Manuale per la progettazione di politiche e interventi sulla sicurezza integrata Dieci temi per saperne di più

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1 Settore Polizia Locale e Politiche per la sicurezza Manuale per la progettazione di politiche e interventi sulla Dieci temi per saperne di più

2 Supervisione e coordinamento editoriale: Dott. Stefano Bellezza Dirigente del Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza Testi a cura di: Associazione Amapola Capitolo 5: Avv. Alberto Ceste Funzionario del Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza Regione Piemonte è autorizzata la riproduzione parziale citando la fonte 2013

3 Offrire strumenti per progettare e gestire politiche per la sicurezza dei cittadini può essere molto importante. Perché consente di promuovere la conoscenza e lo scambio, qualificando l'azione pubblica con proposte che abbiano la forza di misurarsi con la complessità dei problemi, cercando di offrire risposte che abbiano a cuore la tutela dei cittadini e dei territori in cui essi abitano. Ma se è sempre importante offrire strumenti che accrescano la capacità d'intervento degli attori sociali e istituzionali, lo è ancor di più nel momento in cui le risorse a disposizione scarseggiano o vengono meno. Perché è proprio in presenza di situazioni di crisi che occorre migliorare la capacità d'intervento, analizzare i problemi e individuare le priorità d'azione. È ciò che si sta cercando di promuovere nella nostra Regione, attraverso l'idea di un "Sistema Piemonte per la Sicurezza Integrata", che sappia offrire la cornice istituzionale e progettuale per accrescere il livello di cooperazione tra quanti a vario titolo operano per la sicurezza. Un sistema composto da progetti e interventi, che pur nella ristrettezza delle risorse economiche disponibili si propone di sostenere lo sviluppo di nuove e più forti iniziative di cooperazione tra Istituzioni che, all'interno delle precipue competenze, diventino parte integrante di un'unica risposta pubblica ai problemi di sicurezza dei territori piemontesi. Questa pubblicazione è l esito e in parte la testimonianza dello sforzo che la Regione Piemonte mette in campo per qualificare le politiche regionali di. Essa si rivolge ad un pubblico potenzialmente molto eterogeneo, proponendo analisi teoriche e strumenti concreti su molti dei temi che riguardano le politiche di sicurezza. I dieci capitoli spaziano dal contesto normativo e legislativo; affrontano il tema della cooperazione tra gli Enti e quello della gestione associata dei servizi di Polizia Locale; propongono riflessioni sull'uso della videosorveglianza e sul ruolo della Polizia privata nelle politiche di sicurezza; sviluppano il tema della mediazione e dell'integrazione, sino ad affrontare le implicazioni che la pianificazione urbanistica nella promozione di città più sicure. Un manuale, appunto, che si è sforzato di essere completo ed agile al contempo; utile compendio per gli esperti del settore, strumento agile e fruibile per quanti si avvicinano al tema per la prima volta. Con l'auspicio, è questo il mio augurio, che possa diventare una concreta "cassetta degli attrezzi" per il lavoro futuro. Riccardo Molinari Assessore alla Promozione della Sicurezza e Polizia Locale

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5 La Regione Piemonte, attraverso l operato del Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza, si è da sempre contraddistinta per l impegno nel promuovere iniziative volte a sostenere le amministrazioni locali nell attuazione di politiche di sicurezza territoriali. Questo è avvenuto, innanzitutto, interpretando la competenza in materia di Polizia Locale, ma anche dotandosi di un quadro normativo regionale in materia di che consentisse di offrire ai soggetti istituzionali e sociali piemontesi opportunità concrete per accrescere le loro capacità di intervento. In questi anni sono state molte le pubblicazioni che hanno affrontato, con tagli e contenuti spesso molto differenti, il tema delle politiche di sicurezza urbana. Talvolta si è trattato di contributi accademici, conseguenza di importanti lavori di ricerca, che hanno offerto elaborazioni e chiavi di lettura per un dibattito che si è sviluppato coinvolgendo l'intera società italiana. Altre volte si è trattato di iniziative tese a sostenere approcci innovativi nella promozione di politiche e interventi che sapessero offrire risposte efficaci alle molte questioni che il tema della sicurezza dei cittadini pone alla responsabilità pubblica. In coerenza con quest ultimo approccio, è nata l'idea di promuovere il presente Manuale per la progettazione di politiche e interventi sulla per fornire agli Enti Locali un supporto conoscitivo e metodologico che concorra a affinare gli interventi e le politiche in materia di. Il Manuale è strutturato in dieci capitoli, ciascuno dedicato ad un tema diverso ma ugualmente importante nel rappresentare la complessità e multidimensionalità del concetto di, cui fa riferimento la legge regionale 23/2007 di promozione delle politiche locali. Nella declinazione dei temi si è tenuto conto delle diverse dimensioni e problematicità su cui oggi le amministrazioni locali sono chiamate ad agire nonché dei principali ambiti di intervento e possibili linee di indirizzo per l attuazione di politiche locali che siano efficaci e rispondenti a bisogni reali. I capitoli affrontano una pluralità di questioni tra cui: la normativa e le competenze istituzionali, la lettura dei fenomeni, la progettazione e gestione di interventi, il ruolo della Polizia locale attraverso la forma associata, l'uso della videosorveglianza, il ruolo della vigilanza privata nelle politiche di sicurezza; la gestione dei conflitti e gli interventi di mediazione, le politiche di integrazione e governo delle trasformazioni urbanistiche e territoriali. Tutti temi che se non esauriscono completamente il ventaglio delle questioni che hanno attinenza con la sicurezza, certo rappresentano ambiti importanti e significativi delle iniziative che stanno in capo alla responsabilità degli attori locali. Il Manuale, oggi pubblicato in un volume unitario, è disponibile anche in dispense tematiche sul sito web Stefano Bellezza Dirigente Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza

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7 Indice Generale Sicurezza Urbana. Le competenze istituzionali e la cooperazione tra enti..... La politica integrata di sicurezza. Da una buona idea, un buon progetto per una buona politica Leggere la sicurezza. I dati, il contesto, I fenomeni e le percezioni. Gestire un progetto. Costruire il partenariato, governare la spesa, valorizzare i risultati... L esercizio associato della funzione di polizia municipale e di polizia amministrativa locale. Come valorizzare le potenzialità del servizio integrato.. La videosorveglianza. Cosa fare perché sia efficace e rispettosa dei diritti. Da metronotte a poliziotto privato. Il nuovo ruolo della vigilanza privata nelle politiche di sicurezza... Gestire i conflitti prima che sia troppo tardi. Quando si assiste una vittima di reato. La società plurale. Le politiche di integrazione come strumento per la sicurezza dei cittadini. Trasformazioni urbane e sicurezza nelle città. Il percorso a norma per progettare spazi pubblici più sicuri... Glossario.. Bibliografia e link utili. p. 1 p. 35 p. 65 p. 101 p. 137 p. 175 p. 209 p. 239 p. 273 p. 309 p. 347 p. 353

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9 Capitolo 1 Sicurezza Urbana. Le competenze istituzionali e la cooperazione tra enti a cura di Amapola 1. Introduzione..p Gli anni 90: l emersione del ruolo dei sindaci...p. 4 La nascita del tema sicurezza urbana Le iniziative degli anni 90: l avvio della cooperazione isittuzionale Le innovazioni del biennio Ripartizione delle competenze tra Stato e Enti locali in materia di sicurezza : le riforme e la collaborazione tra enti p. 13 Le prime iniziative di collaborazione inter-istituzionale L amministrazione Giuliani a New York La cooperazione possibile tra Stato, Regioni e Enti locali Il primo pacchetto sicurezza e le leggi regionali : il maggior riconoscimento degli Enti locali..p. 20 La stagione dei Patti per la sicurezza I nuovi poteri di ordinanza dei Sindaci Le ordinanze dei sindaci I recenti provvedimenti legislativi Note...p. 33 1

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11 1 Introduzione In questo capitolo si ripercorre il dibattito politico-istituzionale italiano da metà degli anni novanta a oggi in merito alla ripartizione delle competenze in materia di sicurezza urbana tra i diversi livelli di governo (statale, regionale, municipale) e le conseguenti innovazioni normative che hanno portato a definire il quadro attuale. La sicurezza urbana è questione su cui, in Italia, si riflette e discute intensamente da almeno 17 anni e in Europa il tema è oggetto di attenzione da oltre un ventennio; si tratta ormai di una dimensione della qualità della vita urbana che interessa tutte le città del mondo 1. Si può dire che, pur con esigenze, contesti e interpretazione dei fenomeni diversi, la dimensione sicurezza urbana sia diventata oggi uno dei beni pubblici di cui è necessario tener conto nella gestione delle città e che deve essere garantito a tutti i cittadini. Se questo è un traguardo ormai assodato e condiviso, ciò che rende sempre vivo il dibattito e la ricerca di strategie d intervento efficaci è l eterogeneità degli aspetti della vita sociale contemporanea che concorrono a definire i contenuti della sicurezza in ambito urbano. In Italia il concetto di sicurezza urbana ha trovato interpretazioni e definizioni essenzialmente di ordine sociologico e solo di recente di natura giuridica. Lunghe e approfondite riflessioni sul tema della in/sicurezza urbana hanno visti impegnati amministratori locali, studiosi La multidimensionalità della sicurezza urbana sollecita le responsabilità locali La sicurezza urbana: un bene pubblico da tutelare (prevalentemente sociologi, criminologi e architetti), operatori della sicurezza e operatori sociali in Italia e in Europa. È certo che quando si parla di sicurezza si fa riferimento a un articolato complesso di fattori che sollecitano la responsabilità delle autorità locali nella promozione della coesione sociale, nella riduzione delle ineguaglianze urbane, nello sviluppo di un ambiente costruito attento alla qualità urbana e di un uso dello spazio pubblico inclusivo e costruttivo, nonché nella promozione di un presidio attento e rigoroso del rispetto delle regole che governano la vivibilità della città. Saranno qui ripercorse le principali tappe di questa riflessione che ha intrecciato ragionamenti intorno a cause e profili dell in/sicurezza vissuta e denunciata dai cittadini, con analisi e proposte in merito alle politiche 3

12 pubbliche su cui far leva per dare risposte. Il dibattito su quali siano i livelli di competenza politico-amministrativa più idonei per far fronte alle diverse dimensioni che compongono il tema sicurezza urbana non è ancora totalmente concluso, ma certamente oggi è condivisa le necessità che ci sia il concorso e la collaborazione di più soggetti istituzionali per contribuire a costruire le migliori condizioni di sicurezza dei cittadini a livello locale. 2 Gli anni 90: l emersione del ruolo dei sindaci La nascita del tema sicurezza urbana In Italia si è cominciato a parlare di sicurezza urbana nella prima metà degli anni novanta, quando i conflitti legati alla condivisione di spazi e luoghi di vita tra vecchi e nuovi abitanti in alcuni quartieri storici, particolarmente degradati, delle grandi città sono stati declinati all interno del paradigma della minaccia alla sicurezza dei cittadini. Nel 1993 a Genova nel centro storico si scatena la rivolta degli abitanti verso gli immigrati che lì si erano stabiliti; per tre giorni si organizzano ronde e proteste per riconquistare il territorio. Due anni dopo, nel 1995, anche il quartiere di San Salvario a Torino diventa uno dei simboli dell emergenza relativa alla sicurezza urbana, in seguito alle proteste degli abitanti per la presenza di immigrati e la Le proteste degli abitanti e l attenzione alla micro-criminalità diffusione della criminalità di strada e di disordine urbano. È l epoca in cui nascono in molte città i comitati spontanei, gruppi auto-organizzati di abitanti che si mobilitano per denunciare le condizioni di degrado dei propri quartieri e che pretendono dalle autorità locali la rimozione delle minacce alla sicurezza delle persone. Si tratta in sostanza dell emersione di una protesta che si organizza principalmente in quartieri già fortemente degradati sul piano fisico e ambientale, dove l arrivo consistente di nuovi abitanti stranieri contribuisce ad esasperare le già fragili condizioni di vita e dove i fenomeni di illegalità cosiddetta di strada (soprattutto spaccio di sostanze stupefacenti e prostituzione) cominciano a dare forma alla definizione del concetto di sicurezza urbana. Sono gli anni in cui si comincia a riflettere sull impatto della cosiddetta micro-criminalità, dopo aver a lungo riflettuto e dibattuto, in Italia, intorno alla cosiddetta macro-criminalità (criminalità organizzata, corruzione, ecc.). Il discorso sulla sicurezza urbana diventa rapidamente centrale nella 4

