Andrea Vecchio. Acciughe. racconti minimi EUNOEDIZIONI

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1 TÒPOI 2

2 Andrea Vecchio Acciughe racconti minimi EUNOEDIZIONI

3 Tòpoi collana a cura di Francesco Pontorno Copyright Andrea Vecchio Acciughe copyright 2012 Euno Edizioni Leonforte (En) / Piazza Margherita 6 Tel. e fax info@eunoedizioni.it In copertina: Padre e figlio (Archivio A. Vecchio) Copertina di Emilio Barbera Finito di stampare nell aprile 2011 da Novagraf - Assoro (En)

4 Al grillo parlante degli ultimi 45 anni della mia vita: mia moglie. Tutta la mia gratitudine per avere sempre e abilmente scansato il martello.

5 Acciughe. Un titolo accattivante, di chi dichiara subito di non aspirare alla narrazione di grandi eventi e di grandi personaggi, bensì di avvenimenti all apparenza piccoli, capitati a uomini ritenuti comunemente di poco rilievo, di quelli che a milioni vivono la loro vita sudandosela dal principio alla fine, contenti di stare al mondo giorno dopo giorno. Racconti minimi, di fatti minuti legati alla quotidianità, privi dell alone di grandezza. Una quotidianità d altri tempi, di tempi che sembrano lontanissimi, legati a usi e tradizioni quasi del tutto scomparsi. Un mondo destinato a perdersi nella memoria collettiva, un mondo che non si ritrova nei libri di storia ma nei racconti di quei pochi che ne hanno vivo il ricordo e che talvolta, per grazia e dono, si danno la pena di raccontare. Come fa Andrea Vecchio. Racconta la sua infanzia e la sua giovinezza, racconta e descrive il suo paese abbarbicato alle pendici dell Etna, sofferma la sua attenzione sulle figure che hanno popolato la sua fanciullezza e lo hanno formato e temprato alle prove della vita. Un 75

6 mondo povero, dove tutto, dal cibo all acqua ai vestiti, era una conquista quotidiana, che comportava uno sforzo fisico e mentale continuo e pesante. Molto pesante. Dalle pagine di Andrea Vecchio emerge un umanità severa, disposta al sacrificio, con valori ben radicati, capaci di dare senso e pienezza a un esistenza fatta di stenti e rinunce. La vita d un piccolo paese prima e dopo la guerra, con personaggi e storie minime. Finito di leggere questo libro, si ha come l impressione di avere sfogliato un album fotografico di famiglia, le foto istantanee con lo sfondo d un paesaggio o d un interno, dove i personaggi non sono in posa o abbelliti dal trucco o dai costumi di scena, ma colti nella verità d un gesto, d una smorfia, d un tic. La verità d una condizione sociale ed esistenziale dichiarata senza infingimenti o coloriture accattivanti. La vita, semplicemente. Domenico Seminerio 76

7 Don Vinnirannu u attu. Con questa ngiuria in paese veniva indicato il signor Venerando R. Forse perché camminava solitario, acquattato, rasente ai muri, riservato e silenzioso come un gatto. Ma guai a chiamarlo con quel nome, andava su tutte le furie, lui buono e mite, diventava un gatto pronto ad attaccare. Era un omone dritto e rigoroso come un militare, rigido nei movimenti, austero. Se poi lo conoscevi, se entravi in confidenza, lo scoprivi dolcissimo, arguto e abbastanza colto per l epoca. Era un fabbro, un fabbro che lavorava con la forgia, battendo con il martello il ferro caldo sull incudine. Aveva quattro figli, tre maschi e una femmina. Tutti andavano a scuola. Quattro figli, e tutti e quattro studiavano. Per la casa giravano molti libri. Sentiva parlare di tanti argomenti, s interessava ed era diventato una persona colta. Ero bambino, tutte queste cose non le conoscevo; un bambino che andava in giro per il paese, e curioso verso tutto quello che succedeva intorno a sé. 7

8 E il paese era ricco di artigiani, sarti, stagnini, falegnami, ebanisti, fabbri. Ce n erano un infinità. Attraversarlo, il paese, ogni volta che mia madre mi mandava per una commissione, diventava interminabile avventura: mi fermavo a curiosare davanti a ogni bottega, osservavo tutti i movimenti che facevano, seguivo con attenzione tutte le lavorazioni. Alcuni m invitavano a entrare, mi chiedevano chi fossi e quando sentivano il nome di mio padre, un muratore, cliente di molti di loro, mi accoglievano con simpatia. Ma al ritorno erano rimproveri e grida. Troppo tempo avevo impiegato. «Chi ci ammucchi?» diceva mia madre, «perché perdi tempo invece di studiare? invece di fare i compiti per la scuola?». Un pomeriggio d estate, ero uscito per portare alla sarta, che stava cucendo un vestito per mia madre, dei bottoni che aveva recuperato da un vecchio abito. Tutto si recuperava, si riciclava: i vestiti vecchi che non sopportavano altri rattoppi venivano scuciti con attenzione, le parti più integre potevano servire per un piccolo paio di pantaloni per me o per mio fratello. Bottoni e chiusure lampo ancora efficienti potevano servire per altre occasioni. Gli stracci rimanenti venivano utilizzati per spolverare i mobili. Tornando dalla sarta, mi sono fermato davanti alla bottega di un fabbro. L unica fonte di luce era la porta aperta sulla strada. Al suo interno un fuoco scoppiettante aveva attirato la mia attenzione. Era il fuoco della forgia che un uomo possente stava ravvivando con movimenti svelti e sicuri; quasi una 8

9 danza con gambe e braccia che andavano avanti e indietro tra la forgia e la vicina incudine. Seguivo i mutamenti di colore che la fiamma assumeva, dal rosso fuoco della parte esterna, all azzurro di quella intermedia, fino al blu della parte centrale, del suo cuore. Là il fabbro aveva posizionato il ferro che doveva lavorare, e anche il ferro, sotto l occhio vigile del fabbro, mutava di colore man mano che si riscaldava. Dal colore originario, ruggine, a grigio scuro, grigio tendente al rosso e infine incandescente. A quel punto l uomo afferrava con decisione le tenaglie, toglieva il ferro dal fuoco, lo poggiava sull incudine e nell altra mano il martello, e giù colpi sicuri e cadenzati. Colpiva seguendo un ritmo: due colpi sul ferro e uno sull incudine. Era quasi una musica l alternarsi del rumore sordo sul ferro caldo e il suono metallico, quasi argentino, del martello che colpiva l incudine. Era trascorsa un ora da quando mi ero fermato a guardare. Il tempo che il fabbro da un pezzo di ferro informe aveva tirato fuori una coppia di cerniere per un cancello. Buonasera, da quanto tempo sei qua a guardare? Da quando ha cominciato a ravvivare il fuoco. Bravo, non mi ero accorto di te. Ti piace questo lavoro? Vuoi venire a lavorare con me? Sono Venerando R. e faccio il fabbro. Non posso, devo andare a scuola altrimenti mio padre mi rimprovera. 9

10 Chi è tuo padre? Gaetano L., il muratore. Lo conosco, è amico mio, una persona per bene. Nel dire questo si avvicina e mi tende la mano destra per stringere la mia. Io mi faccio avanti, entro nella bottega, porgo la mano, stringo la sua pesante e callosa, unta e sporca di carbone. Ritraggo la mano e la guardo: era unta come la sua. Che fai, arrossisci? Sporco di lavoro puoi entrare in qualunque posto. 10