TRIBUTI. Commissione di studio La tassazione dei redditi di capitale e. dei redditi diversi di natura finanziaria. supplemento n.2

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1 TRIBUTI Commissione di studio La tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria supplemento n

2 SCUOLA SUPERIORE DELL ECONOMIA E DELLE FINANZE EZIO VANONI MINISTERO DELL ECONOMIA E DELLE FINANZE Commissione di studio sulla tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria RELAZIONE FINALE TRIBUTI Supplemento n

3 COMMISSIONE DI STUDIO SULLA TASSAZIONE DEI REDDITI DI CAPITALE E DEI REDDITI DIVERSI DI NATURA FINANZIARIA La Commissione di studio sulla tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria ha svolto i suoi lavori nel periodo compreso fra il 20 giugno e il 25 settembre 2006, completandoli quindi entro il termine previsto per il suo mandato (30 settembre). Oggetto del lavoro della commissione è stato lo studio della tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, con riguardo alla disciplina vigente e alla sua possibile evoluzione. I risultati del lavoro compiuto sono illustrati in questa relazione, secondo l indice riportato alla pagina seguente. Le valutazioni espresse dalla commissione e le conclusioni a cui essa è giunta sono il frutto di un consenso unanime dei suoi membri. La stesura materiale della relazione è responsabilità del Presidente (prof.ssa Maria Cecilia Guerra). II

4 La commissione: Prof.ssa GUERRA Cecilia (Presidente) Dott.ssa ZACCARIA Laura Dott.ssa IMMACOLATO Arianna Dott. CERIANI Vieri Dott. BUSA Vincenzo Dott. CIOCCA Paolo III

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6 INDICE PREFAZIONE...VII 1. LE LINEE GUIDA DEL LAVORO DELLA COMMISSIONE 1.1. I requisiti di base di un sistema di tassazione dei redditi finanziari I limiti dell attuale sistema impositivo L UNIFICAZIONE DELLE ALIQUOTE DELLA TASSAZIONE 2.1. L individuazione del livello più appropriato per l aliquota unica L introduzione di misure compensative con finalità equitative Il problema della doppia tassazione dei redditi partecipativi Il problema del coordinamento con la tassazione del risparmio previdenziale Altri problemi di coordinamento La gestione della fase di transizione PROPOSTE DI RIFORMA PER L EQUIPARAZIONE DEI TRE REGIMI DI TASSAZIONE DEL RISPARMIO 3.1.Introduzione Ipotesi minimale: status quo con correttivi Applicazione generalizzata del principio della realizzazione Applicazione generalizzata del principio della maturazione La transizione al regime riformato I fondi immobiliari...37 APPENDICE 1. IL REGIME DI TRANSIZIONE ALL ALIQUOTA UNICA: NOTA TECNICA 1. Redditi di capitale 1.1. Interessi su titoli soggetti ad imposta sostitutiva ex d.lgs. n. 239/ Casi particolari Redditi di capitale non soggetti all imposta sostitutiva di cui al d.lgs. n. 239/ Redditi diversi 2.1. I redditi diversi nel regime del risparmio gestito I redditi diversi nei regimi della dichiarazione e del risparmio amministrato I proventi derivanti da fondi di investimento mobiliare di diritto estero e da fondi immobiliari72 APPENDICE 2. LA TASSAZIONE DEI TITOLI ZERO COUPON BOND L EFFETTO DI TAX DEFERRAL E L ABROGAZIONE DELL EQUALIZZATORE V

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8 PREFAZIONE Vincenzo Visco Sin dalla riforma del 1974, il sistema tributario italiano è stato caratterizzato dall esclusione dalla base imponibile dell imposta personale della quasi totalità dei redditi delle attività finanziarie che sono stati assoggettati a regimi sostitutivi o esentati del tutto dall imposizione. Questi regimi sono stati oggetto di numerose revisioni che hanno perseguito gli obiettivi più disparati quali l incentivazione dell intermediazione del risparmio da parte delle aziende creditizie, la disintermediazione di altri soggetti emittenti, l agevolazione dell assorbimento del debito pubblico e del finanziamento delle aziende di Stato. L accumularsi nel tempo di riforme parziali, non inserite in un disegno di riordino complessivo, ha prodotto un quadro caratterizzato da una forte disomogeneità di trattamenti e di vuoti legislativi. L innovazione finanziaria e la crescente integrazione dei mercati dei capitali hanno reso sempre più evidenti le distorsioni causate dal sistema sia in termini di efficienza che di equità facendo nascere nella metà degli anni 90 una forte richiesta di riordino complessivo della materia. A questa esigenza ho cercato di dare risposta con la riforma della tassazione dei redditi delle attività finanziarie realizzata nel 1998 (da ministro delle Finanze del primo governo Prodi) e completata con la riforma del trattamento fiscale del risparmio previdenziale nel 2001 (da ministro del VII

9 Tesoro, Bilancio e Programmazione economica del successivo governo Amanto). La riforma ha perseguito l obiettivo di realizzare un sistema di prelievo generale, in quanto riguarda tutti i redditi di capitale e tutti i redditi finanziari ricompresi fra i redditi diversi (plusvalenze e proventi dei derivati), ed omogeneo, attraverso la tassazione alla maturazione e la possibilità di dedurre (sebbene limitata al solo regime del risparmio gestito) le minusvalenze dai redditi di capitale. Sono convinto, condividendo peraltro l opinione dominante nella comunità scientifica, che solo un sistema con queste caratteristiche può garantire al contempo l equità del prelievo, evitando che redditi simili vengano tassati in maniera differenziata, la neutralità rispetto alle scelte di impiego del risparmio e l eliminazione di opportunità di arbitraggio fiscale ed elusione. Avevo anche prospettato la necessità di completare speditamente la riforma con la definitiva transizione ad un sistema di prelievo proporzionale ad aliquota unica. Per realizzare gli obiettivi di generalità ed omogeneità, la riforma del 1998 ha accentuato il coinvolgimento degli intermediari nell accertamento e nel prelievo dell imposta, in particolare con l introduzione dei regimi del risparmio gestito, in cui l imposta viene applicata al risultato della gestione patrimoniale, e del risparmio amministrato, in cui l imposta sostitutiva sui redditi di capitale o diversi viene calcolata e prelevata dall intermediario. Inoltre la riforma aveva previsto l introduzione del cosiddetto equalizzatore per eliminare lo svantaggio del regime del risparmio gestito, in cui i redditi vengono tassati per maturazione, rispetto agli altri regimi in cui i redditi sono tassati alla realizzazione e l imposta può essere differita nel tempo. VIII

