Il marketing del trasferimento tecnologico delle università

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1 Società Italiana di Marketing IL MARKETING DELLE MEDIE IMPRESE LEADER DI MERCATO Parma novembre 2006 Il marketing del trasferimento tecnologico delle università - draft - Daniela Baglieri, Ph.D. Dip. Discipline Economico Aziendali Università degli Studi di Messina Tel Fax E.mail: dbaglieri@unime.it Paper da presentare nella sezione: Marketing e Tecnologia

2 1. Il trasferimento tecnologico: profili introduttivi Nell ultimo decennio, il tema del trasferimento tecnologico ha alimentato numerose aspettative per via delle potenzialità economiche attribuite, da più parti, alle cosiddette transfer sciences (microelettronica, biotecnologie e nanotecnologie). Se, infatti, la scienza e la tecnologia costituiscono fattori propulsivi dello sviluppo economico della knowledge society, è naturale attendersi dai soggetti istituzionalmente deputati a generare nuova conoscenza scientifica Università in primis - un maggiore interesse verso il tema della valorizzazione della ricerca scientifica e delle modalità di sfruttamento commerciale 1. Gli entusiasmi verso le potenzialità economiche della ricerca sono stati, tuttavia, smorzati dal persistere di una limitata competitività degli stati europei rispetto a quella statunitense, malgrado il prestigio scientifico maturato in talune discipline. Il fatto che i risultati della ricerca europea, comprovati da una copiosa produzione scientifica, non abbiano procurato un miglioramento della competitività ha fatto emergere un paradosso europeo ed ha richiamato l attenzione sui processi di trasferimento tecnologico (Metcalfe, ; Geroski, 2000; Bozeman, 2000). Tradizionalmente, il trasferimento tecnologico è stato concepito come mera acquisizione di beni strumentali. Questa visione che, a prima vista, potrebbe sembrare riduttiva, deriva in realtà dall ipotesi sottostante secondo la quale la scienza è informazione codificata e, in quanto tale, facilmente trasferibile, anche mediante i beni strumentali. Ancora oggi, da una recente indagine condotta su un campione di imprese operanti in Lombardia (Politecnico, 2005), emerge che più del 50% di imprese sviluppa innovazione tramite l acquisizione di nuovi macchinari mentre circa il 40% si affida alla collaborazione con clienti e/o fornitori. In particolare, tale cooperazione è rilevante nei settori tessile e calzaturiero mentre le imprese del settore chimico mostrano una maggiore propensione alla collaborazione con l Università e centri di ricerca. Pur nella varietà dei dati, l indagine evidenzia una difficoltà delle imprese a 1 Il problema sullo sfruttamento, sulla valorizzazione e la commercializzazione della ricerca scientifica pone innanzitutto un problema definitorio.[ ] Il termine commercializzazione sembra fare riferimento ai risultati di ricerca che già esistono e che solo chiedono di essere venduti; [ ] Il termine valorizzazione ha connotati di più difficile definizione, ed è probabilmente più usato in francese che in italiano o in inglese. Fa riferimento al concetto di valore, che è anch esso un termine complesso nella sua accezione economica, al quale vengono attribuiti diversi significati, sia nella teoria che nella pratica manageriale. Di solito, gli sforzi nella valorizzazione sono quelle azioni che esplicitamente mirano ad aumentare il valore e/o la performance di un determinato output. Il termine sfruttamento [ ] si riferisce in generale al concreto uso dei risultati della ricerca e comprende pertanto gli sforzi effettuati per sviluppare nuovi prodotti, processi e servizi, [ ] il termine sfruttamento economico è riferibile a tutti i modi attraverso i quali le università ottengono delle entrate derivanti dalle loro attività di ricerca scientifica. A. PICCALUGA, La valorizzazione della ricerca scientifica. Come cambia la ricerca pubblica e quella privata, FrancoAngeli, Milano, 2001, p