13 narrazione mediatica e nel dibattito politico. La questione sicurezza urbana si profila fin da subito come un contenitore più complesso rispetto alla sola questione della criminalità diffusa; è un tema dai contorni non esattamente definibili, che contiene molte dimensioni di natura diversa (degrado fisico dell ambiente costruito dei quartieri, difficoltà delle condizioni di coabitazione e di incontro tra gruppi etnici o generazionali diversi, presenza di criminalità di strada e diffusione di comportamenti cosiddetti antisociali, per citare i principali). Ulteriore elemento caratterizzante questa questione è l aspetto delle percezioni e dei vissuti degli abitanti; nel discorso che si è sviluppato intorno alla sicurezza urbana è stata data dignità di dimensione di cui devono tenere conto le politiche pubbliche anche al sentimento di insicurezza, a seguito del fallimento dell approccio positivista che provava a rispondere al problema dimostrando che la realtà concreta del fenomeno non giustificava l allarme 2. Le condizioni di sicurezza urbana si definiscono anche sulla base di come e quanto gli abitanti di un quartiere e/o di una città si sentono sicuri e non minacciati nei loro contesti di vita. Questo ha significato per la politica pubblica doversi fare carico anche di una attenta comunicazione capace prima di tutto di ascoltare e poi di studiare soluzioni e progetti che svolgessero anche (ma non solo) una funzione rassicurante. Troppo spesso, tuttavia, il limite dell azione pubblica è stato quello di lanciare messaggi e proporre misure dalla esclusiva funzione rassicurante senza agire sulla struttura dei fenomeni, innescando così processi poco virtuosi di escalation verso soluzioni ad effetto ma nella sostanza poco efficaci. Questa pluralità di fattori che ha portato gradualmente a tracciare i contorni del discorso sulla sicurezza urbana ha spinto i cittadini a chiedere interventi La domanda di sicurezza si rivolge al primo cittadino e risposte al loro interlocutore istituzionale più prossimo, il Sindaco. Non è questa la sede per analizzare quale sia stato l effetto e quale la causa, ma certamente l emersione della domanda di sicurezza da parte dei cittadini e la pressoché contemporanea introduzione dell elezione diretta del Sindaco (in base alla legge n. 81 del 1993) ha fatto sì che tale domanda sia stata rivolta prevalentemente al primo cittadino. È stato detto che la crescente domanda di sicurezza urbana può paradossalmente essere letta come indicatore di un maggiore desiderio di città (Amendola, 2010), come richiesta di vivere appieno le opportunità offerte dal proprio contesto urbano e non deve essere vista necessariamente solo come sintomo di paura e di condizioni d invivibilità del territorio. Il fatto che il Sindaco sia stato, e sia ancora oggi, il 5

14 principale destinatario di questa richiesta significa quindi che i cittadini chiedono e pretendono condizioni di fruibilità del territorio urbano che consentano a tutti (donne, bambini, giovani, anziani) di coglierne tutte le opportunità, ma significa anche che è maturata la consapevolezza che una sicurezza così intesa non poteva essere garantita I fenomeni su cui agire: degrado, conflitti nello spazio pubblico, inciviltà, devianza esclusivamente dalla funzione di garante del controllo e dell ordine pubblico attribuita allo Stato. Infatti, intervenire sul degrado urbano, creare le condizioni di utilizzo virtuoso dello spazio pubblico da parte di gruppi diversi, siano essi etnici o anagrafici, agire sui comportamenti cosiddetti antisociali (schiamazzi, maleducazione, aggressività) che non rappresentano tuttavia condotte penalmente rilevanti, prevenire la concentrazione abitativa di situazioni socialmente critiche o governare fenomeni come, per esempio, la movida sono compiti propri di chi amministra le città; si tratta tuttavia di fenomeni che sono fortemente condizionati anche da scelte operate a livello nazionale (basti pensare al tema del governo dei fenomeni migratori e alle politiche ad essi connesse) o dalla gestione in ambito locale di fenomeni la cui competenza appartiene ad altri livelli istituzionali (si pensi, per esempio, al controllo e repressione di fenomeni di criminalità particolarmente visibili in strada come lo spaccio di stupefacenti). Le iniziative degli anni 90: l avvio della cooperazione istituzionale A metà degli anni novanta, quindi, i sindaci delle medie e grandi città italiane cominciano a rivendicare un ruolo più diretto nel governo della sicurezza delle città, chiedendo in particolare di poter discutere e concorrere a definire le strategie d intervento con le Prefetture, i livelli locali preposti al controllo dell ordine pubblico. Nel 1994, prima in Italia, la Regione Emilia-Romagna avvia il Programma Città Sicure 3 con il compito di affrontare il tema del ruolo di una Regione nel promuovere politiche di sicurezza a livello locale. Da questo progetto, I Sindaci chiedono di svolgere un ruolo più diretto nel governo della sicurezza urbana guidato da un comitato scientifico 4, si svilupperà un ricco dibattito nazionale sul ruolo delle città e, più in generale, degli Enti locali nel governo della sicurezza urbana, sui livelli e le modalità di cooperazione tra i diversi enti istituzionali (in particolare con gli organismi di competenza statale). Nel 1996, poi, nasce a Roma il Forum Italiano per la Sicurezza Urbana 6

