Non esistono due campioni di residui d incendio identici o meglio non esistono due incendi che danno gli stessi residui!

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1 FIRE INVESTIGATION: ACCELERANTI E ANALISI CHIMICHE Come mettere insieme i pezzi del puzzle Paolo Cardillo pcardillo@alice.it 1. INTRODUZIONE Uno degli obiettivi principali della ricerca sulle cause e sull origine di un incendio è determinare se è stato deliberatamente utilizzato un liquido infiammabile per accelerarne la propagazione. Se si sospetta l uso di tali liquidi, allora è necessario prelevare diversi campioni dalle aree coinvolte nell incendio da sottoporre poi alle analisi di un laboratorio competente per accertare la presenza, la distribuzione e l identità dell eventuale accelerante. In genere, i campioni di detriti e di residui che rimangono dopo ogni incendio sono di natura molto complessa dato che contengono una notevole varietà di materiali più o meno combusti. Non esistono due campioni di residui d incendio identici o meglio non esistono due incendi che danno gli stessi residui! Nei residui possono essere presenti altri numerosi prodotti organici che rappresentano i componenti naturali del materiale su cui è stato versato l accelerante, composti pirolizzati che derivano dall esposizione al calore della combustione di tali materiali, come pure residui di altri liquidi infiammabili che potrebbero non essere stati utilizzati come acceleranti. In questi casi, le caratteristiche dell accelerante sono spesso mascherate dalla presenza e dall interferenza di prodotti di pirolisi. I campioni più comuni contengono materiali come legno, plastiche, polimeri molto diversi tra loro senza considerare il gran numero di altri prodotti che si formano durante la loro combustione. I campioni, repertati dagli investigatori, possono essere immediatamente inviati al laboratorio per l analisi oppure possono essere conservati anche per lunghi periodi in attesa di nuove informazioni che possono indirizzare le indagini e le conseguenti analisi. I risultati delle analisi dipendono quasi esclusivamente dalla qualità dei campioni prelevati, pertanto è di fondamentale importanza il loro corretto campionamento. Successivamente, l analisi dettagliata dei campioni prelevati sul luogo dell incendio richiede la perizia, l esperienza e la conoscenza del chimico: non è un compito

2 facile determinare con assoluta certezza se un campione è positivo (cioè se il campione contiene residui di un accelerante) o negativo. Ci sono almeno tre ragioni perché un accelerante potrebbe non essere identificato in un reperto: 1. il campione non contiene l accelerante (lapalissiano); 2. l accelerante può essere stato completamente consumato dall incendio; 3. dopo l incendio potrebbe non essere rimasta una quantità apprezzabile e quindi analizzabile di accelerante. Quanto accelerante rimane dopo un incendio dipende da diversi fattori: natura chimica, volatilità e solubilità in acqua, quantità dell accelerante utilizzato, natura del materiale su cui è stato versato (porosità), durata e intensità dell incendio, tempo trascorso tra l incendio e il campionamento. 2. PRINCIPALI ACCELERANTI Gli acceleranti utilizzati più frequentemente sono soprattutto derivati del petrolio (benzina, cherosene, gasolio) facilmente reperibili e disponibili. Si tratta quindi di miscele molto complesse, costituite spesso da idrocarburi che hanno sovente proprietà chimico fisiche simili. Meno usati sono altri acceleranti tipo alcol, acetone o alcuni solventi industriali. Gli acceleranti idrocarburici più comuni sono tutti insolubili in acqua e pertanto non sono facilmente dilavati e allontanati durante lo spegnimento dell incendio. Tendono a entrare e a rimanere nei pori di alcune superfici e questo impedisce o ritarda la loro evaporazione. In alcuni casi sono stati trovati campioni rimasti inalterati per più di tre mesi. Altri acceleranti tipo alcol, acetone o alcuni solventi industriali tendono invece a essere allontanati dalla scena dell incendio dall acqua utilizzata per lo spegnimento. Rimangono quindi solo tracce minime che richiedono all analista procedure particolari. 3. PRELIEVO DEI CAMPIONI Una volta individuata l area dove si ritiene che sia stato utilizzato un accelerante è indispensabile prelevare campioni di detriti con la più alta probabilità di ritenzione di tracce di accelerante. I migliori materiali da campionare sono quelli porosi (spugnosi) come terreno, carta, cartoni, teli, tappeti, moquette, imbottiture, stoffe, cemento.