3 sviluppare innovazione tecnologica e ciò essenzialmente per due motivi: i) innanzitutto, per via dei modesti investimenti in R&S che pregiudicano lo sviluppo di opportune capacità valutativa 2 in grado di individuare e monitorare le tecnologie emergenti; ii) in secondo luogo, per la mancanza di una cultura sui diritti di proprietà intellettuale che, a differenza di quanto avviene nelle imprese di altri paesi, limita lo scambio di brevetti e politiche di licensing, sempre più fattori chiave dell innovazione tecnologica. In questa prospettiva, il problema del trasferimento tecnologico si arricchisce di ulteriori dimensioni. Non è, infatti, interpretabile come un processo lineare tra detentore delle conoscenze scientifiche e tecnologiche (c.d. donor) e il destinatario (c.d. recipient), né è pensabile ritenere che l efficacia di tale processo dipenda essenzialmente dalla mancanza di asimmetrie informative. Piuttosto, si tratta di un processo bi-direzionale che implica una relazione tra gli attori e la cui efficacia dipende anche dai contesti e dai linguaggi utilizzati dai soggetti coinvolti. Con riferimento al donor, le problematiche relative al trasferimento di tecnologico sono essenzialmente legate alla individuazione dei potenziali destinatari, alla capacità di comunicare le funzioni svolte dalla tecnologia e alla capacità di appropriarsi del valore della tecnologia trasferita. Con riferimento al recipient, l efficacia del trasferimento tecnologico dipende, in buona misura, dalla qualità del know-how tecnologico posseduto nonché dai processi di apprendimento avviati all interno dell organizzazione che ne determinano, in ultima analisi, le opportunità di accesso alle fonti esterne dell innovazione. Il lavoro esamina la prima tipologia di problematiche con riferimento alle Università italiane. In particolare, il lavoro intende esaminare le principali problematiche che le università incontrano nel mercato delle tecnologie. L ipotesi di fondo è che il trasferimento tecnologico Università-Impresa richieda una visione olistica dei vari canali utilizzati tradizionalmente dall università e non può essere affrontato isolatamente ad uno strumento, così come testimoniato dall attenzione rivolta all attività brevettuale. Pur in questa prospettiva, si ritiene che l università debba svolgere ulteriori sforzi per abbracciare la cultura del mercato, tentando di affinare: i) la capacità di individuazione dei potenziali clienti/utilizzatori; ii) la comprensione del valore della tecnologia; iii) la determinazione del prezzo della tecnologia. 2 L idea che la conoscenza scientifica, per quanto conoscenza codificata e altamente trasferibile, non sia del tutto gratuita ma richieda da parte delle imprese investimenti in ricerca e sviluppo è stata ampiamente esaminata da Cohen e Levinthal. I due Autori suggeriscono, infatti, che gli investimenti in R&S sono strumentali sia per generare innovazione che per utilizzare conoscenze esterne grazie allo sviluppo dell absorptive capacity. Cfr. W. COHEN, D. LEVINTHAL, Absorptive capacity: a new perspective on learning and innovation, Administrative Science Quarterly, n. 35, 1991, pp

4 Il lavoro si articola in quattro paragrafi. Il primo paragrafo si sofferma sugli aspetti distintivi delle varie forme di trasferimento tecnologico tra università ed imprese. Nel secondo paragrafo si esaminano i risultati di tali processi di trasferimento tecnologico. Il terzo paragrafo presta particolare attenzione alle problematiche che l università è chiamata ad affrontare se intende operare nel mercato delle tecnologie, tentando di ricostruire le fasi critiche di un processo di commercializzazione. Infine, a conclusione del lavoro, si considerano le possibili implicazioni per le università italiane. 2. Le relazioni Università-Imprese : forme di trasferimento tecnologico L interesse verso le potenzialità economiche della ricerca scientifica trova origine nella consapevolezza che la scienza rappresenti un input fondamentale per lo sviluppo dell innovazione tecnologica. I differenziali competitivi tra i vari sistemi economici dipendono, in buona misura, dalla capacità innovativa delle imprese, soprattutto di quelle appartenenti alle c.d. transfer science. L accesa competizione, da una parte, e i risultati lusinghieri registrati nella realtà statunitense, dall altra, hanno pertanto alimentato nuove aspettative sul ruolo dell Università, chiamata a svolgere un ruolo imprenditoriale quale attore propulsivo dello sviluppo locale. A dire il vero, l Università da sempre è impegnata nello sviluppo del progresso economico, mediante la formazione di giovani laureati, che rappresentano la principale risorsa per le imprese, nonché mediante la diffusione dei risultati della ricerca tramite la loro pubblicazione. Dunque, un ruolo estremamente significativo che si è arricchito, nell ultimo decennio, di ulteriori attività svolte nell ambito della valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica e del loro sfruttamento commerciale. Le motivazioni alla base di tale orientamento sono numerose e di diversa natura. Sicuramente, il contenimento dei finanziamenti pubblici alla ricerca ha dato impulso a tale direzione, giustificata dalla necessità di reperire ulteriori risorse finanziarie per la ricerca. Si è del parere, altresì, che al di là di tale motivazione, i nuovi ruoli assegnati all Università siano espressione anche della nuova concezione di scienza quale variabile orizzontale del processo innovativo, così come avanzato da alcuni autori secondo i quali i legami tra scienza e tecnologia sarebbero di natura ricorsiva e non lineare (Kline, Rosenberg, 1986). La possibilità di intervenire in tutte le fasi di sviluppo dell innovazione, e non solamente nei primi stadi del processo innovativo, ha, di fatto, ampliato le opportunità dell Università di essere coinvolta in progetto di 3

