LA CORTE DI GIUSTIZIA SULLE TARIFFE FORENSI
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- Muzio Romano
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1 LA CORTE DI GIUSTIZIA SULLE TARIFFE FORENSI Negli ultimi anni le dispute Anti-Trust e quelle relative al Diritto della Concorrenza stanno diventando sempre più strumentali, in tutti i settori. Ora è la volta degli Ordini Professionali e delle Tariffe: in questa nota mi soffermerò solo su ciò che riguarda gli Avvocati. Limitando ora l'analisi alla questione delle Tariffe Forensi, giova intanto commentare il recente parere dell'avvocato Generale Philippe Léger, reso il 10 luglio 2001 nel procedimento C-35/99 (Arduino/Dessi), in cui il Pretore di Pinerolo ha sottoposto alla Corte di Giustizia ex art. 177 del Trattato CE (ora art. 234) la domanda di pronuncia pregiudiziale sulla legittimità o meno della Delibera del Consiglio Nazionale Forense (CNF) che propone la Tariffa degli onorari Forensi e del Decreto Ministeriale che la approva. Riporto subito le conclusioni dell'avvocato Generale Léger (segue poi il commento): <<le disposizioni degli artt. 5 e 85 del Trattato CE (ora 10 CE e 81 CE) non ostano a che uno Stato membro adotti una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base un progetto redatto da un ordine Professionale di avvocati come il Consiglio Nazionale Forense, una tariffa che fissa gli onorari minimi e massimi per le prestazioni effettuate dai membri della professione, alla triplice condizione che: 1) le autorità pubbliche dello Stato membro interessato esercitino un controllo reale sul contenuto della tariffa proposta dall'ordine professionale, 2) che la misura di Stato che approva la tariffa persegua uno scopo legittimo d'interesse generale e che 3) la misura di Stato sia proporzionata rispetto allo scopo perseguito. E' compito del giudice nazionale (a quo) verificare se tale è il caso... e che 4) le autorità pubbliche dello Stato interessato si riservino il potere di stabilire direttamente o indirettamente il contenuto della tariffa degli onorari e che 5) le dette autorità esercitino realmente i poteri loro conferiti dalla legge. E' compito del giudice nazionale verificare se ne ricorre il caso>>. Le condizioni poste dall'avvocato generale sono quindi cinque e molto gravose, non tre. Anche se la verifica delle stesse è demandata ovviamente al controllo del Giudice dello Stato, il che stempera forse alcuni dei timori espressi in punto, in quanto la prossima sentenza della Corte di Giustizia - a parte la indicazione di tendenza - non risolverà la questione delle Tariffe Forensi in via definitiva (in quanto trattasi di <<mero>> Rinvio pregiudiale ex art. 177 del Trattato), ma detterà solo le regole generali a cui i Giudici Nazionali dovranno attenersi onde a loro volta determinare il rapporto di congruità della Tariffa e della Parcella (un problema ulteriore potrebbe sorgere se una parte chiamasse in causa - ad es. - lo Stato Italiano o il CNF, onde cercare di coinvolgerli nel giudicato). La questione è molto complessa. Premettendo la conclusione, la mia impressione è che <<l'avvocato Generale>>abbia ragionato da... Avvocato (e non poteva fare diversamente), concludendo nel senso meno penalizzante possibile per la categoria - pur stando al passo obbligato dei tempi -: infatti se si voleva discutere veramente di legislazione anti-trust, sarebbero state impiegate categorie e ragionamenti diversi. Tali da mettere in discussione qualcosa di più delle Tariffe.