15 (FISU), sezione italiana del Forum Europeo. Si tratta di una rete di città, regioni e province italiane avente come obiettivo quello di promuovere strategie e nuove politiche per la sicurezza in ambito urbano. Il Forum ha rappresentato, nel panorama italiano, una sede di confronto, riflessione, scambio di competenze e pratiche di indubbio valore che ha fatto crescere consapevolezza presso gli amministratori locali in merito all analisi dei fenomeni, all elaborazione di strategie di intervento e al proprio ruolo e spazio nella gestione del problema securitario a livello locale. Nel 1998 prende avvio la stagione dei Protocolli d Intesa con la stipula del primo di questi tra il Comune e la Prefettura di Modena (firmato il 2 febbraio 1998), alla presenza del Ministro dell Interno. Il Protocollo di Modena ha per oggetto la realizzazione di iniziative coordinate per rispondere alla crescente domanda di sicurezza A Modena nasce la cooperazione tra Enti locali e Stato dei cittadini. I contenuti di questo protocollo sono importanti perché tematizzeranno la discussione intorno alle competenze in materia di sicurezza urbana a livello nazionale negli anni successivi. Merita qui riportarne gli assunti in premessa: î il diritto alla sicurezza deve essere garantito non solo rispetto alla malavita organizzata ma anche rispetto ai fenomeni di criminalità individuale e diffusa; î la competenza in materia di ordine e sicurezza pubblica e di contrasto alla criminalità appartiene allo Stato che la esercita attraverso il Prefetto, quale autorità provinciale di pubblica sicurezza, che a sua volta si avvale del Comitato per l Ordine e la Sicurezza Pubblica 5 ; î è compito dell amministrazione comunale rappresentare le istanze di sicurezza dei cittadini che vivono sul proprio territorio e assumere tutte le iniziative di prevenzione sociale per la vivibilità e la qualificazione dei luoghi che possono concorrere ad attenuare e circoscrivere i fenomeni di disagio sociale. I contenuti della collaborazione tra città e Stato previsti dal Protocollo riguardano: a. il perseguimento di una sempre maggiore collaborazione tra le Forze dell Ordine e il Corpo di Polizia Municipale, attraverso una razionale ridistribuzione sul territorio dei rispettivi organici; b. l elaborazione di un rapporto annuale sullo stato della sicurezza pubblica; c. l analisi congiunta delle fenomenologie emergenti; d. il progetto del vigile di quartiere; e. le iniziative per la sicurezza e la vivibilità del territorio; 7

16 f. le iniziative per favorire l integrazione dei residenti stranieri. Il Protocollo di Modena rappresenta una tappa essenziale nell evoluzione Inizia la stagione dei Protocolli d Intesa tra Enti locali e Stato della riflessione su quali debbano essere i campi di azione delle amministrazioni locali per il governo della sicurezza urbana e quale invece sia il ruolo dello Stato, attraverso il comparto delle Forze dell Ordine coordinato dalle Prefetture. Nel biennio si sottoscriveranno in Italia oltre 60 protocolli, tutti sostanzialmente ispirati dall impianto del primo e molto simili tra loro. Se da un lato questa è un epoca importante e significativa per lo sviluppo della collaborazione e cooperazione tra Stato e Enti Locali nella progettazione e attuazione delle politiche di sicurezza a livello locale, dall altro essa tradisce, come osservato da Braccesi (2000), un obiettivo più politico che operativo, essendo che molti protocolli non hanno avuto attuazione concreta e i contenuti sono stati delegati all attività dei Comitati Provinciali per l Ordine e la Sicurezza Pubblica appena riformati. Le innovazioni normative del biennio L esperienza dei protocolli tra città e Prefettura ha stimolato l introduzione, in questa fase, di importanti innovazioni normative che hanno posto le basi giuridiche della cooperazione tra i diversi enti istituzionali per il governo della sicurezza urbana. Si comincia con il D.Lgs. n. 279/99 "Disposizioni integrative del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in materia di composizione e funzionamento del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica" che, nell ottica di un maggiore coinvolgimento degli amministratori locali quali soggetti delle politiche di sicurezza pubblica, ha previsto che il Comitato, La riforma del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica sempre presieduto dal Prefetto, sia composto dal Questore, dal Sindaco del Comune capoluogo, dal Presidente della Provincia, dai Comandanti provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, nonché dai Sindaci degli altri Comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispetti ambiti territoriali. È stata inoltre introdotta la previsione secondo la quale la convocazione è in ogni caso disposta quando lo richiede il Sindaco del Comune capoluogo di provincia per la trattazione di questioni attinenti alla sicurezza della comunità locale o per la prevenzione di tensioni o conflitti sociali che possono comportare turbamenti dell ordine o della sicurezza pubblica in ambito comunale (art. 1 co.2 D.lgs. 279/99). Questa riforma del Comitato provinciale, attualmente ancora vigente, 8