5 sviluppo strategico del territorio, stringendo così partnership con imprese e attori istituzionali 3. In questa direzione vanno interpretate le iniziative degli atenei di dotarsi di un Liason Office quale struttura adibita alla gestione del trasferimento tecnologico verso il mondo delle imprese, ivi compresa l erogazione di servizi avanzati nel campo della protezione della proprietà intellettuale. Si pensi, inoltre, all attenzione crescente riposta verso la creazione di spin-off accademici 4 e alle forme di accompagnamento previste per supportare lo start-up mediante l ausilio di incubatori tecnologici, di Parchi scientifici. Dunque, numerose modalità di trasferimento tecnologico che, sulla base della natura della conoscenza, danno luogo a forme codificate come ad esempio, la cessione dei brevetti e le politiche di licensing e a forme tacite, come ad esempio, i rapporti di collaborazione con le imprese e la creazione di imprese spinoff 5. In particolare, questi ultimi, oltre a risolvere problemi di asimmetria informativa, costituiscono una fonte di finanziamento per le università che partecipano al loro capitale sociale e, dal punto di vista macro-economico, rafforzano ulteriormente il ruolo socio-economico svolto dall Università (Cesaroni, Gambardella, 2001). Con riferimento alla natura delle relazioni che l Università intrattiene con il mondo delle imprese, esse sono distinguibili in: formali ed informali. Le prime hanno come attore l università quale istituzione e presuppongono nella maggior parte dei casi un 3 Sulla varietà dei ruoli svolti dall Università, Etzkowitz e Leydesdorff hanno introdotto il concetto di tripla elica per indicare le sinergie che si creano tra l Università, le imprese e la Pubblica Amministrazione nell ambito delle dinamiche di produzione (exploration) e di sfruttamento commerciale (exploitation) delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Cfr. H.ETZKOWITZ, L. LEYDESDORFF, The dynamics of innovation: from National Systems and Mode 2 to a Triple Helix of university-industry-government relations, Research Policy, n. 29, 2000, pp ; H.A. ETZKOWITZ, C. WEBSTER, B. GEBHARDT, R.C. TERRA, The future of the university and the university of the future: evolution of ivory tower to entrepreneurial paradigm, Research Policy, n. 29, Emblematiche sono, a riguardo, le attività di sensibilizzazione verso la creazione di spin-off, avviate già da qualche anno da numerose università italiane. Ad esempio, il Politecnico di Torino ha costituito, con la partecipazione di altri attori, un consorzio denominato COREP Consorzio per la Ricerca e l Educazione Permanente finalizzato alla creazione di nuove imprese. Al pari, il Politecnico di Milano ha promosso la costituzione del consorzio Politecnico Innovazione per adottare un approccio integrato al trasferimento tecnologico. L Università di Bologna ha attuato, dal 1989, una iniziativa denominata UETP Alma Mater per favorire la nascita di nuove imprese e promuovere in senso ampio la diffusione dei risultati scientifici prodotti dall Ateneo. La Scuola Superiore S.Anna di Pisa si è fatta promotrice di numerose iniziative per lo sviluppo di una serie di supporti integrati alle nuove imprese innovative. Il successo di tali iniziative trova un valido riscontro nel tasso di natalità di imprese spin-off, ragguardevole se contestualizzato nel panorama italiano. Anche l Università di Catania ha recentemente creato, con la partecipazione di Sviluppo Italia, il consorzio MedSpin nell ambito del quale è stato avviato l incubatore per gli spin-off accademici SpinLab. 5 Spesso, la coesistenza della figura di ricercatore con quella di imprenditore ammette, infatti, la valorizzazione della ricerca scientifica laddove problemi di asimmetria informativa ne ostacolerebbero il trasferimento.. Cfr. F. CESARONI, A. GAMBARDELLA,op.cit. 4

6 brevetto. Le relazioni informali sono riconducibili alle attività svolte dai docenti, quali ad esempio la consulenza, la pubblicazione congiunta con ricercatori industriali ed, in alcuni casi, l attribuzione della qualifica di inventore in brevetti la cui titolarità è, invece, dell impresa. Uno studio condotto recentemente da Link, Siegal e Bozeman (2006) evidenzia che i professori universitari mostrano una maggiore propensione ad intrattenere rapporti consulenziali con le imprese rispetto ai ricercatori non strutturati. Ciò è verosimile se si pensi che: 1) i professori, a differenza dei giovani ricercatori, non sono più interessati alle pubblicazioni ai fini della carriera e, pertanto, manifestano un maggiore interesse verso le attività consulenziali; 2) le imprese, dal canto loro, sono interessate al coinvolgimento di professori universitari (i c.d. star scientists) - sotto forma di consulenti, di amministratori indipendenti, di componenti del comitato scientifico, ecc. - sia per assicurasi un accesso alla ricerca scientifica di frontiera, sia per segnalare ai potenziali investitori e/o clienti la qualità della propria tecnologia. La gestione di tali relazioni non è del tutto semplice ma richiede forme di incentivi che limitino eventuali comportamenti opportunistici legati, essenzialmente, al maggior interesse dei docenti verso la proprietà intellettuale. Se prima, infatti, gli accademici si accontentavano di apparire tra gli inventori del brevetto la cui titolarità spettava, invece, all impresa, adesso, il mutato contesto normativo, nonché la maggiore cultura brevettuale li hanno resi maggiormente sensibili alla titolarità della proprietà intellettuale, creando così coopetizione (Baglieri, 2006). Gli aspetti richiamati segnalano la complessità del trasferimento tecnologico tra università e mondo delle imprese ed evidenziano l importanza di padroneggiare le dinamiche sottostanti ai diversi canali che incidono, in ultima analisi, sull efficacia e sull efficienza dei processi di trasferimento Per una rappresentazione della varietà delle forme di trasferimento si veda la figura n. 1. Figura 1: Il trasferimento tecnologico Università-Imprese Tacita Conoscenza Codificata Relazioni Formali Contratti di ricerca Spin-off Mobilità dei ricercatori Cessione brevetti Licenze Informali Consulenza Pubblicazioni Network Community Pubblicazioni con Ricercatori industriali Fonte: ns. elaborazione 5

