IL SACERDOTE COME PASTORE E GUIDA DELLA PARROCCHIA Archimandrita Dionisio Papavassiliou

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1 IL SACERDOTE COME PASTORE E GUIDA DELLA PARROCCHIA Archimandrita Dionisio Papavassiliou Essere sacerdote e pastore in una parrocchia ortodossa in Italia oggi è totalmente diverso che dall esercitare il ministero nei nostri paesi d origine che tradizionalmente sono di maggioranza ortodossa. Ciò capita proprio perché le esigenze e le dinamiche delle nostre parrocchie hanno connotazioni particolari. Mi piacerebbe sottolineare principalmente la particolarità delle nostre Parrocchie, che diventano luoghi di incontro dei Cristiani, i quali non poche volte provengono da Paesi diversi e di conseguenza portano con loro diversi usi, costumi religiosi e nazionali. Così il Sacerdote tante volte diventa il mediatore tra Cristiani, i quali probabilmente hanno come unica cosa in comune la loro fede ortodossa, mentre la loro prassi è completamente diversa. E non solo la prassi, ma anche la maniera di celebrare la Divina Liturgia, così come spesso il decoro del Tempio, possono unire o separare i fedeli. Qui subentra la capacità del Sacerdote di poter rimediare a queste diversità esteriori, concentrando tutto nell evangelizzazione del popolo di Dio, ruolo principale della Parrocchia. Non è, infatti per me un vanto, predicare il Vangelo, necessità mi spinge, guai a me se non predico il Vangelo! Se io faccio di mia iniziativa, ne ho ricompensa, ma non facendolo di mia iniziativa sono depositario di un mandato. Quale dunque è il mio merito? Quello di annunciare il Vangelo gratuitamente, senza fare uso del diritto conferitomi dal Vangelo. Libero com ero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnare il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; soggetto alla legge, pur non essendo io sotto di essa, con i soggetti alla legge, per guadagnare quelli, che vi sono sottomessi; senza legge, pur non essendo io senza legge di Dio, ma nella legge di Cristo, con quelli senza legge, per guadagnare i senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare in ogni modo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventare partecipe con loro. (I Cor. 9, 16-23) Queste parole di San Paolo definiscono il ruolo principale della Diaconia Pastorale della Chiesa, che non è altro, che l evangelizzazione dell Uomo e del mondo. Ovviamente il popolo, che si incontra in Parrocchia, è già battezzato nel nome della Santissima Trinità. Però tanto la nostra epoca, quanto la particolarità dei parrocchiani (es. persone che vengono da ex paesi comunisti senza il Catechismo necessario) dovrebbero spingere il Sacerdote e la Parrocchia ad una riscoperta della sostanza della vita Cristiana nella vita quotidiana, nella conoscenza profonda della fede e nella testimonianza del comportamento ortodosso in un mondo che ha necessità di tutto questo. Così, oggi la Parrocchia dovrebbe essere considerata non come un luogo geografico ma come un luogo dove l Uomo può trovare il riposo spirituale e può affidare al Signore i suoi carichi di vita quotidiana. Tante volte siamo pieni di uno spirito di pessimismo, che viene incoraggiato dalle difficoltà, che la vita spirituale porta con sé, oltre allo stato dell Uomo, che vive in una società, dove il culto della carne e del materialismo lo dominano totalmente. Spesso questo spirito di pessimismo aumenta a causa dei problemi che tante Parrocchie hanno, come la mancanza di luoghi interni, necessari per il servizio pastorale, ma soprattutto per la 1

