione di Forza Italia, come si intuisce dal discorso rifondativo del movimento tenuto da Silvio Berlusconi alcune settimane orsono. Inoltre, contro l Europa, fatta diventare quella della Bce e della Merkel, dicono no anche il movimento di Beppe Grillo e i post-fascisti della Meloni. Molte, poi, sono le contrarietà presenti nella sinistra, ma non sono certo queste che preoccupano, bensì quelle che provengono dalla destra estrema, che già appare in grande crescita nei vari Paesi del continente. In Ungheria essa governa tranquillamente, in dispregio alla libertà Parlamentari greci del partiro Alba Dorata. In alto, Marine Le Pen, leader indiscussa del partito francese ultranazionalista e xenofobo Front National che l essere europei implica e, in Grecia, Alba Dorata, movimento chiaramente neonazista, è, secondo alcuni sondaggi, il primo partito, con il 26,6 per cento. Inoltre, se pensiamo che, oltre alle nazioni ricordate, partiti contrari all integrazione esistono in Inghilterra, Paesi Bassi, Belgio, Bulgaria, Finlandia, Romania, Svezia, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia vediamo subito come sia in atto, molto ramificato, un vero e proprio laboratorio di una nuova politica che, giorno dopo giorno, scala i sondaggi e nasconde, occorre dirlo fuori dai denti, un inquietante ombra di nuovo razzismo. Il paradosso, poi, è che, nell Europa geografica, ai dati 2010, il maggior numero di immigrati li registra la Svizzera, che, è noto, non fa parte della Comunità, con il 23 per cento e, a seguire:

6 6 Attualità Francia con il 12,31; Svezia con il 12; Spagna con l 11,45; Francia con il 10,18; Olanda con il 10; Gran Bretagna con l 8,98; Italia con il 7,8; Norvegia con il 7,4; Danimarca con il 7,1 e Belgio con il 6,9. Non c è bisogno di essere demografi per capire che, per quanto rilevante sul piano politico, su quello numerico che è il fattore generatore del razzismo, siamo ben sotto la soglia di salvaguardia, se così si può dire. Ma è proprio questo il dato che preoccupa di più, poiché esso fa emergere come la saldatura, nel nome dell ignoranza e della paura, può ramificare un vasto disegno politico di regressione dall Europa di segno reazionario, quando non apertamente nazional-fascista. A dire il vero non ci sembra che su tale aspetto si sia riflettuto con la dovuta e ponderata attenzione, come se la questione europea fosse solo di natura monetaria! Possibile non ci si renda conto di cosa è in gioco? Possibile non ci si renda conto che un grande ideale va alimentato, governato e sviluppato e non bisogna affogarlo, prima, e dimenticarlo, poi, in un groviglio burocratico autodistruttivo e gravido di conseguenze che possono essere nell agitato contesto mondiale le più nefaste? Sappiamo quante difficoltà incontri l idea dell Europa federale, ma riteniamo un gravissimo errore averla quasi del tutto abbandonata. E molto alla buona ci domandiamo se non ci sia uno stadio politico più avanzato tra l attuale forma comunitaria e quella federale, tale da rinvigorire l Europa con adeguate vere strutture politiche che oggi non esistono, rilanciando il disegno complessivo in uno schietto ambito di avanzamento della politica democratica europea. Ecco perché le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del 2014 hanno una rilevanza particolare e non possono essere affrontate alla maniera solita. Come risponde la democrazia europeista italiana a fronte di un quadro siffatto? Ancora nessuno sembra averci pensato, ma il tempo non è poi così tanto e non sarebbe male cominciare a farlo. Sempre che si creda, naturalmente, come avvenne nel dopoguerra, nei valori della democrazia e della socialità, ossia, in quei valori storicamente conquistati dall Europa sui quali costruire un vasto consorzio di popoli e di stati. Il sogno, però, appare essersi infranto; mentre occorrono atti di coraggio perché l Europa del presente così non va e deve obbligatoriamente cambiare, ma secondo gli ideali e la morale della democrazia e della libertà; pensare che l Europa non possa essere meglio di come ora è, significa rassegnarsi al non crederci più. Ada Rossi, l antifascista che sapeva amare Nel ventennale della morte, un convegno alla Casa della Memoria di Roma ricostruisce la poliedrica personalità della moglie di Ernesto Rossi. Femminista, combattente per i diritti civili, fino all ultimo impegnata nel partito radicale di Giulietta Rovera Ada ed Ernesto Rossi Per ricordare Ada Rossi nel ventennale della morte si è tenuto di recente un convegno alla Casa della memoria a Roma cui hanno partecipato studiosi provenienti da varie parti d Italia, fra i quali Mimmo Franzinelli, Gianfranco Spadaccia, Antonella Braga. Ne è emersa una personalità complessa, per certi aspetti sorprendente. Era nata in provincia di Parma nel 1899 in una famiglia della media borghesia. Rimasta orfana di padre ancora adolescente, viene mandata in collegio a Torino, da dove esce con il diploma di maestra e con il fermo proposito non di trovare marito, ma di proseguire gli studi nella materia che più l appassiona: la matematica. Si iscrive a Matematica e Fisica a Pavia, dove senza difficoltà ottiene il diploma di laurea e si dà all insegnamento. A metà degli anni Venti, in Italia, il tasso di analfabetismo è altissimo, soprattutto nella popolazione femminile: le giovani della media borghesia che intendono laurearsi per poi svolgere un attività professionale e rendersi indipendenti rompendo il cerchio soffocante costituito dalle famigerate 3 kappa, Kinder, Küche, Kirche - bambini, cucina, chiesa - si contano sulle dita di una mano. Ada è quindi una realtà piuttosto anomala, come anomalo è il suo atteggiamento verso il regime fascista. Contrariamente alla maggioranza, indifferente o acquiescente nei confronti della dittatura, Ada, vissuta in una famiglia laica e antifascista, mal sopporta le limitazioni alla libertà, ma ciò che più le è intollerabile è il ricorso alla violenza per eliminare l opposizione. L incontro con Ernesto Rossi nel 28, presso l Istituto tecnico Vittorio Emanuele II di Bergamo, dove insegnano entrambi, non è quindi determinante per decidere la sua scelta di campo. Tutti e due sono laici, hanno il culto dell indipendenza, del rispetto reciproco e delle libertà democratiche che intendono fermamente ristabilire nel Paese, pur consapevoli dei rischi che ciò può comportare. Queste affinità contribuiscono a far nascere un rapporto che si rivelerà indistruttibile, anche perché è un rapporto fra eguali. Ernesto, che già dal 25 era entrato a far parte del gruppo antifascista che aveva dato vita al giornale clandestino Non mollare e poi al movimento Giustizia e Libertà - Riccardo Bauer, Salvemini, Nello Traquandi, Carlo Rosselli - non tarda a comprendere che se vuole conservare l affetto della compagna deve coinvolgerla nella lotta cui lui partecipa da tempo. In Ada trova così non soltanto un amica e un amante, ma una complice. Nella notte fra il 29 e il 30 ottobre del 1930, la situazione precipita: in seguito a una retata dell Ovra in Lombardia, 24 aderenti al gruppo giellista sono arrestati e processati. Ernesto Rossi è fra questi. La condanna è durissima: 20 anni di carcere. Ada evita l arresto perché a suo carico non esistono prove, ma per via della frequentazione di elementi antifascisti in generale e di Ernesto in particolare perde la cattedra presso l Istituto tecnico. La sua fama di docente però è tale che gli studenti che si rivolgono a lei per lezioni private sono numerosi. La lunga condanna inflitta a Ernesto

