Commissari della Polizia di Stato

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1 Corso intensivo on-line Commissari della Polizia di Stato Penale e Processuale Penale 1 Pagina 1

2 Corso on-line di preparazione al CONCORSO DI COMMISSARIO DELLA POLIZIA DI STATO V Edizione ª prova scritta: Diritto penale congiuntamente o disgiuntamente a diritto processuale penale Penale 1 Il principio di legalità Prima Parte Introduzione: inquadramento generale degli argomenti trattati e delle tematiche da approfondire Seconda Parte Il principio di legalità nella Convenzione europea dei diritti dell uomo 1. La CEDU nel sistema delle fonti; 2. Corte cost. n. 349 del 2007 e Corte cost. 236 del 2011: due arresti imprescindibili nello studio dell argomento; 3. Il fondamentale arresto della Corte Costituzionale in tema di rapporti tra ordinamento nazionale e CEDU: breve analisi della sentenza 236 del 2011 e della successiva sentenza 314 del 2011; 4. La giustiziabilità del giudicato interno di condanna nel caso di accertata violazione dei principi della Cedu da parte della Corte europea dei diritti dell uomo; 5. Corte cost. 30 aprile 2008, n. 129 sui rimedi azionabili avverso il giudicato interno di condanna pronunciato in esito a un processo ritenuto non equo dalla Corte europea dei diritti dell uomo. Corte cost. n. 113 del 2011sulla illegittimità costituzionale dell'art. 630 cpp, nella parte in cui non prevede la rinnovazione del processo allorché la sentenza o il decreto penale di condanna siano in contrasto con la sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbia accertato l'assenza di equità del processo, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. 6. Il principio di legalità nella Convenzione europea dei diritti dell Uomo e il problema della confisca c.d. urbanistica ; 7. Corte cost., 23 novembre 2006, n. 394 in tema di ammissibilità e limiti del sindacato di costituzionalità su norme di favore, nonché sul rango del principio di retroattività favorevole. Pagina 2

3 Terza Parte Le questioni problematiche di maggiore e più attuale interesse in materia di riserva di legge Quarta Parte Le Tracce Pagina 3

4 Parte Prima Introduzione: inquadramento generale degli argomenti trattati e delle tematiche da approfondire Pagina 4

5 INTRODUZIONE: Inquadramento generale delle tematiche Il principio di legalità ed i suoi corollari applicativi. La materia delle fonti del diritto penale è dominata dal principio nullum crimen, nulla poena sine lege. Tale principio, denominato di stretta legalità od anche semplicemente di legalità, già sancito dallo Statuto Albertino del 1848 (art. 26) è ribadito e precisato nell art. 1 del codice penale secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, ne con pene che non siano da essa stabilite. Si distingue il principio di legalità formale (che afferma che l'amministrazione e i giudici non hanno altri poteri se non quelli conferiti dalla legge) e il principio di legalità sostanziale (che afferma che l amministrazione e i giudici devono tenere in esercizio i loro poteri in corrispondenza con i contenuti prescritti dalla legge). La Carta Costituzionale consacra tale principio laddove afferma che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (art. 25). La diversa formulazione letterale della norma costituzionale rispetto alla disposizione codicistica non deve trarre in inganno. Come osservato dalla più autorevole dottrina, muovendo dalla ratio che vi è sottesa, la disposizione della Carta Fondamentale non può non avere un contenuto significativo corrispondente a quello della disposizione del codice penale: se è vero che il legislatore costituente del 1948 si proponeva di reintrodurre tutte le garanzie politiche dei diritti di libertà proprie della tradizione liberal-democratica, sarebbe contraddittorio ritenere che, nel procedere alla costituzionalizzazione del nullum crimen sine lege egli non intendesse recuperarne tutte le dimensioni garantistiche. Nel senso della loro perfetta coincidenza, del resto, si è espressa la stessa Consulta nella sentenza n. 27 del L aver sancito tale canone, nella Carta fondamentale, ha comportato un potenziamento della sua funzione garantistica sul piano dello fonti: invero, finché il principio di legalità si trovava enunciato in leggi ordinarie, com è il codice penale, poteva essere sempre derogato dal legislatore. Una volta sancito in Costituzione, esso, invece, è diventato vincolante per lo stesso legislatore, il quale, nel formulare le fattispecie incriminatrici, non può spogliarsi del suo monopolio, rinviando ad atti normativi emanati dal potere esecutivo. Dalla lettura combinata dell art. 1 del codice penale e dall art. 25 della Costituzione si rinvengono le seguenti conseguenze: 1) un fatto non può considerarsi reato né sottoporsi a pena se una legge non lo prevede come tale (principio di riserva di legge); 2) al fatto preveduto dalla legge come reato non si possono applicare che le pene previamente fissate dalla legge nei singoli casi e nessuno potrà essere punito da una legge che non sia entrata in vigore prima della commissione del reato (principio di irretroattività); 3) il fatto, che dà luogo all applicazione della pena, deve essere previsto dalla legge in modo espresso e quindi mentre esso non può desumersi implicitamente da norme che concernono fatti diversi Pagina 5

