Culture indigene di pace

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1 Culture indigene di pace Torino 2012 Materiali Indice Luciana Percovich Genevieve Vaughan Bernedette Muthien Heide Goettner-Abendroth Mario Bolognese Daniela Degan Alberto Castagnola Iole Natoli Peggy Reeves Sanday Francesca Rosati Freeman Russell Means Diarmuid O Murchu 0

2 Luciana Percovich Culture indigene di pace Noi, oggi. Abbiamo tutte e tutti bisogno di ritrovare il senso di connessione, della relazione che ci tiene insieme, tra umani, animali, piante e rocce. Un bisogno proprio della materia vivente e insieme profondamente umano, che il pensiero della trascendenza, sia filosofica che religiosa, ha spezzato dentro ciascuna/o di noi. E l auto-consapevolezza, la coscienza, sviluppata dalla specie umana (il mito di creazione giapponese di Fusji, per esempio, narra come fu la prima donna del mondo che portò la coscienza della loro esistenza a quanti vivevano sulla terra, governando dall alto della sua montagna di fuoco.), che ha posto fin dagli inizi di ogni cultura una domanda di senso al nostro esistere, sia come individui che come specie. Questo bisogno, che si presenta contemporaneamente come domanda di senso e di connessione, quando non ascoltato, esplode in alienazione e violenza. Gli ultimi 5000 anni di storia del pianeta lo mostrano ampiamente. Abbiamo tutte e tutti bisogno di ritrovare (nel senso di elaborare insieme, ancora una volta, un sentire culturalmente condiviso e adeguato all attuale fase della storia dell umanit{) la bellezza, la gioia e l integrit{ dei nostri corpi e dei nostri sentimenti nella relazione con i nostri simili e con l ambiente che ci sostiene. Per fare ciò dobbiamo riscoprire il senso del sacro nelle nostre azioni quotidiane e nei nostri corpi-mente. Corpi sessuati, al femminile e al maschile. E per sacro intendo la consapevolezza e l intenzione di partecipare al processo della creazione in ogni momento e con ogni scelta della nostra vita. Abbiamo bisogno, di fronte alla mancanza di spessore delle nostre esistenze ridotte sempre di più al ruolo di consumatori/clienti di un presente divorante, di conoscere le nostre radici, quelle che ci tengono ancorate/i alla terra e all anima, radici che affondano nella continuit{ temporale con l umanit{ vissuta prima di noi e con quella che verrà dopo di noi e nella contiguità geografica con i popoli che abitano altri luoghi del pianeta. Essere senza radici equivale a essere come fiori recisi posti in un contenitore artificiale qual è la nostra civilt{ contemporanea, e rende breve l esistenza, degli individui come della specie. Che più aumenta di numero più appassisce rapidamente, man mano che le ultime forme di civiltà diverse dalla nostra vengono contagiate e inglobate nello stereotipo del consumatore di merci di ogni tipo e senza qualità e sostanza. Intrappolate/i in questo contenitore artificiale e privi della coscienza di esserlo, abbiamo guardato la storia del passato e delle civilt{ altre dalla nostra con la convinzione che la storia dell umanit{ si sia mossa da un passato indistinto ai magnifici esiti tecnologici del presente, seguendo un ideale linea retta chiamata Sviluppo delle Civilt{. Secondo questa visione, l Uomo ha via via creato modelli di aggregazione sempre migliori, da quelli piccoli come la famiglia a quelli spropositatamente grandi come le entità multi o sovra nazionali, auto-organizzandosi secondo una naturale struttura gerarchica, spietata e immodificabile, quasi fosse la forma iscritta nelle cellule della materia vivente. Anche il mondo animale e vegetale, o quello delle molecole che costituiscono i mattoni della vita, si è tentato a lungo di leggerli come funzionanti in base a questa unica legge universale. Modello unico di 1

3 civiltà, modello unico di funzionamento del pensiero, modello unico di leggi fisiche e biologiche. Universale. Questo letale presupposto implicito della civilt{ occidentale, sviluppatosi a partire dall invenzione dei sistemi filosofici greci e potenziato dall invenzione del sistema religioso monoteista, e mai messo in discussione fino in fondo da grandi numeri di teste pensanti anche se minoranze cognitive sono sempre esistite all interno di ogni cultura dominante - tenta ostinatamente da qualche millennio di non vedere, minimizzare, cancellare, espellere, ridicolizzare ogni altra forma di espressione di sistemi di civiltà. Sistemi complessi, sopravissuti nella misura in cui riuscivano a sfuggire alla distruzione portata dal dilagare del virus dell universalismo androcentrico, che possiamo cominciare a studiare cogliendone non solo l esistenza ma l intelligenza. Con il nome di Culture Indigene di Pace intendiamo riferirci a queste, evidenziandone l aspetto più antagonista di pace appunto - alla nostra civiltà basata sul dominio e sulla guerra, come soluzione dei conflitti e motore economico di fondo. Le Culture Indigene di Pace. Che si tratti di grandi culture, nonostante siano piccoli i numeri delle persone che le esprimono, tuttavia non è ancora per niente scontato. Che beni materiali hanno prodotto? Chi comanda? Già queste due sole domande, centrali nei sistemi di dominio androcratici, non trovano una risposta semplice e immediata, confermando agli occhi degli scettici il dubbio che siano davvero evoluti quelli che le praticano. Che siano indigene è intuitivamente più facile da comprendere, poiché si tratta di gruppi o talvolta di popoli etichettati come minoranze, sopravvissute in enclaves o ai margini della civiltà occidentale bianca. Minoranze che sono spesso di colore, che ancora si vestono a modo loro, che vivono in povert{, a basso livello tecnologico e non sono quotate in borsa; per lo più vengono considerate luoghi buoni da sfruttare magari per passarci qualche giorno di vacanza, in luoghi remoti lontani dalle rotte più praticate: in questo modo attualmente sono diventate più che mai a rischio per questo nuovo abito che il colonialismo ha indossato, dopo le armi e la conversione forzata, ossia il turismo di massa. Che siano di pace è invece una stranezza: come faranno a risolvere i conflitti tra gruppi/interessi diversi e/o tra individui senza l uso delle armi? E quando le si guarda più da vicino, una stranezza ancora maggiore diventa evidente: le donne in queste culture hanno un ruolo centrale, sono potenti e autorevoli, e fin dalla notte dei tempi si può tracciare il filo che connette le antenate mitiche alle antenate/nonne di oggi in carne ed ossa. Dunque si tratta di Matriarcati, come gi{ nell 800 balzò evidente!! Che orrore, che aberrazione agli occhi dei maschi alfa e delle loro femmine! Perché si sa che le Matriarche sono femmine tiranne, una sorta di fenomeni da circo come le donne cannone e le femmine barbute; e che gli uomini, se c è una Matriarca, vivono imprigionati e diventano creature succubi, evirati, grotteschi. Così la tentazione di lasciar perdere si riaffaccia: non c è bisogno di soffermarsi oltre a cercare di vedere come veramente funzionano, queste culture indigene di pace di stampo matrifocale, e come hanno fatto a passare indenni o quasi attraverso secoli di trabocchetti e tentativi di acculturazione. E se poi, oltre che esercitare il potere temporale nella famiglia e nella più ampia comunit{ sociale, le donne sono (o sono state) anche venerate come Dee (è il caso delle grandi civiltà del passato prepatriarcale, dove le donne erano sacerdotesse, medici, conoscevano la scrittura e favorivano le invenzioni, le abilità artigianali e artistiche), beh, allora i fantasmi mostruosamente potenti di divoramento e di schiavitù entrano in campo e bloccano la mente. Guai sommare la potenza delle forze naturali a quelle femminili umane! 2

