SED LEX. Dossier anno 2, n La diligenza nell adempimento e la responsabilità del medico

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1 SED LEX Dossier anno 2, n La diligenza nell adempimento e la responsabilità del medico Cenni introduttivi... 2 La prestazione del medico: l obbligo di diligenza e di informazione-...4 La prestazione del medico...4 L obbligo di diligenza...5 Il dovere di informazione...6 La natura della responsabilità medica: evoluzione giurisprudenziale...8 La ripartizione dell onere probatorio nell accertamento della colpa professionale...10 L accertamento del nesso causale...14 Quesiti Clinico-Assistenziali anno 2, n.4, maggio 2011 Editore Zadig via Calzecchi 10, Milano Direttore: Roberto Satolli segreteria@zadig.it Redazione: Raffaella Daghini, Nicoletta Scarpa tel.: fax: Autore dossier: Fabiola Mentasti

2 Cenni introduttivi La responsabilità civile del medico ha subito una trasformazione radicale negli ultimi decenni. In passato, infatti, la casistica riguardante azioni civili per responsabilità professionale era, in senso quantitativo, contenuta, per non dire sporadica, emergendo chiara, dalla lettura delle leggi e della conseguente giurisprudenza, l esigenza della difesa e del mito della supremazia dell autorità culturale dell uomo e della scienza. Anzi, il medico, sino alla prima metà del ventesimo secolo, non era mai considerato responsabile. Tipici esempi di ciò sono il codice napoleonico e quello italiano del 1865 che non contenevano alcuna disciplina relativa alla responsabilità del professionista, nell intento nemmeno troppo nascosto di garantire alle professioni intellettuali la loro tipica origine liberale preservandone la piena indipendenza e l ampia discrezionalità. Il nostro codice civile del 1942, avvertendo la necessità di meglio disciplinare il contratto d opera intellettuale e, più in particolare, il problema della responsabilità del professionista, ha regolato la materia attraverso l art cod. civ., con il chiaro intento, come detto nella nota in commento al codice, di trovare un punto d equilibrio fra due opposte esigenze: quella di non mortificare l iniziativa del professionista, con il timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista. Nonostante questo nobile intento, l art cod. civ. ha stentato per molti anni ad affermarsi, continuando a prevalere, per diversi decenni, un interpretazione che limitava la responsabilità del medico alla sola ipotesi della colpa grave, mantenendo così ristretto e sporadico il numero di casi di azioni giudiziarie nei confronti dei medici. Dalla fine degli anni '70 in poi, si è verificata un inversione di tendenza: il modo di valutare la colpa professionale si è venuto a modificare, anzitutto limitando progressivamente la portata applicativa dell art cod. civ., ma, soprattutto, è venuto a cambiare il criterio d attribuzione della colpa professionale, il che ha conseguentemente determinato una rilevante espansione delle azioni civili per responsabilità professionale. Una delle cause del suddetto cambiamento è individuabile nell evoluzione del concetto di diritto alla salute: tale diritto, negli ultimi anni, si è modificato con il passaggio da una dimensione puramente passiva del diritto individuale, intesa come diritto alla propria protezione psichica e fisica, a una dimensione attiva, come diritto e libertà di essere, di disporre di sé e di autodeterminarsi, giuridicamente tutelato a prescindere dalle conseguenze sul piano della cura. Tutto ciò ha determinato un mutamento del concetto e della funzione della responsabilità civile nello specifico settore della responsabilità medica. L evoluzione giurisprudenziale riflette, infatti, il passaggio dall esigenza di tutelare il mito e la supremazia dell autorità culturale dell uomo e della scienza, a quella invece di garantire la tutela del diritto alla salute del paziente. Tanto è vero che, nell espansione delle aspettative sociali di cura, si è seguita questa traiettoria evolutiva che ha condotto i medici dipendenti e le strutture sanitarie, pubbliche o private, a essere responsabili nei confronti dei pazienti per tutti gli errori che abbiano recato danno alla loro salute. Si è, dunque, in un epoca in cui il campo della responsabilità civile del medico sta vivendo una fase di espansione, sino a ridurre le zone franche una volta tollerate sulla base del principio di affidamento alla sua competenza specifica: la tutela del diritto alla salute è, infatti, considerata preminente e non è più sacrificabile in nome del miglior