6 (divieto di analogia); la fattispecie che lo descrive deve essere formulata con sufficiente determinatezza (principio di tassatività). Occorre precisare che il principio di legalità sarebbe rispettato (solo) nella forma ma eluso nella sostanza se la legge, che eleva un dato fatto a fattispecie di reato lo configurasse in termini generici tali da non permettere di individuare con sufficiente precisione il comportamento penalmente sanzionato. Appartiene, quindi, alla stessa ragione ispiratrice del principio di legalità l esigenza della tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale. Ne deriva che, quando non risulti con precisione che un comportamento sia colpito da una determinata norma incriminatrice, va esclusa l incriminabilità della condotta. Dibattuto è l esatto valore semantico ascrivibile alle espressioni determinatezza e tassatività. Una parte della dottrina vuole tenere separate le due espressioni: la determinatezza, concernerebbe la verificabilità empirica e processuale del fatto delineato dalla norma incriminatrice; la tassatività, invece, atterrebbe alla proiezione esterna della norma penale. Altra parte della dottrina distingue tra determinatezza, precisione e tassatività. Secondo tale corrente di pensiero: il principio di precisione impone al legislatore di disciplinare in modo puntuale il reato e le sanzioni penali, in modo da delimitare l ambito di discrezionalità dell autorità giudiziaria e assicurare i diritti di libertà del cittadino. Il principio di determinatezza impone la descrizione di fatti suscettibili di essere accertati e provati nel processo attraverso i criteri messi a disposizione dalla scienza e dall esperienza attuale. Infine, il principio di tassatività esprime il divieto per il giudice e per il legislatore di estendere la disciplina contenuta nelle norme incriminatrici oltre i casi in esse espressamente previsti. Il principio di tassatività si impone al legislatore sotto un duplice aspetto: da un lato, richiede precisione e univocità nella descrizione del precetto in modo da evitare che lo stesso risulti ambiguo nel significato, dall altro, impone che i concetti in tal modo descritti abbiano un riscontro nella realtà empirica e possano essere realmente accertati dal giudice. Quindi il principio di tassatività è essenzialmente deputato ad evitare arbitrarie ingerenze nelle norme penali da parte del potere giudiziario. La determinatezza della fattispecie incriminatrice rappresenta una condizione indispensabile perché la norma penale possa efficacemente fungere da guida del comportamento del cittadino. L inserimento della tassatività nell ottica del rapporto norma-cittadino ne esalta la valenza di principio penalistico proprio di uno stato democratico: quanto più il cittadino è posto in condizione di discernere senza ambiguità tra le zone del lecito e dell illecito, tanto più cresce il suo rapporto di fiducia partecipativa nei confronti della Stato e delle sue istituzioni. Il principio di tassatività vincola da un lato il legislatore ad una descrizione il più possibile precisa del fatto di reato e, dall altro, il giudice ad una interpretazione che rifletta il tipo descrittivo così come legalmente configurato. Gli strumenti di tecnica legislativa atti a garantire la tassatività della fattispecie sono i cosiddetti elementi descrittivi, elementi cioè che traggono il loro significato direttamente dalla realtà e dall esperienza. Pagina 6

7 Evidenti esempi di fattispecie costituite in forma descrittiva sono i delitti di omicidio (art. 575 c.p.), lesioni personali (art. 582 c.p.) o di danneggiamento (art. 635 c.p.). Quanto agli elementi normativi, cioè agli elementi che necessitano per la determinazione del loro contenuto di una integrazione mediante rinvio ad una norma diversa da quella incriminatrice, occorre operare una precisazione: se si tratta di elementi normativi giuridici, l esigenza di tassatività è per lo più rispettata perché la norma giuridica richiamata è solitamente individuale senza incertezza; se si tratta, invece, di elementi normativi extra-giuridici, cioè rinvianti a norme sociali o di costume (ad esempio atti osceni, la determinazione dei quali rinvia al comune sentimento del pudore), il parametro di riferimento diventa inevitabilmente incerto. Quanto, poi, alle ragioni sottese al divieto di ricorrere all analogia in ambito penale giova puntualizzare che lo stesso affonda le sue radici nell esigenza di tassatività della fattispecie. Infatti, ciò che non viene rispettato è il principio di determinatezza e, più precisamente, di tassatività della fattispecie, riconoscendosi al giudice la possibilità di applicare le disposizioni ad ipotesi non puntualmente contemplate. Va dunque riconosciuto il fondamento costituzionale del principio del divieto di analogia nell art. 14 delle preleggi e nel art. 1 e 199 c.p.. Ne discende in estrema sintesi che il precetto penale, e la relativa sanzione, debbano trovare fonte in una previsione legislativa entrata in vigore anteriormente al fatto commesso (e adeguatamente pubblicizzata per garantirne la conoscibilità in capo ai destinatari: art. 73, comma terzo, Cost.), debbano essere formulati con precisione e con pregnanza descrittiva rispetto a dati empiricamente verificabili, e debbano altresì essere applicati tassativamente ai casi indicati, con relativo divieto di estensione analogica in capo al giudice. Il principio della riserva di legge. Il principio della riserva di legge nel diritto penale esprime il divieto di punire un determinato fatto in assenza di una legge preesistente che lo configuri come reato. Intende, in particolare, sottrarre la competenza in materia penale al potere Esecutivo. Detto principio, concretizzandosi nella necessità che il precetto e la sanzione che formano oggetto della fattispecie incriminatrice siano individuati dalla legge, è posto a garanzia delle libertà individuali delle persone. La riserva di legge non si riferisce solo ai provvedimenti normativi emessi dal Parlamento ma anche agli atti aventi forza di legge, come i decreti legislativi e i decreti legge anche se, con riferimento a questi ultimi, i presupposti di necessità e di urgenza che ne costituiscono il fondamento, mal s'attagliano con la necessità di ponderazione sottesa alle scelte di criminalizzazione delle condotte umane. In linea di massima occorre rilevare che la riserva di legge, nel diritto penale, si riferisce solo alla legge statale con esclusione di quella regionale che può, tuttavia, produrre effetti scriminanti, riconoscendo, nelle sue materie di competenza esclusiva, diritti ai propri cittadini. L orientamento della giurisprudenza costituzionale, in merito al mancato riconoscimento della titolarità di potestà punitiva in capo alle Regioni, non ha subito alterazioni a seguito della riforma Pagina 7