4 Paradossalmente, forse è stato proprio questo orrore delle civiltà dominanti che ha contribuito involontariamente a preservarle, qua e là a varie latitudini, isolate le une dalle altre, sospettose dello sguardo esterno. Ma queste enclaves non dovrebbero essere considerate come bizzarrie geografiche, sarebbe più corretto vedere in esse sopravvivenze di un sistema di parentele, di organizzazione sociale e di immaginario religioso attraverso cui è passata tutta l umanit{ prima di affacciarsi alla Storia. I Matriarcati. Vale la pena a questo punto ricordare lo studioso che per antonomasia si associa alla parola Matriarcato, J. Bachofen che, nel pieno del secolo positivista ed evoluzionista, ne riconobbe l esistenza ma le interpretò con gli strumenti concettuali della sua cultura. Secondo Bachofen, infatti, la fase storica del matriarcato rappresenta un periodo di transizione da un epoca precedente totalmente sregolata, primitiva e promiscua per quanto riguarda sesso e parentele, cui attribuisce il merito di inventare la Legge (il Diritto Materno) e destinata tuttavia a cedere il posto al patriarcato, che rappresenta nella storia dell evoluzione umana la Nascita della Civilt{, ispirata ai superiori principi uranici, che segnarono l abbandono dell Oscurit{, l uscita dal primordiale Abisso caotico dell Origine. L attuale linea d interpretazione delle culture matriarcali, sia del lontano passato che del presente, di cui la filosofa tedesca H. G. Abendroth è la più nota esponente, sostiene invece la lettura del matriarcato come all Inizio (archè) le Madri, un epoca di ineguagliato equilibrio sociale e di polarit{ non ancora in opposizione ma in armonica relazione (femmina e maschio, umano e naturale, ecc.). Sono stati organizzati alcuni convegni Internazionali di studi sui matriarcati, il primo nel Lussemburgo nel 2000, il secondo nel Texas, nel 2005, un terzo più recentemente a San Gallo, in Svizzera, cui hanno partecipato oltre che studiose e studiosi occidentali anche esponenti di alcune comunità matriarcali o matrifocali tuttora esistenti nei vari continenti. E grandi sono state la loro sorpresa e commozione nello scoprire l esistenza reciproca fino a quel punto ignorata. Uno degli studi più esaustivi sulle societ{ matriarcali è quello condotto dall antropologa statunitense Peggy Reeves Sanday tra gli anni 80 e 90 in una delle più grosse comunit{ matriarcali contemporanee, quella del popolo indonesiano dei Minangkabau (tre milioni di abitanti in un paese a ordinamento politico occidentale e di religione islamica). Francesca Rosati Freeman invece da sette anni si occupa dei Moso, conosciuti anche come Na, con una ricerca ancora in corso. Tra le ospiti di questo convegno avremo anche due rappresentanti di questa cultura di circa persone che vivono nella Cina orientale, ai confine con il Tibet. Come funziona una società matrilocale. Come si vive in un contesto familiare e sociale di stampo matrifocale/matriarcale? Le società matriarcali, matrifocali o matrilineari hanno alla loro base dei clan o famiglie allargate il cui centro è l'anziana della famiglia. Il culto delle antenate/i fornisce il lignaggio attraverso cui vengono tramandate e passate le appartenenze di parentela insieme con le conoscenze pratiche e simboliche che rendono possibile e stabile l organizzazione della vita dentro e fuori la famiglia. Generalmente a questo tipo di organizzazione sociale corrisponde una condivisione o a volte una rotazione dei beni primari, come la terra, i campi, i boschi e l acqua; i mezzi di produzione e/o le competenze tecniche proprie di ciascun clan vengono usati tenendo sempre in vista il mantenimento di un armonica distribuzione della ricchezza. I grandi vantaggi di queste società, sinteticamente espressi e prendendo a paragone il nostro presente, consistono nel fatto che le figlie non sono costrette ad abbandonare la propria famiglia d origine, non esistono problemi di gravidanze indesiderate, di figli illegittimi, di depressione post-partum perché bimbi e bimbe sono sempre bene accetti all interno del clan e 3

5 l'allevamento viene fatto oltre che dalle madri dalle sorelle e dalle nonne. Gli anziani sono curati e godono di grande rispetto. I maschi hanno prevalentemente il ruolo di ponte con l'esterno e la figura maschile per i bambini non è rappresentata dal padre biologico ma dai fratelli della madre. Presso alcune culture, l uomo si reca nella casa della sua amata di notte (visiting husband)per tornare di giorno ai suoi ruoli ben riconosciuti nel proprio clan materno. Quelle che oggi ci troviamo davanti, sono società che hanno dovuto man mano modificare qualcosa nei propri stili di vita, e gli aggiustamenti sono stati molteplici e diversi, ma quello che non è cambiato è il senso spiccato della comunità, sempre guidato dallo sforzo di evitare il crearsi di disuguaglianze troppo pericolose tra i vari clan. Quando sorgono delle contese, vengono affrontate attraverso la discussione e il raggiungimento di compromessi che non lascino mai una parte del tutto insoddisfatta: la soluzione trovata deve essere vantaggiosa per tutta la comunità e non solo fra gli individui o le famiglie che entrano in conflitto. L economia è prevalentemente agricola e le armi non rientrano nelle produzioni locali. Gli episodi di violenza sono estremamente sporadici e sono affrontati facendo appello alla mediazione e alla saggezza di una persona pubblicamente ritenuta tale. Dunque, in queste culture sembra ben vivo quel senso di connessione e di gioia nelle relazioni di cui dicevo all inizio. Le società matrifocali del passato. Nel passato remoto, ogni luogo della terra ha conosciuto una lunga, lunghissima fase matrifocale prima di essere travolto dal patriarcato, che ha inaugurato concezioni diametralmente opposte quali la propriet{ privata, uno spiccato senso di individualismo, lo sviluppo abnorme dell aggressività e dell ego di ogni maschio, destinato a diventare una macchina da guerra per esercitare il dominio o mettersi al servizio del suo signore/padrone e scaricare la sua aggressivit{ sul nemico, all interno di un orizzonte economico e sociale basato sulla competizione e sullo sfruttamento, della terra come delle persone. E il bene primario, la donna che genera figli, è stata strappata e isolata dal cerchio delle donne del clan per finire, sola e priva delle sue radici e del suo lignaggio familiare di conoscenze pratiche e simboliche, a produrre figli per la discendenza maschile, portando solo il nome del padre. Tracce di civilt{ matrifocali le troviamo nell Europa Antica e in tutto il bacino del Mediterraneo, prima dell arrivo dei popoli cosiddetti indo-europei, nell India pre-vedica ma non ha molto senso continuare con un elenco di luoghi geografici, dato che queste tracce sono presenti nei miti e nei culti religiosi in tutti i continenti. Piuttosto può essere utile un indicazione temporale: il sopraggiungere dell Et{ del Ferro, in datazioni diverse a seconda dei popoli, segna ovunque la fine di queste civilt{. Il movimento del progresso. Le culture di pace giunte fino a noi, così come le remote civiltà del neolitico ci mostrano forme di aggregazione millenarie che non hanno distrutto né l ambiente né la mente, né i corpi né le anime delle persone. E sono in grado di mettere in moto una rottura nelle nostre capacità di visione, di progettazione, di rappresentazione simbolica. Di sostenere le lotte e le speranze delle ragazze e dei ragazzi che si stanno affacciando alla storia con la loro indignazione e che dovranno riparare ciò che le civiltà androcratiche hanno seriamente danneggiato, in primis la capacità di osare immaginare futuri possibili. Insieme co-creiamo la vita. Il sogno è il lievito delle nostre azioni. Per sognare creativamente occorre abbattere le barriere delle certezze uni-versali. Tra cui lì idea di progresso, che va ridefinita, come anche il movimento per la Decrescita ha da tempo iniziato a fare. Il movimento che ci porta avanti, se non è malato di paure e rimozioni, non è lineare ma a spirale: si va avanti e poi si torna sui propri passi per osservare gli effetti prodotti dalle proprie azioni e correggere ciò che si è intoppato o trascurato o non previsto. Gli effetti secondari della crescita 4