3 Materiali facilmente combustibili come gomme e legname non sono adatti per il campionamento poiché la loro combustione provoca il consumo dell accelerante. Nel campionare un materiale che è difficile da rimuovere, per es. il cemento (che ha una struttura porosa e non rilascia sostanze volatili interferenti), si possono utilizzare assorbenti (terre di diatomee, carbonati inorganici, ecc.) che rimuovono l acqua e le eventuali tracce di accelerante. L assorbente viene poi analizzato. La potenzialità delle varie matrici nel produrre per pirolisi sostanze volatili estranee è più difficile da valutare. Tali sostanze possono essere tollerate se sono sufficientemente differenti da quelle dell accelerante. E possibile ovviare ad alcuni di questi problemi con opportune tecniche di analisi strumentale o con l impiego di rivelatori (detector) selettivi. Nella Tabella 1 sono riassunti alcuni tra i fattori che determinano la probabilità di trovare un accelerante tra i resti di un incendio. Tabella 1 Fattori che influenzano la probabilità di trovare un accelerante tra i resti di un incendio. Tipo di accelerante Matrice, proprietà fisiche Matrice, proprietà chimiche Effetti e dinamica dell incendio Procedura di preparazione del campione Procedura di analisi Interpretazione dei risultati analitici Condizioni favorevoli Liquidi dotati di un ampio intervallo di temperature di ebollizione o poco volatili, insolubili in acqua, in grado di fornire un cromatogramma caratteristico (es. cherosene) Materiali dotati di elevata capacità adsorbente o resistenti alle fiamme (moquette, tappeti, cemento,...) Materiali che non producono notevoli quantità di prodotti di pirolisi (vetro, metalli,...) Raggiungimento di basse temperature, scarsa durata dell esposizione Procedure di arricchimento, non influenzate dalla presenza di acqua Procedure in grado di fornire elevata risoluzione e di rilevare la presenza di specifici acceleranti (GC/MS) Sistema in grado di confrontare specifici profili cromatografici (pattern recognition) Condizioni sfavorevoli Liquidi altamente volatili o solubili in acqua che producono un cromatogramma irregolare (es. alcol) Materiali incapaci di trattenere liquidi e/o velocemente consumati dall incendio (metalli, schiume poliuretaniche,...) Materiali che producono significative quantità di prodotti di pirolisi (moquette, tessuti, tappeti...). Raggiungimento di elevate temperature, combustione completa ed esposizione dei campioni agli agenti atmosferici. Metodi generali Metodi generali Ispezione visiva dei profili cromatografici Spesso, dalla scena dell incendio sono prelevati anche campioni bianchi o di confronto, preferibilmente lontano dall area dove è sospettata la presenza di un accelerante e dello stesso materiale che costituisce il campione. L analisi del

4 campione bianco, nelle stesse condizioni dei reperti, può fornire un indicazione degli eventuali prodotti di pirolisi. E importante rilevare che, solitamente, non è il chimico analista che preleva i campioni ma chi è stato incaricato delle indagini! 4. CONTENITORI I contenitori in cui riporre i campioni devono essere puliti, privi di contaminanti e a tenuta. Chiaramente non devono reagire con il campione. Preferibilmente si utilizzano contenitori di vetro con tappi a vite che non contengano colla (che potrebbero inquinare il campione). Un errore frequente nel campionare residui solidi è l utilizzo di buste di plastica a chiusura ermetica per conservare e immagazzinare i campioni. L abbiamo visto fare numerose volte nei telefilm con l investigatore che introduce i reperti in tali buste. In realtà alcuni tipi di buste possono liberare idrocarburi gassosi leggeri che porterebbero alla contaminazione dei campioni e creare una falsa prova dell uso di acceleranti. I materiali solidi, sospettati di contenere acceleranti, possono essere conservati senza particolari problemi in recipienti metallici a perfetta tenuta. Da ricordare che campioni umidi o contenenti acqua possono causare, con il tempo, la formazione di ruggine. 5. TRATTAMENTO DEI CAMPIONI Lo scopo principale dei metodi di trattamento e preparazione dei campioni è recuperare le sostanze volatili dai residui repertati per la successiva introduzione in uno strumento analitico. Mentre le analisi, data la complessità del problema, non possono essere completamente standardizzate, l ASTM ha standardizzato da qualche anno le procedure per il trattamento preliminare dei campioni (Tabella 2). Nei casi in cui la concentrazione di sostanze volatili sia molto alta, l analista può utilizzare direttamente la tecnica dello spazio di testa (il volume occupato dai vapori al di sopra del campione). La tecnica dello spazio di testa statico si realizza ponendo un aliquota del campione in un idonea fialetta di vetro che viene ermeticamente chiusa mediante l impiego di un tappo dotato di un setto in gomma.

