155 c.c. ma non si è mai dubitato che potesse essere applicata analogicamente anche ai giudizi di separazione.

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1 "Separazione, divorzio e affido" - Master in psicopatologia e neuropsicologia forense - PADOVA, 23 SETTEMBRE 2006 *** 1) La nuova legge n. 54/2006; 2) Uno sguardo indietro; 3) Il principio generale: la ratio della norma (art. 155); 4) L assegno di mantenimento (articolo 155, IV comma); 5) Affidamento a uno solo dei genitori (art. 155 bis); 6) Disposizioni in favore dei figli maggiorenni (articolo 155 quinquies); 7) Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza (articolo 155 quater); 8) Poteri del Giudice, ascolto del minore e mediazione familiare (articolo 155 sexies); 9) La retroattività della legge; 10) Le modifiche apportate alla procedura; 11) I rimedi sanzionatori; 12) Quale competenza per i figli naturali?; 13) Affido e affidamento. L ambito di indagine della mia relazione è il medesimo dello scorso anno, eppure il suo contenuto, a distanza di pochi mesi, è profondamente e radicalmente diverso. Ed infatti, come probabilmente a Voi noto, lo scorso marzo è entrata in vigore la c.d. legge sull affidamento condiviso (L. 54/2006), che, con un testo normativo composto unicamente da cinque articoli, passati al vaglio del Senato il 24 gennaio 2006, ha rivoluzionato il diritto di famiglia, suscitando opinioni fortemente contrastanti e dando vita a interrogativi ai quali tuttora la prassi applicativa e la dottrina danno risposte contrastanti. L innovazione maggiormente evidente, eretta a vero e proprio programma precettivo, è quella di avere richiamato l opinione pubblica al rispetto di una eguaglianza non soltanto formale, ma sostanziale tra i genitori, e ciò anche in quel contesto litigioso nel quale le tensioni e la conflittualità agiscono come spinte divergenti, troppe volte laceranti la posizione dei minori che ne sono coinvolti. Il messaggio sotteso è che soltanto il rispetto di una totale par condicio nei confronti del figlio possa salvaguardare il diritto del minore di mantenere, nel caso di separazione tra i genitori, il miglior rapporto possibile con ciascuno di essi (oltre che con i nonni e i parenti di entrambi i rami e anche questa è una conquista non indifferente). Qualcuno obietterà, ed in effetti ha già obiettato, che si tratta unicamente di un enunciato del tutto scontato. A mio parere invece si tratta di un principio che è stato giusto riaffermare proprio perchè troppe volte disatteso dalle parti in conflitto. Inoltre il nuovo scenario si dimostra non soltanto rispondente all evoluzione del nostro tessuto sociale, ma si allinea altresì con la normativa europea che già da tempo aveva indicato che l autorità parentale debba continuare ad essere esercitata dal padre e dalla madre anche dopo la separazione e che ciascuno dei genitori debba assumere l impegno di coltivare le relazioni personali del minore con l altro genitore anche in separazione. Con al nuova normativa, possiamo quindi dire che i genitori vengono richiamati al loro compito di continuare ad essere, malgrado la cessazione della loro convivenza, genitori insieme. Come fare perchè ciò accada? Il compito spetta ancora una volta al Giudice che dovrà valutare la situazione, allo scopo di emanare i provvedimenti che siano maggiormente rispondenti all interesse del minore, fermo restando, tuttavia, che l affidamento condiviso (a entrambi i genitori) deve ormai ritenersi la soluzione prescelta dal legislatore come regola generale, e dunque prioritaria rispetto all affidamento monogenitoriale. Al riguardo, mi pare estremamente significativa una recente pronuncia del Tribunale di Bologna che, disattendendo la richiesta avanzata da parte di entrambi i genitori di affidare il figlio quindicenne esclusivamente alla madre, ha disposto d ufficio l affidamento del minore ad entrambi i genitori sul rilievo che si verte in materia di diritti (del minore) indisponibili, che non sono emerse situazioni di pregiudizio per il minore o altre circostanze ostative all applicazione della

2 disciplina del c.d. affido condiviso (Trib. Bologna, 22/5/2006 n. 1210). Questa massima, a mio parere, dimostra come, anche grazie al nuovo impianto normativo, il principio del diritto alla bigenitorialità, inteso come diritto del minore indisponibile e superiore anche all accordo delle parti, possa trovare oggi un applicazione assai più concreta e costante rispetto al passato. Deve peraltro essere rilevato che tale fedele interpretazione del nuovo impianto normativo non ha trovato applicazione in tutti i tribunali italiani: il Tribunale per i Minorenni di Trento, ad esempio, ha accolto l istanza congiunta di affidamento esclusivo della prole alla madre, rilevando che la richiesta, pur prevedendo una forma di affidamento esclusivo, corrisponde senz altro all interesse del minore atteso che, comunque, la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori (T.M. Trento, 11/4/2006). Non solo, ma come abbiamo avuto occasione di sperimentare già nei Tribunali il genitore che si oppone all affidamento condiviso deve fornire elementi validi che dimostrino il concreto rischio di pregiudizio per il figlio minore derivante da un affidamento ad entrambi i genitori. In simili situazioni, a fronte di un opposizione motivata, il Giudice non potrà che disporre a carico del nucleo familiare una consulenza tecnica d ufficio che accerti il reale stato delle cose. Il Giudice è posto quindi al centro di questo nuovo sistema, non soltanto come garante dei principi sopra indicati, dotato di ampi poteri d ufficio nell ascolto del minore e nell assunzione delle prove, ma altresì come vero e proprio educatore. Allo stesso Giudice viene, infatti, attribuito il compito da un lato di verificare la possibilità di sperimentare una mediazione tra i genitori indirizzandoli a esperti del settore (ma sempre mantenendo il controllo del procedimento), dall altro di ammonire il genitore che si sottragga agli impegni assunti, arrivando anche a condannarlo a risarcire i danni subiti dall altro. Simile ampia connotazione del ruolo e dell intervento del Giudice della separazione è stata fortemente criticata da parte della dottrina che ha rilevato, non a torto, una pericolosa commistione con competenze non giuridiche e il rischio conseguente di un intervento non efficace o addirittura dannoso. L intento del legislatore pare essere stato quindi quello di ristabilire un equilibrio fra i genitori e ciò ha fatto imponendo regole di condotta i cui effetti non potranno che essere verificati nella pratica. Uno sguardo indietro Per comprendere la valenza e la portata innovatrice della riforma in esame, occorre ripercorrere, seppure a grandi linee, l iter normativo che vi ha dato vita. Nel codice civile del 1942 veniva affermata l indissolubilità del matrimonio. La separazione poteva essere pronunciata solo in caso di colpa e l affidamento veniva disposto in favore del genitore non incorso in colpa. Con la legge n. 898 del 1970 che ha introdotto nel nostro ordinamento l istituto del divorzio, si verifica un mutamento di rotta: l affidamento dei figli viene disposto tenuto conto dell interesse morale e materiale della prole. Viene quindi meno qualsiasi riferimento, quale parametro di determinazione del genitore più idoneo, a svolgere il ruolo di genitore affidatario, al rispetto o meno dei doveri coniugali. Con la riforma al diritto di famiglia (legge n. 151 del 21 maggio 1975) viene definitivamente affermato che, nell ambito del giudizio di separazione, il Giudice, nell emettere un provvedimento di affido della prole, dovrà tener conto solo ed unicamente dell interesse del minore. Infine con la legge n. 74 del 1987 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) viene introdotto l affidamento congiunto, prevedendo che il Tribunale, tenuto conto dell età dei minori, possa disporre l affidamento congiunto o alternato degli stessi ove ciò venga ritenuto utile nel loro interesse. Tale forma di affidamento non è mai stata inserita nel vecchio art.