10 Nonostante la riforma abbia rappresentato un momento decisivo di razionalizzazione del sistema tributario italiano, le sollecitazioni venute dalla ricerca economica e dagli operatori del settore dell intermediazione e della gestione del risparmio hanno indicato la necessità di ulteriori interventi. In primo luogo è necessario portare a termine il processo di omogeneizzazione dei trattamenti fiscali con la convergenza verso un aliquota unica per garantire l equità e l efficienza del prelievo. In secondo luogo, occorre porre rimedio alle discriminazioni nel trattamento fiscale fra redditi tassati all interno di diversi regimi prodotte dall abolizione dell equalizzatore da parte del secondo governo Berlusconi,. Infine occorre correggere alcune modalità applicative della tassazione per maturazione che si sono dimostrate penalizzanti per alcuni comparti dell industria di intermediazione e gestione del risparmio (ad esempio l accumulo dei crediti d imposta in anni di forti correzioni dei mercati ha gravato negativamente sulla performance dei fondi comuni italiani). Allo studio di queste problematiche ha provveduto la Commissione di studio sulla tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria che ha svolto i suoi lavori fra il giugno ed il settembre La Commissione è stata presieduta dalla professoressa Maria Cecilia Guerra e composta dai maggiori esperti italiani del settore in rappresentanza dei principali settori toccati dalla riforma (banche, fondi comuni, borsa), della Banca d Italia e dell amministrazione finanziaria. Alla Commissione è stato affidato il compito di identificare i principali problemi dell attuale sistema di imposizione, di individuare i principi generali a cui potesse ispirarsi un processo di riforma, di evidenziare ed analizzare le principali opzioni aperte al legislatore. IX

11 Le conclusioni della Commissione sono illustrate in questa relazione finale, redatta dal Presidente e condivisa unanimemente da tutti i componenti. La Commissione ha confermato che la differenziazione delle aliquote e l assenza dell equalizzatore produce una discriminazione fra i redditi dei diversi strumenti finanziari, sottoponendoli ad aliquote differenziate e a regimi fortemente disomogenei. Non risponde quindi ai requisiti fondamentali dell efficienza e dell equità e facilita l elusione fiscale. Le soluzioni proposte dalla Commissione si articolano in due livelli: l unificazione delle aliquote e l equiparazione dei diversi regimi. Dal punto di vista delle aliquote la Commissione suggerisce l adozione di un aliquota unica, intermedia rispetto a quelle esistenti, coordinata con quella riservata ai redditi di altra natura, specie redditi di lavoro, sconsigliando l adozione di misure volte a compensare gli effetti dell unificazione delle aliquote per finalità equitative. Per quanto riguarda l omogeneizzazione dei regimi la Commissione ha esaminato tre diverse ipotesi di riforma che potrebbero permettere di superare, in tutto o in parte, queste disparità di trattamento e ha messo in evidenza i pro e i contro di ciascuna di esse. Particolare attenzione è stata dedicata ad evitare che i regimi proposti creino estese opportunità per comportamenti elusivi di differimento dell imposta e realizzazione strategica delle minusvalenze, con conseguenze sia sull equità ed efficienza del sistema che sulla sua capacità di generare gettito. La relazione della Commissione ha costituito un riferimento fondamentale nel dibattito che si è sviluppato intorno al ddl per il riordino della normativa sulla tassazione dei redditi di capitale. Una più attenta valutazione delle analisi e delle proposte in essa contenute avrebbe X

12 probabilmente consentito di superare alcune resistenze che hanno ostacolato il percorso del provvedimento. Il lavoro svolto costituirà comunque una guida preziosa per il legislatore che dovrà affrontare e risolvere i problemi aperti nella prossima legislatura. XI

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16 1. LE LINEE GUIDA DEL LAVORO DELLA COMMISSIONE 1.1. I requisiti di base di un sistema di tassazione dei redditi finanziari La commissione condivide l obiettivo di disegnare un sistema di tassazione dei redditi finanziari che risponda ai seguenti requisiti fondamentali: - l efficienza, sia cioè neutrale rispetto all impiego dell uno o l altro strumento finanziario. In particolare non alteri i prezzi relativi, che hanno la funzione di riflettere la riallocazione del rischio, la diversa liquidità ecc.; - l equità, tratti nello stesso modo transazioni equivalenti, ovvero tassi i diversi strumenti finanziari in relazione alla loro sostanza economica e non alla forma legale che assumono; - la prevenzione dei fenomeni elusivi, resi possibili dal trattamento fiscale diversificato di redditi di uguale natura. Questi obiettivi devono essere realizzati senza perdere di vista la necessità di evitare complessità applicative che avrebbero ricadute negative: sia sui costi di adempimento (specie in capo agli intermediari), sia sulle possibilità di controllo (da parte dell amministrazione finanziaria), sia in termini di trasparenza e quindi leggibilità da parte del contribuente. Essi richiedono la definizione di un sistema ad un tempo generale (che comporti cioè la tassazione di tutte le transazioni finanziarie) ed omogeneo (che escluda cioè trattamenti differenziati per l una o l altra di esse) I limiti dell attuale sistema impositivo L attuale sistema di tassazione dei redditi finanziari risponde solo in parte a questi requisiti. Si tratta effettivamente di un sistema generale, in quanto riguarda tutti i redditi di capitale, e tutti quei redditi finanziari che sono ricompresi nella categoria dei redditi diversi: plusvalenze e proventi dei prodotti derivati. Queste due categorie reddituali (redditi di capitale e redditi diversi) sono definite, in modo organico e coordinato, così da ricomprendere tutti i proventi derivanti 1