2 mancanza dei fondi economici necessari per realizzarli. Non vorrei inoltrarmi qui, sull incapacità di noi Sacerdoti, di non aver inteso bene la nostra missione. Infatti molte volte consideriamo come nostra missione, il celebrare e l aver cura solo ed esclusivamente di coloro che ci stanno vicino, abbandonando così la sostanza della missione, che invece è basata nell avvicinarsi alla pecora smarrita, che oggi non è la una, ma le novantanove. Negare la missione è un fallimento per la vita ecclesiastica e qui non parliamo di un attivismo di tipo occidentale di una volta, il quale considera il pastore, colui che offre da solo la salvezza agli uomini, elogiando le opere buone oppure invitando al cambiamento del comportamento degli uomini attraverso l invocazione della paura e della mancanza della salvezza, ma di un atteggiamento che vuole mostrare attraverso le opere e le parole e la dignità della vita ecclesiastica, come vengono vissuti originariamente nel Vangelo e nella Vita dei nostri Santi, le vere missioni, manifestate attraverso il carattere eucaristico, ascetico e comunitario della nostra Chiesa. Oggi la Parrocchia, per essere un vero luogo di accoglienza, deve avere tre punti cardinali, quindi l Eucarestia, l Ascesi e la Comunità. Il ritrovamento della sostanza dell Eucarestia non solo per i fedeli, ma per tutto il mondo è una cosa necessaria per la Chiesa, oggi. Nello stesso modo, l Ascesi della vita evangelica, che ha come punti principali l allontanamento dall egoismo, dai diritti, dalla lotta contro le passioni, in quanto sono scandalo e pazzia, in un epoca, dove tutto si può fare, danno il vero significato non solo alla vita cristiana, ma aiutano a risolvere i problemi, che nascono nei rapporti personali e comunitari. Infine, il ritorno allo spirito comunitario attraverso la vita parrocchiale, dove si incontrano la persona e il gruppo, durante la Divina Liturgia, ma anche attraverso la filantropia, sarà l antidoto contro un infinito individualismo, che priva la gioia della Comunione con Dio e con il vicino e mettendo a rischio, poi, la salvezza dell Uomo. Per poter realizzare la nostra missione, oggi, ci serve la personalizzazione della Pastorale e il Catechismo. Più di ogni altra volta in passato, il Sacerdote, oggi, deve affaticarsi, per incontrare l Uomo nella sua gioia, nella sua tristezza, nei suoi problemi e difficoltà, nella malattia, nel lutto, nella caduta e nella depressione, che provengono dai suoi peccati e portare a lui il messaggio del Vangelo. Ciò significa, che questo tipo di pastorale, senza imitazione del Nostro Signore Gesù Cristo, come buon Pastore, che conosce il suo gregge e il gregge conosce Lui e sacrifica la Sua vita per esso, non può avvenire. Nello stesso momento, sono necessari anche il Catechismo e l insegnamento. Il pastore, oggi, deve parlare, deve conoscere la verità della Fede, che deve trasmettere in ogni situazione, parallelamente, deve essere in contatto con la Sua epoca e con la realtà odierna. Non possiamo negare a priori la civiltà contemporanea, ma bisogna concepire il suo assetto per poter così depositare le fondamenta e il pensiero della Chiesa e di poter così essere convincenti. L insegnamento principale della Chiesa, insieme con il Catechismo è anche la Predicazione. Qui, parliamo di una predica, che sappia rispondere ai bisogni quotidiani. La predica proviene dalla vita e dalla tradizione della Chiesa e risponde a tutto quello di cui, l Uomo necessita essenzialmente. Dalla mia esperienza personale, vi posso confermare, che cinque minuti di predica, diventano balsamo ed incoraggiamento per la vita dei fedeli, cosa che 2