7 A fronte dei vantaggi legati ai rapporti Università - Imprese, vanni segnalati gli interrogativi suscitati dal ruolo imprenditoriale dell Università. In particolare, molti hanno manifestato il timore che questa spiccata propensione verso lo sfruttamento commerciale della ricerca potesse incidere tanto sull orientamento della ricerca privilegiando quella applicata a discapito della ricerca di base -, quanto sulla diffusione dei risultati scientifici, atteso che la brevettabilità di un risultato scientifico impone la novità e dunque, limita, di fatto, la pubblicazione della ricerca. Recenti indagini hanno, tuttavia, fugato tali preoccupazioni dimostrando che i professori che detengono un maggior numero di brevetti solo quelli che pubblicano di più; il finanziamento della ricerca da parte delle imprese, confrontato con altre fonti di finanziamento, non limita la libertà accademica dei ricercatori Il trasferimento tecnologico Università - Imprese : uno sguardo ai risultati brevettuali Come già accennato, il rinnovato interesse verso il trasferimento tecnologico delle università, oltre che per la riduzione dei finanziamenti pubblici alla ricerca, scaturisce da una nuova sensibilità verso l importanza del brevetto quale strumento di protezione della ricerca scientifica e condizione per avviare accordi, licenze, creazione di spinoff. Oltre a tali ruoli, il brevetto svolge anche una funzione segnaletica della qualità della ricerca scientifica condotta nell Ateneo e ne promuove, pertanto, l immagine di centro di eccellenza. Considerata l importanza di tali funzioni, le università italiane hanno avviato, negli ultimi anni, un processo di sensibilizzazione verso le tematiche brevettali che inizia a produrre i primi risultati. Dal rapporto NetVal 2004, si rileva un trend positivo delle domande di brevetto depositate presso gli organi competenti, mentre il numero dei brevetti assegnati risultano essere, ad oggi, un numero esiguo rispetto a quello di altri Paesi (tab.1). Sul numero dei brevetti universitari italiani, è stato giustamente messo in evidenza la necessità di estendere la ricognizione anche ai brevetti che, pur essendo di titolarità delle imprese, contengono tra gli inventori un docente universitario (Balconi, Breschi, Lissoni, 2003). 6 Un recente studio ha, infatti, analizzato l impatto della fonte di finanziamento (industria, governo, o università stessa) sull attività di ricerca dei dottorandi in discipline ingegneristiche nelle principali 100 research universities negli Stati Uniti, con il risultato che la libertà accademica del dottorando non è influenzata dalla fonte di finanziamento. Semmai, le ricerche non finanziate esternamente mostrano un maggior grado di debolezza in termini di produttività scientifica. Cfr. Behrens T.R., D.O.Gray, 2001, Unintended consequences of cooperative research: impact of industry sponsorship on climate for academic freedom and other graduate student income,research Policy, 30,

8 Tabella n. 1: Attività brevettuale delle università italiane ( ) Totale Disclosure Domande di brevetto Brevetti assegnati Fonte: ns. elaborazione su dati NetVal (2004) Con riferimento alle domande di brevetto EPO depositate nel periodo , i brevetti con paternità un docente universitario sono stati pari a 1.426, che costituiscono il 3,7% del totale dei brevetti dei residenti italiani (tabella 2). Inoltre, ammontano a n.128 i brevetti appartenenti a docenti universitari che hanno fatto domanda individualmente, così come previsto dalla normativa vigente (si veda l art. 65 del Codice dei Diritti di Proprietà Industriale del ). Tabella n. 2: Domande di brevetto EPO con inventori docenti universitari ( ) Fonte: Balconi, Breschi, Lissoni, 2003 Tali dati indicano, pertanto, come la cultura brevettuale del sistema universitario italiano non sia misurabile solamente in termini di brevetti detenuti dalle università ma deve tener conto anche del contributo dei singoli docenti che figurano in qualità di inventori. In questa prospettiva, i dati fanno emergere il reticolo di relazioni collaborative, spesso di natura informale, mediante il quale la conoscenza tecnologica, oltre a quella scientifica, fluisce nel mondo delle imprese. Ciò è particolarmente vero nel caso delle biotecnologie e delle life sciences, della chimica delle tecnologie microelettroniche e dell ICT. 7