interesse del paziente, perseguito dal medico. Il diverso modo di intendere il concetto di diritto alla salute ha quindi avviato un processo, non ancora conclusosi, di ridefinizione dei compiti e dei doveri propri del medico. La trasformazione in atto va riferita, in particolar modo, all esercizio dell attività medica all interno di una struttura sanitaria. Infatti, in quest ambito si può osservare come la professione medica sia esercitata in modo meno personale, con un rapporto meno immediato tra medico e paziente. D altro canto, oggi accade di frequente che il malato si rivolga in primis a una struttura ospedaliera per ottenere le cure, riponendo dunque maggior fiducia nelle qualità strutturali e nelle capacità del personale ivi selezionato, piuttosto che nelle capacità del singolo medico. In una siffatta circostanza la trama dei rapporti soggettivi si va dunque complicando. Di là dal rapporto che continua a legare medico e paziente si devono pertanto considerare, da un lato, - 2 -

3 quello tra ente sanitario e paziente, dall altro lato, quello tra l ente e il medico che in esso opera. L esigenza di garantire una tutela più efficace del diritto alla salute del malato ha dunque influito sul sistema delle regole strutturali di questi rapporti, determinando alcuni importanti cambiamenti di disciplina. Il cambiamento principale riguarda la qualificazione della responsabilità del medico dipendente. In quest ambito, l interpretazione giurisprudenziale è stata caratterizzata dalla continua oscillazione tra l area del torto civile e quella del contratto. La situazione si è risolta con la decisione della giurisprudenza maggioritaria di riconoscere formalmente nell ambito della responsabilità contrattuale, il regime di regole, proprie della responsabilità medica, emerso dalla costante applicazione del principio del cumulo c.d. improprio. Il richiamo a tale principio, di fatto, ha reso possibile l introduzione di un trattamento unitario per la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e quella extracontrattuale del medico, giungendo, in questo modo, alla creazione di una forma ibrida di responsabilità in cui l interesse a proteggere il bene salute ha suggerito la facile trasmigrazione di regole operative appartenenti al regime aquiliano in ambito contrattuale. La giurisprudenza è infine pervenuta a qualificare l obbligazione del medico dipendente come una di tipo contrattuale, perché ritiene che la condotta imperita del sanitario violi degli obblighi di protezione della sfera giuridica altrui. Obblighi autonomi di protezione che trovano il loro fondamento diretto, in favore del paziente, nell affidamento che la qualità professionale del medico genera anche in mancanza di un rapporto di prestazione. Il ricorso alla categoria dei rapporti contrattuali di fatto o da contatto sociale ha quindi garantito la tutela del diritto alla salute attraverso l individuazione di un obbligo di protezione in capo al medico, la cui violazione da luogo a responsabilità contrattuale, e in questo modo si offre tutela in ambito contrattuale a interessi diversi da quello puramente creditorio all esatto adempimento. Stante la necessità di adeguare i contenuti del regime probatorio per la responsabilità medica ai principi dettati in materia contrattuale, una maggiore tutela dei diritti del malato è garantita anche dalla recente adozione di un regime probatorio di favor nei confronti del paziente. Giova inoltre ricordare che la giurisprudenza ha da tempo affermato il principio di solidarietà in questo specifico settore: il medico dipendente e l ente sanitario nel quale si trova a operare rispondono in via solidale per il medesimo evento dannoso causato al paziente. Il consolidamento di tale principio in ambito medico risponde, infatti, al duplice scopo di offrire una migliore tutela del diritto alla salute del malato e di rafforzare la tutela risarcitoria del medesimo. Il paziente ha così la possibilità di rivalersi indistintamente nei confronti del medico autore del danno ovvero della struttura sanitaria presso la quale è avvenuto il ricovero. Va tenuto presente che, nel nostro ordinamento, la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente ha natura contrattuale ed è diretta, anche se talora è riconducibile alle responsabilità degli ausiliari, ai sensi dell art cod. civ.. La giurisprudenza maggioritaria, infatti, qualifica l accordo concluso tra ente e paziente al momento del suo ricovero in ospedale come contratto d opera professionale: l ente, pertanto, si obbliga a svolgere