6 e dello sviluppo uni-direzionale e in-curante stanno bloccando proprio la possibilità di andare avanti. Tornando sui propri passi si coglie ciò che ogni cambiamento produce, si ripensa e rimodula il progetto tenendo conto di chi o che cosa ha subito un danno, e nel fare ciò si recupera l energia e lo slancio propri del movimento a spirale, che è la principale modalità di movimento e di configurazione nel cosmo intero, dalle galassie al dna. Le società egualitarie, le culture indigene di pace hanno sviluppato e praticato nel corso del tempo vari ed efficaci meccanismi di controllo e autoregolazione, basati sulle parentele, sulle alleanze, sulle regole e sui divieti condivisi, su immaginari condivisi, mettendo in atto strategie di compensazione e reciprocità. Che producono quello che potremmo definire un alto standard etico, che non ha bisogno del timore della retribuzione divina come meccanismo di controllo e contenimento, invenzione resasi necessaria dopo aver spezzato l Ordine delle Madri. Che ha al suo fondamento la consapevolezza che non si sfugge alle leggi del piano fisico, che non lo si può combattere o alterare all infinito, ma piuttosto assecondare armonizzandolo con i propri scopi. Sicché potremmo definire la fase patriarcale proprio come un tentativo, furioso e mal riuscito, di sfuggire alle regole di funzionamento della materia visibile e invisibile. Il bisogno di elaborare insieme, ancora una volta, un sentire culturalmente condiviso e adeguato all attuale fase della storia dell umanit{ non può eludere lo sforzo consapevole di vivere in sintonia con queste regole se intende modulare una nuova musica cosmica, come nel mito di creazione coreano di Mago, onorando il potere creativo di ciascuna e ciascuno nell interazione collettiva: Mago affidò la Musica cosmica femminile alle quattro nipoti femmine e la Musica cosmica maschile ai quattro nipoti maschi le quattro coppie furono posizionate ai quattro angoli del Paradiso di Mago. Ed esse costruirono i flauti e composero (nuova) musica. Sul sito Luciana Percovich cura la voce MitoReligioni 5

7 Genevieve Vaughan L economia del dono. Oggi nel mondo coesistono due paradigmi economici di base, logicamente contraddittori ma anche complementari. Uno è visibile, l'altro invisibile; uno fortemente valutato, l'altro sottovalutato. L'uno è connesso agli uomini, l'altro alle donne. Quello che dobbiamo fare è dare valore a quello connesso alle donne per causare uno spostamento fondamentale dei valori con cui gestiamo le nostre vite e le nostre politiche. Il mio primo approccio all'idea del dono, come principio economico di base e come principio di vita, è stato quando lavoravo sul linguaggio e la comunicazione. Più tardi, come femminista, ho capito che il mio lavoro domestico gratuito e il mio lavoro di madre nel crescere i figli era in effetti un dono, e che le donne di tutto il mondo lo praticavano. L'attuale sistema economico, che dicono sia naturale e troppo diffuso per poterlo cambiare, si basa su una semplice operazione a cui gli individui partecipano a più livelli e in momenti diversi. Questa operazione è lo scambio, che si può descrivere come un dare per ricevere. La motivazione alla base dello scambio è orientata all'egoismo, poiché ciò che è dato ritorna sotto altra forma al donatore per soddisfare i suoi bisogni: soddisfare i bisogni di un'altra/o è un mezzo per soddisfare il proprio bisogno. Lo scambio impone l'identificazione delle cose scambiate, come pure la loro misurazione e la dichiarazione della loro equivalenza fino a soddisfare gli scambiatori nella misura in cui nessuno dà più di ciò che riceve. Quindi lo scambio richiede più visibilità; attrae attenzione, sebbene sia operato tanto spesso che la sua visibilità è diventata luogo comune. Il denaro entra nello scambio a prendere il posto dei prodotti e ne riflette la loro valutazione quantitativa. Quella che sembrerebbe una semplice interazione umana, lo scambio, dato che viene operata così spesso, diventa una sorta di archetipo o calamita per altre interazioni umane, rendendo se stesso e qualsiasi cosa gli assomigli apparentemente normale, mentre tutto il resto è follia. Per esempio, si parla di scambio di amore, conversazioni, sguardi, favori, idee. Ma esiste anche un diverso tipo di similitudine dello scambio alla definizione linguistica: la definizione opera una mediazione definendo se un concetto appartiene o meno ad una determinata categoria, così come mediante la monetizzazione di una determinata attività se ne definisce l'appartenenza alla categoria lavoro o meno. La stessa visibilità dello scambio è auto-affermativa, mentre altri tipi di interazione sono rese invisibili o inferiori per contrasto o per descrizione negativa. Ciò che è invisibile sembra essere senza valore, mentre ciò che è visibile viene identificato con lo scambio che verte intorno ad un certo tipo di valore quantitativo. Inoltre, dato che viene asserita un'equivalenza tra ciò che diamo e ciò che riceviamo, sembra che chiunque possiede di più abbia prodotto tanto o dato tanto ed è, quindi, in qualche modo, più di quelli che possiedono meno. Lo scambio mette al primo posto l'io e gli permette di crescere e svilupparsi in modi che enfatizzano comportamenti competitivi ("prima io") e pattern gerarchici. Questo io non è una parte intrinseca dell'essere umano ma un prodotto sociale che deriva dal tipo di interazioni umane a cui è connesso. Il paradigma alternativo, che è nascosto o quantomeno mal identificato è quello della cura per l'altro (nurturing), ed è orientato verso l'altro (other-oriented). Esso continua ad esistere perché si 6