9 Il trend positivo delle domande di brevetto presentate dalle Università (tab.1) si deve a molteplici fattori. In primo luogo, l incremento dei brevetti universitari si fa dipendere dalla diffusione dei regolamenti in materia di cui la maggior parte degli atenei italiani si è dotata. Gli effetti dell adozione dei regolamenti sull attività brevettuale delle università trovano riscontro nei dati emersi da una recente un indagine svolta sui brevetti universitari italiani, nel periodo (Baldini et alii, 2006). I risultati evidenziano la maggiore propensione delle università a brevettare, soprattutto con riferimento agli ultimi dieci anni, in seguito alla potestà regolamentativa attribuita alle Università dal D.M Tale interpretazione adotta, pertanto, la medesima prospettiva analitica utilizzata per spiegare l attività brevettuale delle università statunitensi. Nel periodo , i brevetti delle università statunitensi sono aumentati di ben 15 volte, a fronte di una spesa nella ricerca triplicata e ciò, secondo alcuni autori, è dovuto essenzialmente alla mutata normativa che, a partire degli anni 80 con l introduzione del Bayh-Dole Act, ha concesso alle università la possibilità di gestire i diritti della proprietà intellettuale e di incassare i proventi derivanti dalla concessione di licenze 7. Questo provvedimento legislativo si inseriva, peraltro, in un più ampio rafforzamento dei diritti di proprietà intellettuale in corso negli Stati Uniti, nell ambito del quale sono state aumentate le possibilità di brevettare da parte delle istituzioni di ricerca nel campo delle biotecnologie e del software, in precedenza protetto dal copyright (Kortum e Lerner 1999; Jaffe, 2000). L incremento delle disclosures e dei brevetti si deve, altresì, all attività professionale svolta dai responsabili dell apposite strutture di cui le università italiane si sono, dal 2000, dotate (Ufficio Trasferimento Tecnologico, Liason Office, ecc,), attività che è principalmente finalizzata allo sfruttamento economico della ricerca e dunque alla brevettazione. Ciò è coerente con quanto riscontrato da Thursby a Thursby (2000) nel contesto statunitense. Lo studio ha, infatti, dimostrato come l intensificarsi della attività brevettuale delle università americane non vada interpretato come un riposizionamento della ricerca scientifica verso problematiche più applicative quanto, piuttosto, il frutto di una proliferazione di strutture organizzative ad essa dedicate nonché il risultato di una maggiore propensione a brevettare da parte delle principali università per ottenere risorse finanziarie dalle licenze. Sul tema dei ricavi conseguiti dalle licenze, i dati mostrano risultati contradditori. L incremento vertiginoso del numero dei brevetti, almeno nell esperienza statunitense, non ha infatti registrato un altrettanto aumento dei ricavi. I risultati di un indagine condotta sull attività di licencing di 62 università americane, nel periodo , mostrano come solo il 40% circa delle invenzioni disclosed sia stato 7 Sull argomento, si vedano i contributi di R. HENDERSON, A. JAFFE, M.TRAJTENBERG, Universities as a Source of Commercial Technology: A Detailed Analysis of University Patenting , Review of Economics and Statistics, vol. 80, n.1,1998; A. JAFFE, The U.S. Patent System in Transition: Policy Innovation and the Innovation Process, Research Policy, n. 29, 2000, pp

10 oggetto di licenza e che la maggior parte delle entrate (circa l 80%) derivi da 5 invenzioni. Tale situazione si riscontra anche nel contesto europeo. Da uno studio condotto dalla Commissione Europea (2005) sui brevetti rilasciati dall European Patent Office in sei paesi (Francia, Germania, Italia, Olanda e Regno Unito) emerge come più del 40% dei brevetti sia inutilizzato e non produca ricavi (tab. 3). Tab. 3: Lo sfruttamento economico dei brevetti EPO in sei paesi europei Fonte: European Commission (2005), Patval Survey. In definitiva, i brevetti blockbuster sono estremamente pochi. I casi dell Università della Florida, che con il brevetto sul Taxol ha conseguito, nel periodo 97-98, 45 milioni di dollari; di Stanford, che ha ottenuto, nello stesso periodo, 38.5 milioni di dollari grazie al brevetto sul DNA ricombinante; oppure, dell Università della California, che ha realizzato 30 milioni di dollari dallo sfruttamento del brevetto sul vaccino contro l epatite B, sono eccezioni (Nature Biotech, 2001). Nella quasi totalità dei casi, le università mostrano una chiara difficoltà a sfruttare economicamente i brevetti detenuti, difficoltà che, spesso, si traduce in una perdita, anziché in un reddito positivo, considerato che gli elevati costi da sostenere per l ottenimento e il mantenimento del portafoglio brevetti non trovano adeguata copertura nei ricavi conseguiti (Nelson, 2002). 4. Lo sfruttamento economico dei brevetti nel mercato delle tecnologie I dati rilevati sull effettivo sfruttamento economico dei brevetti mostrano una generale difficoltà delle università, tranne alcune eccezioni, ad avviare processi di trasferimento tecnologico che rispondano a criteri di redditività. Nonostante gli sforzi effettuati negli ultimi anni in tale direzione strutture dedicate, regolamenti, 9