3 155 c.c. ma non si è mai dubitato che potesse essere applicata analogicamente anche ai giudizi di separazione. Il principio generale: la ratio della norma (art. 155) Il nuovo articolo 155 del codice civile così come modificato dalla Legge 54/2006 afferma prima di tutto che anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. L affido congiunto, eccezione del previgente sistema normativo, diviene oggi la regola e prende il nome di affido condiviso; in altre parole, si riconosce al minore, in nome del suo preminente interesse, il diritto ad una continuità di rapporti con ambo i genitori, anche e soprattutto in corso di separazione, oltre ad elevare a rango di diritto, e non più di mero valore, il legame con nonni e parenti stretti. La nuova normativa entra poi nel dettaglio di come i genitori possano e debbano insieme esercitare i loro compiti una volta ritenuti idonei ad ottenere l affidamento condiviso. Viene quindi stabilito che la potestà genitoriale ovvero l insieme dei diritti e dei doveri che i genitori hanno nei confronti dei figli è esercitata da entrambi i genitori (sul punto parte della giurisprudenza rileva che l esercizio della potestà spetta ad entrambi anche in ipotesi di affidamento esclusivo: C. Appello di Napoli, 22/3/2006, mentre altra parte della giurisprudenza osserva che ove l affidamento sia disposto in favore di un solo genitore, solo a lui spetta l esercizio della potestà Trib. Catania 1/6/2006). Viene inoltre operata una distinzione fra le decisioni di maggiore interesse per i figli e le questioni di ordinaria amministrazione, stabilendo che le decisioni di maggiore interesse sono quelle che riguardano l istruzione, l educazione e la salute della prole, e che dette decisioni devono essere assunte tenendo conto delle capacità, dell inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Per le decisioni di ordinaria amministrazione e limitatamente a queste, invece, il Giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente: in altre parole viene delineata, in ambito di ordinaria amministrazione, una sorta di divisione dei compiti, di potestà indivisa, da gestire secondo le singole esigenze e disponibilità. L assegno di mantenimento (articolo 155, IV comma) Sino ad oggi il Giudice stabiliva il modo e la misura in cui il genitore non affidatario contribuiva al mantenimento della prole convivente con l altro genitore. In virtù della nuova normativa, invece, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il Giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità. Peraltro, l assegno a carico di una parte non è obbligatorio, ma sarà stabilito solo ove necessario tenuto conto delle esigenze del figlio, del tenore di vita goduto durante il matrimonio, delle effettive risorse di ciascun genitore, dei tempi di permanenza presso ciascun genitore, dell impegno domestico e di cura assunto da ciascun genitore. Al riguardo va precisato che la norma, così come è formulata, risente del fatto che è stata eliminata, in fase di approvazione, la parte in cui era prevista una forma di contribuzione diretta dei figli da parte dei genitori. Tale previsione era infatti contenuta nell originario progetto di legge che prevedeva una forma di contribuzione per c.d. capitoli di spesa: ciascun genitore avrebbe dovuto provvedere al pagamento delle spese che di volta in volta si fossero rese necessarie. In quest ottica quindi la corresponsione dell assegno aveva un evidente funzione sussidiaria. Ciò detto, la vera innovazione introdotta dalla nuova normativa riguarda i criteri di determinazione dell assegno di mantenimento individuati dal legislatore. Tali criteri, come precisato, sono:

4 - le attuali esigenze del figlio; - il tenore di vita goduto dal figlio quando viveva con entrambi i genitori; - i tempi di permanenza con ciascun genitore; - le risorse economiche di entrambi i genitori; - la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno. Se l intento del legislatore era quello di porre un vincolo alla discrezionalità del Giudice nella determinazione dell assegno di mantenimento, va evidenziato che purtroppo non è stato colto nel segno, a motivo della genericità dei parametri; in effetti, il legislatore oscilla tra l astrattezza, con riferimento alle esigenze del figlio e alle risorse economiche dei genitori, e la concretezza del secondo e terzo indice, relativi al tenore di vita e al tempo di permanenza con ciascun genitore. Altro aspetto degno di rilievo è costituito dall indicazione di cui al quinto ed ultimo parametro: il lavoro domestico acquista finalmente la giusta valenza, restituendo dignità e riconoscimento al lavoro casalingo e di cura della prole. Tale apporto, a mio parere, è corretto che venga oggi valorizzato in tutti i casi in cui, seppur meno frequenti che in passato, durante il matrimonio un coniuge decida, in accordo con l altro, di non intraprendere una professione per dedicarsi alla famiglia e quindi non benefici di alcuna autonoma fonte di reddito. Affidamento a uno solo dei genitori (art. 155 bis) Differentemente da prima, il Giudice prende in considerazione l affidamento a entrambi come prioritaria e preferibile soluzione, ma non vi è alcun obbligo in tal senso e il legislatore non esclude che all esito della valutazione il Giudice possa anche stabilire un affidamento esclusivo ( oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati ). Tale ultima possibilità viene ripresa e regolata nel nuovo art. 155 bis c.c. ove viene previsto che il Giudice possa disporre l affidamento esclusivo qualora ritenga con provvedimento motivato che l affidamento all altro sia contrario all interesse del minore. Al riguardo sarà sicuramente fondamentale chiarire attraverso le future pronunce in cosa consisterà l interesse del minore che esclude l affidamento congiunto, con la necessaria precisazione che la nuova normativa non regolamenta le modalità e i criteri dell affidamento esclusivo. Da una analisi delle prime sentenze in materia, possiamo rilevare che la