7 Attualità 7 farà subire ai loro rapporti un cambiamento radicale: per comunicare con l esterno, con i compagni, lui ha bisogno di un intermediario del quale fidarsi ciecamente, e questo non può essere che Ada, dal 24 ottobre del 31 divenuta sua sposa, e quindi autorizzata a incontrarlo in carcere. Ernesto ha bisogno di Ada non solo per continuare la lotta antifascista, ma per sopravvivere. Circolano molte leggende sulla vita dei prigionieri politici nelle patrie galere e al confino durante la dittatura, quasi si trattasse soltanto di perdita della libertà in ambienti dove la vita era tutto sommato tollerabile. È falso. Le celle erano gelide d inverno, soffocanti d estate, il vitto insufficiente, l aria mefitica, l assistenza medica spesso inesistente, la corrispondenza sottoposta a censura. Se le guardie carcerarie erano carogne, potevano infliggere angherie di ogni genere, come la cella di isolamento e il vitto di solo pane e acqua. Se un uomo della fibra morale di Ernesto Rossi, che subì entrambe le punizioni per mesi, arrivò a pensare al suicidio, si comprende come molti si arresero e impetrarono la grazia al Duce, o la impetrarono i parenti in loro vece. Alcuni si uccisero, altri si ammalarono e morirono precocemente. Ernesto, come gli altri suoi compagni di galera, diventa così totalmente dipendente dagli aiuti che gli vengono dall esterno, nel suo caso specifico da Ada. E per Ada Ernesto diventa il suo baricentro, il suo universo, la ragione della sua esistenza. Si massacra di lavoro, ma riesce ad accumulare somme sufficienti per organizzare tentativi di fuga e fargli arrivare pacchi contenenti cibo, biancheria pulita, libri. E lettere, 977 in 13 anni, struggenti, tenere, appassionate e contenenti informazioni che grazie a un codice segreto sfuggono alla censura. Quando si incontrano, durante il breve abbraccio loro consentito, lui le passa bigliettini contenenti messaggi che lei penserà a recapitare. Ada, per gli antifascisti nome in codice Pierina, per i fascisti elemento pericolosissimo, nihilista anarchica con tendenze terroristiche anche per lo stile di vita indipendente, al di fuori degli schemi del tempo, per 10 anni si sottopone a viaggi lunghi, faticosi (Ernesto viene spostato dal carcere di Pallanza a Piacenza a Roma a Regina Coeli) per vedere il marito alle volte solo pochi minuti e alla presenza delle guardie carcerarie. A Bergamo, dove risiede, è tenuta sotto una costante e tutt altro che discreta sorveglianza. Quello che sfugge all Ovra è l o- confino. In quel gelido inverno di guerra, prefetto di Bergamo decide di mandarla al pera di proselitismo messa in atto da Ada. approda prima a Forino, un buco sperduto Durante il convegno tenutosi a Roma è in provincia di Avellino, dove l unico alloggio è in una stamberga piena di topi, stato divertente e commovente ascoltare le testimonianze di alcuni suoi ex-allievi: poi a Melfi e infine a Maratea. Sei mesi tutti concordavano sul fatto che le lezioni dopo, con la caduta del fascismo, Ada ed di matematica da lei impartite erano dedicate prevalentemente ad approfondire finalmente ricongiungersi. Si stabiliscono Ernesto riconquistano la libertà e possono la situazione politica, alla lettura delle a Roma, dove lui, in precarie condizioni di lettere di Ernesto, stimolando così sentimenti antifascisti nei giovani allievi, molti gionia, può dedicarsi alla lettura, allo stu- salute e con i nervi a pezzi per la lunga pri- dei quali entreranno nelle formazioni partigiane di matrice azionista. al Partito d Azione, prende a collaborare dio, alla politica, al giornalismo: aderisce Dopo nove anni di carcere, in seguito con Il Mondo e Il Ponte, partecipa alla fondazione del partito radicale, pubblica li- a un amnistia, Ernesto è mandato al confino a Ventotene. Il 26 dicembre del 39, bri di denuncia del sistema monopolistico, Ada può finalmente raggiungerlo e trascorrere con lui la prima notte d amore. È gime e Ada può dedicarsi ad Ernesto, as- della connivenza del Vaticano con il re- un breve interludio, trascorso in una casupola gelida battuta dai venti e il secontandolo nella redazione di libri e articoli. secondandolo nelle sue intemperanze, aiudino alla porta, attento a ogni movimento, Aderisce anche lei al partito radicale, cui ogni bisbiglio. Poi, scaduti i giorni di permesso, viene il momento di far ritorno a e riprende con rinnovato vigore a dare le- resterà legata fino alla fine dei suoi giorni, casa, a Bergamo. Fare la spola fra Bergamo zioni di matematica, comunicando ai giovani non solo la magia dei numeri, ma an- e Ventotene è estenuante e pericoloso: il 1 È al confino di Ventotene che finalmente Ada potrà incontrare il suo Ernesto giugno del 40 l Italia è entrata in guerra, che il culto delle libertà democratiche. ottenere i permessi per raggiungere i confinati politici diventa sempre più difficile degli anni 80. Ernesto era morto da Ebbi l occasione di incontrarla a metà e costoso. Ada aumenta il numero di ore vent anni, ma lei non aveva perduto dedicato alle lezioni private, raggranella il vigore polemico e l aria battagliera. la somma necessaria, e quando riesce ad Parlammo un poco, e a un tratto osservai quanto doveva essere stato profondo avere il permesso raggiunge Ernesto il quale continua a servirsi di lei come portaordini. È così che i primi testi europei- marito. «Sì», disse Ada, «ma per dieci il legame d affetto che l aveva unita al sti elaborati da Rossi, Spinelli e Colorni anni non abbiamo potuto fare l amore». lasciano Ventotene e prendono a circolare Quella di Ada Rossi non fu una lost generation ma una robbed generation, una fra gli oppositori al fascismo. Nonostante le precauzioni, qualcosa trapela sulle manovre di Ada, e nel dicembre del 42 il di generazione defraudata anche del diritto amare.

8 8 Attualità Dopo tanto dolore vogliamo giustizia, ma nei nostri cuori non c è odio A colloquio con Estela e Jorgelina, due donne vittime della brutale dittatura argentina del generale Jorge Videla Ecco come l Associazione delle Nonne di Piazza di Maggio lavora per ritrovare i bambini dati in adozione, oggi adulti di Elisabetta Villaggio Estela e Jorgelina. Due donne con due storie diverse, ma unite da uno stesso destino. Un destino crudele, assurdo, tragico. Un destino segnato dalla dittatura del regime militare di Videla, Massera e Agosti in Argentina tra il 1976 e il Estela Carlotto, Presidente dell Associazione Abuelas de Plaza de Mayo, è nata a Buenos Aires nel Ha sposato Guido Carlotto, un industriale chimico figlio di genitori italiani, con il quale ha avuto quattro figli. Nel giugno del 77 suo marito Estela Carlotto viene rapito dai militari e rilasciato dopo aver pagato un riscatto. A novembre dello stesso anno viene rapita la loro figlia maggiore, Laura Estela. La ragazza è incinta e partorirà, nell ospedale militare, un bambino che avrebbe voluto chiamare come il nonno, un nonno che non conoscerà mai. Laura Estela sarà uccisa e il bambino, nato sano come hanno testimoniato varie persone, non conoscerà mai la sua vera famiglia. Jorgelina Molina Planas è figlia di due militanti dell ERP, l esercito rivoluzionario popolare. Nel 74, quando lei ha solo un anno, il padre viene fucilato dai militari. Il 15 maggio del 77, quando lei ha 3 anni e mezzo, la madre, che nel frattempo era entrata in clandestinità e con la bambina viveva a Rosario, viene presa con la forza dai militari. Jorgelina non la rivedrà mai più. «È entrato un civile a casa nostra e hanno sequestrato sia lei che il suo compagno. Io avevo 3 anni e mezzo e mi ha preso una signora, era un giudice e mi ha mandato in una casa famiglia, dopo essere stata in orfanotrofio», racconta con la voce flebile. Quando ha 4 anni viene adottata. La nuova famiglia le cambia nome e diventa Carolina Sala e non più Jorgelina. Da allora le due donne hanno dovuto fare i conti con la vita e superare il dolore tremendo di perdere una, la giovane figlia e un nipote che sta ancora cercando, e l altra la madre e tutto il resto della famiglia, oltre alla propria identità. Non hanno dimenticato il dolore, quello non si può dimenticare, ma hanno trovato un modo di fare i conti con il passato per andare avanti con dignità e coraggio. Oggi Estela è la presidente de l Asociación Abuelas de Plaza de Mayo, l associazione delle nonne che non hanno mai smesso di cercare i bambini dati in adozione, e Jorgelina, che ha scelto nell arte il modo di superare il dolore del passato, è una delle prime bambine ritrovate dall associazione. Le incontriamo a Roma, dove la prima ha ricevuto la cittadinanza onoraria e la seconda ha presentato la sua mostra personale. Estela è ancora oggi una bellissima donna, con i capelli bianchi che le incorniciano un viso sorridente e sereno nonostante tutto. Jorgelina sembra più timida, è minuta. Entrambe sono due donne determinate. Estela, lei ha vissuto un grandissimo dolore, come si supera? «Il dolore non si dimentica, perché rimane nell anima e nel cuore, ma si sopporta perché si lavora, dal dolore si cerca una luce, uno spiraglio attraverso il lavoro sociale e le relazioni, in modo da trasformarlo in qualcosa di positivo. La cosa più importante per me è che non sento odio o rancore e questo credo sia una cosa molto positiva perché dentro di me ho amore. Tutte noi cerchiamo giustizia e verità, ma non odio. Cerchiamo giustizia perché un delitto deve avere il suo castigo, la legge dice questo e in democrazia si deve fare così. La giunta militare argentina ha assassinato 30 mila persone, compresi tanti bambini, e hanno creato centinaia di campi di concentramento. La legge deve castigare queste persone così come si giudicano i delinquenti. Il dolore si può sopportare perché si trasforma in una pura luce, una luce che non ha aspetti negativi». Jorgelina, questa storia brutta e dolorosa cosa ti ha insegnato? «Mi ci è voluto molto tempo prima che riuscissi a vederla in maniera positiva, ci sono stati momenti di crisi, momenti di grande rabbia, momenti in cui pensi di essere l unica persona ad aver passato situazioni simili. Finita la scuola, ho deciso che sarei diventata una suora e sono entrata in convento e quando sono uscita ho iniziato a fare bene i conti con la mia storia». Il periodo in convento ti ha aiutato? «Il convento mi ha aiutato a cercare e trovare un cammino spirituale che mi aiutasse a capire il dolore e a gestirlo. In certi momenti sentivo che quello che avevo passato era così terribile che gli altri non avrebbero capito e attraverso la religione e la spiritualità ho capito che il dolore e anche la morte si possono trasformare in vita». Ma poi hai lasciato il convento. «Sì». Perché? Cosa è successo? «A un certo punto ho avuto la certezza che avrei voluto formare una famiglia, io non volevo essere solo una sorella. Iniziavo a sentire che quello non era il mio spazio, non era la mia vocazione, quindi ho lasciato la congregazione e ho conosciuto