8 del Titolo V della Costituzione che, come è noto, ha rimodulato il riparto di competenze tra Stato e Regioni. In dottrina si è posta la questione dei rapporti tra la consuetudine ed il principio della riserva di legge nel diritto penale. Esclusa la possibile operatività della consuetudine incriminatrice ed abrogatrice (desuetudine), una corrente di pensiero ha ammesso la possibilità che la consuetudine crei nuove esimenti o cause di non punibilità (consuetudine integrativa). Con riferimento al diritto comunitario, deve escludersi che lo stesso possa stabilire nuove fattispecie incriminatrici e ciò, sia alla luce dell'art. 25 Cost. che riserva la materia al Legislatore statale, sia alla luce dell'art. 189 del Trattato di Roma che limita l'intervento normativo comunitario al campo dei rapporti economici e ad alcune libertà fondamentali. Posto, però, il principio generale del primato del diritto comunitario, esso potrà integrare alcuni elementi della fattispecie incriminatrice o determinarne la disapplicazione qualora contrastante con norme poste da regolamenti comunitari. Oggetto di notevoli contrasti in dottrina e giurisprudenza è, poi, la portata della riserva di legge nel diritto penale se, cioè, essa vada intesa in senso assoluto o relativo. La riserva di legge, intesa in modo assoluto, implica che tutti gli elementi della fattispecie penale siano individuati dal legislatore. Qualora la si intenda in senso relativo, al legislatore spetterà la definizione delle linee fondamentali della fattispecie incriminatrice ed alla normativa secondaria l'individuazione delle specifiche tecniche o, con riferimento alle c.d. norme penali in bianco, anche la concreta individuazione della condotta vietata. L'ammissibilità di un'integrazione del precetto penale sotto il profilo tecnico è comunemente riconosciuta (si pensi al reato di vendita o cessione di stupefacenti, laddove la concreta individuazione delle sostanze da considerare stupefacenti è rimessa ad un decreto del Ministero della Salute che istituisce ed aggiorna la tabella contenente l'indicazione delle sostanze stupefacenti medesime). Con riferimento alle norme penali in bianco, invece, è lo stesso precetto penale che viene ad essere individuato dalla fonte di rango secondario, sicché il rischio di violazione del principio della riserva di legge si pone in maniera più evidente (si pensi al reato di cui all'art. 650 c.p. che punisce chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragioni di sicurezza pubblica o di giustizia o d'ordine pubblico o d'igiene). La Consulta ha, al riguardo, affermato, in via generale, che le norme penali in bianco non violano il principio della riserva di legge ove i provvedimenti che concretizzano il precetto siano adottati sulla base di una legge ordinaria, anche diversa da quella incriminatrice, che ne indichi i presupposti, il contenuto ed i limiti (Corte Cost. sent. n. 168 del 1971). Secondo la Suprema Corte, invece, la norma extrapenale entra a far parte della norma penale essendo da questa incorporata con la conseguenza che lo stesso errore su norma extrapenale, a mente dell'art. 5 c.p., non escluderà, se non entro i limiti indicati dalla Consulta con la nota sentenza n. 384 del 1988, la colpevolezza e la punibilità dell'agente. Con riferimento alle norme penali integrate da norme poste da fonti di rango secondario, si è posta la questione degli effetti che originano dall'eventuale abrogazione o modificazione della norma secondaria sotto il profilo della successione delle leggi penali nel tempo. Pagina 8

9 Secondo l orientamento maggioritario, la valutazione deve essere effettuata caso per caso essendo indispensabile verificare se la modificazione o l'abrogazione della norma secondaria abbia fatto venir meno il disvalore del fatto commesso in precedenza. Analogo discorso, con riferimento alla successione delle leggi penali nel tempo, va fatto in relazione agli elementi normativi della fattispecie penale, a quegli elementi, cioè, che, per la loro portata semantica, si riferiscono a norme desumibili da altri campi del diritto (si pensi al concetto dell'altruità nel delitto del furto) o dal sentimento sociale (si pensi al comune senso del pudore). In caso di abrogazione o modificazione della norma extrapenale o di modificazione della norma extragiuridica, la problematica è quella di stabilire gli effetti sulle condotte poste in essere in precedenza in violazione della norma penale così come integrata dalla norma abrogata o modificata. Per orientamento maggioritario, anche in questo caso, la valutazione andrà effettuata caso per caso occorrendo verificare se l'abrogazione o la modificazione della norma extrapenale abbia fatto venir meno il disvalore del fatto. Per giurisprudenza costante, infine, il secondo comma dell art. 25 Cost., nell affermare il principio che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, esclude che la Corte costituzionale possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l effetto di una sua sentenza possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti (Corte Cost. n. 161 del 2004). Nondimeno, il limite posto dal divieto di pronunce con effetti in malam partem registra una singolare eccezione nell ipotesi in cui oggetto di sindacato siano cc.dd. norme penali di favore, ossia le norme che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall applicazione di norme generali o comuni. Tali norme irragionevolmente discriminatorie in melius possono essere censurate, per contrasto con il principio di eguaglianza di cui all art. 3, primo comma, Cost., facendo rivivere, dunque, l eventuale disciplina più generale, applicabile nel giudizio in corso ancorché più sfavorevole. A) Il principio di legalità nella CEDU B) La riserva di legge Una volta inquadrato nei suoi tratti essenziali il principio di legalità, occorre velocemente passare all esame di quegli aspetti che, a causa della loro recente emersione nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, potrebbero più di altri rilevare in sede concorsuale. L attenzione va dunque immediatamente focalizzata sulla tematica, oggetto di crescente attenzione da parte della giurisprudenza, del principio di legalità nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), con particolare riferimento all accezione autonoma di illecito penale e di sanzione penale elaborate dalla giurisprudenza di Strasburgo. Tale delicata materia è stata approfonditamente esplorata negli ultimi anni con specifico riguardo all istituto della confisca, dal momento che la Corte europea dei diritti dell uomo ha ravvisato un palese contrasto tra la disciplina recata dal nostro ordinamento in materia di confisca c.d. urbanistica (cioè quella che disposta nel caso di accertata lottizzazione abusiva) e taluni principi fondamentali espressi nella CEDU (art. 7), in Pagina 9