sussistenza di una notevole conflittualità tra i genitori non rappresenta più l elemento sufficiente ad escludere l affidamento condiviso. Tale conflittualità deve infatti essere accompagnata da ulteriori elementi di pregiudizio per il minore, quali ad esempio lo stato di detenzione di uno dei genitori, o il radicale rifiuto del figlio ad avere rapporti con il padre: al riguardo, La Corte d Appello di Bologna così rileva: la scelta operata dal legislatore a favore dell affidamento condiviso non consente di ritenere la conflittualità fra i genitori elemento sufficiente, di per sé solo, a disporre l affidamento esclusivo (Corte App. Bologna, 17/5/2006). Il Tribunale di Catania così si esprime: Ritenuto che, in particolare, nel caso in esame, oltre a sussistere una notevole conflittualità fra i coniugi che di per sé non sarebbe ostativa all affidamento condiviso, il padre si trova attualmente detenuto per essere stato arrestato in flagranza di reato di tentato omicidio della moglie ed è inoltre affetto da gravi patologie psichiche, non appare conforme all interesse morale e materiale della minore disporre l affidamento condiviso che pare del tutto impraticabile (Trib. Catania, 18/5/2006). Da ultimo, la Corte d Appello di Napoli nel confermare l affidamento esclusivo della figlia minore alla madre rileva: La minore deve rimanere affidata alla madre, ed in questi limiti va rigettata la richiesta di affido condiviso formulata dal padre. Ritiene anzi questo giudice che gli incontri della minore con il padre debbano essere temporaneamente sospesi, poiché ogni ulteriore intervento autoritativo, sortirebbe effetti controproducenti, innalzando la soglia di ostilità della minore nei confronti del padre e risulterebbe certamente pregiudizievole per la serenità della vita della minore. Tale decisione risponde quindi alle attuali prioritarie esigenze

5 della figlia, da ritenersi, anche in forza degli artt. 9 e 12 della Convenzione di New York, allo stato preminenti anche sul diritto del padre (Corte d appello di Napoli, 22/3/2006). Rimane, invece, fermo anche nella nuova normativa il principio che il Giudice, nell emanare i provvedimenti, tiene conto degli accordi intercorsi tra i genitori. Disposizioni in favore dei figli maggiorenni (articolo 155 quinquies) L art. 155 quinquies ha introdotto una specifica disposizione relativa al mantenimento in favore dei figli maggiorenni, ma non economicamente indipendenti, dando così rilievo a quella giurisprudenza ormai consolidata che da tempo ha ricondotto la cessazione dell obbligo di mantenimento, gravante sui genitori, al raggiungimento da parte dei figli della loro indipendenza economica. L aspetto senz altro più innovativo, e già oggetto di ampie discussioni, della norma in esame, è la previsione che, salvo diversa disposizione, il contributo debba essere versato direttamente all avente diritto. Tre le conseguenze di questa norma: - il venir meno dell automatismo per cui i genitori sono comunque tenuti a provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni, salvo provare la loro raggiunta indipendenza economica; - il venir meno dell automatismo per cui il contributo al mantenimento debba essere versato al genitore convivente con il figlio; e - la necessità che sia il figlio a dover agire personalmente nei confronti del genitore per ottenere il pagamento di quanto dovuto. In ogni caso, la norma lascia un margine di discrezionalità al Giudice il quale, ove lo ritenga opportuno, può prevedere che l assegno venga versato al coniuge. Anche su tale aspetto, segnalo due pronunce contrastanti: quella del Tribunale di Catania che dispone la corresponsione dell assegno di mantenimento al genitore convivente con i figli maggiorenni, senza alcuna motivazione relativa alle cause ostative al versamento del predetto assegno direttamente nelle mani dell avente diritto (Trib. Catania 5/5/2006) e quella del Tribunale di Bologna che: In assenza di altri elementi di giudizio, valutati gli indici presuntivi desumibili dagli atti, considerata l età delle figlie, considerate le circostanze del caso concreto e la prassi già in atto e la nuova disciplina introdotta dalla legge n. 54/2006, tale somma sarà versata direttamente dal padre alle figlie maggiorenni ma non economicamente autosufficienti (Trib. Bologna16/5/2006). Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza (articolo 155 quater). Essendo venuto meno, almeno nella maggior parte dei casi, il criterio di assegnazione in funzione dell affidamento, che da esclusivo diventa condiviso, da oggi il Giudice dovrà provvedere all assegnazione tenendo prioritariamente conto dell interesse dei figli. Ciò a mio parere non comporta una radicale innovazione rispetto al regime previgente: al contrario significa che la casa coniugale sarà comunque assegnata al genitore con il quale i figli trascorreranno la maggior parte del tempo, e presso il quale dunque saranno collocati, anche anagraficamente. L aspetto più innovativo dell art. 155-quater è senz altro la previsione espressa della necessità di valutare economicamente l assegnazione della casa coniugale nei rapporti fra le parti. Ed infatti, l assegnazione della casa familiare sino ad ora prevista a favore del coniuge affidatario dei figli, ha rappresentato uno degli elementi di maggior contrasto nei giudizi di separazione e divorzio. Il nuovo articolo 155 quater, prevedendo come necessaria la valutazione del provvedimento di assegnazione nell ambito dei rapporti economici tra i genitori, ha senza dubbio il merito di riportare in evidenza il vantaggio economico (a volte di grande rilievo) che l assegnazione della casa familiare di certo comporta ed anche gli squilibri che da questa assegnazione possono derivare nel caso si vengano a modificare gli assetti familiari rispetto ai provvedimenti presidenziali. E così il