9 Attualità 9 quello che è il mio attuale marito». Hai figli? «Sì ho 3 figli, Ignazio, il più grande ha 8 anni, poi Camilla che ne ha 6, e Juan Manuel che ne ha 2». Cosa sanno della tua storia? «Sanno tutto, il più piccolo capisce meno, ma gli altri due hanno vissuto tutto il passaggio di cambio del nome». Cosa ricordi di tua madre? «Non ho un ricordo completo di lei, non sapevo molto, ero piccola». Ma cosa ti hanno detto quando ti hanno portato via da tua madre? «Niente, lei era una dei desaparecidos». Ma tu non chiedevi di lei? «Non mi dicevano nulla». Quando hai scoperto la verità? «Ho sempre saputo di essere stata adottata, mi dicevano che i miei genitori erano dei terroristi che mettevano bombe e loro, la seconda famiglia, mi avevano riscattato da questa vita. Nell 84 mia nonna paterna, che era andata a vivere in Svezia, mi ha cercato tramite la nunziatura cattolica. Mi ha riconosciuto da una foto, io avevo 9 anni all epoca, ma quando mia nonna ha incontrato la mia famiglia adottiva loro le hanno negato di vedermi. Da quel momento ha cominciato a cercare e fare di tutto». La nonna di Jorgelina si è rivolta alle Nonne di Piazza di Maggio e Jorgelina è proprio una delle prime bambine trovate dall associazione. La nonna però non è riuscita a incontrare l amata nipote perché è morta prima. Oggi nei quadri di Jorgelina possiamo vedere tutto il suo tormento iniziale e la felicità successiva, quando è riuscita a riprendersi la sua vita e la sua identità. Jorgelina, quando hai iniziato a dipingere? «Mi piace dipingere da quando ero bambina, però le mostre e i miei progetti sono cominciati nel 2009, quando è morta mia madre adottiva. In quel momento ho sentito la libertà interiore di poter raccontare la mia storia, di parlarne, di superare il senso di colpa». Tuo padre adottivo è vivo? «Sì lui è vivo e anche il mio fratello adottivo lo è. Ma da quando ho voluto ritrovare il mio vero nome non mi hanno voluto più vedere. Per loro ero Carolina e da allora non abbiamo più avuto rapporti». Estela, hanno rapito più di 500 bambini e ne avete trovati poco più di 100. Avete speranze di trovarne altri? «Sì, la speranza è l ultima a morire e io ho speranza e fede di trovarne altri perché se fino ad ora ne abbiamo trovati 110 Jorgelina Paula Molina Planas ne troveremo altri. Bisogna sensibilizzare le persone su questo tema, sia in Argentina che nel resto del mondo, perché anche in Italia potrebbero esserci degli uomini e donne che facevano parte dei bambini rapiti allora. È un processo sociale dove vogliamo aprire nuove porte e non chiuderle. La nostra associazione è un movimento di costruzione permanente». Estela sta ancora cercando suo nipote, figlio di quella figlia barbaramente assassinata da uomini senza pietà e rispetto per la vita umana, uomini che hanno trasportato l Argentina nell orrore di una dittatura tremenda e che ora il Paese, grazie anche all impegno del presidente Cristina Kirchner, sta cercando di metabolizzare e superare. Estela, cosa sta accadendo oggi in Argentina? «In questo momento in Argentina stiamo vivendo una primavera politica molto interessante e la chiamiamo la decade vincente perché abbiamo un governo, in questo caso Cristina Kirchner, che riconosce gli errori del passato e abbiamo aperto tutte le porte per la convivenza, la comprensione, la voglia di partecipare anche con cose effettive, con spazi per la memoria e aiuti economici per la nostra organizzazione». Buenos Aires, Le Madri di Plaza de Mayo scesero in piazza durante i Mondiali di calcio

10 10 Attualità Cercansi nuovi inquilini per Palazzo Madama, ma il trasloco è difficile A colloquio con Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, sulle riforme del sistema politico e istituzionale. Ci vogliono tempi lunghi e volontà concordi per modificare l attuale Senato in Camera delle Regioni di Francesco Palladino Sembra un ovvietà: il nostro sistema politico e istituzionale ha necessità di essere rimodernato e aggiornato con serie riforme. Da oltre trent anni il Parlamento cerca di approvare modifiche alla Carta fondamentale: la prima Commissione incaricata di questo compito fu quella presieduta dall onorevole Aldo Bozzi ( ), poi fu la volta della Commissione De Mita-Iotti ( ). Qualche anno dopo ( ) D Alema rinnovò il tentativo riformista, ma Berlusconi lo fece fallire. Poi ci fu il referendum del giugno 2006 che bocciò con larga maggioranza la legge di revisione di quasi tutta la seconda parte della Costituzione, approvata dal governo Berlusconi. Infine, nel corso del 2013, comitati di saggi hanno lavorato per proporre le modifiche possibili della Costituzione. E adesso sotto l impulso del rinnovatore Matteo Renzi, premier a soli 39 anni, si discute del percorso parlamentare per le riforme. Nel documento approvato il 13 febbraio dalla direzione Pd «per un nuovo esecutivo che si ponga l orizzonte naturale della legislatura» (fino al 2018, quindi!) c è l impegno chiaro, confermato nel discorso in Parlamento per la fiducia, di «portare a compimento il cammino delle riforme avviato con la nuova legge elettorale e le proposte di riforma costituzionale riguardanti il titolo V e la trasformazione del Senato della Repubblica». Ancora più precisamente nella precedente direzione Pd del 6 febbraio Renzi aveva indicato le linee guida del cambiamento: «Il Senato diventerà la Camera delle autonomie, non elettiva, senza indennità. Composta da 150 persone, di cui 108 sindaci di comuni capoluogo, 21 presidenti di regione e 21 esponenti della società civile, temporaneamente indicati dal Capo dello Stato per un mandato. Non voterà il bilancio, né la fiducia, ma concorrerà all elezione del Presidente della Repubblica». Si tratta di un impresa difficile, laboriosa e soprattutto con tempi di realizzazione lunghi, un anno e mezzo o più, dal momento dell inizio del dibattito parlamentare sul ddl costituzionale (occorrono due deliberazioni di ciascuna Camera, articolo 138 della Carta). Se non ci sarà, nella seconda lettura alle Camere, la maggioranza dei due terzi, si celebrerà anche il referendum popolare confermativo, con allungamento dei tempi di approvazione definitiva. Tuttavia alcune riflessioni politiche e istituzionali sono utili, anche se potrebbero rimanere semplici analisi teoriche, accademiche, a futura memoria, perché, nonostante la dichiarata ambizione di Renzi sul governo costituente di legislatura, le elezioni politiche anticipate, dopo il semestre europeo a guida italiana, sono tutt altro che tramontate, soprattutto se il leader non imparerà presto l arte della mediazione. Affrontiamo la delicata materia delle riforme a venire con il professor Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, che è stato anche componente della commissione dei saggi, nominata dall allora premier Letta l 11 giugno D accordo sul superamento del bicameralismo perfetto, ma il progetto su cui partiti e parlamentari stanno lavorando è coerente col nostro sistema politico e istituzionale? «La riforma del Senato ha senso», mi risponde Onida, «se lo si trasforma in una Camera delle Regioni e delle autonomie, formata da rappresentanti delle istituzioni regionali e locali: presidenti delle Regioni, presidenti dei Consigli regionali, componenti eletti dai Consigli regionali fra gli stessi consiglieri, eventualmente sindaci e presidenti di Provincia eletti in ogni Regione dal Consiglio delle autonomie locali. L ideale, secondo me, sarebbe che ogni delegazione regionale (formata da rappresentanti della Regione e degli enti locali della stessa) votasse unitariamente magari previa decisione anche a maggioranza, così che il Senato esprima davvero la voce delle Regioni. Non vedo, invece, un Senato in cui siano presenti come tali i sindaci dei Comuni maggiori o dei Comuni capoluogo, anche perché si darebbe così una rappresentanza (indiretta) alle popolazioni delle città a preferenza delle popolazioni dei centri minori e delle aree rurali, creando uno squilibrio rappresentativo. Ancor meno vedo la presenza in Senato di personalità nominate