2 Ciò è già nell'aria da tempo, in ossequio a più o meno legittime esigenze di semplificazione, eliminazione delle barriere d'entrata, maggiore accesso ai servizi (anche professionali), minori costi per gli utenti. Nel caso di specie infatti il Pretore di Pinerolo aveva ridotto la parcella del legale del sig. D. al di sotto dei limiti tariffari, con ciò disapplicando la legge, che impone dei minimi tariffari inderogabili (salvo che tale deroga sia autorizzata dal Consiglio dell'ordine competente), mentre la Cassazione aveva poi cassato tale decisione, con rinvio al Pretore di Pinerolo, il quale a sua volta ha deferito la questione alla Corte di Giustizia. Il gioco resterebbe in sostanza in casa, ma non viene annullato come avrebbe potuto. Ricordo che vi sono stati innumerevoli casi in cui la Corte di Giustizia ha concluso per la totale illegittimità di un sistema legislativo o regolamentare nazionale che impediva ad esempio la circolazione di prodotti o servizi, ponendone nel nulla gli effetti e condannando lo Stato a disapplicarli. I passaggi logici del Parere dell'avvocato Generale sono i seguenti: -l'attività dell'avvocato è da considerarsi senza dubbio attività d'impresa (perché è attività economica, avente fine di lucro), quindi soggetta al diritto anti-trust (questione delle restrizioni quantitative) e specie all'art. 85 CE; -il CNF è da qualificarsi associazione d'impresa (ciò non sarebbe inficiato dal fatto che il CNF è organismo di diritto pubblico, investito di potere disciplinare, che non eserciti esso stesso attività economica alcuna, che sia investito di compito di interesse pubblico, che possa esercitare decisioni di interesse generale. C-123/83- BNIC; casi CNSD e Pavlov; C209/78; C-ll0/82); -gli accordi e decisioni sui prezzi (tariffe) rivestono una gravità particolare anticoncorrenziale, specie se avvengono tra enti orizzontali (cause C-73/74; BNIC, Societe Technique Miniere; Delimitis); -essi però non sono di per sé in contrasto con l'art. 85 perché sono solo una fase endo-procedimentale (le tariffe sono infatti solo proposte dal CNF, ma approvate dal Governo) e non costituiscono quindi un accordo vincolante (ciò a meno che siano spontaneamente ed unilateralmente osservate dagli avvocati, nel qual caso l'esame tratterebbe le possibili fattispecie di <<allineamento cosciente>>, <<collusione orizzontale>>, sino alla <<all'abuso di posizione dominante collettiva, considerando la titolarità a monte di un potere riservato>>, sulla cui legittimità si aprirebbero altre questioni); -il caso BNIC - quale precedente applicabile in analogia - sarebbe troppo rigoroso e non condivisibile, perché la decisione sui prezzi di una associazione (di viticoltori, nella fattispecie) pur avendo ad oggetto una restrizione della concorrenza vietata e non esentabile, sarebbe vietata solo se producesse anche l'effetto vietato, non solo l'oggetto (ndr.: questa conclusione di Léger è una vera e propria eresia: ecco perché concludo, anche solo per questa sola ragione, che abbia cercato di favorire la categoria degli avvocati); -l'art. 85(1) CE vieta in principio ogni pratica concordata diretta a fissare prezzi fissi, minimi, massimi o indicativi (giurisprud. constante), ma appunto la delibera del CNF non è considerabile né un accordo né un'intesa;
3 -la legge che approva le tariffe è una misura di Stato, la cui legittimità concorrenziale va valutata ai sensi degli artt. 5 e 85 CE, sul presupposto della legittimità del parere del CNF; -non potrebbe condividersi la giurisprudenza che esclude la illiceità concorrenziale degli artt. 5 e 85 considerati congiuntamente se il presupposto del comportamento del privato ex art. 85 non è di per sé illecito (cioè andrebbero disattesi i casi Corsica Ferries, Pavlov e Albany: questo è il punto più negativo del parere di Léger); -occorre quindi parimenti permettere allo Stato di giustificare la sua legge ai sensi dell'art. 5, onde dimostrare che il rafforzamento con legge di una intesa vietata non violi il principio di leale cooperazione; -nessuna legge impone al CNF di valutare le Tariffe alla stregua di un interesse collettivo (ciò sarebbe una scriminante nell'ottica dell'art. 85, ed invece una aggravante nell'ottica dell'art. 5; questa dicotomia è insita nel sistema; la giurisprudenza italiana ha fatto leva su essa nei rari casi che hanno affrontato il problema, onde concludere in senso opposto sulla legittimità concorrenziale o meno della Tariffa); -non è però illegittimo di per sé che una categoria (lobby, nel testo inglese) proponga ad uno Stato Membro una regola che la riguardi; -una misura di Stato (ad es. che approvi le Tariffe) è legittima se persegua fini di interesse generale in modo non-discriminatorio; -né il giudice a quo né il Governo Italiano, n gli altri Governi intervenuti hanno precisato i criteri di interesse generale che presiederebbero alla determinazione delle tariffe; -quindi tali criteri dovranno essere precisati dal giudice a quo nel giudizio di Rinvio; -a questo punto Léger propone i 5 criteri di cui sopra, demandandone il controllo al Giudice Nazionale, ma facendo capire che li giudica in generale insussistenti, specie il criterio della correlazione della tariffa con un interesse generale e col criterio della qualità della prestazione professionale; -qui Léger cita purtroppo C-95/188 (preambolo 41), che sancisce