6 legislatore ha previsto che il diritto al godimento della casa familiare venga meno nel caso che l assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. La disposizione così come impartita comporta la revoca dell assegnazione della casa coniugale (naturalmente su istanza del coniuge che ne abbia interesse) e conseguentemente l esecuzione del relativo provvedimento allo scopo di rimettere nel possesso della stessa abitazione il genitore che ne era escluso. Il dettato normativo sotto questo profilo non prevede espressamente alcuna discrezionalità da parte del Giudice: in ogni caso non potrà essere trascurato l interesse dei figli con riferimento agli effetti della revoca dell assegnazione sulla loro vita. Ciò rilevato, non può non essere evidenziato che da oggi, l affidamento della prole e l assegnazione della casa coniugale, finora collegati, potranno prendere strade separate, allo scopo di realizzare in concreto il miglior assetto degli interessi in gioco. Poteri del Giudice ed ascolto del minore (articolo 155 sexies) Viene espressamente prevista, nella nuova legge, l'audizione in giudizio del figlio minore ultra dodicenne (o anche di età inferiore ove capace di discernimento). Questa disposizione è in linea con l'attuale orientamento del legislatore italiano (cfr. la legge n. 149/2001 sull'adozione) ed europeo (Convenzione di Strasburgo sull esercizio dei diritti dei fanciulli del 1996) che riconosce al minore un ruolo autonomo nel processo ed un autonomo centro di interessi, che devono trovare un adeguato spazio di espressione in sede di giudizio. Il testo della norma sembra quasi prescrivere l audizione del minore (Il Giudice dispone, inoltre l audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni e anche di età inferiore ove capace di discernimento). In verità, l audizione può rappresentare un utile strumento di tutela dell interesse della prole minorenne, ma non pare potersi ritenere un elemento necessario del giudizio di separazione. Nulla dice il legislatore in merito alle modalità attraverso le quali il minore debba essere ascoltato: certamente il Giudice potrà disporre una consulenza tecnica (nella quale tuttavia devono essere coinvolti anche i genitori) oppure potrà provvedere direttamente all ascolto senza avvalersi di esperti. In ogni caso, appare indispensabile evidenziare che, come autorevolmente rilevato, dal punto di vista processuale l ascolto del figlio minore non può essere assimilato ad un mezzo di prova, in quanto non è finalizzato ad acquisire elementi istruttori, bensì a garantire al minore il suo diritto ad esprimere i suoi bisogni e i suoi desideri ed insieme il suo diritto ad essere informato dal giudice sui termini della controversia in cui è coinvolto. Il minore non è testimone del processo e il giudice non può interrogarlo su fatti specifici riguardanti la vita familiare: se non fosse così il diritto ad essere ascoltato ed informato si tradurrebbe in un dovere di testimonianza, contraddittorio con le qualità di soggetto massimamente interessato ad ogni decisione che lo concerne e quindi sostanzialmente parte del giudizio stesso. La mediazione familiare L art. 155 sexies, secondo comma, prevede che il Presidente, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, possa rinviare l adozione dei provvedimenti provvisori per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela morale e materiale dei figli. Questa nuova disposizione sancisce dunque l ingresso, dopo anni di dibattiti, di sollecitazioni e di accesi confronti, della M.F. nei procedimenti di separazione e di divorzio e di affidamento della prole naturale. Prima di entrare nel merito della nuova disciplina, vale forse la pena soffermarsi brevemente su quale sia il contenuto della MF e le sue finalità. La M.F. rappresenta un intervento professionale

7 indirizzato alla coppia che si sta separando o che ha già intrapreso una separazione, affinché essa elabori in prima persona, con l aiuto di un mediatore che è un terzo imparziale che opera in totale autonomia dal contesto giudiziario, un programma di separazione soddisfacente per sé e per i propri figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale. Gli aspetti peculiari della MF possono dunque sinteticamente ricondursi al coinvolgimento diretto della coppia nella elaborazione degli accordi di separazione, e alla terzietà del mediatore, che pur dovendo agevolare la presa di decisione e l accordo, non deve esprimere giudizi in merito al contenuto dei patti e tanto meno ne deve rispondere davanti all autorità giudiziaria. La MF è una realtà conosciuta ed operativa ormai da anni anche in Italia, fino ad oggi, tuttavia, e a differenza della maggior parte degli ordinamenti europei ed extraeuropei, nessun cenno ad essa era contenuto nella normativa della separazione e del divorzio. L unico riferimento alla MF nel nostro ordinamento prima dell attuale art. 155 sexies c.c., era quello di cui all art. 2 della legge 154/2001 in materia di misure contro la violenza nelle relazioni familiari, ma la previsione in essa contenuta ha avuto scarsissima applicazione essendo inserita in un contesto, quale appunto quello della violenza e degli abusi familiari, in cui le problematiche sono assai complesse e nel quale parlare di MF e cioè di confronto e di rispetto può risultare inappropriato o quanto meno prematuro. (Vi è poi anche la legge di ratifica della Convenzione di Strasburgo del gennaio 1996 sull esercizio dei diritti dei minori, ratificata in Italia con la Legge 77/2003, che prevede l istituto della MF come strumento innovativo per una reale tutela della famiglia e dei minori. Si tratta però di un iniziativa legislativa europea). Torniamo ora all art. 155 sexies. Vale la pena osservare che l attuale testo della norma ha subito non indifferenti modifiche rispetto all iniziale progetto di legge (On. Tarditi, DDL 66) che espressamente prevedeva la possibilità che il Giudice imponesse alle parti di rivolgersi ad un centro di MF. La previsione di una MF obbligatoria ha suscitato diffuse e ampie polemiche, che sono state espresse trasversalmente sia dalla maggior parte degli operatori familiari (che sostanzialmente