11 formazione di manager del trasferimento tecnologico -, ancora pochi sono i brevetti universitari effettivamente utilizzati dei quali, peraltro, l Università, non sempre, riesce ad appropriarsi dell equo valore creato. Sull esiguità di tale utilizzo basta citare il caso italiano: nel 2004, su un portafoglio complessivo di 867 brevetti, gli accordi di licenza conclusi sono appena 57, vale a dire il 6.5%, con un ammontare complessivo di entrate pari a 825 milioni di euro, variamente distribuito (Rapporto NetVal, 2004). Dunque, un attività di trasferimento tecnologico che non ha portato soldi alla ricerca italiana, nonostante le aspettative e gli investimenti effettuati. Perché le università faticano a commercializzare i risultati della ricerca? Quali sono i principali ostacoli che incontrano nel trasferimento tecnologico? Per provare a dare qualche risposta a tali interrogativi, è utile individuare le fasi critiche che le Università sono chiamate a gestire se intendono operare nel mercato delle tecnologie (Arora et alii, 2001). Com è noto, lo sviluppo del mercato delle tecnologie si deve, essenzialmente, all emergere di nuove imprese in settori science-based (chimica, biofarmaceutico, microelettronica) che commercializzano i loro prodotti spesso, brevetti - mediante accordi di licenza e di collaborazione con grandi imprese dei mercati a valle. Le dinamiche di funzionamento del mercato delle tecnologie sono, pertanto, strettamente legate all esistenza dei brevetti e di un efficace di protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Tali condizioni, se sono vitali per le piccole imprese science-based che, per mancanza di complementary assets e di risorse finanziarie, sono costrette a specializzarsi nelle fasi up-stream del processo di sviluppo dell innovazione, lo sono un po meno per le imprese che operano nel mercato dei prodotti, che mostrano minore attenzione alle opportunità del mercato delle tecnologie per via sia degli intenti strategici perseguiti con taluni brevetti (i c.d. blocking patents e sleeping patents) sia per gli effetti sugli assetti competitivi. Tali considerazioni fanno emergere, pertanto, un primo aspetto. Le piccole imprese science-based operano necessariamente in questo mercato. Nascono, generalmente, intorno ad un brevetto e cedono, successivamente, nella maggior parte dei casi, i diritti a terze parti, affrontando problemi legati all asimmetria informativa e alla mancanza di reputazione nei mercati finanziari. Le grandi imprese sono meno interessate a politiche di licensing-out mentre sono, in alcuni casi, piuttosto sensibili alle politiche di licensing-in che assicurano l accesso a conoscenze scientifiche e tecnologiche complementari e necessarie per lo sviluppo dell innovazione. Nella prospettiva dell Università, tali considerazioni forniscono una prima indicazione sulla dimensione del mercato potenziale, costituito da imprese particolarmente attive nella R&S e da potenziali imprenditori che intendono avviare iniziative imprenditoriali in settori ad alto contenuto tecnologico, acquisendo i diritti di un brevetto universitario. In tale direzione, il sistema economico italiano non presenta particolari caratteri di attrattività, considerato che: i) l incidenza percentuale della spesa per R&S intramuros sul Pil risulta pari all 1,07%, nel 2002, rispetto al livello medio per l Unione 10

12 europea apri a 1,97%; ii) l indice di specializzazione tecnologica è tra i più bassi d Europa (Malerba, Montobbio, 2002). Sul versante dell imprenditorialità science-based, si è registrata negli ultimi anni una dinamicità in termini di tasso di natalità di nuove imprese. Tuttavia, non è questo l indicatore da considerare per monitorare lo stato di salute di tali imprese quanto piuttosto quelli legati alle fase di primo sviluppo. I ricavi delle università sono, infatti, legati maggiormente al pagamento di milestone, di royalties e, in alcuni casi, di dividendi. Ricavi, dunque, il cui conseguimento presuppone il superamento di fasi di vulnerabilità da parte delle start-up, anche grazie al fattivo contributo dell università sia sul versante del capitale umano che in quello delle risorse finanziarie (ad esempio, costituendo un fondo chiuso per finanziare i progetti degli spin-off accademici, attraendo investitori istituzionali, ecc.). Oltre a considerazioni sull analisi quantitativa del mercato potenziale, è importante interrogarsi anche su aspetti di natura qualitativa, in particolare sulla propensione delle imprese a concludere accordi di licenza con l Università. Tale propensione è fortemente influenzata dalla valutazione economica del progetto. In tale direzione, è plausibile ipotizzare che le imprese mostrano una certa reticenza a concludere accordi di licenza l Università principalmente per due motivi: qualità scadente dei brevetti universitari. Questa ipotesi è coerente con il fenomeno del quantity up, quality down che sintetizza il maggior ricorso a brevettare le disclosure presentate dai ricercatori, effettuando valutazioni di due diligence più blande. Henderson, Jaffe e Trajtenberg (1998) infatti, analizzando la crescita dei brevetti universitari tra il 1965 e il 1992, hanno interpretato il calo delle citazioni in termini di calo della qualità. difficoltà a comprendere le potenzialità economiche di tecnologie emergenti. Se è vero che la domanda di brevetto della macchina per la Risonanza Magnetica è stata respinta negli USA perché non presentava nessun potenziale applicativo e industriale, così come Edison, inventore del fonografo, ha dichiarato che la radio non avrebbe avuto alcun futuro commerciale, è altrettanto vero che padroneggiare gli strumenti di due diligence per appurare il valore dei progetti di innovazione non è del tutto semplice. Le tecnologie emergenti, infatti, mostrano un elevato grado di rischio (tecnico, strategico e di mercato) che incide sulla capacità di prefigurare le risposte del mercato e della concorrenza. Fattori quali: rapporto costo/prestazioni, compatibilità con standard, nuovi contesti normativi, accettabilità sociale esistenti, incidono sulla diffusione di nuove tecnologie ma, spesso, la loro valutazione non è del tutto agevole. Va, comunque, segnalato che il carattere general purpose di talune tecnologie emergenti rappresenta un elemento di flessibilità e di frazionamento del rischio, che incrementa le probabilità di successo dell innovazione. Ad ogni modo, in tutti questi casi in cui è difficile stimare il mercato a volte, esso nemmeno esiste, è bene che l Università avvii un percorso di apprendimento, da svolgere direttamente con i potenziali clienti/utilizzatori, allo scopo di individuare le relazioni tra bisogno e domanda. 11