10 specie con riferimento alla prevista possibilità di disporre tale peculiare forma di confisca anche nel caso di proscioglimento dell imputato. Nello stesso alveo concettuale quello delle implicazioni applicative derivanti dalla consacrazione del principio di legalità nella CEDU si pongono poi ulteriori e distinte questioni, allo stato prevalentemente approfondite nel contesto del solo dibattito dottrinale (sanzioni amministrative e disciplinari; modalità esecutive della pena; misure alternative alla detenzione). Questioni connesse e tematiche da approfondire. In via del tutto preliminare, v è da segnalare che nella prospettiva poc anzi delineata appare di fondamentale importanza la conoscenza della profonda evoluzione maturata nella giurisprudenza della Corte costituzionale circa il rango della CEDU nel sistema delle fonti del nostro ordinamento, anche tenendo conto della recente modifica dell art. 6 del Trattato UE operata dal Trattato di Lisbona. Peraltro tale questione potrebbe rivestire autonoma rilevanza in chiave concorsuale quale possibile traccia di dir. costituzionale. Altra tematica di enorme rilievo peraltro a confine tra il dir. sostanziale e quello processuale-penale attiene all individuazione dei rimedi azionabili dal condannato nel caso in cui la Corte europea dei diritti dell Uomo, da questi appositamente adita una volta esauriti tutti i gradi di ricorso interni, accerti la non equità del processo celebrato a suo carico dinanzi al giudice italiano, per essere stati violati taluni dei principi consacrati nella Convenzione con riguardo alla legalità della pena o alle regole probatorie (di cui, rispettivamente, agli artt. 7 e 6 CEDU). Come meglio si avrà modo di vedere, infatti, il nostro ordinamento risulta a tutt oggi sprovvisto di strumenti ad hoc utilizzabili da condannato per ottenere la celebrazione di un nuovo processo, emendato dai vizi procedurali (perlopiù nella fase probatoria) riscontrati dalla Corte europea. Nell assoluto silenzio legislativo, è toccato alla giurisprudenza l arduo compito di enucleare, volta per volta, con soluzioni eminentemente contingenti, i rimedi più appropriati per adeguare l ordinamento interno alla statuizione vincolante (ex art. 46) della Corte di Strasburgo. Al riguardo l attenzione va posta sulla recentissima pronuncia della Corte cost. n. 113 del 2011 sulla illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p. Riserva di legge, con particolare riferimento alle norme penali in bianco e alla disapplicazione dell atto amministrativo da parte del giudice penale, nonché ai rapporti tra disciplina penale e potestà legislativa regionale. Di estrema ed attualissima importanza si rivela poi la tematica concernente la rilevanza del diritto comunitario sul diritto penale interno, da esaminarsi con specifico riguardo alla competenza penale delle istituzioni comunitarie e, quindi, al connesso problema delle possibili interferenze tra il diritto comunitario e la norma penale interna. Questioni connesse e tematiche da approfondire. Svolto un inquadramento preliminare e generale del tema (in particolare concernente i modelli di integrazione tra fonte primaria e fonte secondaria nella descrizione della fattispecie), occorre soffermare l attenzione sulle seguenti tematiche, oggetto di costante interesse giurisprudenziale: potere di disapplicazione dell atto amministrativo da parte del giudice penale (si tratta cioè della questione relativa all ammissibilità ed ai limiti del sindacato del giudice penale sugli atti amministrativi aventi rilevanza diretta o indiretta nelle fattispecie penali, ampiamente dibattuta nella giurisprudenza con riferimento ai reati edilizi e, più di recente, con riferimento alla legislazione in materia di immigrazione). Altri temi da sempre oggetto di vivace dibattito giurisprudenziale sono: norme penali in bianco; potestà penale delle regioni e delle istituzioni comunitarie; controllo di costituzionalità e sentenze in malam partem (Corte cost. n. 407/2007), sotto il versante della riserva di legge e sotto quello della disciplina successoria. Quanto all importantissimo profilo dell incidenza del diritto comunitario sul diritto penale interno al fine di comprendere l effettiva portata del problema è sufficiente qui considerare che l influenza del diritto comunitario sulla genesi e sull interpretazione del diritto penale interno in questi anni è andata esponenzialmente aumentando. Se solo infatti si passano in rassegna le più importanti innovazioni normative del nostro Pagina 10