17 dall impiego di capitale. Sono poi previste specifiche norme di chiusura cui è assegnata la funzione di ricondurre a tassazione anche fattispecie diverse da quelle esplicitamente previste ed elencate. L attuale sistema di prelievo non è però omogeneo. Le più importanti fonti di disomogeneità di trattamento riguardano i seguenti aspetti: l esistenza di due aliquote di prelievo (12,5 e 27%); le diversità fra i tre regimi di tassazione del risparmio (regime del risparmio amministrato, del risparmio gestito e della dichiarazione) con riferimento alla deducibilità delle minusvalenze e al timing della tassazione, le disparità di trattamento fra Oicvm italiani e Oicvm comunitari armonizzati, gli uni tassati in monte e alla maturazione, gli altri in capo al percipiente alla realizzazione; il differimento dell imposta sui redditi di capitale percepiti su titoli a cedola nulla. 1) L esistenza di due aliquote di prelievo: 12,5 e 27%. È difficile trovare giustificazioni valide a sostegno di un articolazione del prelievo su più di un aliquota, che, nella situazione attuale, si traduce, di fatto, in una discriminazione ai danni degli interessi dei depositi e delle altre passività bancarie e postali. Le giustificazioni tradizionalmente portate a sostegno di una differenziazione di aliquote sono state prevalentemente due: riservare un trattamento di favore agli impieghi a lungo termine, o a quei redditi, quali le plusvalenze, che hanno natura aleatoria. Entrambe sembrano ormai difficilmente sostenibili. La sofisticazione raggiunta dai mercati finanziari, anche a seguito dello sviluppo dei prodotti derivati e del ruolo esercitato dagli investitori professionali, rende infatti inadeguata, sotto il profilo economico, una distinzione, cui si accompagni, come nel caso italiano, una differenza di tassazione, fra redditi di capitale e guadagni di capitale, così come fra titoli a breve o titoli a lungo termine. È infatti facile trasformare la natura del proprio reddito (da reddito di capitale a reddito diverso) e operare trasformazioni di scadenze (fra il lungo e il breve termine). L articolazione su due aliquote presente nel nostro ordinamento solleva poi problemi anche sotto il profilo equitativo: la discriminazione ai danni dei depositi bancari e postali comporta infatti un onere più elevato nei confronti 2

18 dell attività in cui è investita la quota più rilevante del portafoglio dei soggetti a più basso reddito. 2) Le diversità fra i tre regimi di tassazione del risparmio L attuale sistema di tassazione prevede tre regimi di imposta alternativi e opzionali: il regime del risparmio gestito, di quello amministrato e della dichiarazione. I due regimi (del gestito e dell amministrato) che si avvalgono degli intermediari per il calcolo e il versamento dell imposta garantiscono l anonimato e l esclusione dal monitoraggio riservato ai redditi prodotti all estero. L intervento degli intermediari rende infatti possibile l accertamento del reddito senza ricorrere a successive segnalazioni al fisco. Questa considerazione, unita alla semplificazione dei compiti che i due regimi, del risparmio gestito e di quello amministrato, pongono in capo al contribuente, costituisce un indubbio incentivo a favore degli stessi, che ha fondate giustificazioni in relazione agli obiettivi sopra richiamati (riduzione dei costi di accertamento e di adempimento). L attribuzione delle aliquote del prelievo alle diverse tipologie di reddito è la medesima nei tre regimi. (L unica eccezione, motivata dalla necessità di evitare complessità nel sistema, è costituita dagli interessi sulla liquidità, nel caso del risparmio gestito, che, confluendo nell utile di gestione, vengono assoggettati al 12,5 anziché al 27%). Tutti e tre i regimi garantiscono la deducibilità delle minusvalenze (e altre perdite) dalle plusvalenze e dai proventi della stessa natura. Le minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate sono deducibili dalle sole plusvalenze derivanti da analoghe cessioni. Con riferimento a tali redditi non è possibile optare per regimi diversi da quello della dichiarazione; il riporto di eventuali perdite è sempre ammesso per quattro anni. Vi sono però due importanti differenze da sottolineare. a) Il regime del risparmio gestito è l unico che garantisce un approccio aggregato alla tassazione dei redditi finanziari, in quanto è l unico che permette la deducibilità delle minusvalenze e delle altre perdite, non solo nei 3

19 confronti delle plusvalenze, ma anche nei confronti di importanti categorie di redditi di capitali (quelli tassati al 12,5%), fra cui rientrano, in particolare, gli interessi sulle principali tipologie di titoli obbligazionari e i dividendi. Tali redditi costituiscono infatti una componente positiva del risultato di gestione, che può essere diminuita da componenti negative, rappresentate appunto dalle minusvalenze maturate o dalle perdite sui prodotti derivati. Il risultato di gestione oggetto di tassazione è inoltre valutato al netto degli oneri e delle commissioni relative al patrimonio gestito, mentre negli altri regimi non è ammessa la deducibilità degli oneri e delle commissioni in cui si incorre, b) Il timing della tassazione è molto diverso nei tre regimi. A seguito dell abrogazione del cosiddetto equalizzatore, nel regime della dichiarazione e in quello del risparmio amministrato la tassazione avviene infatti alla realizzazione, mentre nel regime del risparmio gestito la tassazione avviene alla maturazione. Queste asimmetrie di trattamento rappresentano un evidente violazione del principio di omogeneità cui ci si è richiamati in apertura. 3) Disparità di trattamento fra Oicvm italiani e Oicvm comunitari armonizzati Due aspetti dell attuale sistema di prelievo rischiano di porre su un piano di svantaggio gli Oicvm italiani (e cioè quelli con sede in Italia e quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento in Italia) rispetto agli Oicvm comunitari armonizzati (con sede in un altro Stato membro dell Unione Europea e conformi alle direttive comunitarie), ed interferire, quindi, con il corretto funzionamento dei mercati. 1. I redditi degli Oicvm italiani sono tassati alla maturazione mentre i redditi degli Oicvm comunitari armonizzati sono tassati alla realizzazione: il pagamento dell imposta è infatti differito fino a quando i partecipanti non percepiscano tali redditi tramite il riscatto o il rimborso delle quote di partecipazione o le distribuzioni periodiche. A seguito dell abolizione 4