chiaramente che la qualità della prestazione è indipendente dal livello della tariffa; -e conclude nel senso che se la tariffa non ha tale scopo, è incompatibile con l'art. 5 (ora 10) CE. Il Parere di Léger contiene quindi: -un passo favorevole, là ove indica che la Tariffa proposta da CNE non è di per sè una intesa anticoncorrenziale ex art. 85 CE, -un passo sfavorevole, là ove indica che tale Tariffa se approvata con legge può essere una misura di Stato anticoncorrenziale ex artt. 5 e 85 CE se non si dimostri che la legge che rafforza l'intesa non abbia i 5 scopi leciti indicati sopra. Bisognerà vedere come la Corte di Giustizia farà uso di tali dotti principi (con Sentenza rammento limitata alla questione del Rinvio pregiudiziale ex art. 177 CE): potrebbe recepirli e concludere che spetta al Giudice Nazionale valutarli di volta in volta (anche considerando che la Tariffa contempla una moltitudine di attività, sia giudiziale che stragiudiziale, civile, penale ed amministativa); oppure che la delibera del CNF non è di per se contraria all'art. 85 (n quindi all'art. 2 dell'antitrust italiano), imponendo (o meno) allo Stato di disapplicare la legge di approvazione della Tariffa in quanto non compatibile con l'art. 5 CE; ovvero potrebbe andare oltre, evitando di seguire il parere dell'avvocato
4 generale (ma non succede spesso), sia stabilendo che il regime vigente possa essere mantenuto o che invece debba essere abolito in toto. Un saggio del Prof. Marcello Clarich, comparso su Guida al Diritto del Sole 24 ore (n. 29 del 28 luglio 2001) inclina per la negativa. Cito al riguardo in sintesi il parere dell'avv. Remo Danovi (in Guida al Diritto, 4 agosto 2001, n. 30, p. l0): <<il sistema delle Tariffe non va abolito, ma va ripensato, specie la questione dei minimi che oggi sono inderogabili, anche alla luce dell'art c.c., privilegiando la volontà delle parti così ammettendo tariffe a tempo, a discrezione, a percentuale, non potendo nemmeno il giudice modificare le tariffe liberamente negoziate tra le parti, nell'ambito di un puro sistema di riferimento indicativo a cui le parti possano attingere. La Tariffa, insieme alla verifica delle competenze e delle condizioni per la iscrizione all'albo, costituisce elemento delle regole deontologiche e del controllo disciplinare>>. Quanto alla opinione di Léger, in realtà è possibile eccepire, in linea con i recenti Regolamenti di Esenzione della Commissione (Regolamenti sulle restrizioni orizzontali e verticali), che i cartelli di prezzo possono essere giustificabili in casi in cui l'integrazione verticale o consortile - e quindi orizzontale - tra enti necessiti di una struttura predeterminata di prezzo (esempi posti dalla Commissione riguardano fattispecie quali un franchising o un Consorzio, o un raggruppamento temporaneo d'impresa in vista di un appalto, casi in cui un allineamento di prezzo o addirittura una politica comune di marchio è in genere resa necessaria onde consolidare l'immagine esterna del gruppo economico). Ciò sul piano delle intese ex alt. 85 CE (ora 81 CE) mi pare indiscutibile. E ciò naturalmente a prescindere - in analogia - dalla questione delle Intese Minori e della minor valenza comunitaria delle PMI (ciò quindi analizzando direttamente le clausole nere per s_, al di là delle ipotesi di liceità per dimensione). Poiché gli avvocati sono ora equiparabili ad imprese (dal punto di vista del diritto antitrust), ad essi sarà applicabile l'art. 81 CE. L'Avv. Léger ha invece spostato l'attenzione sulle misure di Stato ex art. 5 (ora 10 CE), secondo cui detta misura richiede per la sua legittimità che essa sia non-discriminatoria e sia di interesse (o applicazione) generale (così già nella seguenza dei casi Dassonville, Bocksbeutel, Keck, Leclerc-Siplec, quanto alla circolazione di beni o di servizi pubblicitari). Léger ha messo insieme i casi: non so se ciò favorisca più la tesi della legittimità dell'operato del CNE, come espressamente concluso dal medesimo, o se temperi il rigore dell'art. 5 (perché è difficile dimostrare che le tariffe abbiano un interesse generale e siano in generale non-discriminatorie ex art. 5 CE, mentre l'art. 85 offre maggiori scappatoie). E' importante quindi ricordare il paragrafo 76 del parere dell'avvocato Generale: <<La Tariffa proposta dal CNF non è in contrasto con l'art. 85 CE perché è solo una fase endoprocedimentale (le tariffe sono infatti proposte dal CNF, ma approvate dal Governo) e non costituisce quindi un accordo vincolante>>: ciò come indice positivo del ragionamento (in quanto i regimi tariffari sono i primi sulla lista nera delle disposizione antitrust, e raramente esentati: specie i prezzi minimi o quelli massimi o indicativi che creino la base del comportamento allineato o <<collusione orizzontale cosciente>>), che porterebbe direttamente a poter mantenere quanto disposto dall'art c.c., ciò è un sistema indicativo Tariffario delineato dal CNF, al quale le parti e gli avvocati potranno fare
5 riferimento, con la possibilità di chiedere il parere del Consiglio dell'ordine (che avrà valenza sul piano del comportamento deontologico e del controllo disciplinare) ed eventualmente con la successiva delibazione del Giudice. L'Avvocato Generale ha quindi creato un problema che si può risolvere. RAIMONDO GALLI avvocato in Milano
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