11 ordinamento in ambito penale ci si avvede facilmente di come molte di esse siano di derivazione comunitaria. La disciplina della sicurezza sul lavoro e delle relative norme incriminatrici contenuta nel D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, ad esempio, è stata dettata avendo riguardo ad una serie di direttive comunitarie. Sono di origine comunitaria anche le disposizioni che introducono nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa della persona giuridica. Il D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 e la legge delega 29 settembre 2000 n. 300, infatti, sono stati predisposti proprio per rispettare gli impegni comunitari gravanti sul nostro paese. Del pari, sempre per dare esecuzione a direttive comunitarie, sono stati introdotti nel codice penale gli artt. 322 bis (Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri), 322 ter (Confisca), 316 ter (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), 640 bis c.p.. Gli esempi sono tantissimi e tutti di particolare rilievo. Del resto, l Unione Europea avverte sempre più la necessità di favorire l integrazione degli ordinamenti dei vari Stati membri anche sul versante sanzionatorio. La tutela di determinati interessi, infatti, richiede inevitabilmente che determinate condotte siano adeguatamente sanzionate in tutta l Unione in modo omogeneo. Inoltre, lo sviluppo dei traffici economici e dei trasporti rende indispensabile una reazione coordinata a fenomeni di criminalità transazionale (terrorismo, crimini informatici, traffico di stupefacenti e di persone ecc.). Dunque, la dottrina, in questi ultimi anni, proprio muovendo dalla considerazione della copiosa produzione di norme comunitarie direttamente o indirettamente incidenti sulla normativa penale dei singoli Stati membri, ha evidenziato come il principio di riserva assoluta di legge sia sottoposto ad un sensibile indebolimento. Infatti, per quanto la Corte di Giustizia abbia escluso la possibilità di introdurre norme incriminatrici direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri, si sono succeduti con maggiore frequenza atti normativi dell Unione che impongono ad essi l adozione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per determinate condotte. In tali evenienze gli Stati hanno l obbligo di rispondere alle indicazioni del legislatore comunitario, perdendo evidentemente autonomia nella scelta dei fatti da sanzionare. Occorre considerare, però, che mentre fino a qualche anno fa la normativa comunitaria prevedeva un generico obbligo di sanzionare determinate condotte con sanzioni effettive, senza indicare con precisione in che termini ciascuno Stato dovesse dare esecuzione a tale obbligo (e, quindi, lasciando la facoltà di scelta tra sanzioni amministrative, civili o penali), negli ultimi anni la tendenza normativa è radicalmente cambiata, considerato che gli atti comunitari prevedono una risposta ben definita. Nella recente direttiva 2008/99/CE, per esempio, si è previsto per gli stati membri l obbligo di adottare entro il 26 dicembre 2010 norme che sanzionino penalmente una serie di attività dannose o pericolose per l ambiente. In tal caso i vari Stati non hanno la possibilità di scegliere che tipo di sanzione prevedere per i vari tipi di illecito tipizzati a grandi linee dal legislatore comunitario, ma devono necessariamente apprestare una sanzione penale, ritenuta nell ordinamento sopranazionale l unica adeguata per tutelare compiutamente gli interessi da esso perseguiti. È di tutta evidenza che in presenza di tali atti normativi il legislatore interno abbia poco spazio creativo, risultandogli infatti sottratta la consueta libertà sull an della sanzione. Egli deve necessariamente rispondere alle indicazioni comunitarie per non incorrere in eventuali giudizi di responsabilità per inadempimento dinanzi alla Corte di Giustizia. Le preoccupazioni espresse da qualcuno circa un sostanziale svuotamento del principio di riserva di legge non debbono però essere eccessivamente allarmare. La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia ha delimitato l ambito di competenza penale dell Unione, subordinando la stessa al principio di efficacia e al principio di necessità, il cui combinato operare si sostanzia nel principio di sussidiarietà, in forza del quale in tanto può esercitarsi detta competenza europea o comunitaria, in quanto gli obiettivi dell azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possano dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. In ambito penale, quindi, un intervento comunitario deve ritenersi consentito quando: - occorra limitare condotte perniciose che varcano i confini dei singoli Stati ( reato transazionale ); - l intervento sanzionatorio più grave risulti l unico adeguato a tutelare una determinata materia comunitaria. Pagina 11

12 Due, in definitiva, sono le questioni da esplorare approfonditamente in sede di disamina dei rapporti tra fonti comunitarie e diritto penale. In primo luogo, occorre verificare se sussiste un autonoma potestà penale in capo agli organismi comunitari. Ulteriormente, deve stabilirsi se possa parlarsi di un efficacia riflessa dell ordinamento comunitario su quello interno. Pagina 12

13 Parte Seconda Il principio di legalità nella Convenzione europea dei diritti dell uomo Pagina 13

14 LA RILEVANZA DELLA CEDU NELL ORDINAMENTO INTERNO DOPO IL TRATTATO DI LISBONA Perché ce ne occupiamo? Un tema in cui è inevitabile che il concorsista si imbatta sempre più frequentemente è quello del rilievo ascritto al principio di legalità in materia penale dalla Convenzione europea e delle implicazioni di diritto interno di quel principio. Il tema assume un peculiare rilievo ove sol si consideri che, incidendo non poco sul regime delle fonti del diritto nel nostro ordinamento, la Corte costituzionale italiana, con una più che articolata serie di sentenze tutta riportate, nei passaggi più salienti (i cc.dd. snodi fondamentali ) in questa dispensa ha riconosciuto alla Convenzione dei Diritti dell Uomo di Strasburgo il ruolo di normativa costituzionale derivata, osservando che il nuovo testo dell art. 117 Cost., se, da una parte, rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dall altra attrae le stesse nella sfera di competenza di questa Corte, poiché gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale. È evidente quindi come una simile impostazione sia idonea ad attribuire nuova dignità ai principi fondamentali del diritto penale, in primis quello di legalità. I profili di incidenza della Convenzione europea sull ordinamento interno che potrebbero risultare attualmente rilevanti nell ottica concorsuale sono: Cedu e diritto penale sostanziale; violazione dei principi della Cedu accertata dalla Corte di Strasburgo e sorte del giudicato interno di condanna; Cedu e diritto amministrativo. Qualunque dovesse essere l argomento oggetto di traccia sarà sempre e comunque utile premettere alla disamina un breve e generale inquadramento del tradizionale problema concernente la collocazione della CEDU nella gerarchia delle fonti, ricordando in particolare le due vicende essenziali che hanno inciso più significativamente su tale questione: le sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale e il trattato di Lisbona che ha modificato l art. 6 del Trattato UE. Pagina 14