13 Infine, posto che l Università abbia avviato un contatto con un potenziale utilizzatore, occorre soffermarsi sul processo di valorizzazione e, conseguentemente, sulla capacità dell Università di appropriarsi del valore della ricerca mediante la definizione di opportune condizioni contrattuale. Come già accennato, le entrate relative agli accordi licenza non sono elevate e ciò per due principali ragioni: il numero dei brevetti blockbuster ceduti in licenza è estremamente esiguo. Secondo i dati del rapporto di AUTM 2005 (Association of University Technology Managers), soltanto lo 0,6% di circa accordi di licenza genera royalties superiori ad un milione di dollari; gli accordi di licenza early stage presentano una maggiore complessità contrattuale che induce ad ipotizzare che le Università si approprino parzialmente del valore ceduto, anche a causa della loro inesperienza negoziale. A differenza degli accordi di licenze avente come oggetto tecnologie già sviluppate, gli accordi early-stage avviate dalle università mostrano un maggior grado di complessità, che si riflette sulla varietà delle condizioni contrattuale. Mentre, infatti, nelle prime il prezzo si declina in termini di fees ingresso e di royalties, nelle seconde, invece, il prezzo può essere espresso di termini di somme upfront, di milestones, di royalties, di costi di mantenimento del brevetto, ecc A corredo di tali opzioni, va ricordato inoltre che, spesso, lo sviluppo dell innovazione richiede il coinvolgimento dell inventore e dunque del ricercatore universitario. Gli accordi di licenza possono prevedere, in questi casi, la cooperazione scientifica (Cooperative Research and Development Agreement), lo scambio di materiali (Material Transfer Agreement), e così via. La varietà delle condizioni negoziali è espressione del rischio che comportamenti di moral hazard, di adverse selection e di opportunismo possano inficiare l efficacia di tali forme collaborative (Thursby, Thursby and Dechenaux, 2005). In particolare, il rischio di adverse selection, che in questo caso è riconducibile al mancato sviluppo dell invenzione da parte del licenziatario, viene generalmente fronteggiato dalle università mediante, ad esempio, l inserimento di condizioni che prevedono il pagamento di una cospicua somma iniziale. I risultati di un indagine empirica svolta su un campione di accordi di licenza, conclusi nel periodo nel campo delle biotecnologie, sono coerenti con tale orientamento. In particolare, i dati rivelano che: i) le entrate delle Università relative alle licenze early-stage nel settore biotech sono, nel tempo, aumentate; ii) il maggior valore è stato ottenuto sotto forma di up-front fee e di contratti di collaborazione scientifica, mentre meno attenzione è stata riservata ai sistemi di incentivi, come ad esempio il pagamento di milestones al conseguimento di determinati risultati. Tali risultati si prestano ad alcune considerazioni. Innanzitutto, l interesse verso somme up-front piuttosto che verso il pagamento di milestones evidenzia la preoccupazione dell Università che il licenziatario acquisisca i diritti del brevetti per finalità competitive e non commerciali, dunque per conservare il brevetto e non per 12