11 Attualità 11 dal Presidente della Repubblica: vogliamo tornare al Senato regio? Il Senato, assemblea politica e legislativa, dovrebbe avere il compito di partecipare all attività legislativa, con gli stessi poteri della Camera per quanto riguarda le leggi costituzionali e le grandi leggi che fissano i lineamenti del sistema autonomistico (leggi quadro, leggi sulla finanza regionale e locale, ecc.), e invece con semplici poteri di intervento e di emendamento per quanto riguarda le altre leggi, sulle quali la decisione finale spetterebbe comunque alla Camera. Il Senato non dovrebbe essere chiamato a votare la fiducia al Governo, mentre dovrebbe partecipare insieme alla Camera all elezione del Capo dello Stato (in luogo degli attuali delegati delle Regioni), di una parte dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti degli organi di governo delle magistrature (Consiglio superiore della magistratura ecc.). Infatti si tratta in questi casi di assicurare una rappresentatività più ampia, comprensiva del sistema delle autonomie territoriali». Oggi il Presidente del Senato sostituisce il Capo dello Stato, se impedito (art.86): con la riforma sarà un rappresentante regionale a ricoprire questo ruolo come seconda carica dello Stato? «Trasformando il Senato in Camera delle Regioni sarebbe opportuno affidare la supplenza del Presidente della Repubblica al Presidente della Camera dei deputati». Insomma, gli ostacoli ci sono e non sarà facile raggiungere l obiettivo di superare la forma bicamerale che ci siamo dati. Percorrendo i corridoi di palazzo Madama, già oggi, si ascoltano commenti increduli e diffidenti: «Voglio vederli i senatori che votano compatti la loro condanna a morte in pochi giorni, senza fare opposizione». E qualcuno ricorda anche il dibattito all Assemblea Costituente, quando i padri della Patria osservarono che «il Senato deve essere composto di elementi che, anche per la loro età, diano garanzie di serenità, di obiettività e soprattutto di maggiore ponderatezza nelle deliberazioni che saranno chiamati ad adottare». Il vicepresidente leghista del Senato, Roberto Calderoli, si mette già di traverso: «Alla luce del superamento del bicameralismo, credo si debba aprire una discussione su quale ramo abolire». Perfino Il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida all ex ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello, la proposta non va bene e dice: «Bisogna continuare a eleggere parte dei senatori. Il progetto è troppo sbilanciato sui sindaci e poi no ai nominati!» L altro grande obiettivo della riforma istituzionale è il radicale cambiamento del titolo V della Costituzione (dall articolo 114 al 133), con la cancellazione delle competenze concorrenti Stato-Regioni e il ritorno sotto il dominio centrale delle materie strategiche per il Paese (energia e reti di trasporto in primis). «Sulla riforma del titolo V (relativo a Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane)», afferma Onida, «non vedo ancora una linea chiara. Non vorrei che si traducesse in un netto depotenziamento delle autonomie territoriali, che andrebbero sì riordinate, ma in un ottica di sviluppo del principio autonomistico, di cui all art. 5 della Costituzione. Non sono, inoltre, favorevole alla pura e semplice soppressione delle Province, che andrebbero sostituite dalle Città metropolitane nelle relative aree, e per il resto rimanere, riordinate quanto a territorio e funzioni, come enti di governo di area vasta nelle Regioni di maggiori dimensioni (nelle Regioni piccole le loro funzioni potrebbero invece essere assorbite dalla Regione)». Ma per accelerare il processo legislativo non sarebbe più semplice modificare subito (come direbbe il neo premier Renzi) i regolamenti delle Camere? «Per quanto riguarda il procedimento legislativo sarebbe giusto prevedere, con riforme regolamentari ed eventualmente anche costituzionali, procedimenti con termini certi per le leggi più importanti di attuazione dell indirizzo politico di Governo, su cui la Camera vota la fiducia, eliminando l abuso della decretazione d urgenza e la prassi della approvazione, con il voto sulla questione di fiducia posta dal Governo, di maxi-emendamenti omnibus composti da centinaia di disposizioni diverse ed eterogenee». Alle fine del percorso parlamentare delle riforme si può avere il referendum confermativo ex articolo 138: dovremo votare su un solo e unico quesito che racchiude tutti i mutamenti (giusti e sbagliati), come avvenne nel 2006 per la riforma della seconda parte della Carta? «In ogni caso si dovrebbero approvare leggi costituzionali distinte sui singoli argomenti (riforma del Senato, titolo V, altro) consentendo così, nel caso di referendum, che gli elettori si pronuncino distintamente su ciascuno di essi».

12 12 Racconto d autore segue da pagina 1 Nel nome del padre Il diario intimo del grande scrittore che con Vetro ha vinto il Premio Hemingway. In visita ai luoghi della guerra partigiana, cari alle memorie familiari, scopre che oggi noi figli dobbiamo batterci per l Europa unita e democratica di Giuseppe Furno Dogana della Tecchia, Bivio Cardeto, Porcigliola, Uccelliera. Poi la montagna prende a scrollarsi dal groppone gli alberi, si trasforma in pietra grigia, erba ispida e cespugli di cardi resistenti al vento e al silenzio. L asfalto si screpola, s incrina, perde consistenza e viene digerito dalla terra e dalle pietre. Ci vorrebbe un fuoristrada per continuare. Non è necessario, perché qui, proprio nel punto dove finisce la strada, inizia la storia. La raffica di vento e il groppo alla il baratro. Un deltaplanista si stacca con le sue ali colorate, prende quota, si fa piccolo. Una vertigine solo a guardarlo. Potrei essere sul loggione d un teatro immenso, lontano dagli umani affanni: tutt intorno, il bianco delle cave di marmo del più grande bacino marmifero delle Apuane e del mondo intero. Un bianco dirompente, che abbaglia e irretisce. Cerco con gli occhi quel ravaneto, cascata di marmo sbriciolato frutto del lavoro secolare dei cavatori. Di quei ghiaioni che calano gola arrivano improvvisi, assieme verticalmente a valle ce ne sono molti. al ricordo della voce di mio padre: Ne immagino uno e vedo il partigiano «Eravamo in trecento, attanagliati Lamberto, mio padre, poco più che sulla vetta del Sagro, con due mitragliatrici Breda 37, quattro mitra Sten e moschetti del 91 con cento colpi a testa. Tutt intorno c erano diecimila nazifascisti, con armi micidiali, fra cui i lanciafiamme. La battaglia durò quattro giorni e quattro notti. Ottanta dei nostri morirono. Noi ci salvammo buttandoci giù per un ravaneto...». Mi par quasi incredibile che in questo silenzio ventoso, di quella tragica battaglia non resti alcuna eco. Nulla, proprio nulla. Abbasso lo sguardo e m avvicino all orlo. Oltre c è ragazzo, assieme ai suoi compagni, ruzzolare fra quei sassi, sotto bombe e piombo, nel tentativo di non farsi ammazzare. M avvio verso il viottolo che sale e segna di terra scura l erba rasa del prato. Mi interrogo sull attualità della parola antifascista. Perché semanticamente inchiavardata all opposto che la compone, in una convivenza che è unica sua ragion d essere. Pare che gli dèi, a me che marcio verso il Sagro Olimpo, vogliano aiutarmi, oppure pungolarmi, forse Veduta dei sentieri che conducono alle cave delle Alpi Apuane distrarmi, magari ingannarmi. Il fatto è che su una roccia, al lato della carrareccia marmifera, qualcuno ha scritto la parola dux con vernice nera. M avvicino. Per crederci meglio. Sì, hanno scritto proprio dux, in questo Sagro che dovrebbe davvero essere un monte sacro. A giudicare dal tragico appellativo, se chi l ha scritto ne è convinto, parrebbe che ne esistano ancora di quei nostalgici. Nostalgia di cosa? Magari del vacuo e deleterio: «Allora sì che si viveva meglio!» Meglio di cosa? Meglio di quando? Meglio camminare. Sì, camminare e ricordare. Il primo grande eccidio di civili ci fu nei paesi di Mommio e di Sassalbo, il 4 maggio del 44: ventidue civili, tutti uomini, li mettono al muro e li falciano. Il più giovane ha 20 anni e si chiama Ivo. Il più anziano 68 e si chiama Carlo. Supero una curva, cammino una manciata di minuti sulla sterrata. La vetta del Sagro è a un chilometro, forse meno. Il panorama s apre all Emilia, scorgo la sagoma massiccia e brulla d una montagna: è la Nuda. I paesi di Mommio e Sassalbo sono ancora là, aggrappati da qualche parte. Li cerco col binocolo. Troppo lontani. Voglio ancora immaginare. Ci sono i partigiani che combattono là, sulla Nuda e nei dintorni. Combattono per evitare che il nemico consolidi le postazioni sulla Linea Gotica che taglia in due l Italia. Ci sono truppe scelte lassù, diecimila soldati, reparti di SS, giovani e nazisti e reparti italiani della Decima MAS, giovani e fascisti. Credono in quel che fanno, ma queste truppe, unite, non riescono ad avere la meglio sulle formazioni partigiane. I nazifascisti li chiamano banditi, scrivono achtung banditi e per punirli e piegarli, rastrellano e fucilano i civili, i loro stessi famigliari. Lo chiamano diritto di rappresaglia, quest orrore nell infinito orrore di una guerra. E da queste parti, i nazifascisti lo applicano con metodo: Sant Anna di Stazzema, Forno, Bagnone, Ponticello, Valla sul Bardine, Bardine San Terenzo, Castelpoggio, Tenerano, Guadine,