5 Tabella 2 Standard ASTM per il trattamento dei campioni ASTM E : Standard Practice for Separation and Concentration of Ignitable Liquid Residues from Fire Debris Samples by Steam Distillation ASTM E : Standard Test Method for Ignitable Liquid Residues in Extracts from Fire Debris Samples by Gas Chromatography ASTM E : Standard Practice for Separation and Concentration of Ignitable Liquid Residues from Fire Debris Samples by Solvent Extraction ASTM E : Standard Practice for Sampling of Headspace Vapors from Fire Debris Samples ASTM E : Standard Practice for Separation of Ignitable Liquid Residues from Fire Debris Samples by Passive Headspace Concentration With Activated Charcoal ASTM E : Standard Practice for Separation and Concentration of Ignitable Liquid Residues from Fire Debris Samples by Dynamic Headspace Concentration ASTM E Standard Test Method for Ignitable Liquid Residues in Extracts from Fire Debris Samples by Gas Chromatography-Mass Spectrometry ASTM E : Standard Practice for Separation and Concentration of Ignitable Liquid Residues from Fire Debris Samples by Passive Headspace Concentration with Solid Phase Microextraction (SPME) Scaldando il fondo della provetta a circa C per circa 30 minuti in modo da permettere il raggiungimento dell equilibrio tra i composti volatili presenti nella matrice e quelli nella fase vapore, i vapori che si liberano dai materiali residuati dall incendio si arricchiscono principalmente nelle sostanze volatili, che possono essere analizzate per via gas-cromatografica prelevando con una siringa a tenuta di gas la fase vapore che si concentra nello spazio di testa libero della fiala. Fig. 1 Semplice dispositivo per l analisi dello spazio di testa Nel caso in cui la concentrazione di sostanze volatili sia bassa, sono necessarie alcune tecniche di arricchimento. Per arricchire lo spazio di testa il campione solitamente è riscaldato (campionamento dinamico dello spazio di testa). I composti volatili passati in fase vapore sono estratti mediante un gas inerte e puro (quale He o N 2 ) e quindi convogliati su una trappola di materiale adsorbente, es. carbone attivo o copolimeri stirene-divinilbenzene tipo Tenax, Porapak, Chromosorb in grado di trattenerli e concentrarli.

6 Successivamente, le sostanze volatili sono desorbite per via termica utilizzando un sistema costituito da un termodesorbitore-concentratore collegato ad un gascromatografo Questo è ormai il metodo usato più frequentemente in quanto molto sensibile. Gli adsorbenti sono macromolecole porose che interagiscono con le sostanze volatili in fase vapore aumentando quindi la concentrazione di un campione diluito dello spazio di testa. L adsorbente ideale dovrebbe mostrare grande affinità per le sostanze volatili d interesse a scapito dell aria e dell acqua. Quest ultima è particolarmente importante dato che la maggior parte dei residui ne contiene in larga misura (per le operazioni antincendio). Problemi con gli adsorbenti possono nascere nella successiva fase di desorbimento termico, poiché spesso sono richieste alte temperature che possono portare a riarrangiamenti e/o decomposizioni delle sostanze assorbite o addirittura alla decomposizione degli adsorbenti a base polimerica. Allo scopo di ottenere esiti analitici più certi e affidabili, in alcune situazioni può essere utile eseguire l analisi dei campioni con l impiego di una tecnica di ulteriore arricchimento delle sostanze volatili basata sull uso di un sistema denominato S.P.M.E. (Solid Phase Micro Extraction). Tale sistema si basa sull impiego di una speciale siringa dotata di un ago capillare in materiale sintetico che, immerso in una soluzione acquosa o nei vapori prodotti per riscaldamento di un materiale, è in grado di catturare, per adsorbimento, le sostanze volatili presenti. Tale siringa è poi utilizzata direttamente per l iniezione gas-cromatografica. L impiego di questa tecnica consente di ottenere tracciati GC più puliti poiché l ago raccoglie e concentra selettivamente le sostanze volatili a carattere prevalentemente idrocarburico. Possono essere utilizzate anche altre speciali siringhe che agiscono da microadsorbenti (Fig. 2). Fig. 2 Siringa per la tecnica S.P.M.E.