3 chiedono quest ultimi. In contrapposizione, una predica, senza una minima preparazione, o semplicemente dire un paio di frasi, perché è uso dirle, non serve. Quest ultimo modo di predicare è controproducente per lo stesso Sacerdote che viene mal caratterizzato. La predica viene così a far parte inseparabile della Divina Liturgia, dove il Sacerdote incontra il suo gregge. Qui vengono le persone per pregare, per lodare Dio e qui la parrocchia diventa realmente luogo di accoglienza. L uomo viene a pregare e per pregare deve avere l ambiente necessario e questo ambiente è il Sacerdote che lo crea. Tante volte un comportamento sbagliato può portare ad un allontanamento definitivo delle persone dalla Chiesa. La miglior organizzazione delle celebrazioni e il Catechismo necessario relativamente alle offerte, che i parrocchiani danno, che sono necessarie per la vita della Parrocchia, aiutano la gente a capire il senso dell offerta, in quanto la Parrocchia non appartiene soltanto a pochi, ma è aperta a tutti, poiché la parrocchia è un porto aperto a tutte le navi, anche a quelle, che sono passate attraverso situazioni particolari di vita. Fondamentale per attuare tutto ciò, è l educazione perpetua del Sacerdote, la sua educazione non deve essere soltanto teologica e pastorale. Il dialogo con la scienza, l economia, l arte e la società, sono necessarie, se si vuol capire il mondo in cui si vive e si attua il presupposto pastorale. Così il Sacerdote sarà sempre pronto a dare le coerenti posizioni ecclesiastiche ad ogni domanda posta dai fedeli. Non è facile che la Parrocchia diventi un luogo di accoglienza per tutti i parrocchiani. La Pastorale viene elevata da San Gregorio il Teologo ad Arte. E un continuo sforzo poter funzionare nella realtà della nostra epoca e dare la nostra testimonianza, ma abbiamo il conforto delle parole di Nostro Signore: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo (Mat 28,20) e la trasformazione del mondo in un mondo dove regna la Resurrezione di Cristo e la Grazia della Santissima Trinità, sono la sostanza della nostra tradizione, dandoci la forza di lottare senza paura e con tanta speranza, attraverso i nostri sforzi, con l aiuto della Grazia di Dio, la nostra Diaconia e missione nella Parrocchia, possono continuare. Daltronde: La mia Potenza si esprime nella debolezza. (Cor 12,9) Basta che la nostra debolezza non si ingigantisca a causa della nostra apatia e mancanza di voglia di lottare. Per poter essere completa la nostre pastorale non si deve assolutamente dimenticare la cosa più importante, cioè la celebrazione. L Ortodossia non è sotlanto la pastorale come viene intesa nella cultura occidentale verso il popolo di Dio e la predica, tra l altro elementi necessari per la vita parrocchiale, ma è soprattutto quello che si esprime la sua vita liturgica. Πάντα δε ευσχημόνως και κατά τάξιν γινέσθω. Tutto avvenga decorosamente e con ordine (1Cor 14,40). La chiara indicazione dell Apostolo Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, ha il suo contesto diretto nella regolamentazione della preghiera comunitaria. Nella cristianità primitiva la preghiera era frequentemente caratterizzata dal dono delle lingue (glossolalia), per il quale alcuni fedeli, particolarmente toccati dallo Spirito divino, pronunciavano suoni 3

4 e parole incomprensibili, in modo diremmo impropriamente spontaneo: era certamente una espressione del fervore divino che però occorreva regolamentare, perché la fede e la preghiera sono e devono essere sempre espressione consapevole del cuore credente. Per questo San Paolo comandò che non fosse ammessa la preghiera in lingue, se non fosse presente nella comunità qualcuno che con spirito profetico, fosse in grado di interpretare questa manifestazione divina e renderla comprensibile a tutti. Il contesto di questa espressione, dunque, non riguarda in primo luogo la celebrazione liturgica, che ha evidentemente un andamento diverso da quello della preghiera spontanea, ma è innegabile che questo decoro e ordine che l apostolo raccomanda nella preghiera comunitaria, trovi nella celebrazione sacramentale il suo riferimento e il suo modello. Il decoro e l ordine, comandati dall Apostolo, hanno motivazioni non tanto disciplinari, ma anzitutto spirituali: Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l utilità comune. (1Cor 12). e così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. 6 Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. (Rom 8). Ogni espressione della vita ecclesiale, pur nella sua varietà, è manifestazione dell unico Spirito. Il richiamo apostolico ha una valenza generale riferita alla preghiera di tutta la cristianità, ma san Paolo raccomanda al sacerdote una cura particolare: o προϊστάμενος εν σπουδή (Rom 12,8) chi presiede, lo faccia con diligenza. La buona riuscita di una celebrazione (in senso spirituale-teologale) dipende da tanti fattori (personali e rituali), ma è legata in gran parte al ministero del presbitero. San Paolo richiede diligenza cioè un vivo senso di responsabilità, coscienza della delicatezza e importanza del ministero. Chi presiede «sta davanti» a Dio e alla comunità con la persona, il volto, i gesti, che rivelano l intensità della fede e la capacità di far comunione e di coinvolgere nella partecipazione. La celebrazione è al tempo stesso grazia e arte: grazia, perché è lo Spirito Santo che opera nei sacramenti la divinizzazione dell uomo; arte, perché la celebrazione è anche una forma di comunicazione e della comunicazione deve rispettare le leggi. Questa esigenza di diligenza nel presiedere si potrebbe tradurla con: decoro della persona e del portamento, gestualità appropriata, flessibilità della voce, sguardo espressivo, capacità di adattamento, senso del ritmo, gusto del bello. In una parola, le migliori qualità naturali della persona devono essere messe al servizio della grazia. Evidentemente non si tratta solo di tecnica: la celebrazione richiede innanzitutto una buona dose di sensibilità teologica e comunicativa. 4