8 basa sulla natura degli infanti che sono dipendenti ed incapaci di ripagare il donatore. Se i loro bisogni non vengono soddisfatti unilateralmente essi soffriranno e moriranno. La società ha allocato il ruolo di curatrici alle donne poiché noi gli diamo vita e abbiamo il latte per nutrirli. Poiché una grande percentuale di donne si prende cura dei bambini piccoli, esse vengono dirette ad avere un'esperienza che va al di là dello scambio. Ciò stabilisce un orientamento all'interesse verso l'altra persona. I premi e le punizioni coinvolti in questa relazione hanno a che fare con il benessere dell'altro. La nostra soddisfazione ci viene dalla loro crescita e felicità, non solo dalla nostra. Nel migliore dei casi, ciò non comporta nemmeno il nostro impoverimento o esaurimento. Dove c'è abbastanza noi possiamo nutrire gli altri abbondantemente. Il problema è che di solito siamo in presenza di scarsità di risorse, la quale viene creata artificialmente dal sistema per poter mantenere il controllo, così che l'orientamento verso l'altro diventa difficile e ci esaurisce. Di fatto lo scambio impone uno stato di scarsità, perché se i bisogni sono abbondantemente soddisfatti nessuno è costretto a rinunciare a qualcosa per poter ricevere ciò di cui ha bisogno. Si dice che attualmente la terra produca abbastanza risorse per nutrire tutti abbondantemente. Tuttavia ciò non può essere fatto sulla base del paradigma dello scambio. Ma è vero che neanche il paradigma dello scambio e l'egoismo che esso sostiene possono continuare in una situazione di abbondanza e libero dono. Ecco perché è stata creata la scarsità a livello mondiale con le spese per gli armamenti ed altro spreco di risorse: 17 miliardi di dollari darebbero da mangiare all'intera popolazione della terra per un anno, mentre nel mondo sprechiamo questa somma ogni settimana per spese militari, creando così la scarsità necessaria perché possa sopravvivere e convalidarsi il paradigma dello scambio. Ma se noi identifichiamo il paradigma del dono con il modo di essere della donna, vediamo che esso è già diffuso, poiché le donne costituiscono la maggioranza della popolazione. Anche molti uomini in qualche misura praticano il paradigma del dono. Nelle economie non capitalistiche, come le economie indigene, si trovano spesso importanti pratiche di dono e varie ed importanti leadership femminili. Per esempio, io credo che molti dei conflitti tra donne e uomini che sembrano differenze personali, in realtà siano differenze nel paradigma che noi stiamo usando come base del nostro comportamento. Le donne criticano il grande ego degli uomini e gli uomini dicono alle donne che sono irrealistiche e troppo generose. Ognuno cerca di convincere l'altro a seguire i propri valori. Di recente molte donne hanno cominciato a seguire il paradigma dello scambio, cosa che ha il vantaggio immediato di liberarle dalla bieca servitù economica ed anche il vantaggio psicologico che è dato dalla monetizzazione che definisce la loro come un'attività di valore. Però la servitù stessa è causata dal paradigma dello scambio. Quando le persone passano da un paradigma all'altro, c'è probabilmente una rimanenza del paradigma precedente, così che le donne che intraprendono lo scambio spesso mantengono le caratteristiche di cura mentre gli uomini che cominciano a praticare il dono rimangono più orientati all'egoismo. Questo lo ritrovo nel caso delle religioni, nelle quali è l'uomo a legiferare sull'orientamento verso l'altro, spesso seguendo il paradigma dello scambio, ed escludendo e squalificando le donne. Infatti, essi fanno apparire l'altruismo così santo che diventa impraticabile per i più ( mentre ignorano che esso è spesso la norma per le donne). È come la sindrome della madonna-puttana in cui la donna è sopravvalutata o sottovalutata, adorata o disprezzata. L'altruismo viene fatto sembrare fuori dalla nostra portata, e spesso sembra che comporti un sacrificio di sé (per via della scarsità che induce l'economia dello 7

9 scambio), oppure viene visto come uno spreco; le religioni patriarcali fanno la carità in cambio dell'anima. Il dono che viene dall' grande iodello scambio non funziona, come si può vedere al livello degli aiuti tra nazioni. Ci sono obblighi imposti dalle nazioni donatrici che depauperizzano le nazioni riceventi. Un altro aspetto del conflitto tra paradigmi è che il lavoro domestico o altro lavoro non-monetizzato di donne viene visto come inferiore o come non-lavoro; valorizzarlo sovverte il paradigma dello scambio. Forse il lavoro delle donne viene pagato di meno per mantenerle in uno stato di dono depauperato. Ciò che occorre fare non è di pagare di più il lavoro alle donne, ma di cambiare totalmente i valori, con la consequente squalifica della monetizzazione e dello scambio. Ma in che modo un paradigma non-competitivo e di cura può competere con un paradigma competitivo? Esso è sempre svantaggiato perché la competizione non è un suo valore né la sua motivazione. Tuttavia è difficile non competere senza perdere, convalidando così l'istanza dell'altro. Un altro grande problema è che se la pratica di soddisfare un bisogno è gratis, non si dovrebbe ricorrere ad un suo riconoscimento. Ma proprio non richiedendone riconoscenza, le stesse donne rimangono inconsapevoli del fatto che le caratteristiche delle loro azioni e dei loro valori appartengono ad un paradigma. chiaro che il paradigma orientato all'ego è pernicioso. Il suo risultato è il potere dei pochi ed il depauperamento, l'esaurimento, la morte e l'invisibilità dei più. Dato che l'ego è un prodotto sociale, in qualche modo artificiale, esso deve essere continuamente ricreato e confermato. Ciò può essere fatto anche attraverso la violenza contro l'altro, inclusa la violenza sessuale. Chiunque sia nella posizione dell'altro viene ignorato, negato, escluso e degradato per confermare la superiorità e l'identità degli ego dominanti. Vorrei evitare qualsiasi discorso morale su questo punto (infatti, io vedo il senso di colpa come scambio interiorizzato, di chi si prepara a ripagare per lo sbaglio commesso) e vedere semplicemente i problemi come conseguenze logiche e psicologiche dei paradigmi. La vendetta e la giustizia impongono una resa dei conti. Ma noi abbiamo bisogno di cura e gentilezza. Quando troviamo che l'85 per cento di carcerati sono stati vittime di abusi da bambini, dobbiamo capire che la vera questione non e' la giustizia. Come la carità, anche la giustizia rende umano lo scambio solo abbastanza da non farlo cambiare. Abbiamo bisogno di un mondo basato sul dare e a favore del dono non della retribuzione. Sul sito è possibile trovare una ricca documentazione su questo tema. 8

10 Bernedette Muthuen Jean Burgess La voce di due donne indigene che si battono per ripristinare la cultura di origine pre-coloniale di una società dove uomini e donne vivono in equilibrio tra di loro e con l ambiente circostante. REMATRATION The term Rematriation seems to have its origins in Psychology and Creativity (especially in the UK). The more recent adoption of Rematriation by Indigenous Americans and Africans is used entirely differently as a Rematriation of ancestral remains, spirituality, culture, knowledge and natural and other resources, instd of the more Patriarchally associated Repatriation. In simpler terms, merely meaning back to Mother Earth, a return to our origins, a return to life and co-creation, rather than Patriarchal destruction and colonisation, a reclamation of germination instead of semination. As a restorative imperative, it is most relevant to feminists in general, since we, like Native peoples, need to reclaim our Feminist ancestry, our feminist spirituality, our feminist culture/s, knowledge and control over natural and other resources. We need to chart paths, strategic interventions, dreams and realities that are not mere alternatives to HeteroPatriarchalCapitalisms, but entirely reconfigure our cosmos, Rematriate our societies. The Indigenous concept of Rematriation refers to reclaiming of ancestral remains, spirituality, culture, knowledge and resources, instead of the more Patriarchally associated Repatriation. It simply means back to Mother Earth, a return to our origins, to life and co-creation, rather than Patriarchal destruction and colonisation, a reclamation of germination, of giving birth. Rematriation is not utopian, since the number of gender egalitarian and/or matriarchal societies that still exist today, despite centuries of patriarchal encroachments and colonisation, remains powerful testimony of the values of ancient sacred mother-centred and women-centred spiritual communities, across all continents, from the Akan of Ghana and Khoe-San of Southern Africa, to the Minangkabau of Indonesia, the Mosuo and Lahu of China and the Khasi of India; to the Iroquois of North America and the Kuna of Panama, to the Saami of Scandinavia. KHOE = HUMAN (PEOPLE) = SAN KhoeSan = collective (& unifying) noun for diverse indigenous peoples A people (and person) belonging to (and of) other people 9