7 Altri metodi sono basati sulla distillazione (non molto sensibile) o estrazione con solvente (per es. con solfuro di carbonio). L estrazione con solvente può creare degli artefatti, nel senso che molte altre sostanze possono essere estratte dalla matrice e interferire. Nella Tabella 3 sono riassunti i principali metodi di preparazione dei campioni. Tabella 3 Metodi generali di preparazione dei campioni Spazio di testa statico (diretto) Distillazione Estrazione con solvente Spazio di testa dinamico Distillazione azeotropica DESCRIZIONE Analisi dei vapori in equilibrio con una fase solida o liquida a una data temperatura in ambiente confinato Il campione è distillato in uno speciale apparato. Se il distillato consiste di due fasi, una o entrambe sono iniettate al GC Il campione è estratto con un solvente immiscibile in acqua Il campione è adsorbito e successivamente recuperato per desorbimento termico o per estrazione con solvente Il campione è addizionato di acqua CARATTERISTICHE FAVOREVOLI Velocità e semplicità, particolarmente adatto per componenti polari e molto volatili Appropriato per campioni che contengono molta acqua Possibilità di individuare acceleranti solubili in acqua (etanolo,...). Possibilità di recuperare quantità di campione relativamente elevate Possibilità di incrementare la volatilità di idrocarburi pesanti CARATTERISTICHE SFAVOREVOLI Scarsa sensibilità verso i componenti poco volatili Scarsa versatilità Contemporanea estrazione delle sostanze interferenti Inefficace per sostanze polari Presenza di fase acquosa 6. ANALISI E TECNICHE STRUMENTALI Come già detto, in genere, gli acceleranti liquidi (derivati del petrolio) sono miscele di più sostanze. Poiché tutti gli incendi producono significative quantità di sostanze volatili, è indispensabile accertare se queste sostanze volatili derivano dall accelerante o dalla pirolisi di altre sostanze o da una miscela di entrambi i tipi. Nelle analisi strumentali, un campione è sottoposto a un processo fisico per cui i suoi componenti producono una risposta definita e riproducibile. I metodi per le analisi degli acceleranti si basano soprattutto su due tecniche principali: la cromatografia e la spettrometria. Tra queste due tecniche la gascromatografia e la spettrometria di massa sono le più importanti. La gascromatografia è soprattutto una tecnica di separazione.

8 Il campione da analizzare è sottoposto ad una separazione all interno di una colonna cromatografica. I vari costituenti si muovono all interno della colonna con velocità differente e arrivano in fondo con tempi diversi (tempo di ritenzione) permettendo la risoluzione della miscela (Fig. 3 e 4). Fig. 3 Separazione dei componenti di una miscela mediante cromatografia Fig. 4 Schema generale di un gascromatografo Un rivelatore (detector) produce un segnale che è amplificato, acquisito e registrato. Nella Tabella 4 sono elencati i principali rivelatori utilizzati nell analisi dei residui d incendio. L intensità del segnale prodotto dal rivelatore è proporzionale alla concentrazione dei singoli componenti. In generale, escono prima i componenti più volatili. La colonna può essere impaccata o capillare (ormai preferibile perché fornisce più dettagli) e contiene una fase stazionaria. Si utilizza un gas di trasporto (carrier), es. elio, argo, che costituisce la fase mobile in quanto spinge il campione all interno della colonna.