20 dell equalizzatore, tale differimento non è più compensato da un corrispondente incremento dell ammontare dell imposta. 2. Nel caso degli Oicvm italiani, il prelievo avviene in capo al fondo. I redditi degli Oicvm comunitari armonizzati sono invece tassati direttamente a carico dei partecipanti. Ne consegue che i fondi italiani espongono nei propri rendiconti i rendimenti al netto dell imposta sostitutiva, e, pertanto, anche quando maturino rendimenti di importo esattamente pari a quelli conseguiti dagli Oicvm comunitari armonizzati evidenziano peggiori performance. Concorre a questo risultato l iscrizione nella voce dell attivo degli Oicvm italiani relativa agli altri crediti, dell importo del risparmio d imposta ricollegabile ai risultati negativi di gestione, utilizzabili a compensazione dei risultati positivi maturati negli anni successivi dallo stesso o da altro fondo. Poiché tali crediti non sono sempre immediatamente liquidabili, gli Oicvm italiani che abbiano valorizzato i risultati negativi di gestione non possono investire interamente il loro attivo e registrano quindi peggiori performances rispetto agli Oicvm comunitari armonizzati. Nei casi poi in cui questo risparmio d imposta rappresenti una quota rilevante del suo attivo, l Oicvm corre il rischio di andare in default, non essendo i risultati negativi di gestione monetizzabili. Tale rischio sarebbe ovviamente destinato a diventare ancora più rilevante in presenza di una più elevata imposta sostitutiva. 4) Il differimento di imposta nel caso dei titoli a cedola nulla I titoli zero coupon bond (di seguito, zcb) sono tassati in capo alle persone fisiche al momento della percezione dei proventi, e cioè alla vendita o al rimborso del titolo. Tali proventi sono costituiti sia da redditi di capitale (pari allo scarto di emissione maturato nel periodo intercorrente tra data di acquisto e data di cessione o rimborso), sia da redditi diversi (plusvalenze o minusvalenze da cessione). La possibilità di differire la tassazione sui redditi di capitale al momento del rimborso comporta che, a parità di altre condizioni, l onere fiscale effettivo sul titolo sia inferiore a quello gravante su un titolo cum cedola. Quest ultimo subisce infatti la tassazione sul pagamento periodico degli 5

21 interessi: alla fonte, nel regime del risparmio amministrato e della dichiarazione, e annualmente, come componente del risultato di gestione, nel caso del regime del risparmio gestito. Questa disparità di trattamento fiscale era stata rimossa con l introduzione, di un apposito meccanismo di equalizzazione (cosiddetto piccolo equalizzatore ), poi abrogato. Un problema analogo di differimento della tassazione, per il quale è necessario individuare una soluzione coordinata con quella che si vorrà adottare per gli zcb, si pone anche con riferimento ai contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione. Per quanto riguarda invece i contratti assicurativi a natura previdenziale, la commissione segnala che di tale problema ci si debba occupare nell ambito del coordinamento complessivo fra le nuove disposizioni e quelle del regime riservato alla tassazione del risparmio previdenziale e assicurativo. La commissione ritiene che su tutti e quattro gli aspetti richiamati sia necessario intervenire. Scopo di questo rapporto è prospettare gli interventi possibili, sottolineando anche le inevitabili difficoltà imposte dal prevedere cambiamenti in prassi ormai consolidate e dalla necessità di intervenire su un sistema complesso, articolato e in continua evoluzione, come quello degli strumenti finanziari. 6

22 2. L UNIFICAZIONE DELLE ALIQUOTE DELLA TASSAZIONE L unificazione della misura delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria richiede di affrontare più problemi: l individuazione del livello più appropriato per tale aliquota; L eventuale introduzione di misure compensative con finalità equitative; l inasprimento della doppia tassazione sui redditi partecipativi; il coordinamento con la tassazione del risparmio previdenziale; la gestione della fase di transizione L individuazione del livello più appropriato per l aliquota unica Si tratta di una scelta molto importante, che, a parere della commissione, deve essere effettuata tenendo conto di un insieme di considerazioni. 1. La necessità di coordinare, per motivi di equità, il prelievo sui redditi finanziari con quello riservato ai redditi di altra natura, specie redditi di lavoro. Va al proposito considerato che la prima aliquota dell Irpef è attualmente il 23% (senza contare le addizionali regionali e comunali). Il livello dell aliquota è però temperato dalla previsione di un area di esenzione decrescente al crescere del reddito (cosiddetta no tax area). Vi è poi un problema specifico di coordinamento con la tassazione societaria che, data la sua rilevanza, viene trattato come problema a sé stante. 2. Il rischio che l aumento della tassazione sul reddito delle componenti più dinamiche del risparmio finanziario possa determinare una fuga di capitali verso gli altri paesi (che, come il nostro, non prelevano alcuna tassazione sui non residenti). Questo timore non va né enfatizzato, né sottovalutato. La direttiva europea entrata in vigore nel luglio 2005 ha reso possibile, principalmente grazie alla previsione di un adeguato scambio di informazioni fra paesi, tassare i cittadini residenti per gli interessi da essi percepiti negli altri paesi europei e in un insieme di altri importanti paesi terzi. Nonostante i limiti a cui la direttiva va 7