la preventiva attività diagnostica e la conseguente attività terapeutica con l obiettivo di migliorare il più possibile lo stato di salute dell assistito. Conseguentemente a ciò, all ente sono imputati i risultati delle prestazioni erogate dagli operatori agenti al suo interno. Ciò si spiega perché l attività medica condotta dall ente sanitario per mezzo dei suoi dipendenti in nulla differisce da quella condotta dal medico in esecuzione di un obbligazione privatistica. L orientamento prevalente quindi propende per l assimilazione della prestazione offerta dall ente a quella eseguita dal medico libero professionista. Si ricordi del resto che il recente inquadramento della responsabilità del medico dipendente in ambito contrattuale si giustifica sulla scorta della teoria dell immedesimazione organica tra ente e medico, e inoltre con l esigenza di porre fine a diversificazioni ingiustificate per prestazioni sostanzialmente identiche ma rese in contesti differenti

4 La prestazione del medico: l obbligo di diligenza e di informazione La prestazione del medico Secondo una tesi tradizionale, seguita ancora in parte in dottrina e, soprattutto, in giurisprudenza, la prestazione del medico si inserisce nella categoria delle obbligazioni cosiddette di mezzi o di comportamento. Pertanto, l obbligazione del medico si estrinsecherebbe nell integrazione di un comportamento professionalmente adeguato, espressione della diligenza che lo standard medio di riferimento richiede; di contro, il medico, quale fornitore della prestazione, non sarebbe tenuto a far conseguire al paziente il risultato sperato, consistente nella guarigione. In altri termini, in caso d inadempimento, non si può addebitare al medico di non aver guarito il paziente bensì di non aver fatto, nei limiti delle conoscenze che era legittimo aspettarsi in relazione alla professione esercitata, quanto era necessario per guarirlo. Sulla scorta di questa impostazione, la giurisprudenza, in passato, ha formulato spesso giudizi che accolgono la distinzione in oggetto, stabilendo che: l obbligazione assunta dal professionista ha per contenuto lo svolgimento dell attività professionale, necessaria e utile in relazione al caso concreto e in vista del risultato che, attraverso il mezzo tecnico-professionale, il cliente spera di conseguire. Il professionista ha dunque il dovere di svolgerla con la necessaria adeguata diligenza (Cass. Civ , n. 2439). A differenza delle cosiddette obbligazioni di risultato, che richiedono, ai fini dell adempimento, il perseguimento effettivo della finalità che costituisce elemento costitutivo del sinallagma, in tali obbligazioni, invece, il mancato raggiungimento del risultato non determinerebbe per ciò solo un inadempimento. L inadempimento, o l inesatto adempimento, sarebbe correlato al fatto che l autore della prestazione abbia tenuto un comportamento non conforme alla diligenza richiestagli, mentre il mancato raggiungimento del risultato potrebbe costituire danno conseguenziale alla non diligente prestazione o alla colpevole omissione dell attività sanitaria. In dottrina, tuttavia, si è prospettata una diversa ricostruzione, che pone l accento sull equivoco che si genera sul corretto intendimento della terminologia adoperata per caratterizzare categorie eterogenee di rapporti obbligatori. Dette categorie possono distinguersi in ragione di una minore o maggiore corrispondenza del termine finale dell obbligazione, ossia il risultato dovuto, al termine iniziale, cioè all interesse del creditore da cui l obbligazione trae origine, ma non certo in forza dell assenza ovvero della presenza di un risultato dovuto, che, in quanto rappresentativo di un utilità destinata al creditore, costituisce un dato ineludibile in qualsivoglia rapporto obbligatorio. Al riguardo, nella prestazione medica è possibile cogliere pur sempre un risultato dovuto, che non si sostanzia tuttavia nella guarigione clinica, quanto piuttosto nel complesso di cure atte a guarire. Tali cure rientrano nel risultato dovuto e si profilano in realtà come un mezzo della serie teleologica che costituisce il contenuto dell interesse primario del creditore. In base a tale teoria, non è il difetto di un risultato dovuto a connotare la categoria delle obbligazioni di mezzi ma il fatto che in esse può verificarsi (a differenza delle cosiddette obbligazioni di risultato) una possibile non coincidenza tra la buona cura, che rappresenta comunque un risultato dovuto, e il conseguimento dell interesse primario del paziente creditore, finalizzato