11 Pan-African Ubuntu (Archbishop Desmond Tutu) or KhoeSan Khoe!na : o o o o people s identities rooted in their communities I am because I belong rather than the Descartian I think therefore I am indigenous identities as human rather than man-centred "When we look at women's contributions and approaches to development in Africa, we see that generally women are guided by teachings deriving from what I would call a "relational matriarchal principle" that sees us all as human beings and children of one mother, umunne. I believe this to be a general and basic African ethic of kinship. It can further be a non-racist and non-patriarchal basis for an alternative global citizenship in the struggle for human rights, social justice and an inclusive development. Ifi Amadiume (Nigeria/USA) o decolonising imperative of Rematriation I KhoeSan possono essere considerati come i più antichi abitanti dell Africa meridionale e, in connessione ai fossili trovati nel Florisbad (Orange Free State) si può fissare l origine a anni fa e considerarli insieme agli aborigeni australiani come i più antichi abitanti della terra. Attualmente gli ultimi gruppi sopravvissuti al genocidio vivono tra Botswana, Namibia, Tanzania e Sud africa. Hanno un economia di sussistenza fondata sulla raccolta e sulla caccia. La raccolta è svolta in special modo dalle donne che forniscono il 70 % del cibo necessario alla sopravvivenza mentre agli uomini spetta la caccia delle grandi prede. Si prendono anche cura dei bambini e a volte raccolgono mentre anche le donne cacciano anche se piccole prede. Presso i KhoeSan i ruoli non sono così fissi e definiti a priori mentre le donne partecipano attivamente alle decisioni del gruppo e la loro opinione è tenuta in alta considerazione. Una vera società fluida ed egualitaria, senza capi e senza gerarchie. Anche se il gruppo riconosce delle leader o dei leader, essi non godono di privilegi. Ogni bene viene spartito equamente all interno della comunità. Molto conosciuta e studiata è la loro danza di guarigione che viene svolta 2-3 volte alla settimana e dura tutta la notte. Durante la danza tutti i componenti del gruppo attivano uno stato di coscienza modificato attraverso cui stabiliscono un nuovo contatto con sé stessi e gli altri. In questo modo i KhoeSan curano le loro malattie. Le persone più dotate, dopo un lungo training in cui imparano a controllare stati di trance profondi, diventano guaritrici e guaritori effettivi, ma in virtù delle loro capacità non ottengono maggiori meriti. Estratti dalla presentazione di Rimatrizzare l amore: il dono dell ugualitarismo KhoeSan. 10

12 Heide Goettner-Abendroth Note sulla nascita e lo sviluppo del patriarcato Per capire come è nato e si è sviluppato il patriarcato, è innanzitutto necessario conoscere le società non-patriarcali o matriarcali dalle quali ha tratto le sue origini. Il secondo punto cruciale consiste nell evitare spiegazioni che prendano in considerazione una sola causa, cioè non cercare un unica ragione di questa trasformazione che ha agito a livello mondiale e che è avvenuta in un lasso di tempo lunghissimo. Si potr{ rispondere alla domanda Come è nato il patriarcato? solo se si prenderanno in considerazione tutti i passaggi delle molteplici cause che hanno contribuito al suo sviluppo. Durante il lungo periodo di transizione al patriarcato, in tempi diversi su continenti diversi, cause sempre nuove e diverse hanno generato molteplici cambiamenti. I patriarcati sono società di dominio, ed è un mito che siano universali. Si tratta solamente di un caposaldo dell ideologia patriarcale. Spiegare la nascita del patriarcato significa spiegare la nascita del dominio, e questo non è affatto un compito facile. Anzi, dato che i modelli di dominio dipendono da così tante condizioni correlate, dovettero passare lunghi periodi di tempo prima che questi sistemi di organizzazione sociale fossero inventati e perfezionati. Prendiamo in esame alcune teorie sulla nascita del patriarcato e valutiamole: le principali sono la scoperta della paternit{ biologica, l innovazione tecnologica; la pastorizia; la differenziazione sociale basata sulla divisione del lavoro e, ultima ma non meno rilevante, i difetti della personalità maschile. 1) Ci sarebbe molto da confutare nelle teorie che indicano la scoperta della paternità biologica quale causa del passaggio dal matriarcato al patriarcato. Affinché fosse riconosciuta la paternità e la genealogia patrilineare si sono dovute isolare le donne, metterle sotto chiave e obbligarle alla monogamia. Da un punto di vista storico, è successo abbastanza recentemente e solo sotto la pressione del dominio. Per affermare un sistema di riconoscimento della paternità si deve organizzare un gruppo coercitivo in grado di sopprimere e soggiogare la maggioranza delle persone. Tale processo comporta l usurpazione della cultura preesistente e la reinterpretazione dei concetti religiosi in modo da permettere a chi governa di produrre ideologia; si tratta di complesse strategie sociali indirizzate contro le donne. Quindi, perché ci fosse il riconoscimento della paternità, si è dovuto prima affermare il dominio. Inoltre, alcuni matriarcati concepiscono la paternit{ biologica, ma questa non è di alcuna rilevanza perché è eclissata dalla paternit{ sociale. Nelle societ{ matriarcali, il fratello della madre, lo zio materno, è il padre sociale dei suoi e delle sue nipoti, che condividono il suo nome del clan. In aggiunta, il patriarcato non si può essere sviluppato solo perché alcuni individui sono diventati consapevoli della loro paternità biologica, dato che, affinché diventi rilevante la paternità biologica, devono aver preso piede alcune precondizioni sociali della paternità patriarcale, come sottrarre le donne ai loro clan materni, confinarle con un solo marito e proibire loro di avere amanti. 2) Un argomento altrettanto debole è che l introduzione di una sola innovazione tecnica come l aratro, che richiede la forza fisica dell uomo, abbia condotto alla nascita del patriarcato. Le prove antropologiche mettono in evidenza che le donne nelle società matriarcali non sono affatto il sesso debole creato artificialmente dalla cultura. Oltretutto, in molte società matriarcali, gli uomini arano e fanno lavori pesanti senza per questo propendere per la scelta del patriarcato. Non 11