15 1. La Cedu nel sistema delle fonti I fase: dalla legge di ratifica ed esecuzione n. 848 del 1955 alla modifica dell art. 117 Cost.; II fase: la modifica dell art. 117 Cost. (ex l. cost. 3/2001) nell interpretazione di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007; III fase: il nuovo art. 6 Trattato UE (riscritto dal Trattato di Lisbona) e la comunitarizzazione della CEDU. Anteriormente alla modifica dell art. 117 Cost. ad opera della legge cost. n. 3/2001 (il cui co. 1 prescrive ora che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali rilevava nel sistema interno delle fonti del diritto alla stregua di una qualsiasi altra norma internazionale pattizia. Tali norme, come è noto, a differenza delle norme internazionali aventi carattere consuetudinario (per le quali opera il meccanismo del c.d. adattamento automatico ex art. 10 Cost.) spiegano efficacia nei singoli ordinamenti degli Stati aderenti all organismo internazionale che le ha adottate (nel caso della CEDU, il Consiglio d Europa 1 ) soltanto per effetto delle c.d. leggi di adattamento, aventi, almeno per quel che riguarda l ordinamento italiano, rango di legge ordinaria e come tali liberamente modificabili da altre leggi ordinarie successive. In effetti, la CEDU è stata ratificata in Italia con legge (ordinaria) n. 848/1955, così come con legge ordinaria è stata data esecuzione ai successivi protocolli aggiuntivi e integrativi. Tale situazione ha generato non poche incertezze sul versante del più corretto inquadramento della Cedu nel sistema delle fonti, considerando da un lato la sua rilevanza interna per tramite di una semplice legge ordinaria, ma dall altro la diretta incidenza delle relative norme sul sistema dei diritti fondamentali dell individuo. Tale situazione di incertezza ha alimentato parecchi dubbi interpretativi, spingendo una parte della dottrina ad affermare il carattere sovraordinato della Cedu rispetto alle fonti ordinarie, al fine di farne conseguire l impossibilità per la legge ordinaria successiva di introdurre disposizioni contrastanti con la prima. Pur così ragionando si poneva peraltro il problema di individuare gli strumenti giuridici utilizzabili per risolvere l eventuale contrasto tra la legge interna posteriore e la Cedu, ritenendo invece le norme anteriori contrastanti direttamente inefficaci e tacitamente abrogate per effetto dell entrata in vigore della Cedu. Alcuni giudici dunque ritennero di poter mutuare in questo contesto il rimedio della disapplicazione che costituisce, come è noto, il meccanismo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, a far data dalla storica sentenza Granital n. 170 del 1984, per risolvere l eventuale 1 Da non confondere con l attuale organo dell Unione europea. Il Consiglio d Europa preesisteva al processo di costruzione della Comunità europea e rileva a tutt oggi come soggetto di diritto internazionale. Pagina 15

16 contrasto tra norme comunitarie e norme interne posteriori, sulla base del principio della primazia del diritto comunitario sul diritto interno, arrogandosi dunque il potere di disapplicare direttamente le norme legislative in contrasto con quelle Cedu, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo. In tale prospettiva, parte della giurisprudenza (più di merito che di legittimità) ha creduto di poter trarre dall asserito carattere sovraordinato della fonte Cedu la conseguenza che la norma interna successiva, modificativa o abrogativa di una norma prodotta da tale fonte fosse inefficace, stante la maggior forza passiva della prima, e che tale inefficacia potesse essere la base giustificativa della sua non applicazione da parte del giudice comune. Si finiva così con l assimilare impropriamente la Cedu alle norme comunitarie, omologandone la rilevanza nell ordinamento interno e, soprattutto, il sistema dei rimedi utilizzabili in caso di contrasto con le norme interne. Invero, tra le due tipologie di norme sussistono profonde differenze. Le norme comunitarie hanno piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti dei destinatari. Con l adesione ai Trattati comunitari infatti l Italia è entrata a far parte di un ordinamento più ampio, di natura sovranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche con riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi (rilevanza ex art. 11 Cost.). Le norme Cedu sono invece norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato ma non producono effetti diretti nell ordinamento interno. La Convenzione europea dei diritti dell uomo non crea un ordinamento giuridico sovranazionale e non produce norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa è configurabile come un trattato internazionale multilaterale da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l incorporazione dell ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, da cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne degli stati membri. Ne consegue che rispetto alle norme Cedu non è invocabile il paradigma dell art. 10 Cost., riferendosi detta disposizione, con l espressione «norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», alle sole norme consuetudinarie, per le quali opera appunto il meccanismo dell adattamento automatico dell ordinamento interno. Da ciò deriva peraltro l impossibilità di assumere le norme Cedu quali parametri del giudizio di legittimità costituzionale come norme interposte ex art. 10 Cost. In passato, pertanto, bene ha fatto la Corte costituzionale a rigettare la questione di costituzionalità di talune norme interne sollevata per presunto contrasto con norme Cedu in riferimento ora all art. 10, ora all art 11 Cost., non potendo infatti essere utilizzate queste disposizioni costituzionali come veicoli di ingresso della Convenzione europea nel nostro tessuto costituzionale. Su questo scenario, come è noto, è andata ad incidere profondamente la legge cost. 3/2001 che nel riscrivere le regole del riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni ha accordato espressa rilevanza in sede costituzionale al rispetto dei vincoli derivanti dall ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Pagina 16