13 Racconto d autore 13 Vinca, Frigido, Bergiola, Foscalina. Mille e cinquecento morti innocenti e forse più. Si vuol mettere in dubbio? Si vuol cercare davvero nel Trattato di Ginevra, nell infame diritto di rappresaglia, una qualche giustificazione? Passo dopo passo, mi vengono in mente i racconti di mio padre sulle stragi, gli eccidi, i nomi dei paesi distrutti, incendiati. Voglio pensare che chi ha scritto dux sia un ragazzino e che tutto questo non lo conosca, che non gliel abbiano mai raccontato, né insegnato e che nessuno della sua famiglia sia morto in guerra, oppure ucciso per rappresaglia. La memoria, coscienza della storia, non dovrebbe estinguersi. Mi guardo attorno. Mi par d esser solo con il vento. Guardo meglio, verso la vetta del Sagro: no, lassù qualcuno si muove. Alzo il binocolo: sono due figure, poco sotto la cresta. Da questa parte della montagna, la salita può esser lunga per me che non sono allenato. Provo a risalire un ravaneto, per tagliare un pezzo di sentiero, vado avanti qualche metro, scivolo, le scaglie di marmo tagliano come lame. Devo usare la testa, non rischiare avventure. Torno indietro e riprendo il sentiero. Penso ai conti col passato. Al dopoguerra. Alla tendenza italiana, per cultura e storia millenaria, a tenere vivo ogni contrasto: fra guelfi e ghibellini, fra bianchi e neri, fra lato a e lato b d ogni fatto e d ogni cosa. In nome della verità e delle pari opportunità. Quali opportunità? Forse l obbligo per gli antichi schieramenti d inginocchiarsi allo stesso confessionale, redistribuendo carichi d onori e d orrori, al punto che qualche piazza e qualche via d italiche cittadine tenderebbe a riprendersi il nome d un qualche fascista, oscuro eroe o voluto tale, per farla pari e patta con certi vialoni e parchi di città, che a sinistra han già fatto il pieno. Torno a chiedermi se davvero può essere questo il senso moderno del termine antifascista e del suo opposto che per natura contiene. M incammino, osservo dall alto il pianoro brullo di Campo Cècina, alla ricerca d una risposta che intuisco, ma non riesco a formulare con la chiarezza necessaria, perché pare sia venuta l epoca dove ad ogni affermazione, che sia morale e pure storica, ne corrisponda un altra di pari intensità ma sempre opposta. Dunque, come la mettiamo? Ed ecco che gli dei di questo Sagro Olimpo tornano a burlarsi di me. Perché quelle due figurette che stanno scendendo dalla vetta lungo il sentiero, mi vengono incontro e il vento me ne anticipa la parlata. Non è la mia. È meno liscia. Mi pare inglese. Ma no. È ancor più aspra. È tedesco. Sono due giovani donne, bionde e attrezzatissime, compresi i bastoncini per il trekking. Mi salutano. Sono contente e sorridenti. Mi chiedono di far loro una foto con alle spalle il Sagro. Ho un esitazione. Poi scatto. Una. Due. Tre volte. Questa mi par buona. Sorrisi. Saluti e se ne vanno. Ora sono sottovento e le voci guizzano ancora per poco e poi s annullano. Cado seduto su una pietra e le osservo. Mi viene spontaneo pensare se nelle loro famiglie, magari un nonno o forse un bisnonno, abbia combattuto su questi monti. Vado oltre e immagino che forse è stato proprio lui a consigliare di venire fin quassù, ad ammirare la bellezza pura delle Apuane e dell infinito mondo che da quassù appare. L idea m arriva semplice ed appagante, ispirata dalla libertà disinvolta e dalla gioia squillante delle due turiste: «Europa», penso. «Sì, accipicchia: Europa e ancor più Europa per salvarci da nuove tragedie». E mi viene in mente Ventotene, terra di confino per tanti antifascisti, isola che da queste altezze, per quanto limpido sia il giorno, non si potrà mai vedere. Sulla piazza del Comune di quell isola persa nel mar Tirreno, fra tutte le bandiere europee, una lapide ricorda Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e il loro Manifesto per la nascita di una Europa senza più confini. «Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via i vecchi fardelli divenuti ingombranti», scrivevano Spinelli e Rossi settant anni fa, «tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge, così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie fra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l eredità di tutti i movimenti di Lamberto Furno ( ), nato a La Spezia, giornalista, vaticanista e redattore politico della Stampa. Ha pubblicato (in collaborazione) Testimonianze per Papa Giovanni, Milano, 1967; Viaggio attraverso la teologia scomoda, Roma, 1975 e Il Drago e il Sagro, Roma, 1985, romanzo nel quale narra la sua esperienza partigiana nella Brigata Garibaldi Ugo Muccini. elevazione dell umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!» Torno a guardare le due tedesche che si godono la vacanza italiana e penso che lo spirito del Manifesto stia anche lì, in quella loro libertà disinvolta, nella gioia squillante. Dunque, ecco, intravedo una nuova e possibile interpretazione della parola antifascista, inchiavardata com è al suo opposto: l antifascismo, oggi, è credere nell essenza profonda del Manifesto di Ventotene, opponendosi con tenacia alla nuova alzata dei fasci da combattimento dell armata antieuropeista, con la consapevolezza che la strada da percorrere non sarà certo facile, né sicura, ma convinti altresì che sia l unica percorribile. La vetta del Sagro Olimpo è là che m aspetta, a mille passi e al tramonto mancano sì e no un paio d ore. Dovrò sbrigarmi. Mi rimetto in marcia: non voglio farmi cogliere dalle prime ombre della sera.

14 14 Patrioti Cultura Vedi alla voce partigiano. I tanti volti di chi combatté il nazifascismo Nella bellissima antologia Storie della Resistenza i racconti in presa diretta di quell esperienza che ha cambiato le attese del nostro Paese. Scritture personali, senza un filo di retorica, che sembrano rivolgersi alle future generazioni di Maurizio Galli Herbert L. Matthews, giornalista del New York Times, nel novembre del 1944 scrisse, riferendosi al fascismo, «non l avete ucciso». Pochi anni dopo, precisamente quattro, con la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni politiche, la maggior parte di quelli che avevano partecipato alla Resistenza poteva pensare che quella frase scritta dal giornalista americano era stata profetica. Troppi italiani, cresciuti, invecchiati, nati sotto il fascismo, vi avevano aderito, lo avevano ammirato, aiutato e sopportato, molti di questi, soprattutto ragazzi, dopo l 8 settembre del 1943 lo avevano poi combattuto, erano diventati partigiani, avevano dato vita alla Resistenza. L Italia, ultimo paese tra quelli occupati ad avere un movimento di liberazione, diede un vero contributo militare, la Resistenza, che costò morti e sacrifici e divenne, senza possibilità di revisione storica, la spinta maggiore alla riscossa del nostro Paese, sia in termini di orgoglio nazionale che in termini politici. In questo contesto la vicenda resistenziale diventerà nei decenni a venire, e fino ai giorni nostri, campo di battaglia tra diverse ideologie politiche, cambiando di significato a discrimine di chi la raccontava e di quello che voleva rappresentasse. L antologia Storie della Resistenza (Sellerio editore, 15 euro), nell intenzione dei curatori Domenico Gallo e Italo Poma, vuole raccontare al lettore quello che la lotta partigiana sperimentava e organizzava, un modo di essere che, nelle parole dei due curatori, era «semplicemente il contrario dell insieme di regole in cui erano cresciute almeno due generazioni senza conoscere modelli alternativi». I racconti scelti sono quasi sempre la prima stesura di questi testi, il più vicino possibile al momento dell esperienza resistenziale, testimonianze la cui scrittura è ancora calda dell esperienza diretta dei protagonisti. La raccolta è articolata in nove sezioni, una per ogni aspetto della lotta partigiana: Che cosa fu la Resistenza; I maestri; La scelta; Organizzazione politica e militare; Le azioni; Prigionieri, esecuzioni e spie; Donne protagoniste; Ebrei nella Resistenza; Poeti, scrittori, intellettuali. Questa divisione aiuta a inquadrare i vari contesti senza perdere il filo logico del discorso. Alla lettura è subito evidente come questo lavoro di pulizia abbia dato i suoi frutti: la retorica a cui purtroppo siamo stati abituati, alle volte in buona fede, è estranea a questi testi. Sono diari, appunti, cronache di vita o di azioni militari che comunicano con chiarezza e profondità le esperienze personali, cosicché risultano più moderni e attuali di qualsiasi testo storico: brani didatticamente e pedagogicamente utili al racconto della Resistenza alle nuove generazioni. Troviamo, quasi all inizio del libro, uno dei testi forse più interessanti, Un uomo ordinato - Il dizionario del partigiano anonimo, di Angelo Del Boca. Al disgelo, nella primavera del 1945, fu trovato nella giacca del cadavere di un giovane partigiano, un diario particolare, diverso, una sorta di dizionario che comprende cinquanta voci relative alla vita partigiana che questo ragazzo aveva scritto su piccoli fogli d agenda. Parole come Alba. «Quando spunta può essere troppo tardi»; Casa. «Meglio non pensarci. Col tempo, non è poi tanto difficile»; «Repubblica. Una parola che può significare la parte avversa. Esempio: Arriva la Repubblica. Oppure una straordinaria confusione: Che Repubblica!. Chissà quanti anni occorreranno, da noi, perché riacquisti il suo vero significato». E altre voci, ironiche o drammatiche, che rappresentano quello che è stata per questi ragazzi l esperienza della Resistenza, tra conoscenza della vita e scoperta del mondo, della civiltà e della morte. Nuto Revelli, invece, nel suo capitolo L addestramento del partigiano si sofferma sull aspetto militare e organizzativo della guerra partigiana. La paura dei tedeschi, addestrati all antiguerriglia, a differenza della disorganizzazione delle Brigate Nere. I vari ruoli militari, il comportamento verso i prigionieri, che non venivano mai torturati dai partigiani, ma fucilati. A un ragazzino di 14 anni, scrive Revelli, una vera canaglia, fu risparmiata la fucilazione perché ritenuto troppo stupido. Questi, allora, si offrì di avvelenare la minestra dei fascisti una volta sceso al paese. Revelli raccontò questa storia a Sandro Pertini quando era Presidente della Repubblica, e alla domanda di uno dei presenti sulla fine che avrebbe potuto fare il ragazzino nella sua vita, Pertini pare abbia risposto «sarà deputato al Parlamento».