hanno rilevato che l autonomia e la volontarietà nella decisione di intraprendere un percorso di MF rappresenta il requisito primario affinché essa possa condurre a qualche risultato), sia da parte dell Avvocatura e anche dai Giudici, che hanno rinvenuto in tale disposizione, rispettivamente, un concreto rischio di vuoto di tutela giudiziale per la parte più debole, e una pericolosa dilatazione dei tempi del giudizio e un sovraccarico degli incombenti degli Uffici giudiziari chiamati ora anche a gestire e promuovere i contatti con le strutture di MF. Oggi, in considerazione delle ampie e motivate critiche mosse alla previsione della MF come obbligatoria, la norma che la prevede ha perso, come abbiamo visto, ogni connotato coattivo, e ciò risponde indubbiamente non solo alle istanze espresse dagli operatori del diritto, bensì, e forse soprattutto, anche allo spirito più autentico della MF, che se vuole davvero condurre ad una reale assunzione di responsabilità, non potrà non svolgersi all insegna del massimo rispetto della libertà propria e altrui. Ciò rilevato, appare in ogni caso significativo rilevare come in altri ordinamenti, ad esempio quelli anglosassoni, la MF abbia trovato da anni un ingresso ufficiale e in qualche modo obbligatorio: il Giudice in occasione della prima udienza invita le parti a rivolgersi ad uno sportello di MF presente all interno del Tribunale in cui potranno essere date loro tutte le informazioni relative a questo tipo di percorso; i coniugi potranno decidere se tentare la strada della MF, e allora chiederanno al Giudice un congruo rinvio, oppure potranno decidere di proseguire nell iter giudiziale già intrapreso. Peraltro, la MF obbligatoria non rappresenta un assoluta novità nemmeno in Italia. Ed infatti, da anni, e anche preliminarmente alla redazione delle proposte di legge che miravano all introduzione della MF nei procedimenti di separazione, presso alcuni Tribunali la MF è addirittura prescritta. E

8 il caso, ad esempio, del Tribunale per i Minorenni di Milano, che in base alla nostra esperienza quando provvede, anche in via temporanea ed urgente, all affidamento dei minori, PRESCRIVE in modo assolutamente frequente, se non costante, nei propri decreti ad entrambi i genitori di intraprendere un percorso di MF anche tramite i Servizi sociali competenti (che sono chiamati a relazionare il Tribunale in merito a tutta la situazione e quindi di fatto anche all esito della MF). L esito di una simile prescrizione è naturalmente che i genitori intraprendono la mediazione perché è stata loro imposta. Per quanto riguarda la concreta applicazione di questa norma, segnalo alcune questioni che potrebbero avere dei risvolti importanti nei procedimenti di separazione: - in base al dettato della norma, il Presidente può invitare le parti ad intraprendere la MF anche prima dell emissione dei provvedimenti provvisori. Questo comporta un rischio tutt altro che trascurabile di mancanza di tutela per i coniugi e soprattutto per i figli minori, in quanto dopo il deposito del ricorso e l apertura del procedimento la situazione in famiglia è normalmente molto tesa e l emanazione dei provvedimenti di cui all art. 708 c.p.c. costituisce tendenzialmente un presupposto che impedisce l arbitrio e il degenerare di determinate situazioni e garantisce la tutela dei diritti fondamentali (assegno di mantenimento per la prole e frequentazioni per il coniuge non convivente). - Un altro aspetto, forse meno significativo dal punto di vista del procedimento giudiziale, ma sul quale vale la pena operare una riflessione: poiché è evidente che il ricorso alla MF sarà assai più frequente e coinvolgerà un maggior numero di cittadini, sembra siano giunti i tempi per imporre a livello nazionale degli standard qualitativi nella formazione dei mediatori familiari, che garantiscano a tutti gli utenti la possibilità di avvalersi di un professionista in materia di MF. E noto infatti il pullulare negli ultimi anni di corsi e di sedicenti mediatori familiari sulla formazione dei quali non è stato esercitato alcun controllo e compiuta alcuna verifica. Ricordo che in Italia, a differenza che negli altri Paesi in cui la MF è riconosciuta e praticata, non esiste ancora un albo professionale dei mediatori. - I Giudici, che dovranno valutare la mediabilità della coppia dovranno certamente essere preparati ed informati adeguatamente sulle finalità e sul percorso della MF, in caso contrario ci troveremo di fronte a degli invii inadeguati e potenzialmente dannosi. - Ed ancora: la MF dovrà essere pur svolta da qualche parte. Presumibilmente, i centri pubblici che già offrono questo tipo di servizio si troveranno a dover fronteggiare un rilevante incremento della domanda. Di ciò la legge non parla minimamente, ma non solo, essa espressamente rileva, all ultimo articolo, che dalla sua applicazione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ciò impone una riflessione: il principio informatore della legge teso a stabilire con forza il diritto dei minori a conservare un paritetico ed equilibrato rapporto continuativo con entrambi i genitori in caso di separazione e/o divorzio di questi ultimi, è assolutamente condivisibile e doveva essere sancito. Altrettanto importante è che si prevedano strumenti per consentire ai genitori di praticare e realizzare la comune responsabilità genitoriale, come la MF. Ma tutto ciò non può e non deve rimanere un principio sulla carta, come pare dirci il legislatore, ma deve essere concretamente realizzato attraverso l impegno economico dello Stato: in caso contrario avremo dato alla coppia in difficoltà uno strumento di aiuto senza consentire loro di utilizzarlo, e non avremo dunque fatto molta strada. La retroattività della legge L art. 4 della nuova normativa rende applicabili le disposizioni in essa contenute anche a tutti quei casi in cui sia già stata omologata la separazione consensuale o sia stata pronunciata sentenza di separazione, di divorzio o di annullamento del matrimonio.