23 incontro (ad esempio il fatto che essa riguardi i soli interessi e non anche gli altri redditi finanziari), è evidente che essa costituirà un disincentivo alle fughe di capitali. L evidenza empirica sembra inoltre mostrare che la sensibilità della maggior parte dei sottoscrittori al differenziale di tassazione fra interessi interni ed esteri - anche in ragione dell esistenza di misure quali le ritenute di ingresso e il monitoraggio dei flussi di capitali da e per l estero è meno marcata di quanto normalmente si creda. E però plausibile che tale sensibilità possa accentuarsi in presenza di un differenziale molto elevato fra tassazione interna ed esenzione ottenibile, generalmente tramite pratiche elusive, o attraverso esportazione illegale dei capitali in paradisi fiscali. A questo proposito la commissione sottolinea come più che da fattori oggettivi, le fughe di capitali possano essere sollecitate da ingiustificati allarmismi circa l inasprimento della tassazione o da una non corretta comunicazione delle finalità della riforma proposta. Potrebbe inoltre essere utile ricordare che, lungi dal costituire una anomalia nel quadro comunitario, il regime proposto ci avvicinerebbe a quello vigente negli altri paesi europei, in cui il prelievo sugli interessi o avviene nell ambito dell imposizione ordinaria (imposta personale e progressiva) o, quando avviene nell ambito dei regimi sostitutivi, quali il nostro, nella maggior parte dei casi, non discrimina fra interessi da obbligazioni e da depositi e non scende sotto il 20%. L unificazione dell aliquota non potrà comunque disincentivare le importazioni di capitali, dal momento che i redditi percepiti da non residenti non sono per lo più assoggettati a ritenute, mentre potranno incoraggiarle nei casi in cui tali ritenute siano oggi prelevate nella misura massima fra quelle esistenti (come nel caso dei dividendi, 27%). 3. La maggiore esposizione dei redditi finanziari ai rischi conseguenti all inflazione, temperata però dalla considerazione che il nostro sistema fiscale adotta il principio nominalistico nella tassazione di tutti i redditi. 4. L opportunità o meno di modificare il prelievo riservato ai titoli pubblici. Il timore è che un unificazione del livello delle aliquote ad un livello superiore a 8

24 quello attuale possa tradursi in un aumento dei tassi di interesse da pagare su tali titoli (cosiddetta partita di giro ). La plausibilità di questo effetto dipende crucialmente dal contesto in cui ci si trova. Il nostro paese fa attualmente parte della Ume, un area monetaria unica, in cui sono per definizione assenti rischi di cambio, e in cui il processo di riallineamento dei tassi di interesse su strumenti con analoghe caratteristiche può dirsi completato. I titoli pubblici in circolazione sono poi collocati per più del 50% nelle mani di soggetti non residenti e per circa un quarto nelle mani di società e imprese. L aumento dell aliquota del prelievo sui titoli pubblici non interesserebbe né gli uni né gli altri di questi soggetti, i primi perché esenti e i secondi perché tassati in via ordinaria, con Irpef o Ires. Poiché i soggetti interessati dall aumento della tassazione detengono meno di un quarto dei titoli in circolazione difficilmente la loro domanda è in grado di influenzare le condizioni di offerta, e ciò a maggior ragione a seguito del citato allineamento dei tassi di interesse nella Ume. Questi soggetti, inoltre, non avrebbero nessuna convenienza, sul piano fiscale, a rivolgersi ad altri investimenti finanziari, posto che comunque la nuova aliquota sarebbe applicata uniformemente a tutti i tipi di reddito da attività finanziaria. La considerazione, nel loro insieme, dei quattro fattori citati ha portato la commissione a suggerire che, anche nel caso in cui dall unificazione delle aliquote ci si attenda un incremento del gettito che complessivamente deriva dalla tassazione dei redditi finanziari, il livello dell aliquota unica dovrebbe essere intermedio rispetto a quelli ora esistenti, ma comunque non superiore al 20% L introduzione di misure compensative con finalità equitative Si è già sottolineato che l unificazione delle aliquote ha in sè una valenza equitativa. Riduce la tassazione sui depositi bancari e postali, e cioè sull attività in cui è investita la quota più rilevante del portafoglio dei soggetti a più basso reddito, e avvicina al prelievo minimo riservato ai redditi di lavoro la tassazione degli altri redditi finanziari, che, se ricondotti al prelievo ordinario (Irpef), sarebbero in larga parte assoggettati alle aliquote marginali più alte previste dal 9

25 nostro ordinamento (39 e 42%). E noto infatti che la distribuzione della ricchezza finanziaria delle famiglie nel nostro paese è molto concentrata. Quanto alla necessità di una compensazione per la misura intrapresa, è bene ricordare che, se si concentra l attenzione sui depositi e sui titoli pubblici, e si ipotizza un livello dell aliquota unica pari al 20%, il 70% delle famiglie italiane pagherebbe meno imposte sul complesso degli interessi relativi a tali attività. Anche le famiglie più penalizzate, quelle dell ultimo decile, con un reddito disponibile medio di quasi 80 mila euro (nel 2004), si troverebbero a pagare in più solo 25 euro all anno. (La stima è basata sui tassi di interesse correnti e sulla distribuzione fra le famiglie della ricchezza finanziaria come risulta dall ultima indagine campionaria condotta dalla Banca d Italia, relativamente al 2004) Qualora si volesse comunque cogliere l occasione dell unificazione dell aliquota per l introduzione di misure di esenzione ai piccoli risparmiatori, occorre considerare che tali misure sono facile fonte di pratiche elusive e devono quindi essere accompagnate da procedure di accertamento, dei redditi o dei patrimoni individuali a cui sono commisurate, che non esistono nel nostro attuale sistema di prelievo che è per sua natura anonimo. Misure di esenzione del piccolo risparmio, nei paesi ove esistono, sono invece concesse nell ambito di sistemi di tassazione personale, che richiedono comunque di conoscere i redditi finanziari complessivamente ricevuti dal singolo risparmiatore (o dalla famiglia, quando è questa l unità impositiva) e sono quindi già attrezzati ad accertarli. La commissione ha analizzato il problema arrivando alle seguenti conclusioni. Sono sconsigliate forme di esenzione commisurate all ammontare dei redditi finanziari conseguiti. Queste richiedono infatti necessariamente, per evitare abusi, il passaggio, anche per sola opzione del contribuente, ad una ricostruzione del complesso dei redditi finanziari in capo al singolo soggetto, che comporta l approntamento di un sistema di accertamento, fondato su comunicazione degli intermediari al fisco dei redditi percepiti dai singoli risparmiatori, con costi di adempimento molto elevati e tempi tecnici necessariamente lunghi, e la perdita dell anonimato fiscale per tutti i 10