15 Cultura 15 Ne I denti di Ada, Giorgio Caproni descrive l arresto e l esecuzione di una giovane spia, Ada. Un racconto toccante e senza retorica. Uccidere è sempre difficile, in questo caso anche leggere di un uccisione, e non basta sapere che si è dalla parte della ragione, è una scelta contro l umanità e Caproni la descrive così, grazie alla sua sensibilità. Il libro snocciola altre decine di racconti che varrebbe la pena citare tutti, e questa raccolta è una lieta sorpresa, Giorgio Caproni, uno degli autori dei racconti nel libro principalmente dal punto di vista letterario. I testi, seppure diversissimi tra loro per temi e stile, si appendono al filo invisibile dell esperienza che li lega e si fanno leggere più e meglio di un testo storico, e al lettore si permette di ripercorrere quei momenti, settant anni dopo, con un empatia che non è la stessa di chi si limita a portare fiori a una lapide o lo stendardo alla manifestazione del 25 aprile nel suo Comune. La retorica della guerra e dell eroismo non è di casa in queste pagine, il revisionismo sembra non poterle attaccare. Pansa e i suoi figliocci sono distanti anni luce dalla verità di queste parole, e l operazione dell editore Sellerio, e sopratutto dei due curatori Poma e Gallo, ha centrato l obiettivo di non essere l ennesima, trita pubblicazione sulla Resistenza ma, contando anche sulla genesi di questa raccolta, potrebbe essere invece l inizio di una nuova serie di pubblicazioni di pregio narrativo più attuali, più adatte al doveroso impegno didattico che ci aspetta negli anni futuri, quando le testimonianze dirette non esisteranno più e toccherà a chi la Resistenza non l ha mai vissuta diffonderne la memoria. Per concludere ci tengo a riportare, sempre dal Dizionario del Partigiano, quello che lo sfortunato giovane ha scritto alla voce partigiano, quasi un compendio di quello che si narra in questo libro: «Partigiani. Ce ne sono di tutti i tipi: comunisti e cattolici, socialisti e liberali, anarchici e trozkisti, giellisti e monarchici, leali e opportunisti, coraggiosi e vigliacchi, decisi e attendisti, generosi e scaltri, onesti e ladri, giovani e vecchi, eroi e doppiogiochisti, consapevoli e no, con scarpe e senza scarpe, vestiti come soldati e come pagliacci. Combattono una delle diecimila guerre che l uomo ha scatenato su questa terra e pensano di essere dalla parte della ragione». E noi sappiamo che lo erano. L avventura di Danilo Mannucci Presentato a Salerno il libro di Ubaldo Baldi al quale ha collaborato il figlio dell antifascista, Giuseppe Il 4 dicembre 2013 è stato presentato presso la Sala del Gonfalone del Comune di Salerno il volume di Ubaldo Baldi, scritto con la collaborazione di Giuseppe Mannucci, Varcando un sentiero che costeggia il mare. L avventurosa vita di Danilo Mannucci (Editrice Gaia, Angri 2013). Il libro è stato pubblicato grazie al contributo economico dell Anppia Nazionale e contiene un saggio, dal titolo L antifascismo dopo il fascismo, che traccia il quadro generale che portò alla promulgazione della legge n del 1953 denominata Provvidenze in favore dei perseguitati politici antifascisti e razziali e dei loro familiari superstiti. Ha scritto l amico Ubaldo Baldi nella presentazione del suo bel libro che la «vicenda umana diventa emblematica e quindi capace di offrire una chiave di lettura originale della storia del nostro recente passato». Mannucci, attivo militante del Movimento operaio italiano e internazionale, è stato uno di quegli uomini incorrotti e incorruttibili quanto diversi da certe figure che rappresentano oggi il popolo italiano che hanno pagato duramente la loro opposizione al Fascismo, ed anche allo Stalinismo, dedicando la propria esistenza alla libertà e alle lotte operaie per combattere le ingiustizie sociali. Di professione vetraio, poi rappresentante di commercio, fece parte della gioventù socialista livornese dalla fine del 1915 per passare poi al Partito Comunista, due mesi dopo il Congresso di Livorno. Testimone e protagonista per oltre mezzo secolo di storia proletaria, è stato una figura di uomo e di antifascista perfettamente rispondente a quanti, alla fine della guerra, si sono ritrovati nell Anppia, fondata nel 1946 da Sandro Pertini ed Umberto Terracini per riunire i perseguitati politici antifascisti. Un associazione che in questo momento storico vede ancora attuali i propri fini: combattere contro il rinascente fascismo in tutte le sue forme, palesi, occulte o dissimulate, e contro ogni sua manifestazione ideologica o d azione; riconoscere la Costituzione repubblicana come il patto civile nel quale si incontrano e si riconoscono tutti i democratici italiani; lottare affinché questa sia attuata in tutte le sue parti. La violazione di questa Costituzione significa voler vanificare o inficiare le conquiste e gli ideali dell Antifascismo.

16 16 Patrioti Cultura Il Garibaldi sconosciuto che lottava per i diritti civili Il libro di Lauro Rossi analizza i precursori del pensiero democratico e ci fa scoprire l attualità dell Eroe dei due mondi di Nicola Terracciano La casa museo di Garibaldi a Caprera Il prezioso, solido libro Ideale nazionale e democrazia in Italia. Da Foscolo a Garibaldi (Cangemi editore, 32 euro, ebook 26 euro) si deve a Lauro Rossi, il sapiente dirigente della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma che ha sempre abbinato gli impegni professionali agli studi storici, soprattutto risorgimentali, rivelando una vera inclinazione per la ricerca sul campo: è abilissimo nel disvelare e approfondire fonti finora trascurate. Rossi ha, tra l altro, curato un volume dell Edizione Nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, dedicato all età giacobina e napoleonica, e ha dato un contributo personale importante ai doverosi momenti collettivi di memoria, come quelli sul 150mo dell Unità d Italia, su Garibaldi, su Mazzini, sui Fratelli Rosselli. A riconfermare la sua appassionata tensione civile, che si cela dietro l apparente distacco e l accattivante bonomia, ha raccolto in questo fondamentale libro saggi pubblicati negli anni, rivisti con cura per l occasione, insieme a contributi nuovi. Il tema di fondo è la rimeditazione personale di passaggi nodali del fondamentale evento risorgimentale nel suo impianto ideale, nel suo effettuale svolgimento, nei suoi risultati duraturi, ma anche nei suoi limiti, a partire dall approdo unitario. Quest ultimo non fu supportato, per esempio, da una trasformazione dello Statuto albertino: nato in altro contesto storico, quindi insidiato e indebolito nel suo decisivo impianto costituzionale, ha prodotto man mano fenomeni negativi, di corruzione e di autoritarismo, col trasformismo, poi col crispismo, con i limiti del giolittismo. Questi elementi negativi, combinandosi con gli effetti della prima guerra mondiale, hanno portato allo snaturamento del Risorgimento da parte del fascismo. L opera di deformazione e di sostanziale sfregio del reale profilo storico del Risorgimento, che era stato nazionale e mai nazionalistico, liberale, laico, aperto alla modernità, si è prolungata nell età repubblicana, fino ad oggi, anche per l egemonia politica e pedagogica di forze estranee o addirittura avverse al Risorgimento. I limiti dell approdo unitario erano stati lucidamente, profeticamente intuiti e analiticamente argomentati dalla tradizione democratica italiana, una delle fondamentali forze attive nel processo risorgimentale e la più aperta al futuro, non solo per l Italia, ma per l Europa. A questa tradizione, che ha avuto il proprio baricentro nel grande asse Mazzini-Garibaldi, sono dedicati i saggi centrali del libro di Lauro Rossi, con la riscoperta della figura importante e poco nota di Alberto Mario. Rossi dedica la prima parte del suo volume ai precursori del pensiero democratico in epoca napoleonica, Ugo Foscolo, Giovanni Fantoni, Enrico Michele L Aurora, nel riconoscimento della preziosità e originalità delle loro