alla guarigione. E ciò perché tra il risultato della buona cura e la soddisfazione del riferito interesse primario (guarigione) possono frapporsi e interagire fattori non sempre controllabili dall operato umano. Alla luce di detta ricostruzione, emerge con evidenza la relatività della distinzione tra i concetti di mezzi e di risultato ove si consideri che un fatto, valutato come mezzo in ordine a uno scopo successivo, ben può divenire di per sé un risultato, se considerato come termine di una serie teleologica più limitata. Ora, il paziente che si sottoponga a una cura, pur in vista di un esito che non appaia certo, si attende dal medico una condotta diligente che, proprio perché dovuta, è già essa stessa da intendersi come risultato. Il ragionamento che precede avvalora la fondatezza dell impostazione sistematica secondo cui l obbligazione del medico è, al contempo, di mezzi e di risultato. Tanto perché la diligenza ri

5 chiesta configura sia un criterio di imputazione dell inadempimento sia un criterio di determinazione del contenuto della prestazione. Il contenuto della prestazione del medico, che, come si è visto, è qualificata quale obbligazione di mezzi, se non altro dalla dominante giurisprudenza, almeno nel senso indicato, può essere individuato nell obbligo di diligenza e in quello di informazione

6 L obbligo di diligenza La diligenza cui è tenuto il medico nell adempimento delle obbligazioni inerenti la propria attività professionale non è soltanto quella del buon padre di famiglia, di cui all art. 1176, primo comma, cod. civ., ma è piuttosto quella qualificata, richiesta dalla natura dell attività esercitata, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo. L espressione di tale diligenza qualificata, caratterizzata da un particolare sforzo tecnico-scientifico, è la perizia, intesa come conoscenza e applicazione di quel complesso di regole tecniche proprie della categoria professionale d appartenenza: nello specifico, si tratta delle leges dell arte medica, di natura cautelare, tese a perimetrare l ambito del cosiddetto rischio consentito e, per l effetto, l ambito di liceità dell intervento.1 Il richiamo alla perizia ha, dunque, in questi casi, la funzione di ricondurre la responsabilità alla violazione di obblighi specifici derivanti da regole disciplinari precise. Ciò postula, come è stato innanzi evidenziato, un duplice significato della diligenza: sia quale parametro di imputazione del mancato adempimento, sia quale criterio di determinazione del contenuto dell obbligazione (vedi Cass. Civ , n. 2466; Cass. Civ , n. 589). Va specificato che con riferimento all attività professionale medica, la perizia di volta in volta si caratterizzerà in modi parzialmente diversi, connotandosi dei significati tecnico-qualitativi attinti dallo standard medio dello specialista di riferimento, fermi comunque quei principi fondamentali comuni a qualsiasi ramo dell attività medica. In definitiva, da parte di ogni sanitario si esigerà, accanto ai generali doveri di diligenza e prudenza, una perizia il cui contenuto è rappresentato, da un lato, dalle leges artis comuni a qualsiasi ramo della professione medica; dall altro, dalle regole di condotta specifiche del settore di specializzazione del singolo sanitario (vedi Cass. Civ , n. 589). Ne consegue che la colpa medica ricorre in tutte le ipotesi di inosservanza e/o violazione da parte del sanitario delle specifiche regole cautelari di condotta proprie dell agente modello del settore specialistico di riferimento, ipotizzandosi tanti agenti-modello quante sono le branche specialistiche della medicina (per esempio, radiologo, cardiologo, eccetera) Essa potrà essere omissiva, allorché l errore medico, terapeutico o diagnostico, si sostanzi nell omissione delle cautele prescritte dalle speciali regole di condotta, da valutare anche alla stregua dei protocolli terapeutici standardizzati; commissiva, laddove la violazione delle suddette regole si traduca in una condotta attiva. Accanto a tale colpa professionale o speciale nulla esclude che possa ascriversi al medico anche una responsabilità per colpa generica, per inosservanza delle regole generali di diligenza e prudenza. Il codice civile riserva alla responsabilità professionale, nel cui ambito rientra quella medica, un apposita disciplina speciale di cui all art cod. civ., in considerazione delle peculiarità della prestazione intellettuale. La norma in questione pone una limitazione di responsabilità del prestatore d opera, circoscrivendola ai soli casi