26 contribuenti. Quest ultimo fattore potrebbe costituire un incentivo all esportazione dei capitali. Anche forme di esenzione commisurate non già ai redditi finanziari quanto al patrimonio finanziario da cui i primi originano richiedono l approntamento di procedure di accertamento, a oggi inesistenti, oltre alla perdita dell anonimato; è presumibile che i risparmiatori siano ancora più sensibili, in senso ovviamente sfavorevole, alla perdita dell anonimato sulla loro ricchezza che sui loro redditi. La commissione nota però che il patrimonio finanziario è già oggetto di autocertificazione, nel nostro paese, nell ambito della certificazione Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) richiesta per l accesso a programmi di spesa pubblica e per l accesso o la tariffazione relativa a servizi pubblici locali di varia natura. Questa certificazione confluisce in un apposita banca dati costituita presso l Inps. La commissione suggerisce allora che l agevolazione fiscale che eventualmente si volesse attribuire al piccolo risparmio possa essere concessa sotto forma di detrazione/deduzione da fruire in sede di dichiarazione dei redditi da parte del contribuente. L agevolazione dovrebbe essere commisurata al patrimonio del contribuente, autocertificato in dichiarazione dei redditi (e pari a quello che il contribuente dichiara per la certificazione Isee, la quale raccoglie tale dato con riferimento a tutti i membri della famiglia). Non si procederebbe allora ad un accertamento automatico del patrimonio autocertificato, per verificare l autenticità della dichiarazione, ma si utilizzerebbero le medesime procedure di accertamento (campionario o a richiesta), che già l amministrazione finanziaria utilizza per i controlli sulle dichiarazioni Isee. Ovviamente la platea dei soggetti interessati non sarebbe la stessa. Ciononostante il sistema proposto permetterebbe di attuare sinergie nell attività di accertamento, riducendone i costi, e stabilirebbe un importante collegamento fra programmi di spesa e interventi sul lato delle entrate. Anche questa procedura, tuttavia, si presta a facili elusioni, principalmente tramite la frammentazione dell intestazione del patrimonio fra i diversi membri della famiglia. Restano inoltre da affrontare due ulteriori problemi rilevanti: 11

27 1) la specificazione della modalità con cui si concede l agevolazione. Poiché il prelievo avviene in forma anonima, l agevolazione non può essere concessa da parte dell intermediario che lo effettua (il quale ovviamente non conosce il complesso dei redditi né il complesso del patrimonio del soggetto con cui ha a che fare, dal momento che questi può intrattenere rapporti con un insieme ampio di intermediari). L agevolazione deve quindi essere concessa in sede di imposta personale. Se la si commisura al patrimonio autocertificato dal contribuente, si perde ovviamente ogni relazione con l imposta da questi effettivamente pagata sugli interessi (si noti, ad esempio, che a parità di patrimonio, contribuenti con solo depositi sono avvantaggiati dall unificazione delle aliquote e contribuenti con solo obbligazioni sono svantaggiati). Occorrerebbe quindi o definirla in ammontare assoluto - una detrazione comunque riconosciuta a chi ha un patrimonio inferiore ad una certa soglia - o renderla decrescente al crescere del patrimonio (con ulteriori complicazioni per la determinazione del debito di imposta Irpef). Questa procedura incontra comunque un problema molto importante: il problema dell incapienza. Gli individui che oggi non sono tenuti a nessun pagamento dell Irpef, aggiuntivo rispetto a quello subito eventualmente alla fonte sui propri redditi d lavoro, sono all incirca 12,5 milioni. Questi soggetti sono con tutta probabilità quelli più interessati all esenzione di cui qui si discute. Una detrazione dall imposta non comporterebbe per essi nessuna agevolazione, non avendo un imposta contro cui farla valere. 2) L individuazione del livello di patrimonio al di sotto del quale scatta l esenzione. La fissazione di tale livello dovrebbe essere preceduta da un attenta analisi dei dati relativi alla distribuzione del patrimonio fra le famiglie italiane. Prime stime al proposito possono essere compiute utilizzando i dati contenuti nell indagine sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane condotta dalla Banca d Italia. Gli ultimi dati si riferiscono al 2004 e forniscono informazioni su tre tipologie di attività: depositi, titoli pubblici e altri titoli (obbligazioni, quote di fondi comuni italiani, azioni, partecipazioni, gestioni patrimoniali, titoli esteri, prestiti alle cooperative). I dati, corretti per tener conto della tendenza alla sottostima nelle risposte fornite dagli intervistati, farebbero ritenere che le famiglie dei primi tre decili di reddito hanno un patrimonio finanziario medio inferiore ai euro. Bisognerebbe poi passare da queste valutazioni sul patrimonio delle famiglie a valutazioni sul 12

28 patrimonio finanziario individuale, quello ai cui redditi presuntivi andrebbe ricondotta l agevolazione fiscale. Nel complesso, la commissione sconsiglia fortemente l adozione di misure con finalità equitative compensative, non solo perché le ritiene non motivate dalle caratteristiche del provvedimento in discussione, ma anche perché le modalità operative con cui esse possono essere realizzate in un sistema di prelievo anonimo sono incompatibili con la logica della compensazione. Esse potrebbero assumere unicamente la forma di un modesto sostegno agli individui con un basso patrimonio finanziario. Una misura di questo tipo potrebbe allora più opportunamente essere fatta rientrare nel disegno complessivo delle misure di contrasto alla povertà Il problema della doppia tassazione dei redditi partecipativi L innalzamento del livello della tassazione dei redditi partecipativi (sia dividendi che plusvalenze su partecipazioni azionarie), che conseguirebbe ad una unificazione dell aliquota di imposta ad un livello superiore al 12,5%, comporterebbe un aggravio del problema della doppia tassazione dei redditi partecipativi. Attualmente tale doppia imposizione è attenuata: - nel caso di partecipazioni non qualificate, grazie al livello contenuto (rispetto alle aliquote del prelievo ordinario) dell aliquota (12,5%); - nel caso di partecipazioni qualificate, grazie all inclusione solo parziale (il 40%) nella base imponibile dell Irpef. L innalzamento dell aliquota del 12,5% comporterebbe una penalizzazione per le sole partecipazioni non qualificate, il cui trattamento fiscale finirebbe per essere più oneroso di quello riservato alle partecipazioni qualificate. Se l aliquota uniforme fosse fissata al limite massimo suggerito dalla commissione, e cioè al 20%, la tassazione sugli utili, comprensiva delle imposte societarie e personali (ma non dell Irap), salirebbe dall attuale 41,4% al 46,4%, nel caso di partecipazioni non qualificate, mentre resterebbe compresa tra il 13