17 Patrioti esperienze biografiche, delle loro posizioni ideali, delle meditazioni e proposte politiche. In particolare Foscolo sa cogliere il valore del Bonaparte generale, forza storica rivoluzionante, ma sa anche svelare e criticare i limiti e le tragedie del Napoleone dominatore. Il libro dedica grande spazio alla singolare figura del patriota democratico romano Enrico Michele L Aurora (l autore ne ha curato la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani). Rossi è affascinato da quel suo concittadino ramingo per il mondo. L Aurora poneva al centro del suo pensiero e della sua azione rivoluzionaria la storica divisione della penisola e la sua arretratezza. Per ritrovare la sintonia con la modernità voleva una Italia unita, indipendente, repubblicana, democratica, laica, capace di porre fine, con Roma capitale, al potere temporale del papato, sommo esempio di dispotismo e di monarchia assoluta. L Aurora già parla di una federazione europea, e poi mondiale, di liberi popoli, anticipando Mazzini. L Aurora fu uomo di pensiero e di azione. Rossi ne approfondisce la partecipazione alla Repubblica Romana del 1798, ma soprattutto il ruolo nella Repubblica Napoletana, al seguito di Championnet, suo amico. L Aurora divenne nel giugno 1799 comandante di Castello dell Ovo e quindi protagonista delle ultime tragiche vicende, rimanendo ferito più volte. Evitò il capestro, ma non ventuno mesi di duro carcere nelle orribili prigioni borboniche. Accanto a nuove notizie sulla vita di L Aurora Rossi riporta scritti inediti, trovati a Parigi, che impreziosiscono il volume non solo dal punto di vista critico, ma anche documentario e permettono di datare al 1793 la stesura del suo scritto più noto All Italia nelle tenebre L Aurora porta la luce. Il volume di Rossi presenta un interessante e doveroso saggio sulla preziosa figura del patriota piacentino Melchiorre Gioia, poco presente nella grande memoria risorgimentale di fine Settecento. Col suo spirito acuto e pragmatico Gioia colse i limiti dell azione dei democratici e dei francesi che non seppero coinvolgere cittadini e soprattutto contadini aizzati da un clero reazionario e nemico dei principi di libertà e di democrazia: da lì il fenomeno delle insorgenze. Un altra figura ritenuta minore che Cultura Rossi richiama giustamente è quella del valtellinese Cesare Paribelli, che denunciò le violenze della conquista francese e indicò profeticamente come prospettiva fondamentale per il movimento rivoluzionario italiano quella di una Repubblica italica indipendente, indivisibile, con Firenze capitale, essendo l Italia una penisola troppo lunga e geograficamente tormentata. Lauro Rossi dà un giudizio positivo sui patrioti italiani di fine Settecento: «Veri iniziatori del movimento risorgimentale, decisi sostenitori dell unità della penisola, conobbero lungo tutto l arco del XIX secolo una pesante opera di rimozione. Si rimproverava loro di essere stati troppo succubi dei francesi, di non aver operato in piena autonomia. Eppure, quasi tutte le idee espresse dal nostro Risorgimento furono formulate ed elaborate nel corso degli anni ». Nella seconda parte del libro, dal titolo I democratici e il processo di unificazione i vari saggi approfondiscono Mazzini e il primato dell iniziativa italiana, Garibaldi tra guerra e pace, infine Alberto Mario e la difesa dell integrità nazionale. Rossi, con tutte le sue simpatie di democratico, analizza il fenomeno Garibaldi dopo l epopea del Se nell immaginario collettivo l Eroe che si ritira nell umile casetta di Caprera è un personaggio minore che ha solo episodici scatti di protagonismo, Rossi sfata la leggenda e approfondisce la ricchezza di quei lunghi anni solitari, quando Garibaldi mise a fuoco il suo pensiero politico con una originalità e una modernità di tratti che lo rendono attualissimo, nostro contemporaneo oltre che leggenda dell Ottocento. Garibaldi, pur avendo come residenza un isoletta sperduta, si mantiene dal 1861 fino alla morte nel 1882, per ventidue anni, in profonda e costante consonanza e compartecipazione con la vita storica dell Italia e dell Europa, ne sa avvertire i problemi cruciali, sia quelli più immediati, urgenti, sia quelli più profondi e prospettici. Non c è battaglia per i diritti civili, politici e sociali in Europa e nel mondo che non veda Garibaldi in primo piano o solidale: dall abolizione della schiavitù negli Stati Uniti (Lincoln gli propose di guidare le truppe dell Unione), alla critica radicale del razzismo, alla lotta per i diritti civili e politici degli ebrei, all emancipazione delle donne, all abolizione della pena di morte, alla conquista del suffragio universale, alla rivendicazione dei diritti e dei doveri di operai e contadini affermati dalla Prima Internazionale. Il suo era un orizzonte di pace, di progresso, di democrazia; ammetteva la guerra solo come guerra dei popoli contro il dispotismo e l impostura. Il suo impegno nel parlamento e nel paese, direttamente o attraverso i suoi fedelissimi, come Cavallotti, mirava a una democrazia sempre più diffusa e autentica, allo sviluppo della scuola pubblica e laica, del sapere e della scienza, al contenimento della rendita parassitaria con lavori pubblici e socialmente utili. Garibaldi si è battuto per una Confederazione Europea e per una Confederazione mondiale con l avvento di un arbitrato internazionale a Ginevra per comporre i contrasti. Il tema della fratellanza dei popoli era dentro anche alla sua fervida adesione alla massoneria, di cui fu anche Gran Maestro. Sognava un Italia libera veramente, democratica, laica, operosa, europeista, sorella di altri popoli liberi che insieme potevano garantire pacifica convivenza e progresso, perché laddove non vi sono popoli liberi e democratici non vi può essere mai veramente la pace. 17

18 18 Cultura Stavolta ci prende l anima una ragazzina scampata ad Auschwitz Il film Anita B. di Roberto Faenza racconta il dopo lager, ma gli esercenti cinematografici lo boicottano. «Siamo un paese ignorante, senza memoria», dice il famoso regista che viene comunque premiato dall attenzione di folte scolaresche di Antonella Amendola Qualche voltafaccia sgarbato. Qualche prudente ritirata. Alcuni esercenti cinematografici, dopo essersi impegnati, si sono rifiutati di accogliere in sala il film Anita B. di Roberto Faenza, storia di una sedicenne ebrea scampata ad Auschwitz che vuole, con tutte le sue forze, tornare alla vita, progettare un futuro, abbandonarsi all amore. «Un grosso equivoco», dice il regista. «Appena senti parlare di campi di concentramento c è spavento. Accade come alla protagonista del mio film, tutti si sottraggono ai suoi racconti. Ma il mio non è un film sull orrore dei campi, è un film sul dopo, un argomento pochissimo trattato al cinema». Il film, che è liberamente tratto dal romanzo di Edith Bruck Quanta stella c è nel cielo, ed è stato scelto dallo Yad Vashem di Gerusalemme per la solenne Giornata della memoria (27 gennaio) ci conduce nel percorso emotivo della ragazzina (interpretata da Eline Powell), tra la famiglia non sempre ospitale, i ricordi brucianti, il sogno di Israele, la consolazione di un piccolissimo amico bambino, l unico al quale confidare paure e speranze, anche se non è in grado di intenderle. Il racconto intriga, commuove e del resto è proprio Faenza a confessare che leggendo il libro della Bruck era scoppiato a piangere. C è poi la solida cornice storica (siamo nella Cecoslovacchia che si accinge a diventare comunista) a suggerire più di una riflessione. Eppure il percorso pubblico del lavoro di Faenza è impervio: succede alle produzioni indipendenti in Italia dove i monopolisti degli schermi, i grandi marchi, ci subissano di stupide commedie, clonate le une sulle altre. Per attirare l attenzione sul suo film il regista ha comprato una pagina di giornale per una locandina provocatoria che recita: «A quale X-Factor partecipò Adolf Eichmann?». «Mi è capitato», spiega Faenza, «di vedere un quiz, L eredità, con un concorrente, un giovane, che credeva che Hitler fosse un personaggio degli anni Settanta. Non me la prendo con i ragazzi, ormai avvinti alla vita virtuale della connessione perenne, me la prendo con la scuola, che è stata ottima e oggi non vale più niente, con professori ridotti a guadagnare euro. Me la prendo con i genitori. Me la prendo con l elefantiasi della televisione che esalta l attimo fuggente, mentre il cinema ha il dovere di ricordare. Nessuno vuole più fermarsi a guardarsi indietro. Siamo un paese ignorante, senza memoria. Ho letto un libro bellissimo della Tobagi sulla strage di Brescia, ma se tu parli di stragismo strabuzzano gli occhi. Chi si ricorda più di Piazza Fontana, di Bologna?» Già, la memoria, un tema immenso, perché è con la selezione dei ricordi, di ciò che conta e ciò che è trascurabile, che una comunità si dà un identità, un aspettativa di futuro. «Mi interessa il tema della memoria, individuale e collettiva», dice Faenza. «Avevo già fatto film sull Olocausto, questa volta l approccio è diverso: c è una ragazza che non vuole fare tabula rasa di tutta l esperienza dolorosa che ha vissuto, perché intuisce che azzerando i ricordi annullerebbe se stessa. Ma chi le sta intorno la invita anche bruscamente a voltare pagina, a dimenticare. Succede anche in Napoli milionaria: Eduardo Roberto Faenza torna dalla guerra e immagina che tutti lo festeggino. Invece neanche lo invitano a pranzo. La guerra è un argomento tabù, i reduci sono a malapena tollerati e si sentono quasi in colpa di avercela fatta. Jean Amery, che nel lager fu compagno di baracca di Primo Levi, sosteneva che Dio ha dato all uomo la dimenticanza e che un angelo si avvicina ai bambini per fare in modo che ricordino, un altro angelo perché dimentichino. C è anche il diritto all oblio, quella che il linguaggio psicoanalitico chiama rimozione. Io non credo che siano spregevoli le persone che, essendo passate per esperienze indicibili come i lager, vogliano dimenticare. Credo, però, che la collettività ha il dovere della memoria e, in una parola, la memoria è giustizia». Faenza se la prende con i negazionisti, dice che non hanno un briciolo di intelligenza, li accusa di volersi solo fare pubblicità. «Però con la crisi che picchia duro si rischia davvero», osserva. «Ormai nel fronte antieuropeo si ritrovano partiti dichiaratamente fascisti o nazisti. Tutta l Europa ha una perdita di memoria e Marine Le Pen potrebbe essere il primo partito in Francia. Ecco perché voglio che il mio film lo vedano gli alunni delle scuole. Già in 100 mila si sono prenotati».