17 La Corte cost. con le note sentenze n. 348 e 349 del 2007 ha fornito una pregevole esegesi della norma in questione, rimarcando da un lato come occorra ribadire la netta distinzione tra l incidenza sull ordinamento interno delle norme comunitarie rispetto a quella esercitata dalle norme internazionali; e dall altro come profondamente diverso debba, di conseguenza, ritenersi il regime dei rimedi atti a risolvere eventuali antinomie tra le due diverse tipologie di norme sovra nazionali e le norme dell ordinamento interno. Proprio con riferimento a quest ultimo profilo, la Corte osserva testualmente che il nuovo testo dell art. 117, co. 1, Cost., se da una parte rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme Cedu rispetto a leggi ordinarie successive, dall altra attrae le stesse nella sfera di competenza di questa Corte, perché gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in commento, ma questioni di legittimità costituzionale. Il giudice comune non ha quindi il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma Cedu, poiché l asserita incompatibilità tra le due si presenta come una questione di legittimità costituzionale, per eventuale violazione dell art. 117, co. 1, Cost. La struttura di tale norma costituzionale è simile a quella di altre norme costituzionali, che sviluppano la loro concreta operatività solo se poste in stretto collegamento con altre norme, di rango subcostituzionale, destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere. Le norme necessarie a tale scopo sono di rango subordinato alla Costituzione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria. A prescindere dall utilizzazione, per indicare tale tipo di norme, dell espressione fonti interposte, ricorrente in dottrina ed in una nutrita serie di pronunce di questa Corte, si deve riconoscere che il parametro costituito dall art. 117, co. 1, Cost. diventa concretamente operativo solo se vengono determinati quali siano gli obblighi internazionali che vincolano la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni. Ove venga in rilievo il contrasto di una norma ordinaria con una norma Cedu il parametro viene integrato e reso operativo dalle stesse norme della CEDU, la cui funzione è quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza degli obblighi internazionali dello Stato. Concludendo, si può allora affermare che le norme della CEDU, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, non acquistano la forza delle norme costituzionali sottraendosi al controllo di legittimità costituzionale. Proprio perché si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, è necessario che esse siano conformi a Costituzione. Peraltro, secondo le direttive ermeneutiche offerte dalla Consulta, il giudice nazionale, ove si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, prima di investire della q.l.c. la Corte, dovrà procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (tentativo di interpretazione conforme). Come ha inciso su questo panorama ricostruttivo l avvenuta comunitarizzazione della CEDU ad opera del Trattato di Lisbona? Il riscritto art. 6 del Trattato sull Unione stabilisce nel 2 che «L Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali», precisando poi che tale Pagina 17

18 adesione non modifica le competenze dell Unione. Nel successivo 3, il legislatore chiarisce ancora che «I dritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'unione in quanto principi generali». Deve peraltro segnalarsi che il 1 del citato art. 6 richiama altresì la Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea, attribuendo a detto documento lo stesso valore giuridico dei trattati (L Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati). La diversa formulazione delle due parti della disposizione in esame (quella riferita alla Carta di Nizza e quella relativa alla Cedu) complica allora, con ogni evidenza, il compito dell interprete, chiamato ad una quanto mai ardua opera esegetica nell intento di comprendere quale sia l effettiva portata, da un lato, dell affermazione secondo cui la Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea ha lo stesso valore giuridico dei Trattati e, dall altro lato, della disposta adesione dell Unione alla CEDU, anche al fine di verificare se al diverso tenore testuale corrisponda effettivamente un differente modo di atteggiarsi delle fonti normative richiamate. Due le tesi sul campo: Secondo le prime applicazioni giurisprudenziali posteriori a tale innovazione normativa (intervenute in ambito amministrativo: Consiglio di Stato, sez. IV, n del 2010 e TAR Lazio, sez. II-bis, n /2010), per effetto dell adesione della riscrittura dell art. 6 del Trattato UE le norme della Convenzione europea verrebbero a beneficiare del medesimo statuto di garanzia delle norme comunitarie: non più, pertanto, norme internazionali e parametro interposto di legittimità costituzionale di norme domestiche ex art. 117 Cost., bensì norme comunitarie (in quanto comunitarizzate con il Trattato di Lisbona) le quali in virtù del primatè del diritto comunitario legittimano alla non applicazione di norme interne con esse contrastanti. Nella decisione del Tar Lazio si legge in particolare Il riconoscimento dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU come principi interni al diritto dell Unione ha immediate conseguenze di assoluto rilievo, in quanto le norme della Convenzione divengono immediatamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell Unione, e quindi nel nostro ordinamento nazionale, in forza del diritto comunitario, ai sensi dell art. 11 Cost. Da ciò consegue la perfetta mutuabilità rispetto alle norme Cedu dell ampia e decennale evoluzione giurisprudenziale che ha portato all obbligo, per il giudice nazionale, di interpretare le norme interne conformemente al diritto comunitario, ovvero di procedere in via immediata e diretta alla loro disapplicazione in favore del diritto comunitario, previa eventuale pronuncia del giudice comunitario ma senza dover transitare per il filtro dell accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno. Di segno nettamente contrario i primi commentatori (in particolare CELOTTO), per i quali la disposta adesione dell Unione alla Cedu ad opera del riscritto art. 6 del Trattato UE non comporta l equiparazione della CEDU al diritto comunitario, non implicando dunque alcuna conseguenza sul versante della collocazione delle norme Cedu nel sistema interno delle fonti del diritto e, ulteriormente, su quello dei rimedi utilizzabili in caso di contrasto delle norme interne con i principi fissati nella Convenzione. A sostengo di un simile assunto sono posti fondamentalmente tre Pagina 18