9 Tabella 4 - Principali rivelatori (detector) utilizzati nell analisi dei residui d incendio Rivelatore Impiego Note Flame Ionization Detector (FID) Universale per composti contenenti carbonio E il più utilizzato sia con colonne impaccate sia capillari Thermal conductivity Detector (TCD) Universale Ormai poco utilizzato. Meno sensibile del FID Photoionization Detector (PID) Universale Specifico per alcani/aromatici Flame photometric Detector (FPD) Insieme a FID Specifico per eterocicli solforati Nitrogen specific Detector (NPD) Insieme a FID Specifico per eterocicli contenenti azoto Electron capture Detector (ECD) Insieme a FID Utile per composti organici contenenti piombo e altri organometalli nelle benzine Oxygen specific flame ionization Insieme a FID Specifico per alcoli, chetoni, Detector (OFID) aldeidi in acceleranti non convenzionali e per gli ossigenati nelle benzine Mass spectrometer MS Universale Identificazione positiva di classi specifiche Fourier Transform Infrared Detector Universale e specifico Identificazione positiva di (FTIR) Atomic Emission Detector (AED) classi d isomeri specifiche Specifico per elementi Per sostanze contenenti elementi diversi da C e H La fase stazionaria è generalmente costituita da un liquido non volatile supportato su un solido che riempie uniformemente una colonna ("colonna impaccata") oppure distribuito come film sottile spesso qualche micron sulla parete interna di una colonna di lunghezza superiore ai 10 metri e di diametro inferiore al mm ("colonna capillare"). Tale liquido può variare secondo l applicazione, ossia del tipo di composti che s intendono analizzare. La gascromatografia è la tecnica più largamente utilizzata nella ricerca degli acceleranti; tuttavia, nonostante la sua alta sensibilità, la buona risoluzione e la velocità della prova, presenta alcuni inconvenienti. Innanzi tutto, come altre tecniche analitiche, è cieca poiché l analista può rendersi conto della complessità della miscela guardando il cromatogramma ottenuto ma difficilmente potrà identificare la sostanza che ha prodotto il picco e neppure può sapere se i componenti derivano dall accelerante o dalla pirolisi della matrice. Anche ammettendo che il processo di separazione abbia prodotto soprattutto i componenti dell accelerante resta sempre il problema di specificare il tipo di accelerante utilizzato. Per rispondere a questa questione, è ormai consolidato ricorrere all accoppiamento gascromatografia/spettrometria di massa (Fig. 5). Uno spettrometro di massa genera uno spettro caratteristico per ciascun composto (in pratica una vera e propria impronta digitale).

10 Fig. 5 Schema generale dell accoppiamento GC/MS Il principio su cui si basa è il seguente: una molecola, sottoposta a bombardamento con un fascio di elettroni di elevata energia, è ionizzata per espulsione di un elettrone; il catione radicalico che si forma (ione molecolare) in parte si frammenta dando molecole e/o radicali neutri, in parte generando cationi e/o radicali cationi (ioni frammento). Lo ione molecolare e i vari ioni che si originano per frammentazione (cationi e radicali cationi) sono discriminati sulla base del loro rapporto massa/carica e rivelati da un detector. L abbondanza relativa dei diversi frammenti costituisce un parametro caratteristico, per cui, in pratica, lo spettro di massa rappresenta una impronta digitale tale da identificare univocamente la struttura molecolare della sostanza stessa. Dall accoppiamento GC/MS (Fig. 6) derivano segnali (picchi) sul tracciato strumentale del cromatogramma); a ogni picco è associato un insieme di ioni (spettro di massa) che definiscono univocamente il composto chimico eluito in un tempo di analisi ben definito (tempo di ritenzione). È importante sottolineare che il dato fornito dallo spettrometro di massa è altamente specifico per ogni composto analizzato poiché è indissolubilmente e direttamente legato alla sua struttura chimica. Le informazioni chimiche sugli acceleranti sono contenute nel complesso cromatogramma totale costituito da tutti i picchi con tutti i frammenti derivanti dalle specie chimiche eluite (acceleranti, prodotti di pirolisi e costituenti il materiale integro), che può essere semplificato mediante estrazione di uno o più frammenti diagnostici per ognuna delle specie chimiche di interesse.

11 Fig. 6 Schema della risoluzione di una miscela mediante GC/MS La tecnica GC/MS consente di condurre l analisi secondo due diverse modi: - T.I.C. (Total Ion Current) - S.I.M. (Selected Ion Monitoring) L analisi effettuata secondo la modalità T.I.C. è condotta registrando la corrente ionica totale prodotta dal rivelatore dello spettrometro. Grazie all impiego di questa tecnica è possibile ottenere un cromatogramma con le singole frammentazioni di ogni picco, ricostruendone la struttura molecolare anche attraverso il confronto con gli spettri di massa contenuti nella banca dati in dotazione allo strumento. A ogni picco viene quindi attribuita una ben precisa struttura molecolare. L analisi effettuata secondo la modalità S.I.M. è condotta registrando la corrente dovuta ai singoli ioni, selezionabili in fase di programmazione, caratteristici di ogni classe di composti. Grazie all impiego di questa tecnica è possibile incrementare in larga misura sia la sensibilità, che la selettività del sistema, permettendo di rilevare la presenza dei composti ricercati anche se presenti in quantità modestissime e consentendo di eliminare i segnali di sostanze estranee presenti nel campione, che possono interferire con la rivelabilità delle sostanze d interesse. 7. INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI E sicuramente il compito più difficile nell analisi degli acceleranti. L elaborazione e l interpretazione dei dati costituiscono un problema molto più delicato dell ottenimento dei dati stessi. L analista deve confrontare il cromatogramma del campione sospetto con quello di un accelerante standard (banca dati) ottenuto nelle stesse condizioni (pattern recognition). Uno dei primi esempi di pattern recognition applicato all analisi di acceleranti è riportato nella Fig. 7 (1960). L efficienza della colonna era alquanto