17 testimonia il recepimento a livello normativo della maggiore attenzione alle esigenze locali della sicurezza, e avvia un modello di interventi fondato sul coordinamento tra i diversi soggetti, nonostante siano rimaste immutate le competenze dei singoli enti. Come è stato osservato (Braccesi, 2004, p. 265) questa riforma sancisce sul piano legislativo nazionale quanto già si era realizzato con i protocolli: la fine del monopolio statale sul governo della sicurezza urbana e l inizio di una competizione tra autorità dello stato e autorità locali volta a ridefinire ruoli e responsabilità di ciascuno. Successivamente, nel settembre 2000, viene emanato un Decreto che costituirà la base per numerose intese inter-istituzionali che hanno visto coinvolti diversi livelli di governo che progressivamente si sono posti l obiettivo di mettere a disposizione dei propri territori strumenti di sostegno alle politiche e agli interventi integrati per la sicurezza nei contesti locali. Il D.P.C.M. del 12 settembre 2000, all art. 7 Collaborazione tra Stato, Regioni e enti locali dispone che: 1. Lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali collaborano in via permanente, nell ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, al perseguimento di condizioni ottimali di sicurezza delle città e del territorio extraurbano e di tutela dei diritti di sicurezza dei cittadini, nonché per la realizzazione di specifici progetti di ammodernamento e La cornice normativa per definire condizioni e contenuti della collaborazione interistituzionale potenziamento tecnico-logistico delle strutture e dei servizi di polizia amministrativa regionale e locale, nonché dei servizi integrativi di sicurezza e di tutela sociale, agli interventi di riduzione dei danni, all'educazione alla convivenza nel rispetto della legalità. 2. Ferme restando le disposizioni dell art. 9, comma 2, lettera a) del decreto legislativo del 28 agosto 1997, n.281, la Conferenza unificata di cui all articolo 8 del predetto decreto legislativo promuove, sentito il Ministro dell Interno e su sua proposta, uno o più accordi tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane per lo svolgimento in forma coordinata delle attività di rispettiva competenza volte al perseguimento delle finalità del presente articolo. 3. Il Ministro dell Interno, nell ambito delle sue attribuzioni, promuove le attività occorrenti per incrementare la reciproca collaborazione fra gli organi dello Stato, le regioni, le Amministrazioni locali in materia, anche attraverso la stipula di protocolli d intesa o accordi per conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle condizioni di sicurezza delle città e del territorio extra-urbano. 4. Oltre a quanto previsto al comma 3, il Ministro dell Interno, a richiesta 9

18 delle Regioni e degli Enti locali interessati, presta attività di supporto per lo svolgimento dei compiti trasferiti, nonché attività di consulenza, anche con la partecipazione dei responsabili degli uffici delle prefetture e delle questure già competenti alla trattazione delle materia trasferite, per assicurare la funzionalità del servizio sotto il profilo organizzativo. Anche Regioni e Province, su impulso di una crescente pressione mediatica e dell opinione pubblica, si sono attivate per porre in essere attività in grado Si attivano Regioni e Province di svolgere un ruolo di dialogo e coordinamento con lo Stato che si caratterizzasse come servizio alle realtà amministrative più piccole; tipicamente queste attività sono consistite in analisi e indagini sui fenomeni e sulla loro incidenza territoriale, in supporto all avvio di progetti a contenuto tecnologico e nella formazione degli operatori. A livello regionale, la prima esperienza risale al 2000, quando la Giunta regionale dell Emilia-Romagna ha siglato con la Presidenza del Consiglio una Intesa Istituzionale di Programma concretizzatasi in un Accordo in materia di sicurezza urbana siglato l anno successivo. I principali terreni di collaborazione disciplinati da tale accordo sono: î i sistemi informativi (da intendersi come scambio e condivisione dei dati relativi ai fenomeni di cui i diversi livelli istituzionali sono competenti: lo Stato fornisce i dati relativi alle denunce dei reati, il sistema delle polizie locali della regione fornisce dati e informazioni su disagio e disordine urbano) al fine di rendere più ricca e completa la lettura dei fenomeni che determinano le condizioni di sicurezza delle diverse zone della regione; î la messa a punto di sale operative congiunte e coordinate tra Forze di Polizia e i Corpi di polizia locale; î la formazione e l aggiornamento professionale congiunto tra i corpi nazionali e locali; î la promozione e realizzazione, con il concorso finanziario della Regione, di progetti pilota volti al miglioramento di problemi di sicurezza o finalizzati alla valutazione dell impatto in termini di sicurezza di grandi interventi infrastrutturali. Negli anni successivi, altre regioni sigleranno con il Governo nazionale accordi analoghi (vedi per esempio la Regione Toscana, il Friuli Venezia Giulia, il Veneto). Sempre nello stesso anno, la legge 78/2000 trasforma l Arma dei Carabinieri in quarta forza armata e nella seconda polizia nazionale a competenza generale. Ciò che è interessante qui sottolineare, a proposito di questa riforma, è che mentre lo Stato stava procedendo (con i provvedimenti e le iniziative negoziali citati, ma anche con la riforma 10

19 Bassanini che, come si vedrà, ha provveduto a definire la polizia amministrativa come competenza autonoma regionale e locale) a delineare i tratti di un Le contraddizioni del nascente modello di modello di governo della sicurezza e dell ordine pubblico coordinato dallo Stato, ma aperto al concorso di nuovi contributi istituzionali - consapevole che il tema della sicurezza nelle città non potesse esaurirsi in una mera azione di controllo del territorio -, allo stesso tempo provvedeva a creare e rafforzare un ulteriore corpo di polizia nazionale che si è andato a sommare agli altri quattro 6 corpi già esistenti. In modo un po contraddittorio, è stato confermato un modello di sicurezza fondato sulla centralità delle funzioni di ordine e sicurezza pubblica di interesse nazionale, sulla pluralità delle forze di polizia nazionali, su un organizzazione centralizzata e gerarchica delle responsabilità e delle risorse destinate alla sicurezza (Braccesi, 2004, p. 266). * Ripartizione delle competenze tra Stato e Enti locali in materia di sicurezza Significative innovazioni alla materia delle competenze degli Enti locali nell ambito della sicurezza pubblica sono state introdotte dal decentramento amministrativo progressivamente realizzato dalla legge 15 marzo 1997, n.59 la cosiddetta Legge Bassanini e dal successivo d.lgs. 31 marzo 1998, n.112. Con questi provvedimenti si è attuato il trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni, e da esse agli Enti locali. In particolare l art. 1, comma 3, lettera l) della l. 59/97, nel disporre la delega al Governo a conferire funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali, ha escluso che tale delega potesse avere ad oggetto le materie riconducibili all ordine pubblico e alla sicurezza pubblica. Il d. lgs. 112/98, adottato in attuazione della precedente delega, al Titolo V (artt ) ha ad oggetto le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia polizia amministrativa regionale e locale. In particolare, i due commi che compongono l art.159 del d.lgs. 112/98 sono di rilevante importanza in quanto definiscono le differenze tra le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla polizia amministrativa regionale e locale e quelli relativi all ordine pubblico e alla sicurezza pubblica. Le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla polizia amministrativa regionale e locale concernono misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica. 11