5 Ma, perché queste qualità non restino puramente decorative, devono essere rese vive da una fede profonda, che le metta a servizio del mistero salvifico. Un sacerdote che si agita nel santuario o in chiesa, che osserva tutto (e lo lascia vedere), che richiama e rimprovera, che va da una parte all altra del santuario per compiere funzioni che non gli competono (accendere e spegnere luci, spostare microfoni, spostare sedie, parlare ecc.) non è un buon presidente. L efficacia partecipativa del ministero di presidenza dipende certamente in primo luogo dall azione dello Spirito, ma dipende anche da altre componenti: serenità e raccoglimento, capacità di comunicare col gesto e la parola, spiccato senso di misura, attenzione vigile, ma discreta, corretta distribuzione dei servizi. Lo stile della celebrazione e del presiedere non è dato dall agire di una sola persona. Il sacerdote non esercita adeguatamente la presidenza senza collaboratori competenti (cantori, lettori, ministranti) che soprattutto sono adeguatamente istruiti per tale servizio e senza un assemblea consapevole. Ma ci sono anche altri elementi che entrano in gioco e concorrono a creare lo stile di una celebrazione: la voce e la gestualità del presidente, i paramenti (vesti, tovaglie dell altare), la luce, la disposizione dei fiori e delle varie suppellettili. Questi elementi non sono secondari; anzi, spesso diventano determinanti, perché parlano da sé, prima e forse più delle parole. Le parole infatti - pensate e pesate - possono anche mascherare la realtà; invece i gesti e le cose sanno maggiormente di spontaneità e pertanto sono più vicini alla verità. Ministranti frettolosi e distraenti, lettori incerti e sbrigativi, panche o sedie in disordine o ricoperte di polvere, candele storte e disuguali, fiori messi a casaccio, tovaglie e paramenti dell altare sgualcite e sporche, pareti stinte, tappeti consumati, danno una sensazione di trascuratezza e di scarsa attenzione verso chi entra in chiesa e scoraggiano dal ritornarvi. Al contrario: un incedere composto e nobile, pulizia e ordine delle vesti e delle suppellettili, luminosità dell ambiente, amplificazione giusta, fiori disposti con gusto, misura e armonia dell insieme indicano accoglienza, sembrano già dare il benvenuto a chi entra in chiesa e invitano a ritornarvi. Come presbiteri dobbiamo riconoscere con umiltà il bisogno di crescere in questo servizio, perché il Dono divino che ci è stato affidato è e resterà sempre più grande della nostra capacità di portarlo e di donarlo ai fedeli: anche noi abbiamo bisogno di una continua mistagogia, che ci conduca dai segni liturgici al loro significato, favorendo la comunione con Dio attraverso il rito. S impara facendo; l esperienza educa; la testimonianza forma: molti di noi hanno avuto la fortuna di incontrare presbiteri che hanno esercitato con grazia e arte questa nobilissima diaconia. Il presbitero stesso è parte del mistero: i gesti, le parole, il canto, i movimenti, la sua stessa persona devono comunicare un significato. Perciò il vero presidente, partendo dalla coscienza profonda di agire in nome di Cristo, non deve badare solo a compiere validamente un azione, ma si deve anche impegnare a far percepire il senso di quello che fa: non sia frettoloso né distratto, elimini qualsiasi elemento estraneo con la celebrazione in atto, curi la corrispondenza tra gesto, parola e azione. 5

6 Si può parlare di stile, anche nel presiedere la liturgia, perché come osserva Guardini solo ciò che vive ha stile. La mera esecuzione, il nudo schema non ne possiede affatto. Stile pertanto è discorso chiaro, movimento misurato, disposizione severamente elaborata dello spazio, degli oggetti, dei colori, dei suoni. 6

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