9 Viene infatti previsto che i genitori, ad oggi non affidatari, possano adire il tribunale chiedendo una modifica dell attuale regime di affidamento e quindi l estensione dei nuovi principi anche alle situazioni già oggetto di pronuncia definitiva. Nulla tuttavia viene previsto in merito ai giudizi tuttora pendenti, ma la normativa vigente ha trovato applicazione immediata anche in essi. I magistrati della famiglia del Tribunale di Milano, hanno addirittura anticipato l applicazione della nuova normativa anche alla fase precedente alla sua entrata in vigore. A mio parere è presumibile ritenere che i provvedimenti di cui verrà richiesta l applicazione saranno, più che altro, quelli relativi all affidamento dei minori, in tutti quei casi in cui sia stato disposto un affidamento esclusivo in assenza di ragioni pregiudizievoli per i minori (come, ad esempio, in presenza di un accentuata conflittualità) o quelli riguardanti l assegnazione della casa coniugale in tutti quei casi in cui sia stato celebrato un matrimonio o sia stata iniziata una convivenza da parte del genitore assegnatario. Particolare importanza riveste il secondo comma dell art. 4 che estende la normativa anche alle famiglie di fatto, per quanto riguarda i procedimenti relativi ai figli, così ribadendo un principio ormai accolto nel nostro ordinamento che è quello dell uguaglianza dei figli legittimi e naturali. Nulla viene invece disposto per quanto riguarda i procedimenti relativi alla filiazione naturale già conclusi, ai quali tuttavia sembra logico estendere - proprio in virtù di tale importante principio - le nuove norme. Le modifiche apportate alla procedura L art. 2 apporta una rilevante modifica alla normativa processuale prevista dall art. 708 c.p.c. in quanto sarà possibile impugnare i provvedimenti provvisori emessi dal Giudice della separazione o del divorzio avanti alla Corte d Appello. Ciò vuol dire che se sino a oggi i provvedimenti erano unicamente modificabili o revocabili avanti all organo che li aveva emessi, d ora in avanti si potrà sempre contestare il contenuto di tali provvedimenti innanzi al Giudice superiore, instaurando una parentesi processuale parallela e concomitante a quella della separazione o del divorzio. L espresso riconoscimento dell ammissibilità del reclamo rappresenta in termini astratti una conquista, rivelandosi consonante con il sistema di garanzie costituzionali offerte dall ordinamento (particolarmente alla luce del riformato art. 111 Cost.), e con l esigenza di assicurare il diritto di impugnazione contro tutti i provvedimenti (anche sommari) dotati di efficacia su diritti e direttamente incidenti su di essi; anche se non può non riconoscersi il rischio di un aumento della conflittualità in relazione ai singoli aspetti del giudizio (ciò che rappresenta un potenziale danno per le parti e per i minori nello stesso coinvolti). La formulazione della norma solleva peraltro diversi interrogativi di non poco momento. Al riguardo, non è chiara innanzitutto la natura da attribuire al reclamo in oggetto. Ed invero, se da un lato le peculiari caratteristiche dell ordinanza presidenziale e il suo profilo di provvedimento sostanzialmente sui generis nel sistema, unite alla nuova disciplina testuale (che non ricalca quella dell art. 669-terdecies c.p.c., in primis sotto il profilo della competenza) indurrebbero a considerare lo strumento in esame come sui generis, e comunque non come reclamo cautelare, in senso contrario non può non riconoscersi da un lato che l ambito di applicazione del reclamo ex art terdecies c.p.c. si estrinseca anche avverso provvedimenti non qualificabili stricto sensu come cautelari (come ad es. i provvedimenti possessori), dall altro che il mezzo prescelto dal legislatore presenta indubbiamente caratteristiche portanti affini a quelle del reclamo cautelare. Per quanto riguarda la disciplina positiva, la legittimazione spetta a entrambe le parti, nella misura in cui lamentino l illegittimità o erroneità nel merito del provvedimento assunto dal presidente. Nell ipotesi in cui il convenuto non si fosse ancora costituito nell udienza presidenziale ritengo

10 tuttavia non si possa non convenire sul fatto che nel giudizio di reclamo egli debba partecipare inevitabilmente con l assistenza di un difensore e con questo costituirsi. Il punctum dolens è in ogni caso rappresentato dal mancato coordinamento della nuova norma con il potere di revoca e modifica dei provvedimenti presidenziale (non soltanto confermato, ma anzi come rafforzato per effetto della l. n. 80/2005). A questo riguardo, secondo una prima interpretazione si potrebbe negare la possibilità di una modifica/revoca da parte del g.i. del provvedimento emesso in sede di reclamo. Questa soluzione potrebbe essere basata su un argomento letterale (il potere di modifica e revoca è dall art. 709, 4 comma, c.p.c. ricollegato ai soli «provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l ordinanza di cui al terzo comma dell articolo 708») nonché, da un punto di vista sistematico, sul principio generale che di regola impedisce a un giudice di grado inferiore di modificare provvedimenti emanati da un giudice di grado superiore. Entrambi gli argomenti non si dimostrano per verità insuperabili. Ed invero, se per quanto riguarda il testo dell art. 709, 4 comma (norma creata quando ancora il reclamo non era stato introdotto nel sistema) esso potrebbe considerarsi come implicitamente contenente un richiamo per relationem a tutti i provvedimenti comunque sostitutivi dell ordinanza presidenziale, dal punto di vista della gerarchia tra uffici giudiziari non può essere revocato in dubbio che quanto meno il tribunale, in sede di decisione finale del giudizio di primo grado, ha sicuramente il potere di intervenire nei confronti dell ordinanza presidenziale, anche laddove modificata in sede di reclamo (il che sostanzialmente toglie valore all argomento sopra illustrato). Credo quindi che la possibilità di modifica, integrazione o revoca anche del provvedimento emesso dalla corte d appello in sede di reclamo non possa essere negata, e ciò anche per la fondamentale considerazione che la disciplina dettata tramite i provvedimenti in esame (siano emessi dal presidente, ovvero dalla corte) è comunque sempre provvisoria e rispondente a un assetto di interessi dei componenti del nucleo familiare che può fisiologicamente subire alterazioni o variazioni. In questa caratteristica sta forse la chiave di volta per una soluzione che medi tra le contrapposte tesi: in effetti, si potrebbe proporre una soluzione volta a consentire la revoca e modifica da parte del g.i. ma subordinandola alla presenza di nuove circostanze, ritenendo che il potere revocatorio generale (ex art. 177 c.p.c.) previsto dall art. 709, 4 comma, c.p.c. si sia consumato per effetto della pronuncia in sede di reclamo da parte di un giudice superiore, ma ammettendo la sopravvivenza di un più limitato potere di modifica/revoca, in ossequio alla clausola rebus sic stantibus implicitamente sottesa a tutti i provvedimenti in esame. Per questi stessi motivi, tra l altro, riterrei che malgrado il riferimento contenuto nella nuova norma di legge ai soli provvedimenti emanati dal presidente, il reclamo debba essere esteso anche ai provvedimenti del giudice istruttore che intervengano sulla medesima disciplina provvisoria, in senso modificativo o integrativo. Il nuovo regime sollecita infine una riflessione circa l obbligo di motivazione dell ordinanza presidenziale. Sino ad oggi, la tendenza dominante nella prassi era nel senso di ovviare al problema, limitandosi in alcune ipotesi a motivazioni estremamente concise, e per lo più stereotipamente ricollegate al criterio dell interesse del minore. Nel nuovo sistema, invece, ragioni tanto di ordine sostanzialecontenutistico quanto di ordine propriamente formale-processuale impongono una motivazione più estesa. Dal primo punto di vista, invero, il presidente avrà l obbligo di motivare il provvedimento in tutte quelle ipotesi in cui intenda discostarsi dal canone dell affidamento condiviso elevato dal legislatore a criterio generale informatore e prioritario rispetto ad ogni differente tipologia di affidamento.