20 E invece, le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all ordine pubblico e alla sicurezza pubblica concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 290 del 2001 sostiene che la nozione di sicurezza pubblica e ordine pubblico adottata in questo provvedimento non sia difforme dal significato ad esso attribuito tradizionalmente dalla giurisprudenza della Corte stessa (cfr. Corte Costituzionale n.14/1956). Viene in sostanza confermata la riserva allo Stato dei compiti di mantenimento dell ordine pubblico e della sicurezza pubblica, compiti primariamente diretti a tutelare beni fondamentali, quali l integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l esistenza stessa dell ordinamento. Nella sentenza citata, la Corte Costituzionale afferma che è dunque in questo senso che deve essere interpretata la locuzione interessi pubblici primari utilizzata nell art.159, comma 2: non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile. Una siffatta precisazione è necessaria ad impedire che una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le attività che vanificherebbero ogni ripartizione di compiti tra autorità statali di polizia e autonomie locali. La riserva allo Stato della competenza legislativa in materia di ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale viene confermata dall art.117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3. Con la sentenza n. 407 del 2002, la Corte ha osservato come questa disposizione riproduca pressoché integralmente l art. 1, comma 3, lettera l) della legge 59/97 e che induce ad una interpretazione restrittiva della nozione di sicurezza pubblica. La sicurezza pubblica, secondo un tradizionale indirizzo della Corte stessa, è da configurare quindi come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell ordine pubblico. In seguito è stata adottata un interpretazione maggiormente estensiva; con la sentenza n. 21 del 2010, la Corte ha sostenuto che la sicurezza di cui si tratta all art.117, secondo comma, lettera h) della Costituzione non si esaurisce nell adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei reati, ma comprende la tutela dell interesse generale alla incolumità delle persone, e quindi la salvaguardia di un bene che abbisogna di una regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale. 12

21 : Le riforme e la collaborazione tra enti Le prime iniziative di collaborazione inter-istituzionale La prima metà degli anni 2000 rappresenta una stagione del dibattito e delle iniziative in materia di sicurezza urbana particolarmente intensa, tanto in termini di provvedimenti normativi (statali e regionali) quanto in termini di iniziative negoziali e di sperimentazione di modalità operative d intervento. È stato un periodo anche di intenso dibattito a livello nazionale e locale, ricco di iniziative di tipo culturale e scientifico e di sperimentazione di modalità di approccio al tema fortemente influenzate da esperienze straniere europee (si pensi alla mediazione, agli interventi per le vittime, alle modalità partecipative di presidio del territorio sul modello anglosassone, ecc.). Sono anche gli anni in cui in Italia molti decisori politici - certamente in maggior numero rispetto agli studiosi che insistevano nel richiamare l attenzione sugli effetti collaterali di tale strategia (Wacquant, 2006) hanno subito il fascino dell approccio della zero tolerance adottata dal Sindaco Giuliani di New York. * L amministrazione Giuliani a New York L amministrazione Giuliani a New York, nella prima metà degli anni 90, aveva assunto come parola d ordine e principio guida la qualità della vita (quality of life initiative). La lotta simultanea agli spacciatori di crack, ai borseggiatori e ai venditori ambulanti è stata spiegata da Giuliani ai newyorkesi come un attacco a tutti gli elementi che ostacolano il diritto a vivere liberamente e senza preoccupazioni la Grande Mela. In questa fase, quella della cosiddetta battaglia di riconquista degli spazi pubblici, hanno assunto un valore emblematico gli ambulanti cacciati dalle strade di Manhattan - del cui panorama costituivano un tratto distintivo, dal Village sino ai gradini del Metropolitan Museum nel Golden Mile dell Upper East Side - e i lavavetri. L obiettivo dichiarato del sindaco era di restituire le strade di New York ai cittadini ripulendole dalle presenze pericolose, minacciose ed ansiogene. Nella prima fase non si parlava di tolleranza zero ma piuttosto di order maintenance policing e, soprattutto, di quality of life, qualità della vita. Il problema è stato che si è fatto di tutta un erba un fascio, per cui insieme ai borseggiatori e agli spacciatori di droga sono stati cacciati dalle strade della città, tra gli applausi dei commercianti, anche i venditori ambulanti. E inoltre, presentandolo come uno strumento per contrastare le street gangs giovanili per riconquistare la città, la polizia di New York è stata autorizzata di fatto ad agire, senza troppi complimenti, contro qualsiasi assembramento anche di cinque persone per disperderlo. Dalla Quality of Life Initiative alla Zero Tolerance Option il passo è stato breve. Il resto è noto. (Amendola, 2010b, p. XXIV) 13