di dolo o colpa grave, qualora si trovi di fronte a problemi tecnici di speciale difficoltà. La ratio di questa limitazione di responsabilità consiste nella finalità di contemperamento di due opposti interessi: da un lato, la necessità di non mortificare l iniziativa del professionista nella risoluzione di casi di particolare difficoltà, esponendolo a emulative azioni risarcitorie da parte dei pazienti; dall altro, l esigenza di non indulgere verso atteggiamenti improntati a leggerezza e negligenza. Circa l ambito applicativo di detta previsione, la giurisprudenza ha, tuttavia, formulato due fondamentali precisazioni, ovvero che la norma si applica soltanto quando sia in discussione la perizia del professionista e non quando, al contrario, ci si trovi di fronte all imprudenza o all incuria, operando in relazione a queste ultime il giudizio improntato a criteri di normale severità, di cui all art. 1176, secondo comma, cod. civ

7 Inoltre, occorre che la perizia sia impiegata per la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto poco studiati o molto dibattuti con riguardo ai metodi terapeutici da adottare, per essere caratterizzati dalla straordinarietà e particolare eccezionalità del loro manifestarsi. In definitiva: trattandosi di obbligazioni inerenti all esercizio di attività professionali, la diligenza nell adempimento deve valutarsi, a norma dell art. 1176, secondo comma, cod. civ., con riguardo alla natura dell attività esercitata; l art cod. civ. è riferibile alla sola perizia dispiegata nella soluzione di problemi di speciale difficoltà, vale a dire con riferimento a quei casi che trascendono la preparazione media; gli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ. esprimono l unitario concetto secondo cui il grado di diligenza deve essere ponderato con riferimento alla difficoltà della prestazione resa. La colpa professionale è appunto inosservanza della diligenza qualificata richiesta. 2 Il dovere di informazione Il dovere d informazione, nell ambito della professione medica, assume un rilievo fondamentale, per un duplice motivo: da una parte, infatti, la corretta informazione costituisce il presupposto per la valida prestazione del consenso del paziente al trattamento medico; dall altra assume i contorni di un dovere autonomo rispetto alla stessa colpa professionale, potendone addirittura prescindere. 3 Per ottenere il consenso del paziente, il medico deve richiedere al paziente stesso di sottoscrivere un modulo nel quale si evidenzia sia l avvenuta acquisizione delle informazioni in ordine ai rischi dell intervento, sia la volontà di assoggettarvisi. In concreto, il paziente deve essere messo in condizioni di poter valutare in modo quanto più consapevole e completo, nei limiti delle proprie conoscenze, il ventaglio di possibilità degli interventi offerti dalla scienza medica, e gli eventuali rischi, per dare così il proprio consenso all effettuazione delle operazioni che detta scelta comporta. D altro canto, l intervento del medico in assenza del consenso del soggetto interessato al trattamento terapeutico sarebbe in ogni caso impedito tanto dall art. 32 comma 2 della Costituzione italiana, a norma del quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, quanto dall art. 13 cost., che garantisce l inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica. Va tenuto presente, infatti, che il consenso informato è manifestazione del diritto di autodeterminazione, tutelato da norme di rango costituzionale. Dal punto di vista civilistico, il consenso informato costituisce un elemento essenziale del contratto medico- paziente: il consenso, non preceduto dalla corretta e chiara informazione medica, fa venir meno l elemento fondamentale dell accordo di cui all art comma 1 cod. civ.. La manifestazione del consenso permette al paziente-creditore della prestazione di compiere scientemente quella valutazione tra costi e benefici indispensabile ai fini della validità dell accordo tra le parti che, altrimenti, perde ogni significato per vizio del consenso, conseguendone l annullabilità ex artt e segg. cod. civ.. La disciplina del consenso informato è dunque ricondotta alla tradizionale disciplina dei contratti: il consenso del paziente al trattamento sanitario tuttavia non s identifica necessariamente con il consenso al contratto, ragion per cui pare più opportuno fare una distinzione tra le due cose. Basti pensare che la conclusione del contratto con il medico, non obbliga il paziente a sottoporsi ad alcuna cura, né il rifiuto di un determinato