19 argomenti. A) Per un primo verso si afferma che pur essendosi prevista l adesione dell Unione alla Cedu così superando esplicitamente l annosa querelle sorta con riferimento alla stessa possibilità per l Unione di aderire alla Cedu, tale adesione non è automatica ma dovrà avvenire secondo le procedure del protocollo n. 8 annesso al Trattato. B) In secondo luogo si richiama il disposto di cui all art. 47 del Trattato UE (nella versione risultante a seguito delle modifiche operate dal Trattato di Lisbona), secondo cui L Unione ha personalità giuridica di diritto internazionale. La lettura combinata di tale ultimo precetto con l art. 6 relativo all adesione della Unione Europea alla CEDU induce ad affermare che i vincoli della CEDU valgono anche per il nuovo soggetto internazionale UE alla stregua, appunto, di vincoli internazionali, così come lo sono per gli stati membri UE, tra cui l Italia, che già hanno aderito alla CEDU. In altri termini, le norme CEDU vengono in emersione nel Trattato di Lisbona quali precetti a cui un nuovo soggetto internazionale (l Unione Europea) con distinta e riconosciuta personalità giuridica ex art. 47 intende uniformarsi per il tramite di una adesione alla CEDU. E dunque il nuovo soggetto giuridico internazionale (Unione europea) ad aderire alla Cedu e non l Unione europea come tradizionalmente intesa quale Unione tra Stati europei che concordemente rinunciano alla loro sovranità nazionale nelle materie disciplinate dai Trattati. In tale prospettiva, si osserva che l assenso alle cessioni di sovranità ex art. 11 Cost. non sarebbe derogabile al legislatore comunitario, il quale se può aderire alla Cedu quale soggetto internazionale non può invece disporre della sovranità dei rispettivi stati membri. C) Infine, milita nella direzione prospettata il diverso valore giuridico che, stando al tenore letterale dell art. 6 Trattato UE, vengono ad assumere la Carta di Nizza e la Cedu. La prima, diversamente dalla seconda, acquisisce lo stesso valore giuridico dei Trattati, diventando dunque diritto comunitario, con tutte le conseguenze in termini di prevalenza sugli ordinamenti nazionali (una legge interna in contrasto con la Carta di Nizza ben potrà pertanto essere disapplicata dal giudice nazionale). Secondo questa tesi, in definitiva, il Trattato di Lisbona nulla ha modificato circa la (non) diretta applicabilità nell ordinamento interno della Cedu, che resta per l Italia solamente un obbligo internazionale, con tutte le conseguenze in termini di interpretazione conforme e di prevalenza mediante questione di legittimità costituzionale, secondo le coordinate operative nitidamente tracciate dalla Corte costituzionale. Pagina 19

20 2. CORTE COSTITUZIONALE N ANNO 2007 Gli snodi fondamentali della sentenza A) Trattati e convenzioni internazionali - Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) - Riconducibilità all'ambito di operatività degli artt. 10 e 11 Cost. - Esclusione. In mancanza di una specifica previsione costituzionale, le disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), rese esecutive nell'ordinamento interno con legge ordinaria, ne acquistano il rango e quindi non si collocano a livello costituzionale, dovendosi altresì escludere che esse possano avere diretta efficacia nell'ordinamento interno in forza dell'art. 10, primo comma, Cost., il quale sancisce l'adeguamento automatico dell'ordinamento interno alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e concerne esclusivamente i princìpi generali e le norme di carattere consuetudinario, ma non comprende le norme contenute in accordi internazionali che non riproducano princìpi o norme consuetudinarie del diritto internazionale; ovvero dell'art. 10, secondo comma, Cost., il quale fa riferimento a ben identificati accordi, concernenti la condizione giuridica dello straniero, ovvero ancora in forza dell'art. 11 Cost., non essendo individuabile, con riferimento alle specifiche norme convenzionali CEDU, alcuna limitazione della sovranità nazionale e non potendosi considerare i diritti fondamentali una "materia" in relazione alla quale sia allo stato ipotizzabile, oltre che un'attribuzione di competenza limitata all'interpretazione della Convenzione, anche una cessione di sovranità Sull'ambito di applicabilità dell'art. 10, promo comma, Cost., v. le citate sentenze n. 168/1994, 15/1996, 73/ Sulla portata dell'art. 11 Cost., v. le citate sentenze nn. 170/1984 e 284/ Sulla collocazione nell'ordinamento interno delle norme della CEDU, v. le citate sentenze nn. 388/1999, 315/1990, 188/1980, nonché la citata ordinanza n. 464/ Sull'esclusione delle norme meramente convenzionali dall'ambito di operatività dell'art. 10, primo comma, con esplicito riferimento alle norme della CEDU, v. le citate sentenze nn. 168/1994, 288/1997 e 224/ Sull'inapplicabilità dell'art. 10, secondo comma, Cost. con riferimento alle norme della CEDU, v. le citate sentenze nn. 120/1967 e 125/ Sull'inapplicabilità dell'art. 11 Cost. con riferimento alle norme della CEDU, v. la citata sentenza n. 188/1980. B) Trattati e convenzioni internazionali - Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) - Qualificazione dei diritti fondamentali oggetto di disposizioni della CEDU come principi generali dell'ordinamento comunitario - Rilevanza ai fini della diretta applicabilità di dette disposizioni nell'ordinamento interno - Esclusione - Fondamento. Pagina 20

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