29 39,2% e il 44,5% (a cui si aggiungono le addizionali regionali e comunali) nel caso di partecipazioni qualificate. (Per memoria: gli utili delle società di persone, sono tassati per trasparenza, secondo le aliquote Irpef, comprese fra il 23% e il 43%). Per non introdurre una discriminazione nell onere di imposta riservato ai proventi di partecipazione non qualificate rispetto a quello riservato ai proventi delle partecipazioni qualificate, occorrerebbe prevedere, a fronte dell unificazione dell aliquota di prelievo sui redditi finanziari, anche un ampliamento della quota di inclusione nella base imponibile Irpef dei dividendi e delle plusvalenze relative alle partecipazioni qualificate. La quota di inclusione necessaria per equiparare a quella dei redditi delle partecipazioni non qualificate la tassazione dei redditi delle partecipazioni qualificate in capo ai soggetti sottoposti alla più alta delle aliquote marginali Irpef (43%), sarebbe pari al 46,5%; in capo ai soggetti con aliquota marginale pari al 39%, sarebbe pari al 51,3%. Va sottolineato che l onere complessivo del 46,4% che verrebbe a ricadere sugli utili societari, come somma di quello prelevato in capo alla società e di quello prelevato in capo al socio, è eccessivamente elevato, in relazione all onere del 20% complessivo riservato ai redditi finanziari diversi da dividendi e plusvalenze azionarie. E opinione della commissione che i pregi dell applicazione di un aliquota unica sui redditi finanziari, in sede personale, rendono preferibile che il problema in questione sia risolto in sede di riforma della tassazione del reddito di impresa. Una differenziazione dell aliquota del prelievo sui redditi partecipativi percepiti dalle persone fisiche, rispetto a quella riservata agli altri redditi finanziari, precluderebbe l approccio unitario alla tassazione attualmente riservato agli Oicvm e non permetterebbe di discriminare le plusvalenze che derivano da utili trattenuti (le uniche rilevanti per il problema della doppia tassazione) dalle plusvalenze di altra natura. Soluzioni alternative da adottarsi in sede personale richiederebbero la necessità per l intermediario di qualificare lo strumento a cui applicare il prelievo sostitutivo con modalità differenziate, e si tradurrebbe quindi in ulteriori costi di adempimento. 14

30 2.4. Il problema del coordinamento con la tassazione del risparmio previdenziale La commissione ritiene che il suo mandato non si estenda ad analizzare la tassazione del risparmio previdenziale. Ritiene però indispensabile segnalare che l unificazione delle aliquote sui redditi finanziari ad un livello intermedio fra il 12,5% e il 27% pone un problema urgente di coordinamento per quanto riguarda il regime riservato a tale tipologia di risparmio. Come è noto, la tassazione del risparmio previdenziale va valutata tenendo congiuntamente presente il regime riservato alle tre fasi di cui esso si compone: la fase della contribuzione, quella dell accumulazione e quella della prestazione. Il regime attualmente in vigore, che ha introdotto una sostanziale equiparazione del trattamento riservato alle diverse forme di risparmio previdenziale, limita il vantaggio fiscale riservato ai fondi pensione e alle altre forme previdenziali nella fase di accumulazione, riservando ad esse, in tale fase, un aliquota ridotta del 11% rispetto a quella del 12,5% riservata agli Oicvm, mentre riconosce un trattamento preferenziale a questa forma di risparmio sotto forma di differimento della tassazione dei contributi versati fino al momento della prestazione. Anche il regime di tassazione che dovrebbe entrare in vigore nel 2008 favorisce il risparmio previdenziale non già concedendo un agevolazione in fase di accumulazione, ma prevedendo un significativo abbattimento dell onere in fase di prestazione. L unificazione delle aliquote aggiungerebbe a tale vantaggio quello derivante da un significativo ampliamento del differenziale di aliquota in fase di accumulazione. Si tratta di un effetto che altererebbe il disegno del prelievo sul risparmio previdenziale, senza avvicinarci al modello di tassazione EET attualmente adottato da molti paesi europei, il quale riconosce l esenzione nella fase di accumulazione, ma asoggetta le prestazioni a tassazione ordinaria. Ciò che occorre è quindi una riconsiderazione complessiva della tassazione del risparmio previdenziale e, per coordinamento, del risparmio previdenziale assicurativo. 15

31 2.5. Altri problemi di coordinamento Una volta individuato il livello dell aliquota unica dei redditi finanziari, occorrerà procedere ad una sistematica valutazione di problemi di coordinamento che si possano porre con altre disposizioni del nostro ordinamento. Essi possono, in particolare, riguardare: - disposizioni che, per arginare fenomeni elusivi, prevedano una penalizzazione, che potrebbe non essere più tale dopo l unificazione delle aliquote, per certi tipi di operazioni; - talune ritenute prelevate in capo ai non residenti, salvo successiva applicazione delle convenzioni contro la doppia tassazione; - le ritenute prelevate su redditi finanziari percepiti all estero da soggetti italiani. 2.6.La gestione della fase di transizione E convinzione della commissione che il passaggio all aliquota unica debba essere accompagnato da una attenta disciplina transitoria finalizzata ad evitare il più possibile: - segmentazioni dei mercati e, con esse, guadagni e perdite ingiustificati, in relazione alle posizioni in essere al momento della sua entrata in vigore; - aggravi dei costi amministrativi a carico degli intermediari. Risultato che richiede anche che sia riconosciuto un adeguato spazio temporale per la messa a punto delle procedure necessarie. Questi due obiettivi sono strettamente collegati: la possibilità di differire l applicazione effettiva della nuova aliquota ad un momento successivo alla sua approvazione, giustificata dalla volontà di garantire un tempo adeguato per l implementazione di tutte le procedure necessarie alla transizione, potrebbe infatti facilitare comportamenti di tipo speculativo, creando turbative sui mercati finanziari. Per queste ragioni la commissione suggerisce che: 16