22 Nonostante la ricchezza di iniziative, normative e non, la collaborazione tra Stato ed enti locali in materia di sicurezza ha faticato a prendere una forma definitiva e strutturata. Si sono certamente affermate forme innovative di cooperazione iter-istituzionale e nuove progettualità, senza però che si giungesse ad un quadro normativo definitivo disciplinante l oggetto, le modalità e i settori della collaborazione tra enti in questa materia. Le principali forme di cooperazione sono state: î i protocolli d intesa sottoscritti da Prefetto e Sindaco con l obiettivo di sperimentare nuove modalità di cooperazione tra soggetti e istituzioni al fine di realizzare iniziative coordinate per un governo locale della sicurezza. Tra il 1998 e il 2003 in Italia si sperimentano circa 124 protocolli di cooperazione inter-istituzionale promossi a livello locale. I protocolli, pur con il limite cui si è fatto cenno di non aver in I primi strumenti di concreta cooperazione tra diversi livelli di governo delle nuove politiche di sicurezza molti casi avuto un intensa vita operativa, hanno svolto senz altro la funzione di consolidare il quadro dei soggetti chiamati ad attivare forme di collaborazione per la sicurezza locale, a definire i reciproci campi d intervento (le politiche sociali, di rigenerazione urbana per i Comuni, la messa a disposizione di dati e know-how da parte delle Prefetture e del comparto dell ordine pubblico), nonché i terreni di cooperazione (controllo del territorio congiunto da parte delle forze dell ordine e delle polizia locali, analisi e studio delle condizioni di sicurezza locali); î le intese istituzionali di programma o i protocolli d intesa tra Regioni e Stato hanno dato in genere attuazione a disposizioni previste nelle stesse leggi regionali in materia di politiche integrate di sicurezza, leggi che trovano particolare sviluppo proprio in questo periodo. Nascono prevalentemente per iniziativa delle Regioni con l obiettivo di sostenere il sistema dei propri Enti locali nel promuovere maggiore integrazione istituzionale e operativa in materia di sicurezza tra città, Province, Regione e istituzioni dello Stato responsabili dell ordine e della sicurezza pubblica nel territorio regionale; î il progetto Poliziotto e Carabiniere di quartiere avviato nel 2003 da parte del Ministero dell Interno. Il progetto assegna al poliziotto e al carabiniere di quartiere il ruolo di trait d union sul territorio, vicino alle persone con l obiettivo di capirne e prevenire le insicurezze. Si tratta di un nuovo servizio integrativo del dispositivo per il controllo del territorio, volto ad effettuare un monitoraggio conoscitivo dell ambiente più penetrante e costante, e si affianca al controllo fisico sviluppato dagli altri moduli operativi già in atto (volanti, pattuglie motomontate, a cavallo, camper ed altri) (Ministero dell Interno, 2005, p. 68). La visione del concetto di sicurezza che 14

23 ha ispirato tale progetto è quella di (vd. capitolo 2) ben oltre l aspettativa della collettività di non rimanere vittima di un fatto-reato, ma inteso come fattore strettamente collegato alla qualità della vita e come insieme di condizioni che disciplinano la vita quotidiana (Ministero dell Interno, 2005, p. 65). Dopo una prima fase sperimentale del progetto, nel 2003 esso è stato esteso a tutti i capoluoghi di provincia italiani. A questa innovazione nell approccio del presidio del territorio si è affiancata anche la pratica della maggior interazione tra forze di polizia nazionali e polizie locali con la diffusione in molte città delle pattuglie interforze. Sulla scorta delle numerose esperienze di forme di collaborazione istituzionale di questo tipo, con una crescente funzione riconosciuta agli Enti locali nel promuovere politiche locali di sicurezza urbana, emerge il tema del ruolo che le polizie municipali svolgono all interno di queste nuove politiche di sicurezza. Molti degli accordi tra Regioni e Ministero dell'interno prevedono progetti per la formazione congiunta delle forze di polizia, nazionali e locali, in modo da facilitare una condivisione di filosofia di approccio, un chiarimento sui reciproci ambiti di intervento e sui terreni di collaborazione. È stato sottolineato come la qualificazione della polizia locale diventi, in questo stesso periodo, sempre più spesso parte integrante del discorso sullo sviluppo di nuove politiche di governo della sicurezza (Braccesi, 2004, p. 268). Nel 2003, inoltre, matura il terreno per una proposta di legge nazionale dal La prima proposta di legge nazionale per il coordinamento tra Stato e Enti Locali titolo Disposizioni per il coordinamento in materia di sicurezza pubblica e polizia amministrativa locale, e per la realizzazione di politiche integrate per la sicurezza" formulata dai principali organismi nazionali di rappresentanza degli enti territoriali (la Conferenza dei presidenti di Regione e di Provincia autonoma, il Consiglio Nazionale dell Associazione dei comuni italiani e l Unione delle Province italiane). Essa nasce dalla riforma del Titolo V della Costituzione (artt. 117 e 118) ad opera della L. Cost. 18 ottobre 2001, n.3 che, come illustrato nel box di approfondimento, ha trasferito alle Regioni alcune funzioni e compiti e ne ha riservati allo Stato altri nelle materie della polizia amministrativa locale e della sicurezza pubblica e ha previsto una legge nazionale di coordinamento; la proposta di legge si pone l obiettivo di fare un ulteriore passo in avanti, definendo le forme del coordinamento tra questi diversi livelli di governo. 15

24 * La cooperazione possibile tra Stato, Regioni e Enti locali L art.118, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, dispone che la legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alla lettera h) del secondo comma dell art.117 Cost. In seguito, la legge 131/2003, all art. 10, comma 2, lettera c) assegna al rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie la promozione dell attuazione delle intese e del coordinamento tra Stato e Regione, previsti da leggi statali nelle materie indicate dall art.118, terzo comma, Cost. Nella sentenza n.134 del 2004 la Corte Costituzionale non esclude che si possano sviluppare auspicabili forme di collaborazione tra apparati statali, regionali e degli enti locali volti a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio, sulla falsariga di quanto ad esempio prevede il D.P.C.M. 12 settembre 2000, il cui art. 7, comma 3, in relazione al comma 1, dispone che il Ministro dell'interno promuove le attività occorrenti per incrementare la reciproca collaborazione fra gli organi dello Stato, le regioni in tema di sicurezza delle città e del territorio extraurbano e di tutela dei diritti di sicurezza dei cittadini. Ma le forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle regioni, nemmeno nell'esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati. Si evince che anche la Corte Costituzionale accoglie la necessità e l utilità di forme di collaborazione e cooperazione tra i diversi livelli di governo per garantire la sicurezza delle città, che come abbiamo visto richiede interventi su molti livelli delle politiche pubbliche e che non si esaurisce con la questione dell ordine pubblico, sottolineando però che tale processo non può essere avviato in modo unilaterale, ma solo sulla base di norme statali che lo prevedano o come esito di un accordo tra tutti gli enti interessati. Un ulteriore precisazione in materia di collaborazione tra Stato e autonomie locali proviene dalla sentenza n.105 del 2006 della Corte Costituzionale che afferma che nella prospettiva di una completa ed articolata attuazione del principio di leale collaborazione tra istituzioni regionali e locali ed istituzioni statali non può escludersi che l'ordinamento statale persegua opportune forme di coordinamento tra Stato ed enti territoriali in materia di ordine e sicurezza pubblica (v. sentenza n. 55 del 2001), volte, evidentemente, a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio, auspicabili e suscettibili di trovare il loro fondamento anche in accordi fra gli enti interessati, oltre che nella legislazione statale (v. sentenza n. 134 del 2004): auspicio, questo, che necessariamente presuppone la possibilità, in capo all'ente locale, di apprezzamento - attraverso l'attività di rilevazione, di studio e di ricerca 16