19 Cultura 19 Hannah, che negli occhi di Eichmann scoprì la banalità del male Siamo alle solite: osannato dai critici stranieri, esce nelle sale italiane, ma solo per due giorni, il film di Margarethe von Trotta Hannah Arendt. Primo piano sulla filosofa ebrea, nemica dei totalitarismi, che scatena ancora polemiche e censure di Elisabetta Villaggio Il New York Times in una lista di recensioni di 900 film dello scorso anno l ha inserito tra i primi dieci. La critica giapponese l ha decretato il miglior film straniero del Stiamo parlando di Hannah Arendt il bellissimo lungometraggio di Margarethe von Trotta che narra un pezzo di vita della filosofa e studiosa ebrea tedesca, nelle sale italiane in occasione del Giorno della Memoria il 27 e 28 gennaio. Hannah, nata da una famiglia ebraica a Linden nel 1906, studiò all università di Marburgo ed ebbe come professore Martin Heidegger, con il quale coltivò una relazione segreta. Per molti versi fu la sua migliore studentessa, appassionata nella ricerca del libero pensiero e dell onestà intellettuale, che metterà sempre al primo posto nella vita. Quando i nazisti prendono il sopravvento in Germania lei si rifugia in Francia dove conosce il secondo marito e grande amore della sua vita, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, con il quale emigrerà negli Stati Uniti nel La pellicola racconta gli anni dal 61 al 64 quando Hannah, interpretata da una bravissima Barbara Sukova è Hannah Arendt nel film della von Trotta Barbara Sukowa, viene inviata dal New Yorker in Israele per seguire il processo al criminale di guerra nazista Adolf Eichmann catturato dal Mossad in Argentina. Per la famosa rivista scrive una serie di articoli, poi diventati il libro La banalità del male, dove solleva la questione che il male possa non essere radicale. L assenza di memoria e il rifiuto di pensare possono trasformare persone banali, come lo era Eichmann, in veri e propri criminali. Per lei il gerarca nazista altro non era che una persona priva di personalità che, come sosteneva lui, aveva obbedito a ordini superiori. La Arendt inoltre chiama in causa alcuni leader ebrei accusandoli di non aver capito in tempo la gravità del nazismo: queste sue tesi scatenarono fortissime critiche e il suo libro non fu pubblicato in Israele fino al Abbiamo incontrato la regista a Roma dove è venuta a presentare il suo film. Hannah Arendt è stata considerata una revisionista: diceva che i capi ebrei avrebbero potuto comportarsi diversamente. il comunismo di Stalin e contro il totalitarismo in generale. Questa è stata una lezione alle persone di sinistra che all epoca non criticavano certe cose. Solo dopo la caduta del muro di Berlino noi di sinistra abbiamo iniziato a vedere le cose in modo più obiettivo. Lei era avanti con il pensiero». La relazione con Heidegger è stata molto importante, forse la più importante della sua vita. Lei la racconta solo in un flash back. «Non ho scelto di fare questo flash back per raccontare che erano amanti e se avessi deciso di fare un film su questo argomento avrei trovato molto facilmente i soldi: l ebrea e il pro nazi! Hannah sostiene che pensare ci protegge dalle catastrofi e Heidegger insegnava a pensare. Poi è caduto nella trappola del nazismo, mentre Hannah era una idealista che guardava al passato cercando di spiegare i tempi bui, ma era anche una filosofa che sosteneva che il pensiero possa salvare dal male». «Abbiamo scelto, con la mia coautrice (Pam Katz ndr), Che tipo di reazioni ha avuto il pubblico in giro per il di raccontare un periodo della vita della Arendt. Hannah è stata accusata di essere una sorta di revisionista perché ha messo in dubbio i capi ebraici, li ha accusati di aver cooperato. Questo è venuto fuori durante il processo che lei seguiva. Anche quando ho fatto altri film sul nazismo mi sono molto documentata e ho letto tante cose su alcuni capi ebrei che hanno fatto cose anche solo per vantaggi personali, ma in fondo anche loro sono umani e non vuol dire che essere ebrei significhi essere migliori». Qual è il messaggio più importante della Arendt? «Le sue idee hanno cambiato il mondo. Se non guardi oltre rimani limitato nel tuo pensiero e poter pensare è un dono, quindi bisogna utilizzare la propria testa. Lei ha scritto un altro libro mondo? «L accoglienza è stata miracolosa! Abbiamo fatto l anteprima a Gerusalemme ed è andata molto bene. Il film ha avuto successo in Germania e in America e sono molto contenta perché ho dovuto aspettare 8 anni prima di realizzarlo! Sono stata invitata a New York alla New School, dove insegnava Hannah e molti intellettuali scappati, per l ottantesimo anniversario della fondazione». Perché in Italia il film esce solo per due giorni? «Abbiamo avuto difficoltà di ricezione da parte delle sale italiane così abbiamo deciso di proporlo nel Giorno della Memoria. Il film comunque ha avuto grande attenzione da parte di associazioni e dalle scuole». molto importante, (Le origini del totalitarismo nel 1951 ndr), contro

20 20 Cultura Cristicchi canta la tragedia dei profughi dell Istria e accorre la polizia Nello spettacolo Magazzino 18 trionfa la pietà per tutti coloro costretti all esodo dalle guerre, dalle ideologie, dai calcoli dei politici. Ma il grande tema è l italico vizietto della rimozione: è ancora tabù parlare dei profughi giuliano-dalmati di Paolo Morelli Comandamento numero undici: non dimenticare! Magazzino 18, l ultimo lavoro di Simone Cristicchi, scritto insieme a Jan Bernas e con la regia di Antonio Calenda, musiche dal vivo inedite dello stesso Cristicchi, ci conduce dentro una delle tante vicende italiane sapientemente rimosse, dentro appunto il magazzino del Porto Vecchio di Trieste dove tuttora sono conservati gli effetti personali, le mobilie, i ricordi di una diaspora pressoché cancellata, anzi svuotata di senso in quella parte di storia d Italia del secolo scorso che somiglia a una mesta rapsodia della dimenticanza. Siamo nel 47, quando in seguito al trattato di pace l Italia ha perso vasti territori dell Istria e della fascia costiera, e quasi 350mila istriani, fiumani, dalmati scelsero, o meglio dovettero scegliere di abbandonare le loro case e le loro terre per sempre, rastrellati in nome della Storia e male accolti in patria, dove vagarono e a volte morirono tra campi profughi che possiamo immaginare molto simili agli odierni Cie. La differenza, e non di poco conto, è che si trattava di italiani, circondati da cattiva fama, diffidenza, ogni sorta di pregiudizi e fanatismi per aver abbandonato il territorio divenuto jugoslavo e in mano a Tito, specie, ma non solo, da parte del Pci che organizzò manifestazioni che costellavano di insulti il loro viaggio sulle tradotte. In quel magazzino abbandonato da settant anni un personaggio scanzonato e romanesco capitato lì per caso, un archivista, si ritrova alle prese coi fantasmi che quegli oggetti suscitano, e con l indignazione che una revisione odierna della vicenda non può non sollevare. Oggetti siglati con nomi e numeri, armadi, attrezzi da lavoro, fotografie in bianco e nero, quaderni scolastici, bauli e tante sedie che hanno pure incollata addosso la tragedia di un intero popolo sradicato e sbandato, tragedia che non si fa fatica ad accostare agli avvenimenti attuali. Cristicchi stesso, in un intervista a Il Piccolo on-line ha dichiarato: «Quello che mi ha mosso è la pietà, la compassione per le persone che oggi vivono l esodo. È un problema che esiste da sempre, ma lo stiamo vedendo bene in questi giorni con tutte le persone in fuga che sbarcano sulle nostre spiagge. Ho preferito raccontare la geografia dell anima, piuttosto che quel poco che dicono i libri di storia» È infatti una sorta di compassione, nel senso etimologico, che porta l ignaro protagonista a diventare una specie di spirito delle masserizie e a raccontare, quindi, il dolore delle vicende personali, individuali, di gente in balìa di quelle che si spacciano per le grandi risoluzioni della Storia, ma che altro non sono in fondo che le decisioni dei potenti di turno, di qualsiasi ideologia si ammantino. Dalla donna che non volle partire al bambino di un campo profughi, all esule da Pola, dai portuali monfalconesi che decisero al contrario di andare in Jugoslavia, al prigioniero del lager comunista di Goli Otok. Raccontano, quegli oggetti accatastati, la vecchia storia dei guai che si combinano quando ci si ostina a ragionare troppo in grande, e Cristicchi ci porta la sua testimonianza dolorosa, con voce di ragazzo che incanta per quel gradiente di emozione rinnovata, e dopo il bellissimo Li romani in Russia, grande poema vernacolare misconosciuto di Elia Marcelli, in una sequenza di scelte artistiche che sembra un inventario delle sconfitte di questa nazione. Se ce ne fosse bisogno, la necessità della rivisitazione della vicenda ha avuto riprova nelle accuse al cantante-attore da parte delle opposte fazioni, fino a portare alla prima nazionale al teatro Rossetti di Trieste con la polizia schierata all entrata. Come ha dichiarato lo stesso Cristicchi in un intervista al Fatto Quotidiano: «Una cosa davvero unica penso nella storia di questo teatro. All inizio si respirava tanta tensione che poi si è sciolta anche con qualche risata. Personalmente non mi era mai capitato di andare in scena in un teatro all esterno del quale c erano le forze dell ordine per timore di disordini. È stata la vittoria della gente che non ha voce, visto che con questo musical siamo riusciti a colmare il silenzio di tanti anni. Il lungo e ininterrotto applauso finale ha posto la parola fine su tutte le polemiche». E ancora, nella stessa intervista: «Ritengo che la generazione precedente alla mia non abbia fatto i conti con quella vicenda. Chi come me viene dopo ha una visione più imparziale e non intrisa di ideologia, che permette di capire che non è stata solo la tragedia, bensì una vera trasformazione di un popolo e credo che sia questo l elemento di interesse per i giovani». Da quella volta non l ho rivista più, cosa sarà della mia città. / Non so perché stasera penso a te, strada fiorita della gioventù. / È troppo tardi per ritornare ormai, nessuno più mi riconoscerà, cantava il profugo polese Sergio Endrigo. E per chi si chiede come sia possibile pensare di recuperare una visione comune, una coscienza civile in un paese che si è andato costruendo, strutturando quasi sulla dimenticanza e sull impunità, su omertà istituzionali e protezioni, dalla vicenda giuliano-dalmata a Portella della Ginestra alle tante stragi e quotidiane ingiustizie in cui lo Stato ha avuto sempre un qualche ruolo, il lavoro di Cristicchi rappresenta un bel tentativo di risposta.

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