32 - l aliquota unica sia applicata a tutti gli strumenti finanziari in circolazione, senza alcuna distinzione tra strumenti già emessi ( titoli vecchi ) e strumenti emessi dopo l entrata in vigore della nuova aliquota ( titoli nuovi ). In caso contrario si riconoscerebbero indebiti guadagni (o perdite) ai possessori degli strumenti finanziari i cui rendimenti siano gravati da un aliquota superiore (inferiore) rispetto al livello scelto per l aliquota unica. Si favorirebbero inoltre, come già avvenuto nel 1986 e nel 1987 quando la nuova aliquota sugli interessi dei titoli di Stato (fissata per un anno al 6,25% e poi al 12,5%) venne applicata ai soli titoli di nuova emissione, operazioni di arbitraggio da parte di soggetti tassati secondo l imposta ordinaria sui redditi (imprese e banche) o esenti (non residenti), che non sono interessati dalla variazione dell aliquota del prelievo sostitutivo; - si segua il criterio generale secondo cui la nuova aliquota deve essere applicata solo ai redditi maturati a partire dalla data prevista per il cambio dell aliquota, mentre i redditi maturati in data precedente devono restare assoggettati all aliquota previgente. Ciò si rende necessario per evitare che la norma in questione abbia effetti retroattivi. Se si prendessero a riferimento invece che i redditi maturati i redditi realizzati prima della data scelta per il cambio dell aliquota, si attiverebbero comportamenti speculativi, volti a ottenere l applicazione dell aliquota più conveniente attraverso operazioni di cessione antecedenti il cambio dell aliquota motivate esclusivamente da ragioni fiscali. Un implicazione di questa scelta è che il risparmio di imposta relativo alle minusvalenze maturate prima del cambio di aliquota è calcolato con riferimento alla vecchia aliquota; - il regime di transizione sia disegnato in modo tale da alterare il meno possibile le procedure esistenti. L importanza e la delicatezza in fase di implementazione dei principi richiamati hanno indotto la commissione a compiere un approfondimento sul tema, al fine di individuare, con riferimento alle singole tipologie di strumenti finanziari e all insieme dei regimi vigenti, le modalità che ne rendono concretamente possibile l applicazione. I risultati di tale analisi sono descritti, in dettaglio, nell appendice a questo paragrafo. 17

33 3. PROPOSTE DI RIFORMA PER L EQUIPARAZIONE DEI TRE REGIMI DI TASSAZIONE DEL RISPARMIO 3.1.Introduzione Come si è ricordato nel primo paragrafo, i tre regimi entro cui si articola la tassazione dei redditi finanziari nel nostro paese (regime del risparmio amministrato, del gestito e della dichiarazione) si differenziano per due aspetti fondamentali: a) il regime del risparmio gestito è l unico che permette la deducibilità delle minusvalenze e delle altre perdite, non solo nei confronti delle plusvalenze, ma anche nei confronti di importanti categorie di redditi di capitali (quelli tassati al 12,5%), fra cui rientrano, in particolare, gli interessi sulle principali tipologie di titoli obbligazionari e i dividendi. Esso è inoltre l unico in cui la tassazione avviene sui rendimenti al netto degli oneri e delle commissioni; b) il timing della tassazione è molto diverso nei tre regimi: nel regime della dichiarazione e in quello del risparmio amministrato la tassazione avviene infatti alla realizzazione, mentre nel regime del risparmio gestito avviene alla maturazione. Queste asimmetrie di trattamento rappresentano un evidente violazione dei principi (di efficienza, equità e capacità di prevenire comportamenti elusivi) a cui dovrebbe essere ricondotto il prelievo tributario in questo campo. In particolare, il previsto accorpamento delle aliquote, con l innalzamento dell aliquota del 12,5%, accentuerebbe la disparità di trattamento tra gli Oicvm italiani e quelli comunitari e il vantaggio fiscale che il sistema attuale riconosce ai redditi di capitale sui titoli a cedola nulla rispetto ai titoli con cedola (su quest ultimo aspetto, si rinvia all Appendice 2). La commissione si è quindi proposta di esaminare gli interventi di riforma che potrebbero permettere di superare queste disparità di trattamento e ha ipotizzato tre distinti scenari, di cui si illustrano di seguito gli elementi fondamentali, esaminando i pro e i contro di ciascuno di essi. 18

34 Il primo scenario ipotizza un intervento di riforma molto limitato, finalizzato esclusivamente a porre rimedio ai problemi più urgenti. Gli altri due scenari prevedono interventi di più ampio respiro, che, pur dedicando particolare attenzione a non porre oneri eccessivi in capo agli intermediari e a sfruttare il più possibile le procedure applicative già esistenti, rendano coerente il nostro sistema di tassazione, nel suo complesso, o con il principio della realizzazione o con quello della maturazione Ipotesi minimale: status quo con correttivi Una ipotesi di lavoro minimale potrebbe essere motivata dalla valutazione secondo cui la situazione attuale, per quanto insoddisfacente sotto il profilo del disegno tributario, ammette una qualche forma di compensazione fra svantaggi e vantaggi dei due principali regimi di tassazione: quello del risparmio gestito è infatti, comparativamente, penalizzato dalla tassazione alla maturazione (che si traduce in un vantaggio quando si maturano delle minusvalenze); beneficia però della possibilità di compensare le minusvalenze con i redditi di capitale, non riconosciuta all amministrato (e al dichiarato). Si potrebbe allora ipotizzare un intervento che non ponga su un piano di parità il regime di tassazione del gestito con quello dell amministrato, sotto i profili richiamati del timing della tassazione e della deducibilità delle minusvalenze, ma che risolva gli altri problemi richiamati al paragrafo 1. Più precisamente questo intervento avrebbe l obiettivo di: - eliminare le disparità di trattamento fra gli Oicvm italiani e gli Oicvm comunitari armonizzati, prevedendo che la tassazione avvenga per entrambi in capo al sottoscrittore al momento della distribuzione degli utili o del riscatto o della cessione delle quote. Il prelievo sarebbe commisurato all incremento del valore della quota nel periodo di possesso, al netto dei redditi di capitale già tassati alla fonte. Esso verrebbe equiparato al prelievo che si sarebbe avuto alla maturazione attraverso un processo di equalizzazione basato, ad esempio, sui rendimenti interni del fondo. Le plusvalenze e le minusvalenze che derivano dal riscatto o dalla cessione sarebbero qualificate come redditi diversi e quindi potrebbero essere compensate con altre plusvalenze realizzate dal contribuente; 19

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