13 è assolutamente plausibile che una struttura sociale complessa come il matriarcato si sia potuta trasformare in un altrettanto complessa struttura sociale come il patriarcato semplicemente per l introduzione di una nuova tecnica lavorativa. E la stessa obiezione può essere fatta riguardo al fatto che l uso del cavallo e dell allevamento intensivo, arrivati con le belligeranti culture pastorizie, possano aver condotto alla nascita del patriarcato. Sebbene queste tesi abbiano incontrato il favore di molti studiosi, sono contraddette da una grande quantità di prove storiche e antropologiche. La società nomade basata sulla pastorizia deriva dalle società agricole matriarcali, che già da molto prima allevavano gli animali domestici. Si sviluppò in regioni troppo aride per permettere la coltivazione, ma ne rimase pesantemente dipendente, perché gli uomini hanno bisogno di cibarsi di verdure. In effetti, la stessa società nomade una volta aveva una struttura matriarcale che in alcuni casi è durata fino ai nostri giorni, come per esempio i Tuareg del Sahara centrale, che sono rimasti fino a poco tempo fa una società nomade basata sulla pastorizia. Aggredivano le tribù confinanti cavalcando cammelli e cavalli. Tuttavia, hanno preservato fino ai giorni nostri i modelli sociali del matriarcato dell et{ dell oro. Modelli simili sono ancora validi presso le popolazioni pastorizie della Siberia e della Mongolia. Nel caso del Tibet, la società nomade pastorizia ha vissuto al margine della società agricola matriarcale delle valli dei fiumi da cui dipendeva. Quindi né l allevamento intensivo né l uso del cavallo possono essere i motivi che hanno determinato la nascita del patriarcato, dato che non spiegano la nascita del dominio maschile. 3) C è anche la tesi secondo cui la propriet{ di grandi mandrie di bestiame abbia fornito la base al potere dei primi patriarcati. Ma nelle società egualitarie da cui si sono sviluppati i patriarcati non è possibile che si sia determinata un iniziale accumulazione di propriet{ nelle mani di pochi senza che vi fosse una strenua resistenza da parte degli altri membri. Prima devono essere stabiliti i modelli di dominio e aboliti i principi economici dell egualitarismo; in seguito, ma solo dopo, diventa possibile per qualcuno accumulare possedimenti privati su larga scala contro la volontà della maggioranza. 4) Improponibile è la tesi che, nel corso della storia, la divisione strutturata del lavoro e la differenziazione sociale che ne consegue abbiano potuto condurre al patriarcato. Ciò presuppone che le societ{ matriarcali dovessero essere più primitive, solo perché precedettero quelle patriarcali. La teoria dell evoluzione lineare dello sviluppo della storia della cultura umana è una pura finzione. Se fosse vera, oggi ci sarebbe la società più perfetta in assoluto! Da questo punto di vista, lo sviluppo della storia è distorto. Vengono omesse molte forme diverse di società, incluse quelle che, pur avendo generato varie competenze specializzate, si sono estinte. Inoltre, le società matriarcali del neolitico annoveravano i primi centri urbani caratterizzati da un alto livello di divisione del lavoro e differenziazione sociale. Non è stato trovato un così alto grado di cultura tra le orde patriarcali che le conquistarono. 5) A questo punto seguono poche ultime tesi discutibili. Una di queste è che gli uomini sono per natura aggressivi e cattivi, dimostrato dal fatto che sono stati loro a creare la società patriarcale della guerra e del dominio. Una tesi simile ipotizza che il matriarcato abbia messo a disagio gli uomini emarginandoli. Quindi si suppone che si siano rivoltati abbattendo il matriarcato e creando il patriarcato. Questa tesi presuppone che il sentire degli uomini matriarcali fosse lo stesso degli uomini patriarcali delle civiltà contemporanee. Nella nostra società, gli uomini sono propensi a pensare di essere marginali a meno che non siano al centro delle cure della madre, e che non 12

14 costituiscano il senso della vita delle donne e, in generale, il fulcro della società. Ma i sentimenti degli uomini matriarcali sono diversi, perché i modelli delle società matriarcali sono diversi. Non ci sono né prove storiche né etnologiche a sostegno di queste argomentazioni biologiche o psicologiche. Ci sono altri temi ben più rilevanti che ci indirizzano verso la soluzione del problema. L archeologa Marija Gimbutas ha recuperato molte testimonianze presenti nell area culturale dell Asia e dell Europa occidentali in un periodo che va dal 4500 al 2500 a.c.; due millenni caratterizzati da tre ondate migratorie di popoli indoeuropei, che avanzarono dalle steppe della Russia meridionale verso le culture matriarcali dell Europa dell est e, in seguito, fino alle zone centrali e occidentali dell Europa. Ne ha descritto le conseguenze per le civilt{ matriarcali dell Antica Europa, che furono completamente distrutte. Ma quando ebbe inizio tutto questo? Quali sono state le ragioni che hanno spinto i popoli indigeni dell Asia centrale e occidentale ad abbandonare le loro societ{ agricole organizzate in matriarcati per sopravvivere come pastori e allevatori di cavalli? E che cosa li ha indotti in seguito ad abbandonare le steppe della Russia meridionale per una catastrofica migrazione a lungo termine verso ovest? Secondo Marija Gimbutas, i popoli indoeuropei catturavano i cavalli e li addomesticavano, e fu così che trovarono una nuova fonte di cibo e quella mobilit{ che offrì loro l opportunit{ di accrescere le migrazioni. Tuttavia, nonostante le descrizioni molto ben documentate, basate sui ritrovamenti archeologici e la ricerca linguistica, Gimbutas non ci convince fino in fondo su come questa cultura nomade, guerrafondaia e organizzata in patriarcati si sviluppò veramente. La sua teoria principale recita: Il cavallo ha cambiato il corso della preistoria europea. (p. 354 in The Civilisation of the Goddess). Ma non ci spiega come è nato il patriarcato. Purtroppo Gimbutas abbraccia in maniera acritica la teoria di Engels che sostiene che la ricchezza proveniente dal bestiame avrebbe inevitabilmente portato con sé il patriarcato. Rimane ancora da indagare che cosa abbia indotto alcune popolazioni indigene dell Asia centrale e occidentale ad abbandonare la loro societ{ d origine, agricola e matriarcale, (comprovato da ritrovamenti archeologici che risalgono fino al 7000 a.c.) e trasformarsi in cacciatori e pastori nomadi che si basavano sull uso del cavallo. Dobbiamo indagare a fondo per rispondere. A questo punto, permettetemi di distinguere tra migrazione regolata e migrazione catastrofica : le migrazioni regolate sono, ad esempio, quelle intraprese dalle popolazioni neolitiche che seguirono i percorsi migratori degli animali che cacciavano. Altro esempio di migrazioni regolate sono state quelle dei popoli agricoli che nel neolitico si muovevano alla ricerca di un nuovo insediamento ogni qualvolta un villaggio o una città diventavano troppo grandi per il territorio coltivato che li circondava. Al contrario, le migrazioni catastrofiche sono causate da catastrofi naturali a largo raggio che non si manifestano necessariamente tutto d un colpo, ma che si trascinano lentamente con effetti devastanti. Tali catastrofi naturali sono la siccità, le inondazioni o le glaciazioni di immense aree territoriali probabilmente causate dallo slittamento dei poli magnetici della terra. Il geografo James DeMeo lo ha dimostrato con i suoi studi. A suo parere, i radicali cambiamenti climatici avvenuti nell Asia centrale e occidentale, e la conseguente migrazione per fame, determinarono un accelerazione della violenza sociale, delle guerre e lo sviluppo del patriarcato (vedi il libro Saharasia ). Questa teoria è molto interessante, in quando non si basa su speculazioni, ma su prove geografiche. Farei comunque una critica al modo troppo generalizzato con cui DeMeo applica la sua tesi. Il genere di patriarcalizzazione che si verificò nell Asia e nell Europa centrali fu sconosciuto 13