trattamento terapeutico determina necessariamente il venir meno del contratto eventualmente stipulato tra medico e paziente. Infatti, secondo una diversa prospettiva, che muove dal riconoscimento del rilievo giuridico dell attività medica nel suo svolgersi, legato alla valutazione di dinamiche che vivono nella loro effettività e prescindono dall immediato riferimento a un titolo, inteso come astratto e formale indice legittimante, l equiparazione tra il consenso al trattamento terapeutico e il consenso al contratto stipulato con il medico appare riduttivo; d altra parte, il consenso al trattamento non può esaurire la sua rilevanza al momento dell accordo con il medico, perché a partire da quell accordo, il rapporto medico-paziente si snoda in una serie di attività che presuppongono il rinnovarsi del consenso. Di ciò vi è conferma nel Decreto del Ministro della sanità 15 luglio 1997 (re - cante disposizioni in recepimento delle linee guida dell U.E. sulla buona pratica clinica per l esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali), dove non si ritiene sia possibile consi

8 derare cristallizzata, una volta per tutte, la prestazione al consenso: esso è richiesto ogni qual volta lo svolgimento dell attività medica renda disponibili informazioni nuove e tali da poter influenzare la volontà del paziente. Inoltre il problema della validità del consenso al contratto si pone su un piano diverso rispetto a quello della validità del consenso al trattamento: la disciplina codicistica dei vizi della volontà e la sanzione dell annullamento non si prestano a regolare adeguatamente il consenso al trattamento, rispetto al quale la valutazione d invalidità non produce conseguenze significative se non è associata a una regola di responsabilità che sanzioni la violazione degli obblighi d informazione. Secondo questa prospettiva, dunque, la distinzione tra consenso al trattamento e consenso al contratto è, evidentemente, funzionale all esigenza di tutelare l interesse del paziente in via autonoma rispetto alle vicende del contratto. Peraltro il consenso del paziente al trattamento va espresso anche laddove il rapporto professionale con il medico non derivi da contratto, in quanto al medico si vieta ogni intervento sul malato in mancanza del valido consenso del paziente, ex art. 32 comma 2 Cost., come ricordato prima. L informazione del paziente, la richiesta e la ricezione del suo consenso si presentano, quindi, come requisiti ai quali deve attenersi l attività medica in base alle disposizioni normative che la regolano, indipendentemente dalla presenza di un contratto. L obbligo d informazione, proprio in quanto regola della professione medica, acquista così rilievo autonomo rispetto all obbligazione di prestazione, oltre più che si tratta di un obbligo attraverso il quale si dà attuazione a norme di rilevanza costituzionale volte a tutelare un diritto primario della persona: l esigenza di riconoscere autonoma rilevanza all obbligo d informazione trova traccia anche nelle sentenze della Corte di Cassazione (Cass. civ , n. 7027). In ogni caso, questa affermazione non esclude di conseguenza, l esistenza di una relazione tra obbligo d informazione e prestazione. L obbligo d informazione gravante sul medico può, infatti, influire sul contenuto della prestazione da questi posta in essere, in esecuzione del contratto: il trasferimento di informazioni è funzionale alla definizione di quanto dovuto dal medico e, conseguentemente, a una distribuzione dei rischi diversa rispetto a quella che si sarebbe avuta ove l informazione non fosse stata trasferita. La correlazione tra obbligo d informazione e contenuto della prestazione è ancor più evidente, quando le informazioni sono volte all adozione di misure di precauzione da parte del potenziale danneggiato. L area del giuridicamente dovuto dal debitore della prestazione, infatti, è tanto minore quanto sono maggiori le informazioni date al creditore, perché non possono accollarsi degli oneri di precauzione in capo a un soggetto senza almeno informarlo dei rischi di danno cui va incontro. A questo proposito, va detto che la Corte di Cassazione, nella sentenza del 9 febbraio 2010 n. 2847, ha stabilito che anche in caso di sola violazione del diritto all'autodeterminazione, pur senza correlativa lesione del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l'intervento terapeutico necessario e correttamente eseguito, può dunque sussistere uno spazio risarcitorio; mentre la risarcibilità del danno da lesione della salute che si