11 Dal secondo punto di vista, la prevista reclamabilità dei provvedimenti suggerisce una motivazione, diminuendo diversamente il loro grado di tenuta rispetto alla richiesta nuova valutazione da parte del giudice del reclamo. I rimedi sanzionatori Viene poi espressamente regolata l ipotesi in cui sorgano, successivamente all instaurazione del giudizio, controversie tra i genitori in ordine all esercizio della potestà e alle modalità dell affidamento. Al riguardo viene previsto da parte del Giudice non solo un intervento risolutivo, bensì veri e propri rimedi sanzionatori in tutte le ipotesi in cui una delle parti si sia dimostrata inadempiente rispetto ai propri doveri genitoriali così come sanciti nei provvedimenti giudiziali in essere. La nuova legge infatti ha previsto che in caso di gravi inadempienza o di atti che danneggiano il minore o ostacolino lo svolgimento dell affido il Giudice può modificare le condizioni in vigore e ammonire il genitore inadempiente; disporre il risarcimento dei danni nei confronti del minore o nei confronti dell altro genitore. Certo è che la previsione di un potere sanzionatorio nei confronti dei genitori per il mancato rispetto delle modalità di affidamento o per comportamenti pregiudizievoli per il minore rafforza il ruolo del Giudice, nella convinzione che la corretta attuazione dei provvedimenti relativi all affidamento non può che essere demandata allo stesso Giudice della cognizione, munendolo di strumenti effettivi al riguardo. Ci si può chiedere piuttosto se le questioni patrimoniali e risarcitorie di fatto evidenziate dalla disposizione, nell ipotesi di figli naturali, siano di competenza del tribunale per i minorenni ovvero di quello ordinario (posto che, di regola, la competenza del tribunale per i minorenni è limitata ai profili inerenti la potestà e l affidamento). Ritengo peraltro che, nelle ipotesi di figli naturali, le statuizioni in esame dovranno essere attratte nella competenza del t.m., considerata la loro natura di forme speciali di condanna, imprescindibilmente connesse ai provvedimenti sull affidamento e ad essi da un punto di vista processuale indissolubilmente correlate. Del resto, le sanzioni in esame, al di là della funzione di ristoro dei danni subiti da un genitore per la condotta dell altro (che in alcune ipotesi assumono, nell esperienza concreta, anche un notevole rilievo) hanno segnatamente una valenza sanzionatoria di tipo pubblicistico, costituendo una sorta di comminatorie rapportate alla mancata ottemperanza dei provvedimenti dell autorità Da segnalare la necessità di un chiarimento in merito al contenuto di queste sanzioni nonché, in caso di risarcimento, ai criteri ai quali il Giudice dovrà attenersi ai fini della quantificazione del danno. Sul punto fino ad oggi si è rinvenuta una sola pronuncia del Tribunale di Catania in data 11/7/2006, secondo la quale in ipotesi di comportamenti posti in essere dalla madre e volti ad impedire al padre di tenere con sé la prole, il Giudice deve ammonire il genitore inadempiente ad astenersi da tale condotta, altamente pregiudizievole per il corretto sviluppo dei rapporti padre-figli, la quale potrà in prosieguo, ove perdurante, comportare l adozione delle misure previste dalla rt. 709 ter cpc Quale competenza per i figli naturali? Occorre segnalare che si è sviluppato in dottrina come in giurisprudenza un ampio e acceso dibattito in merito all individuazione del Giudice competente a decidere sulle controversie relative ai figli naturali. Se infatti, è unanimemente condiviso il principio per cui il legislatore ha voluto ricondurre al vaglio del medesimo giudice sia le questioni relative all affidamento della prole naturale che quelle relative al suo mantenimento e agli ulteriori aspetti economici (art. 4 legge 54/2006), questioni che

12 invece, fino ad oggi, dovevano essere sottoposte a due giudici differenti: al Tribunale per i Minorenni le prime, al Tribunale ordinario le seconde, non altrettanta chiarezza è riscontrabile in merito a quale sia, tra i due, il Giudice in favore del quale, dopo la novella, è stata riunita la competenza. La nuova normativa presenta infatti un evidente difetto di organicità con le norme preesistenti, di carattere sostanziale (artt. 317 bis, art. 38 disp.att.) e processuale, che ha dato adito ad opposte interpretazioni. La questione è così rilevante, soprattutto con riferimento alla situazione di Milano, in cui sia il Tribunale per i Minorenni che il Tribunale ordinario dichiarano la propria incompetenza a favore dell altro, in questo modo paralizzando le iniziative giudiziali a tutela della prole minorenne, che di essa è stata investita la Corte di Cassazione tramite ricorso per regolamento di competenza. In attesa che la Suprema Corte di esprima, vediamo brevemente i termini della questione. Sul punto possono essere individuati tre filoni distinti, tre coloro che sostengono: 1) La permanenza delle competenze separate per T.M. e T.O. 2) La competenza del T.O. 3) La competenza del T.M. Il primo orientamento, che non ha allo stato trovato riscontro nell interpretazione giurisprudenziale, è sostenuto da autorevole dottrina (Tommaseo, Graziosi), che ritiene che in mancanza di un assetto chiarificatore del legislatore, la disciplina del riparto delle competenze debba rimanere immutata, forse nell attesa dell istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia e per i minori. Il secondo orientamento è stato elaborato dai magistrati del Tribunale per i Minorenni di Milano (Dott.ssa Zamagni e Dott. Villa), nel decreto del 12/5/2006 (confermato poi nel decreto in data 7/7/2006), nel quale hanno rilevato che, sotto il profilo sostanziale, il giudice adito dovrà anche per i genitori non coniugati fare riferimento agli articoli 155 e seguenti