12 scarsa rispetto a oggi ma la similarità tra lo standard e i campioni di residui è molto evidente. Fig. 7 Probabilmente la prima analisi di un accelerante La pattern recognition è una sotto-disciplina della chemiometria. A sua volta la chemiometria usa metodi statistici che impiegano logiche formali per l ottimizzazione delle procedure di misura e per estrarre le informazioni da banche dati. Nell analisi degli acceleranti, l obiettivo è di estrarre una proprietà da una misura e correlarla con altre misure; in altre parole, è necessario confrontare un cromatogramma o spettro incognito con un cromatogramma o spettro noto (Fig. 8). Fig. 8 Confronto dei risultati (pattern recognition) L importanza dell accoppiamento gascromatografia/spettrometria di massa è mostrata nella Fig. 9 (cromatogramma parziale di una benzina). Il campione, preparato come

13 precedentemente descritto, è separato nei suoi componenti mediante GC. Ciascun componente separato è identificato dal suo spettro di massa. Con i moderni software è possibile estrarre dal grafico complessivo i componenti d interesse che vengono identificati mediante MS. Fig. 9 Esempio di accoppiamento GC/MS Nella Fig. 10 sono presentati alcuni spettri d interesse: lo spettro in alto è quello dello xilene, uno dei maggiori componenti della benzina; quello in mezzo rappresenta un alcano, tipicamente presente in un distillato medio mentre quello in basso è lo spettro dello stirene, una delle interferenze principali nei residui (pirolisi dei tappeti). I tempi di ritenzione cromatografici sono molto simili ma gli spettri di massa differiscono notevolmente.

14 Fig. 10 Esempi di spettri di massa L impronta cromatografica di ogni accelerante è suscettibile di cambiamenti nella composizione in funzione del tempo trascorso dall impiego al prelievo, della temperatura alla quale l accelerante è stato sottoposto e di altre variabili da prendere in considerazione caso per caso. Le modificazioni sull accelerante sono rappresentate da una perdita dei componenti più volatili e arricchimento della frazione meno volatile. La Fig. 11 mostra i cromatogrammi ottenuti dall analisi su tre campioni di cherosene tal quale, gasolio e cherosene lasciato all atmosfera per diversi giorni (e quindi evaporato in parte). Sono indicati i picchi principali in base al numero di atomi di carbonio contenuti nel composto che ha prodotto il relativo picco. Fig. 11 Cromatogrammi di campioni sottoposti a evaporazione

15 I cromatogrammi prodotti dal cherosene e dal gasolio mostrano la complessità delle miscele e la presenza di componenti simili. Il gasolio tuttavia è costituito da componenti più alto bollenti. Quando il cherosene è fatto evaporare, i suoi componenti più volatili vengono allontanati e il suo cromatogramma inizia a somigliare a quello del gasolio. Per questo motivo è molto difficile per un analista identificare in maniera conclusiva il cherosene nei residui di un incendio, soprattutto se il campionamento è fatto dopo un certo tempo. La benzina è una miscela molto più volatile del cherosene; i cromatogrammi ottenuti su un campione di benzina e di una benzina evaporata sono mostrati nella Fig. 12. Fig. 12 Cromatogrammi della benzina con differenti livelli di evaporazione La benzina evaporata presenta chiaramente molti meno picchi rispetto al campione tal quale. L analista ha quindi meno informazioni per l identificazione dell eventuale accelerante.