verifichi per le non imprevedibili conseguenze dell'atto terapeutico necessario e correttamente eseguito secondo le regole dell arte, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, necessariamente presuppone l'accertamento che il paziente avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato. Il relativo onere probatorio, suscettibile di essere soddisfatto anche mediante presunzioni, grava sul paziente: perché la prova di nesso causale tra inadempimento e danno comunque compete alla parte che alleghi l'inadempimento altrui e pretenda per questo il risarcimento; perché il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico; perché si tratta pur sempre di stabilire in quale senso si sarebbe orientata la scelta soggettiva del paziente, sicché anche il criterio di distribuzione dell'onere probatorio in funzione della vicinanza al fatto da provare induce alla medesima conclusione; perché il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di opportunità del medico costituisce un'eventualità che non corrisponde all'id quod plerumque accidit. Deve, invece, considerarsi superata dalla giurisprudenza maggioritaria la tesi secondo cui il vizio inerente al consenso informato è motivo di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell art

9 1337 cod. civ., sul presupposto della violazione del comportamento in buona fede del professionista (in questo senso, vedi per esempio, Cass. Civ , n ). Partendo dalla considerazione che l attività medica si compone di due fasi, quella preliminare, di diagnosi e studio della sintomologia, e l altra, conseguente alla prima, terapeutica o d intervento chirurgico, la giurisprudenza di legittimità ritiene che solo al completamento della fase diagnostica subentra il dovere del medico di informare il paziente in ordine alla natura e agli effetti del trattamento terapeutico, eventualmente manifestatosi come necessario. Da queste premesse consegue, nell argomentazione della giurisprudenza, l inevitabile inclusione dell obbligo d informazione nella complessa prestazione medica e la responsabilità contrattuale per il suo inadempimento o inesatto adempimento

10 La natura della responsabilità medica: evoluzione giurisprudenziale In passato, si è posto il dubbio relativo alla possibilità di articolare diversamente la responsabilità del medico a seconda che questi sia un dipendente di una struttura pubblica oppure un libero professionista legato al paziente da un contratto d opera intellettuale. In questo secondo caso è evidente la natura contrattuale del rapporto medico-paziente, come evidenti sono le conseguenti implicazioni in tema di responsabilità. Più problematica, invece, l individuazione della responsabilità del medico che sia pubblico dipendente, poiché il rapporto con il paziente è determinato dalla turnistica interna a ogni reparto, non certo da quel rapporto fiduciario che caratterizza il contratto d opera intellettuale. Alla luce di ciò, l opzione interpretativa inizialmente affermatasi propendeva per la responsabilità extracontrattuale del medico il quale era chiamato a rispondere del danno ingiusto provocato al paziente, per la lesione del diritto alla salute, non potendosi considerare contrattualmente obbligato verso lo stesso, non avendo concluso con questi alcun accordo (vedi Cass. Civ n. 1716). In ogni caso, va notato che i criteri di valutazione della responsabilità extracontrattuale del sanitario, qui richiamati, sono i medesimi di quelli applicati in ambito contrattuale, ex art cod. civ., in connessione con il disposto di cui all art cod. civ.. La responsabilità del medico dipendente, infatti, non è valutata diversamente rispetto a quella, di solito, concorrente dell ente sanitario o rispetto alla responsabilità di altro professionista che con il cliente abbia un rapporto di natura contrattuale. L assimilazione tra i criteri di valutazione della responsabilità propri dell area contrattuale e di quella aquiliana è peraltro confermata dall estensione dell art cod. civ. anche alla disciplina del fatto illecito. Questa estensione di disciplina si giustifica in base alla ratio dell art cod. civ., consistente nella necessità di non mortificare l iniziativa del professionista nella risoluzione di problemi di particolare difficoltà: la sua applicazione, dunque, ricorre indipendentemente dalla qualificazione dell illecito (vedi Cass. Civ n. 1544). L assimilazione tra i regimi di responsabilità riguarda, ancor prima, la natura dell interesse protetto. L attività diagnostica e terapeutica, dovuta nei confronti del paziente, sia dall ente ospedaliero sia dal medico dipendente, mira alla tutela della salute del paziente, sebbene essa sia dovuta da ciascuno di questi sotto un diverso profilo e nei confronti di un diverso soggetto. Nella responsabilità medica viene meno, infatti, la distinzione tra interesse protetto dal contratto e interesse protetto anche al di fuori del contratto, poiché nell uno e nell altro caso si tratta del bene salute; la lesione della salute costituisce presupposto indefettibile per la valutazione dell interesse creditorio all esatta realizzazione della prestazione medica, nonché per l accertamento del nesso causale e della colpa del medico. 