e non più agli art. 317 bis e 148 c.c. Sotto il profilo processuale, invece, questi magistrati ritengono che le norme della L. 54/2006 presuppongono l applicazione della disciplina dell art. 706 e segg. c.p.c., disciplina che non si può adattare alla procedura del Tribunale per i Minorenni senza stravolgerne la natura e che risulta incompatibile con il dettato dell art. 38 disp.att. c.c. che prevede che per tali procedimenti si provveda in camera di consiglio, sentito il parere del PM. Il terzo ed ultimo orientamento, sostenuto da parte della dottrina, dall associazione nazionale dei magistrati per la famiglia, e dalla maggior parte della giurisprudenza italiana, fra cui il Tribunale ordinario di Milano (che quindi si pone in netto contrasto con il proprio Tribunale per i Minorenni), rileva che non essendo stata apportata alcuna modifica all art. 38 disp.att. c.c. che attribuisce la competenza al T.M. per i procedimenti di cui all art. 317 bis, è questo il Tribunale che deve decidere le questioni relative all affidamento della prole naturale e, in base all espressa estensione anche agli aspetti patrimoniali ed economici, al suo mantenimento. Aderiscono a questa tesi: Trib. Ordinario di Milano 21/6/2006; Trib. Ordinario di Monza 29/6/2006; Trib. Minorenni di Trento 11/4/2006; TRib. Minorenni Bologna 26/4/2006; Trib. Catania 6/6/2006. Non v è dubbio che anche grazie all autorevole intervento della Suprema Corte dovrà pervenirsi ad un indirizzo e ad un interpretazione unanime e comune, e ciò allo scopo di evitare pericolose difformità applicative a tutto danno dei figli naturali. Affido e affidamento Ancora qualche parola merita di essere spesa sull affidamento, che rappresenta senza dubbio il fulcro della nuova disciplina e che riveste una parte fondamentale nei giudizi di separazione e divorzio. Come noto, l affidamento rappresenta l istituto giuridico attraverso il quale in caso di separazione dei genitori, vengono stabilite le modalità attraverso le quali sarà esercitata la potestà genitoriale nei

13 confronti della prole minorenne (significativo è al riguardo rilevare che negli ordinamenti europei sta progressivamente scomparendo il termine affidamento che è sostituito da quello di responsabilità genitoriale ). In una recente pronuncia il Tribunale per i minorenni di Milano ha espresso molto efficacemente questo concetto: rilevato che il regime dell affidamento, che vuol dire esercizio della potestà, ovvero assunzione delle decisioni relative alla educazione, alla istruzione, alla salute, alle attività sportive o altro che riguardino il figlio minore, non va confuso con il collocamento del minore stesso presso l uno o l altro genitore. L affidamento è congiunto o condiviso (pur se i due termini hanno in realtà un significato in parte diverso) quando tali decisioni siano assunte da entrambi i genitori e non da uno soltanto. Più correttamente la nuova disciplina che ha riformato l art. 155 c.c. parla di affidamento a entrambi i genitori. Scopo della normativa è anzitutto quello di rendere entrambi i genitori responsabili in relazione alla loro genitorialità e, pur in presenza di conflitti, indurli ad assumere le decisioni meglio rispondenti agli interessi e ai bisogni dei figli (T. per i Minorenni di Milano, decreto 20/6/2006). Nel caso di affidamento condiviso, la nuova norma espressamente prevede che la potestà genitoriale sia esercitata da entrambi i genitori, fatte salve le questioni di ordinaria amministrazione, per le quali il Giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Tale disposizione ha già dato adito a differenti applicazioni interpretative: ed infatti non appare sempre agevole determinare quali siano le questioni di ordinaria amministrazione e quali invece quelle straordinarie. In particolare, nell ambito scolastico con riferimento all iscrizione ad un istituto piuttosto che ad un altro, o alla frequentazione di determinati corsi, si sono verificati vivaci contrasti interpretativi (cfr la Circolare del Ministero dell Istruzione, delle Università e della Ricerca del 20/12/2005). Ciò premesso in merito all esercizio della potestà genitoriale, occorre precisare che il testo previgente dell art. 155 c.c. prevedeva espressamente l ipotesi che il Giudice, per gravi motivi, ordinasse che la prole fosse collocata presso una terza persona o in un istituto di educazione. Oggi, tale previsione, pur continuando ad essere attuata nella prassi, è scomparsa dal testo dell art. 155 c.c. e resta espressamente prevista solo nelle disposizioni di cui alla Legge n. 184/1983, come modificata dalla Legge 149/2001, che disciplina i c.d. casi di affido eterofamiliare o preadottivo. Anche nel linguaggio del legislatore, frequentemente i termini affidamento e affido vengono utilizzati come sinonimi, e ciò sebbene gli istituti cui fanno riferimento sono caratterizzati da presupposti e finalità molto diversi. Con il termine affido, infatti, si fa di solito riferimento a quello specifico strumento di tutela per i minori che si trovino temporaneamente o definitivamente privi di un ambiente familiare idoneo a garantire loro una crescita serena ad equilibrata, e per i quali dunque viene disposto, a seconda dei casi, un provvedimento di affido etero-familiare (che prevede che il minore sia ospitato in una famiglia o in una comunità per un tempo limitato, e che rientri nella propria famiglia d origine non appena le condizioni morali e materiali della stessa lo consentono) o di affido preadottivo (che prelude all adozione, in considerazione dello stato di abbandono del minore). Tali istituti, come già accennato, sono disciplinati dalla Legge n. 184/1983 come modificata dalla Legge 149/2001. Milano, 20 settembre Avv. Anna Galizia Danovi

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