25 applicata - delle situazioni concrete e storiche riguardanti la sicurezza sul territorio regionale, alla luce delle peculiarità dei dati e delle condizioni che esso offre. In sostanza con questa sentenza la Corte dichiara costituzionalmente legittime le attività di studio e analisi condotte dalle Regioni sulle condizioni di sicurezza dei propri territori, in quanto tali attività nulla hanno a che fare con i contenuti della sicurezza pubblica riservata allo Stato; la rilevazione, lo studio e la ricerca applicata sulla sicurezza del territorio costituiscono piuttosto il presupposto conoscitivo necessario all Ente locale per aderire e dar vita a forme di collaborazione negoziata con gli altri enti statali che abbiano per obiettivo il miglioramento delle condizioni di sicurezza dei cittadini (Servizio Studi del Senato, 2010). Il primo pacchetto sicurezza e le leggi regionali Questo periodo, inoltre, è segnato dall emanazione del cosiddetto primo pacchetto sicurezza, la legge 128 del 2001 Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini. Si tratta del primo provvedimento di iniziativa governativa che prevede un insieme di misure che intendono rispondere al crescente allarme Si modificano i reati di furto in abitazione e furto con strappo sociale per lo stato della sicurezza nelle città italiane. Il provvedimento introduce un significativo inasprimento del regime sanzionatorio e definisce il furto in abitazione e quello con strappo (il cosiddetto scippo) figure autonome di reato, prima erano semplicemente aggravanti del delitto di furto. Inoltre, l art. 17, comma 1, prevede che il Ministro dell Interno impartisca e aggiorni annualmente le direttive per la realizzazione, a livello provinciale e nei maggiori centri urbani, di piani coordinati di controllo del territorio da attuare a cura dei competenti uffici della Polizia di Stato e comandi dell Arma dei Carabinieri e, per i servizi pertinenti alle attività d istituto, del Corpo della Guardia di Finanza, con la partecipazione di contingenti dei corpi o servizi di Polizia Municipale, previa richiesta al sindaco, o nell ambito di specifiche intese inter-istituzionali, prevedendo anche l istituzione di presìdi mobili di quartiere nei maggiori centri urbani, nonché il potenziamento e il coordinamento, anche mediante idonee tecnologie (ad esempio impianti di videosorveglianza), dei servizi di soccorso pubblico e pronto intervento per la sicurezza dei cittadini. Infine, questa è stata la stagione dell adozione di leggi regionali per la promozione di politiche integrate di sicurezza. Per prima si muove nel 1999 la Regione Emilia-Romagna, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione (2001). Nei successivi dieci anni quasi tutte le regioni italiane si sono dotate di una legge sulla sicurezza. Alcune di queste vengono adottate 17

26 in parallelo a leggi regionali già esistenti in materia di polizia locale 7, altre disciplinano congiuntamente politiche di sicurezza e polizie locali. Molte di queste leggi fanno riferimento all istituzione di un sistema integrato di sicurezza nel quale convergono interventi in settori di competenza prevalentemente locale, quali la riqualificazione delle aree urbane degradate, la prevenzione di situazioni di disagio sociale, in particolare giovanile, la mediazione dei conflitti sociali e Molte leggi regionali promuovono sistemi integrati di sicurezza culturali, azioni di supporto al controllo del territorio (utilizzo di strumenti tecnologici e polizia locale di prossimità), l educazione alla legalità, l assistenza alle vittime di reato. È stato osservato che poiché la sicurezza è indicata in quasi tutte le leggi regionali come un bene comune, essenziale per uno sviluppo ordinato e durevole della convivenza civile si può osservare che non siamo in presenza di una materia vera e propria ma piuttosto di fronte ad un interesse che attraversa trasversalmente buona parte delle materie di competenza regionale. In altri termini, non è una materia nuova o autonoma, rispetto a quelle già previste dall art.117 Cost., ma la sicurezza rappresenta un fine, un obiettivo, che si ottiene attraverso una confluenza di materie che ricadono nella competenza legislativa, concorrente o propria, delle regioni, fermo restando, naturalmente il limite della potestà esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, ai sensi dell art.117 Cost, comma 2, lett. h), da intendersi come attività di prevenzione dei reati e mantenimento dell ordine pubblico (Musumeci, 2009, p.4). Le norme regionali si pongono al servizio dei propri territori, sostenendone e stimolandone la progettualità innovativa (con modalità diverse, quasi tutte le leggi regionali prevedono il finanziamento di interventi a scala locale) e riservando alla regia regionale quelle attività di supporto cognitivo (osservatori, analisi dello stato della sicurezza territoriale), operativo (formazione delle polizie locali, promozione della formazione congiunta con le altre forze di polizia nazionali) o istituzionale (promozione di accordi interistituzionali) realizzabili con maggiore efficacia a livello sovra-locale. Le leggi regionali in materia di Abruzzo L.R. 2 agosto 1997, n Ordinamento della polizia locale L.R. 12 novembre 2004, n.40 - Interventi regionali per promuovere l educazione alla legalità e per garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini 18

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