15 all America del Sud e del Nord, e non si ebbe nemmeno nell area del Pacifico. Ci sono state propulsioni diverse allo sviluppo del patriarcato, e sono processi su cui bisogna ancora indagare. Bisognerebbe anche spiegare perché, se veramente dipendono da cambiamenti catastrofici, l invenzione della violenza, della guerra e il patriarcato non si siano sviluppati prima. Nella lunga storia dell umanit{ (circa 6 milioni di anni) si sono verificate ripetutamente catastrofi su larga scala, per esempio nell era glaciale. Interi popoli e culture sono stati costretti da cataclismi a migrare di continuo o in alternativa, a morire. Ma tali sconvolgimenti non determinarono allora lo sviluppo del patriarcato. Possiamo procedere basandoci sui percorsi teoretici tracciati da Gimbutas e DeMeo, che sono di inestimabile valore per le ricerche su questo tema. Facendo riferimento alla mia ricerca interdisciplinare, espongo ora passo per passo lo scenario che potrebbe essersi verificato. Primo stadio. Ricerche geografiche come quelle di DeMeo dimostrano che intorno al a.c., o anche prima, l Asia centrale e occidentale fu soggetta a un cambiamento climatico, che trasformò vaste aree in steppe aride e deserti. Le catene montuose dell Asia centrale un tempo avevano molta più acqua e terre fertili che non oggi. Le pianure una volta erano ricche regioni agricole ed esistevano fiorenti citt{ agricole in quello che oggi è l arido deserto di Gobi. Ma circa sei o settemila anni fa, la fonte del nutrimento, la terra, si seccò letteralmente sotto i piedi delle popolazioni che vivevano lì: furono obbligate a migrare per sopravvivere.tali migrazioni, sebbene catastrofiche avvennero molto lentamente. E molto probabile che in ogni spostamento intrapreso verso terre arabili abbiano cercato di coltivare ogni nuova terra raggiunta, nel tentativo di far nascere un nuovo insediamento. Ma l espandersi delle steppe li raggiungeva di continuo. La lotta per la sopravvivenza in una terra che diventava sempre più inospitale, deve essere durata per generazioni e per secoli. Ma era senza speranza e alla lunga deve aver portato alla completa distruzione dell agricoltura matriarcale. Secondo stadio. In tempi difficili, gli esseri umani mostrano la tendenza a retrocedere da forme più avanzate a modalità più obsolete ma anche più semplici, e nella fattispecie in questo caso potrebbe essere successo proprio così. Quando non c era più terra da coltivare, questi popoli si videro costretti a ritornare a pratiche paleolitiche e divennero cacciatori-raccoglitori delle steppe. Se in un dato gruppo gli uomini, in qualit{ di cacciatori accidentali (dato che la caccia prima non c era nella loro cultura), riuscirono a nutrire tutta la popolazione grazie alla loro abilità venatoria, allora il ruolo di questi uomini sarebbe diventato importante. Questo tuttavia non aggiunge nulla sui modelli di dominio e sul patriarcato. In termini di sviluppo della storia, è molto più probabile che gli uomini non siano riusciti a nutrire tutti i membri dei loro clan. Quindi si sarebbero separati dalle donne, dai bambini e dai vecchi che rimasero indietro cercando di sopravvivere con le tecniche ereditate dall agricoltura e che probabilmente perirono. Le grandi strutture dei clan, tipiche dei matriarcati, non potevano essere mantenute in tali condizioni, e le strutture sociali si frantumarono. Gli uomini migrarono in caotiche orde di cacciatori verso est e verso sud. Interi popoli potrebbero essere migrati con le loro greggi, in groppa ai cavalli o su carri di buoi, per trovare la terra, la cosiddetta Terra Promessa, fertile e libera, dove, se fossero riusciti ad arrivarci, avrebbero potuto riorganizzare le loro culture tradizionali. Sicuramente domare il cavallo e usarlo come mezzo di trasporto giocò un ruolo importante in questo processo migratorio, ma non fu la sua causa scatenante. E, come per la caccia, per quanto il ruolo degli uomini divenisse sempre più importante in questo processo migratorio, solo con questo non si spiega lo sviluppo delle strutture patriarcali. 14

16 Terzo stadio. Anche dopo che si sviluppò una cultura pastorale nelle steppe del sud della Russia, i popoli indoeuropei continuarono a spostarsi a ovest. La sola spiegazione possibile è che nemmeno le steppe della Russia meridionale alla fine si rivelarono essere la Terra Promessa, visto che inaridivano anch esse. Così le popolazioni furono obbligate a continuare nel loro migrare catastrofico, con o senza il bestiame. Fu così che raggiunsero le culture urbane altamente evolute del Mar Nero, nell Europa dell Est e nell Asia settentrionale. Potrebbero aver guardato estasiati l abbondanza e la ricchezza di quei posti. Questa era davvero la Terra Promessa che avevano sempre desiderato. Ma naturalmente non era libera! Ora entra in gioco un altra causa determinante. Fino a quando erano esistite terre libere a sufficienza per assorbire le migrazioni catastrofiche della storia umana, la situazione non aveva richiesto drastici cambiamenti. Ad esempio, nel corso dell Era Glaciale, i popoli migrarono a sud e continuarono a praticare le loro colture tradizionali. Ma la storia cambiava per le popolazioni migratorie che ora non riuscivano a trovare abbastanza terra fertile libera che potesse assorbire il loro stanziamento. Perché proprio in questo periodo cruciale, circa nel 5000 a.c., l accresciuta densit{ di popolazione sulla terra aveva raggiunto livelli critici. Non c erano più terre fertili libere in cui potessero stanziarsi gli emigranti incalzati dall avanzare della desertificazione. Quarto stadio. Data la situazione, cosa dovevano fare i popoli migratori? Dovevano tornare indietro nelle steppe e nel deserto, prede della fame e della morte, o dovevano armarsi e questa volta contro gli umani invece che contro gli animali e prendere possesso di queste verdi terre già occupate? Nella lotta per la sopravvivenza, in questo difficile periodo, fu scelta la seconda possibilità: per la prima volta nella storia, spinti dall istinto di sopravvivenza, gli uomini fecero la guerra contro gli uomini. Quindi non è una forma specifica di cultura, come quella pastorizia del cavallo, che necessariamente propende per la brutalità e porta avanti la guerra, ma è piuttosto la necessità di sopravvivenza che determina un agire simile. Le pacifiche culture urbane non erano preparate a simili attacchi e così si ritrovarono a essere vittime inermi. Naturalmente è possibile che si sia verificato anche un certo livello di immigrazione pacifica e una specie di coesistenza. Ma con ondate successive di popoli sradicati che arrivavano e si stanziavano nelle regioni fertili, c era ben poca speranza di arrivare a una soluzione in cui ci fosse abbastanza per tutti e la possibilità della pace. Fu inventata la guerra. Quinto stadio. In molti casi i villaggi e le città invasi furono semplicemente saccheggiati e bruciati. Ma questa non è la soluzione ideale perché ci si lascia dietro solo terra desolata. Una soluzione molto più strategica era conquistare la regione, e così si sviluppò una nuova struttura: l invenzione delle classi. Il piccolo gruppo di governanti che apparteneva a un popolo straniero divenne la classe dominante con l esercizio della pura violenza e il grande gruppo di gente indigena vinta, costretto ora a lavorare per i capi, costituì il ceto basso. A questo punto, e solo allora, iniziò il patriarcato, dato che era stata inventata la prima struttura di dominio. Contemporaneamente ebbe origine la coscienza patriarcale, che celebrò la violenza e il dominio. Si basa su due assiomi: Ogni potere deriva dalle armi e La guerra è il padre di tutte le cose. Sesto stadio. Ma gli indigeni, in numero più alto e in relazione gli uni con gli altri, non avrebbero tollerato a lungo un simile giogo se il gruppo dominante di re-guerrieri non avesse sviluppato ulteriori tecniche di dominio. Inoltre, gli usurpatori avanzavano diritti sullo sviluppo della cultura che avevano assoggettato, affermando che prima del loro arrivo non era esistita nessuna cultura e insistendo sul fatto che erano stati loro a condurre il popolo da uno stato di bruta ottusità a una cultura illuminata. Questa è la base dell ideologia patriarcale. 15

17 E chiaro che solo re-guerrieri con la capacità di sviluppare simili tecniche di dominio avrebbero potuto mantenere il comando. Gli altri sarebbero stati assimilati o espulsi. Punto centrale dello sviluppo del dominio fu la discriminazione verso le donne. Nei matriarcati, le donne erano sempre state i capisaldi della cultura. Ora che i loro clan matriarcali erano stati distrutti, furono stuprate e relegate, in quanto individui deboli, nei clan patriarcali, isolate dalla vita sociale e private dei loro bambini già grandi, fino a che diventarono meri animali da riproduzione da tenere in cattivit{. Ecco cosa è stata l invenzione della paternità e della genealogia patriarcale: il consolidamento della vittoria sulle donne e sulla società matriarcale Tratto dall intervento presentato al II Congresso Mondiale degli Studi sul Matriarcato, 2005, San Marcos, USA; pubblicato in Societies of Peace. Matriarchies Past Present and Future, a cura di H. Goettner Abendroth, Inanna Publ.&Edu.Inc., Toronto, 2009, pp taduzione di Anonima Network-Bologna) Per ulteriori informazioni e la bibliografia consultare il sito: 16