16 8. INTERFERENZE La difficoltà nell individuazione deriva principalmente dalle variazioni in composizione, dovute al contatto con acqua e aria e all esposizione al calore, che si verificano durante l evento termico e che possono risultare, nelle situazioni più sfavorevoli, in una loro totale trasformazione e/o allontanamento dei componenti più volatili. Una ulteriore e importante complicazione deriva da sostanze estranee, particolarmente prodotti di pirolisi, che sono quasi sempre presenti nei residui di un incendio. Polimeri sintetici sono diffusissimi e non c è praticamente ambiente o attività umana in cui non siano presenti. La composizione e la distribuzione dei prodotti di pirolisi dipendono soprattutto dalle condizioni in cui sono generati (principalmente dalla temperatura e dalla durata dell esposizione al calore). I prodotti di pirolisi possono generare componenti che eluiscono in un cromatogramma assieme alle sostanze d interesse; inoltre, i polimeri sintetici a base petrolifera possono produrre monomeri e oligomeri che possono essere scambiati per distillati a base petrolifera. Polimeri contenenti unità alifatiche e aromatiche genereranno alcani, olefine, alchilbenzeni, stireni, ecc. La loro distribuzione in generale non è molto differente da quella di composti simili presenti nei distillati di petrolio. Un classico esempio di un polimero sintetico che può interferire è rappresentato dal polietilene (Fig. 13) (che si ottiene dalla petrolchimica) che, in un incendio produce prodotti di pirolisi (alcani, alcheni, alchil dieni) che possono erroneamente essere attribuiti a residui di acceleranti. Fig. 13 Degradazione termica del polietilene Numerosi altri polimeri sintetici si comportano in modo simile. Nella Fig. 14 è riportato un tipico cromatogramma di un campione di tappeto parzialmente pirolizzato (senza accelerante) mentre nella Tabella 5 sono elencati i maggiori costituenti individuati dall analisi. I tappeti sono tra le matrici preferite dagli investigatori per la loro tendenza ad adsorbire e trattenere eventuali liquidi.

17 Fig Cromatogramma di un campione di tappeto sottoposto a pirolisi. Sono numerati i componenti più abbondanti Tabella 5 - Principali componenti individuati nella pirolisi di un campione di tappeto sostanza sostanza sostanza 1 toluene 2 etilbenzene 3 m/p-xilene 4 stirene 5 isopropilbenzene 6 n-propil benzene 7 1-metil-3-propilbenzene 8 isomeri metilstirene 9 naftalene n-butilbenzene 10 2-metilnaftalene 11 1-metilnaftalene 12,13,14 C15H30 Lo stirene è il componente principale (è solitamente presente negli adesivi dei tappeti). Sono anche prodotti diversi alchil benzeni, anche se i rapporti reciproci sono diversi da quelli provenienti dai distillati di petrolio. Nei distillati del petrolio il picco del 2-metilnaftalene è sempre più intenso dell isomero 1-metilnaftalene. Fortunatamente, il rapporto tra gli isomeri nei combustibili a base petrolifera è pressoché costante indipendentemente dalla provenienza del grezzo (Target compound ratio). I pirolizzati, invece, generano solo uno o due isomeri in grande eccesso. 9. ESEMPI: REPERTI CONTENENTI BENZINA? Come è noto la benzina è una miscela molto complessa costituita soprattutto da idrocarburi alifatici e aromatici. Con una colonna capillare ad alta risoluzione possono essere osservati fino a 250 picchi cromatografici. In una tipica analisi di residui si utilizzano però solo picchi per identificare l accelerante. Nella parte centrale della Fig. 15 è mostrata la distribuzione delle sostanze volatili provenienti da un campione di residuo d incendio contenente benzina. Sono riportati gli idrocarburi aromatici, evidenziati dai cerchi, come ioni cromatografici, ricostruiti dai corrispondenti ioni molecolari e sono confrontati con uno standard di benzina. Alcuni dei picchi sono identificati nella Tabella 6.

18 Fig Distribuzione HC aromatici in un campione e in uno standard di benzina Tabella 6 Identificazione dei picchi della Fig. 15 N. picco composto N. picco composto C2 alchilbenzeni 1 etilbenzene 2 p-xilene, m-xilene 3 o-xilene C3 alchilbenzeni 4 isopropilbenzene 5 n-propilbenzene 6 1-metil-3-etilbenzene 7 1-metil-4-etilbenzene 8 1-metil-2-etilbenzene 9 1,3,5-trimetilbenzene 10 1,2,4-trimetilbenzene 11 1,2,3-trimetilbenzene 1-metil-4-isopropilbenzene C4 alchilbenzeni 12 Non identificato 13 1,3-dietilbenzene 14 1-metil-3-n-propilbenzene n-butilbenzene 15 1,2-dietilbenzene 1,4-dietilbenzene 1-metil-4-n-propilbenzene 16 1,3-dimetil-5-etilbenzene 17 1,4-dimetil-2-etilbenzene 1,3-dimetil-4-etilbenzene 18 1,3-dimetil-2-etilbenzene 19 1,2-dimetil-3-etilbenzene 1,2-dimetil-4-etilbenzene 20 1,2,4,5-tetrametilbenzene 21 1,2,3,4-tetrametilbenzene C5 alchilbenzeni Non identificati Metilnaftaleni 26 2-metilnaftalene 27 1-metilnaftalene

