Fare l editore una professione da non improvvisare. Parola di un editor cattiva.

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1 Fare l editore una professione da non improvvisare. Parola di un editor cattiva. N on sarò un esperta del settore, ma nel corsivo di Livia Belardelli sulla cosiddetta editoria a pagamento apparso su Liberal del 29 gennaio, mi pare si faccia evidente confusione di ambiti e obbiettivi. Cominciamo da questi ultimi. Nonostante abbia letto l articolo più di una volta, non ho compreso quello che, nella scheda di valutazione di un testo, un redattore editoriale scriverebbe in risposta alla domanda cosa vuol dire l Autrice?. Ogni scritto, di qualsiasi genere, ha infatti il suo scopo, che deve risultare evidente, anche quando si limita al racconto di una storia. In questo caso, tuttavia, siamo di fronte a un articolo dal chiaro contenuto polemico e, ogni polemica che si rispetti, deve individuare in modo incontrovertibile il proprio bersaglio. Qual è dunque, qui, il bersaglio-obbiettivo? Si vuole, forse, bastonare verbalmente, s intende i cattivi editori? Oppure tutelare gli ingenui scrittori esordienti pieni di talento ma, ahiloro, turlupinati dagli editori di cui sopra? O, anche, mettere un freno e ce ne sarebbe bisogno alla grafomania imperante in un paese nel quale pochi leggono (male) e troppi scrivono (ancora peggio)? O, piuttosto, deridere i troppi che, pur di vedere il proprio nome stampato su una copertina sono disposti a ricorrere ai mezzi diabolici dell autopubblicazione e dell editoria a pagamento? O, infine, inneggiare proprio a queste modalità di pubblicazione come forme di auto-investimento pioneristico, con un autore imprenditore di se stesso perso in un moltiplicarsi di ruoli: un autoreditoredistributorepubblicitario che si avventura impavido in una versione nostrana, e un po burina, del sogno americano in versione editoriale? Passiamo agli ambiti. Poco chiara mi risulta, malgrado l attenta lettura, la differenza tra editoria a pagamento e auto-pubblicazione. Ancora dubbiosa, mi chiedo se il problema sia nelle mie capacità di comprensione, o piuttosto in frasi come si paga per dare forma cartacea al proprio manoscritto, e poi nel caso dell editoria accademica il contributo può essere lecito : in entrambe le circostanze, se non sbaglio, non si ha alcuna certezza sull editing, la distribuzione e la promozione del volume e si perdono le caratteristiche di selettività e autosufficienza che contraddistinguono il lavoro di una casa editrice. Esiste, è indubbio, un industria libraria truffaldina, ma non si può certo estendere tale imprenditorialità all intero ambito dell editoria. L esempio di lettera all esordiente riportato nell articolo è, purtroppo, calzante solo per un tipo di impresa non meglio identificata che propone ai suoi futuri venditori di acquistare un certo quantitativo di prodotti cosmetici da rivendere a eventuali clienti. Nessun editor, neanche alle prime armi, si rivolgerebbe mai a un aspirante autore chiamandolo Gentile esordiente. Il problema è lessicale: un esordiente è colui che esordisce, uno scrittore che diventa autore, non qualcuno che non ha ancora pubblicato e che, se le cose stanno davvero così, non pubblicherà mai. A un editor si richiede e non sarebbe male se la richiesta venisse estesa anche alla categoria dei giornalisti, o almeno ad alcuni di loro tra le tante competenze, la padronanza della propria lingua madre.