14 sfruttarlo. Può anche segnalare la preoccupazione del licenziante sugli effettivi esiti commerciali dell invenzione ceduta. A conferma di tale ipotesi, si segnala il fatto che, nella maggioranza dei casi, le università trascurano l inserimento di talune clausole, quali ad esempio il sostenimento dei costi di mantenimento dei brevetti, nonché clausole di sub-licenze per riservarsi diritti sui risultati futuri (foreground knowledge), e dunque mostrano un interesse verso il breve periodo, piuttosto che verso gli sviluppi futuri della tecnologia, intaccando, nel lungo periodo, le condizioni di economicità dei processi di trasferimento tecnologico. Le università sono consapevoli dei limiti su questi aspetti, e tentano di superarli facendo leva sull effetto immagine. In questa direzione, va inquadrata la corsa alla brevettazione da parte di molti atenei, solo al fine di attrarre potenziali utilizzatori ed investitori istituzionali e di rafforzare il loro potere contrattuale in sede negoziale. Se, comunque, il prestigio accademico dell inventore del brevetto, misurato dal numero di pubblicazioni effettuate, incide sulla capacità di attrarre potenziali utilizzatori, ciò è ininfluente ai fini della determinazione delle condizioni di pagamento (Elfenbein, 2006). In altri termini, la reputazione scientifica serve a creare visibilità nel business netwok ma non paga, da sola, in sede negoziale, se non accompagnata dalla qualità della tecnologia e dunque dalla qualità della ricerca scientifica. 5. Quali implicazioni per l Università? Il quadro delineato sulle attività di trasferimento tecnologico avviate dalle università pone in risalto il ruolo significativo che, da più parti, viene attribuito alla gestione della proprietà intellettuale e, in particolare modo, ai brevetti. All aumento del numero di brevetti è corrisposto, tuttavia, un significativo declino nella qualità dei brevetti stessi, con conseguenti risvolti sul piano reddituale. Solo pochissimi brevetti generano flussi di reddito significativi per le università; e solo poche università riescono a coprire i costi di gestione dei propri uffici brevetti. Tale condizione impone, pertanto, alle Università avviare una profonda riflessione sul perché e sul come trasferire i risultati della ricerca scientifica. Con riferimento al primo aspetto, è opportuno ripensare alle attività di trasferimento tecnologico come fonte di finanziamento delle imprese. Semmai, l attenzione va posta sul supporto all imprenditorialità science-based e alle azioni poste in essere per creare i luoghi dell innovazione, vale a dire cluster territoriali caratterizzati dalla compresenza dei principali attori del sistema innovativo, vale a dire capitale umano altamente qualificato, imprese impegnate nella R&S, investitori istituzionali. L università può, pertanto, mostrare particolare sensibilità al trasferimento della tecnologica se questo fertilizza il territorio e promuove lo sviluppo locale. In questa direzione, l attenzione verso la brevettazione rappresenta una tappa intermedia per favorire la nascita di nuove imprese. Ma la fertilizzazione di un territorio passa anche, e soprattutto, attraverso le relazioni informali dei singoli ricercatori e, in generale, il reticolo di relazioni che i ricercatori sviluppano nei propri ambiti di riferimento. 13

15 L atteggiamento critico verso la ricerca svolta su committenza, nonché verso l attività consulenziale va, pertanto, rivisto e ridimensionato. La ricerca necessita del contatto con il mondo operativo che, a sua volta, ne indirizza le euristiche. È naturale, pertanto, ipotizzare che ogni ricercatore sia inserito nel network degli inventori, nell ambito del quale può svolgere ruoli diversi (il broker, il gatekeeper, ecc.). Tuttavia, spesso tali relazioni rimangono a livello individuale e non vengono istituzionalizzate a livello di ateneo. I dati desunti dal network degli inventori italiani in tema di biotecnologie, sulla base delle domande di brevetti nel periodo , mostrano un elevata concentrazione geografica in alcuni cluster provinciali (Milano, Roma e Siena), con pochissime relazioni-ponte tra i vari network e con la presenza di numerosi ricercatori accademici, seppur con posizioni marginali (Cassi, 2004). Mappare i network sociali dei docenti inventori per istituzionalizzare talune relazioni potrebbe significare un ampliamento delle opportunità di mercato delle domande di brevetto presentate, e dunque una più rapida individuazione, su scala internazionale, dei potenziali clienti Non solo; potrebbe tornare utile nel momento in cui è necessario capire le possibili funzioni svolte dalle tecnologie emergenti e dunque valutare, in tempi relativamente brevi, le potenzialità dei molteplici contesti applicativi. Per ottenere tali vantaggi, l università deve, tuttavia, cogliere appieno solamente gli aspetti positivi derivanti da tali processi di networking. In tale convinzione, deve pertanto monitorare costantemente le relazioni per evitare che si verifichino situazioni di vischiosità dovute essenzialmente ad un eccessiva embeddness. In definitiva, l università che intende operare efficacemente nel campo del trasferimento tecnologico è tenuta a rafforzare ulteriormente la sua vocazione verso la ricerca, tentando di innalzare la qualità della stessa, nonché a gestire relazioni che mettono in comunicazione scienza e mercato. Più che un problema di mero trasferimento si tratta, in fondo, di un problema di sviluppo di un linguaggio comune che consenta agli attori coinvolti di cogliere le potenzialità economiche delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Ed in questa prospettiva, i risultati sin adesso conseguiti indicano che il brevetto, da solo, non basta. re indicazioni utili per stimare il livello di rischio del progetto Il progetto deve prevedere un percorso di apprendimento, da svolgere direttamente con alcuni potenziali clienti/utilizzatori (approccio trial & error), che porti all identificazione delle relazioni tra BISOGNO e DOMANDA 14

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