19 In un campione non deteriorato, i picchi dei tre alchilbenzeni C2 devono essere chiaramente riconoscibili, con il picco del m e p-xilene (n.2) più intenso degli altri due. Bisogna porre attenzione al picco dell etilbenzene (n.1) che può essere intensificato in campioni dove può essere avvenuta la pirolisi di materiali polimerici. Gli alchilbenzeni C3 costituiscono un gruppo di otto isomeri (n.4-11) con una distribuzione caratteristica. Il picco n. 10 (1,2,4-trimetilbenzene) è l isomero più abbondante. Questo gruppo di composti è considerato diagnostico della presenza di una benzina in un residuo non deteriorato. Il picco n. 5 (n-propilbenzene) è talvolta più intenso dato che è un prodotto di decomposizione di materiali polimerici. All aumentare del numero di atomi di carbonio nella molecola, la distribuzione degli alchilbenzeni diventa più complessa. Sono possibili 21 isomeri degli alchilbenzeni C4 e circa 15 possono essere rivelati nel cromatogramma della benzina. La distribuzione degli alchilbenzeni C4 è molto caratteristica e, insieme con altri alchilbenzeni, è un indicatore della presenza della benzina soprattutto se l evaporazione non ha molto effetto su questa parte del cromatogramma. In presenza di materiali polimerici il picco 14 (1-metil-3-npropilbenzene e n-butilbenzene) può essere più intenso. Il profilo degli alchilbenzeni isomeri C5 è ben definito nei casi di impiego della benzina come accelerante o in campioni evaporati che sono quindi degli importanti indicatori. La distribuzione è poco disturbata dalla presenza di pirolizzati polimerici. Altri importanti indicatori sono l 1 e il 2-metilnaftalene (picchi 27 e 26): il loro rapporto è critico per cui sono accettabili solo valori < 1. Il naftalene è presente in molti campioni di residui ma non è un sicuro indicatore della benzina; tuttavia, se è assente, la benzina può essere esclusa come accelerante. In campioni non evaporati, le quantità degli alchilbenzeni C2 e C3 sono circa le stesse e sono maggiori degli alchilbenzeni C4 e C5. Il grado di evaporazione può essere stimato dai rapporti tra le intensità (aree dei picchi) degli alchilbenzeni C3/C2, C4/C2 e C3, C5/C2,C3 e C4. I prodotti di decomposizione delle materie plastiche o di polimeri organici possono alterare i profili caratteristici dei componenti della benzina. In alcuni casi le interferenze possono essere tali da impedire l identificazione certa dell accelerante. La Fig. 16 mostra il cromatogramma delle sostanze volatili rilasciate da un reperto (G2) coinvolto in un incendio. Il profilo degli alchil benzeni sembra suggerire la presenza di benzina; tuttavia, ad una verifica più attenta si notano diverse

20 anomalie: il picco 1 (etilbenzene), il picco 5 (propilbenzene), il picco 6 (1-metil-3- etilbenzene/1-metil-4-etilbenzene), il picco 14 (1-metil-3-propilbenzene/n-butil benzene) e il picco 23 sono notevolmente intensificati. Molto più alterato è anche il rapporto 1-metilnaftalene/2-metilnaftalene (picchi 27 e 26) che è >1 (mentre nella benzina è < 1). In questo caso l evidenza della presenza di benzina non è conclusiva. Fig. 16 Analisi GC/MS di un residuo sospettato di contenere benzina

21 LETTURE CONSIGLIATE P.L. Kirk: Fire Investigation. Wiley, New York, 1969 J.D. Dehaan: Kirk s Fire Investigation. 3 a Ed., Wiley, New York, 1991 W. Bertsch, G. Holzer, C.S. Sellers: Chemical Analysis for the Arson Investigator and Attorney. Huthig, Heidelberg, Germany, 1993 NFPA 921: Guide for Fire and Explosion Investigations. National Fire Protection Association, Quincy, 2004:

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