2 Ancora: mai e poi mai un editor che si rispetti prospetterà a un possibile nuovo autore la lista dei servigi offerti dalla casa editrice come se si trattasse delle funzionalità di un aspirapolvere. Ciò che la casa editrice darà all autore, e solo quando costui diverrà a tutti gli effetti un suo autore, sarà oggetto di un contratto dettagliato che tuteli entrambe le parti, e soprattutto il lavoro di entrambe le parti. Si tratta di un dare e avere reciproco e scambievole, e ogni autore degno di questo nome sa che ciò che egli deve all editore del suo libro non è solo la realizzazione materiale di quest ultimo, ma un impegno costante e continuo affinché un manoscritto diventi un opera letteraria. Nessun testo scritto è automaticamente un libro né, tantomeno, un opera letteraria. Perché il processo si compia è necessario l impegno dell autore e del suo editor, quest ultimo coordinato dall editore. All editor verrà assegnato il testo in valutazione ed egli procederà a redigere una scheda che sottoporrà alla redazione e all editore. Una volta approvato il testo per la pubblicazione, l autore riceverà un contratto che, una volta firmato, diverrà una sorta di via libera al lavoro successivo, che consisterà nelle complesse fasi di editing attività impegnativa e solitamente plurale, fatta di continui confronti tra redattore e autore, grafica, promozione, stampa e diffusione. Tutte queste fasi impegnano l intera casa editrice, e i costi per attuarle sono enormemente superiori a quelli di una semplice stampa, che ammonta a meno del 25% della spesa complessiva. Il rischio, con un libro, ce lo si assume in due: se l editore avrà obblighi di impaginazione, elaborazione grafica, promozione, distribuzione, pubblicizzazione e non sono oneri da poco, l autore dovrà seguire la sua creatura, accompagnarla, con un mix di consapevole umiltà e attaccamento creativo e partecipe, nelle fasi numerose, faticose e prolungate di revisione stilistica, lessicale, sintattica, contenutistica, grafica, e di promozione. Editor ed editore, in una parola, curano, ciò che uno scrittore, senza che gli sia stato richiesto, ha ritenuto di sottoporre alla loro attenzione. Non si paga per scrivere, come viene maliziosamente suggerito nell articolo, ma tutto questo lavoro ha i suoi costi e ogni aspirante termine sicuramente più vicino alla realtà rispetto all «esordiente» di cui sopra autore ne deve essere consapevole prima di avvicinarsi a un mondo, quello dell editoria, che tutti dicono di conoscere e del quale, in realtà, ben pochi riconoscono i meccanismi. La questione del numero di copie realizzate per un singolo autore è, ad esempio, spesso dibattuta. Solo chi ne è estraneo o ne tratta con strumentale faziosità può sostenere che l'esordiente di rado supera le 4 mila copie di tiratura. Stabilire questa cifra, è, infatti, un assurdità. La tiratura è un elemento variabile che dipende da fattori diversi quali, solo per menzionarne qualcuno, la notorietà dell autore inesistente nel caso di un esordiente o l interesse generale per l argomento. In entrambe le ipotesi si è spesso di fronte a nomi e argomenti di rilevanza locale, quando non localissima", non facilmente smerciabili su un contesto più ampio. Va considerato, anche, che il vero addetto alla vendita di un prodotto librario è il libraio, non l editore: dato che la rete libraria nazionale non assomma a 2000 punti vendita e che quelli che si occupano anche di varia, e quindi di narrativa, sono, complessivamente, meno di 800, il conto è presto fatto.

3 Facciamo un esempio: un autore esordiente pubblica riesce cioè a trovare un cattivo editore in un raro momento di generosità un libro che ha per argomento una bella storia d amore ambientata in un quartiere borghese di una grande città come Roma. Roma ha complessivamente 46 punti vendita che si occupano di narrativa; ogni libreria può acquistare non più di 10 copie perché materialmente non ha uno spazio maggiore da dedicare a un esordiente; un altro centinaio di copie viene distribuito a livello nazionale per merito di un intensa attività di promozione espletata dalla casa editrice; infine, altre 100 copie vengono vendute grazie all impegno dell autore che, volenteroso ed entusiasta, si dedica alle presentazioni. Ora, se veramente del libro fossero state stampate le 4000 copie di cui si parlava, tolte le 700 circa vendute e le diamo per tali, ma non è detto che le librerie vendano tutti gli esemplari che hanno ordinato cosa si potrebbe mai fare delle 3300 restanti? Anche il basta vendere copie per rientrarci ci risulta sorpresa inaspettata: appunto, basta venderle! Il numero degli esordienti non può essere elevato non perché non si possono lanciare troppi neo-autori che non si avrebbe il tempo di promuovere, ma perché scoprire un nuovo autore è un evento raro, frutto di un implacabile selezione operata da esperti che si sforzano, per quanto è nelle loro possibilità, di non contribuire al crollo pompeiano della cultura nazionale. Non si pubblica per pubblicare, quindi. Non si pubblica perché certi di trasformare uno scrittore qualsiasi in un fenomeno letterario grazie a una sapiente campagna pubblicitaria. Un editore non è un talent scout: il suo compito è trasformare un manoscritto in un libro, un testo in un opera letteraria. Altrimenti, basterebbe pubblicare le memorie di un tronista qualunque. Con la scrittura si può campare, solo che bisogna essere costanti, pazienti, umili e, soprattutto, bravi, bravi davvero. E magari non indulgere al vanity press che, è evidente, a volte fa capolino anche nel giornalismo.

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