18 Mario Bolognese...LA PAROLA DI LUNA BAMBINA......verso un pensiero nidificante (inclusivo )...Là dove tutto il mondo si trova in un nido... ( versetto sanscrito riportato da R.Tagore ) Nidificare è lasciarsi fecondare prima di seminare... E conoscere così il silenzio e l'umiltà della terra... Fare e lasciarsi fare come nido perchè, raccolti da un pettirosso, possiamo imparare molto... Questo haiku di Issa Kobayashi, Giappone, sembra un raggio di Luna Bambina, in una rete di cosmo-solidarietà : Vieni qui da me a giocare, passero senza famiglia. Questa fresca parola, dono di bimba Selene, è permeata da un respiro poetico che la rende leggera come una farfalla. Sa danzare tra ordito e trama sciogliendo i nodi di tanta spesso autoreferenziale seriosità adulta...e' come nel gioco della campana: si può saltellare tra i diecimila esseri delle tante terre tessendo aiole di ritmico senso. Scoprendo che quanto noi chiamiamo 'imprevedibilità' può essere un cammino del cuore... E questo respiro crea un corpo e una parola diverse, e il mondo, con artigianale fatica, e perseveranza, può tornare a essere bello e abitabile: Luminosa guida ai cuori generosi appare, radiosa varca le nostre soglie, risveglia i viventi, manifesta la bellezza della terra, ridesta ogni creatura... 17

19 La figlia del cielo appare nella luce, fanciulla dalle vesti d'oro: risveglia tutti gli esseri, fa conoscere gli infiniti modi dell'esistenza. ( Rig-Veda ) La parola bambina crea bellezza...infatti una grande studiosa, Edith Cobb, ci ricorda che il processo evolutivo infantile è o dovrebbe essere bio-estetico... Ma la freschezza di questa parola bambina purtroppo deve fare i conti con millenni di pedagogia patriarcale. Uno degli aspetti poco considerato- di questa educazione sessista e separante è l'egemonia di un respiro-linguaggio adultocentrico. Il padre-patriarca, o chi per lui, toglieva dopo qualche anno dalla terra-madre il piccolo maschio, sottraendolo così alla sapienza nutritiva delle donne e lo elevava a un cielo dove il suo corpo-parola, astraendosi, perdeva la poetica fluidità della vita, e tutte quelle parole-bambine che sanno trasformare le marce in girotondi... E le bambine, rimaste con le madri, cercavano tutte di resistere come potevano alle varie servitù, conservando scintille, magari in focolari nascosti, della loro magica identità. Credo -ma chiedo aiuto per questo- che l'incredibile collettiva rimozione del racconto e delle immagini della Dea come Bambina sia la prova della paura che incuteva la sua danza-linguaggio... Un respiro poetico che, adulte/i e bambine/i assieme, ri-sacralizzava incessantemente il cosmo... E vorrei dirlo con questo canto sacro dei Navaho: Nella casa della vita io vago / sul sentiero del polline, / con un dio di nube io vago / verso un luogo santo / con un dio avanti a me io vago / e un dio dietro di me. / Nella casa della vita io vago / sul sentiero del polline. Ma perchè la Dea bambina faceva paura? Forse perchè insidiava e in qualche modo toglieva sicurezza all'onnipotenza e alla capacità di controllo del pensiero adulto maschile? In fondo con-vincere è dentro uno stile dialettico e una semantica militarizzata, come vincere... Una traccia di una storia arcaica, ma bene occultata, riguardante il potere della Dea nella sua manifestazione bambina, forse si può trovare in queste riflessioni di W.Lederer, nel suo Ginofobia: la paura delle donne, Milano, 1973, pag. 142, e, a seguire, in un rito analogo raccontato da J. Campbell, in Le figure del mito, Milano, 1974,pag. 264, prendendo spunto da una cariatide del grande stupa di Sanchi, del 100 d.c. : Ogni bambina è manifestazione della Dea e, in quanto tale, ha la facoltà di evocare le forze procreative della natura. In particolare, esiste in India un certo albero che si ritiene non possa germogliare finchè non sia sfiorato dalla mano o dal piede di una fanciulla... Fanciulle e giovani donne sono considerate incarnazioni umane dell'energia materna della natura... Essa deriva da un rito magico antichissimo, che serve a stimolare la salita della linfa, la fioritura e la fruttificazione di un albero. Una ragazza, anch'essa nel fiore dell'età, abbraccia il tronco dell'albero, ne abbassa un ramo con una mano e con il tallone assesta un preciso calcetto alle radici. 18

20 Ma a questo punto vorrei fare una considerazione sul linguaggio poetico che nasce e si accompagna a un respiro cosmo-danzante- considerandolo sacro alla Musa bambina. E questa parola, vivente in un corpo, è dentro un reticolo relazionale che amo chiamare nidificante. L'egemonia, conscia o inconscia, del pensiero patriarcale adultocentrico e dunque privo di poesiafinisce per impoverire o lacerare la grande rete del senso, stabilendo visioni, pratiche e priorità secondo una logica separante e dunque potenzialmente violenta. La poesia infatti 'apre' la nostra casa... Il proposito della poesia è ricordarci / come è difficile rimanere una persona sola, / perché la nostra casa è aperta, non ci sono chiavi alla porta /e ospiti invisibili vanno e vengono. ( Milosz ) Ovviamente questa cultura della parola bambina, vicina anche ai bambini ( maschi...) quando amano aprire i loro giochi..., non pretende e non ha mai preteso di essere completa e autosufficiente, riconoscendo la propria mancanza come risorsa... E dunque è in intima e vitale connessione con il cosmo e anche ovviamente con la parte adulta di donne e di uomini, in un incessante scambio di doni. E adesso, grato alla cultura degli amici uccelli, cerco di avvicinarmi all'idea di pensiero nidificante. Sempre sia il mio cuore aperto ai piccoli uccelli che sono il segreto del vivere. Qualsiasi loro canto è meglio del sapere e gli uomini che non li sentono sono vecchi. ( E.E. Cumming ) Prima di tutto va detto che nella logocrazia di orientamento patriarcale, da chiunque venga assunta e praticata, lo scorrere logico, formale, rettilineo del discorso assume in qualche modo il valore di verità. Ovviamente si possono dire e pensare anche cose molto positive, magari brillanti, attingendo risorse, anche dialettiche, dal pensiero convergente. Si tratta di seguire un filo logico, dimostrando e spiegando... Ma una cosa positiva, magari bellissima, pensata, detta e magari bene argomentata non sempre è nidificante... Fare nido non è un fatto che riguarda solo il valore o l'evidenza o la positività di un pensiero ma tocca la connessione sottile, mistica, poetica, magica e creativa che riusciamo a tessere con le energie e le informazioni del cosmo. Naturalmente non ho nulla contro il pensiero logico, razionale, che ha il suo specifico ambito di ricerca, ma ho delle perplessità quando, pur ascoltando discorsi molto belli, che condivido, non trovo traccia di poesia, e nemmeno di una certa metaforizzazione del linguaggio. Ecco perché abbiamo bisogno di Luna Bambina... Fare poesia, soprattutto quella d'élite, letteraria, di per sé non crea connessione, ma certamente parlare senza respirare mai poesia non ci fa navigare in...cosmonet... Per godere di un...giardino... come una bambina... 19

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