5 Nell ipotesi di azioni proposte nei confronti, rispettivamente, del medico dipendente e dell ente ospedaliero, la configurazione della responsabilità del sanitario dipendente, come responsabilità aquiliana, avviene, pertanto, in conformità a una premessa che resta priva d implicazione nelle valutazioni del giudice e che conserva la sua rilevanza solo sul piano meramente processuale. 6 Il settore della responsabilità medica ha visto affermarsi, nel tempo, regole di natura giurisprudenziale che si sono imposte oltre la tradizionale partizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, come accennato poco sopra. Tanto è vero che, attraverso la loro analisi, in dottrina, si è guardato alla responsabilità medica come a un sottosistema della responsabilità civile in cui la tradizionale distinzione tra i diversi regimi di responsabilità civile tende a sfumare, per dare vita a una configurazione giuridica che partecipa dei caratteri di entrambi, senza rivelare una chiara appartenenza a uno dei due tipi, se non nell inquadramento adottato per la singola fattispecie. In buona sostanza, la giurisprudenza ha introdotto, di fatto, un trattamento unitario in conformità al principio del cumulo delle azioni contrattuale ed extracontrattuale, sia per la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, sia per quella aquiliana del medico dipendente, ogni qualvolta entrambi vengano chiamati a rispondere nei confronti del paziente; in questo modo, è stato possibile addivenire alla creazione di una forma ibrida di responsabilità in cui l interesse

11 a proteggere il bene salute ha suggerito la facile trasmigrazione di regole operative appartenenti al regime aquiliano in ambito contrattuale. La regola del cumulo delle azioni stabilisce l ammissibilità del concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ogni qualvolta un unico comportamento risalente al medesimo autore, e quindi, un evento dannoso unico nella sua genesi soggettiva, appaia di per sé lesivo non solo dei diritti specifici derivanti al contraente dalle clausole contrattuali, ma anche dei diritti assoluti che spettano alla persona offesa. Nell ambito della responsabilità medica, il principio del cumulo è stato appunto esteso anche a quelle fattispecie in cui più soggetti, a diverso titolo, sono chiamati a rispondere solidalmente del medesimo fatto, (vedi Cass , n. 4437, Cass , n Si parla di cumulo c.d. improprio perché, sul piano processuale, si verifica una connessione oggettiva, ossia delle diverse cause, per identità di petitum o causa petendi che dà luogo alla possibilità di cumulo soggettivo. (art. 103 cod. proc. civ.) La giurisprudenza di merito e quella di legittimità hanno, infatti, affermato la responsabilità solidale dell ente ospedaliero e del medico suo dipendente, i quali, anche se in base a un titolo diverso, sono chiamati a rispondere, nei confronti del paziente, del medesimo evento dannoso. In una sentenza di merito si è, infatti, ribadito che questa solidarietà è del tutto indipendente dal titolo da cui promana la responsabilità, rispettivamente, dell ospedale e del medico dipendente, poiché l evento lesivo verificatosi ai danni del paziente è unitario; il paziente può allora pretendere da ciascuno dei responsabili il risarcimento dell intero. Per questa strada, la giurisprudenza è così pervenuta a individuare un identico criterio, valevole per entrambi i tipi di responsabilità, per la valutazione del nesso causale la cui sussistenza è necessaria ai fini del risarcimento del danno patito in conseguenza dell esercizio dell attività medica (vedi Cass. Civ , n. 4437). Come ricordato prima, la giurisprudenza ha inoltre esteso l applicazione dell art cod. civ. anche all ambito extracontrattuale; e in tale contesto, facendo leva sull asserita rilevanza tra obbligazioni di mezzi e di risultato, si è ritenuto di poter assimilare, anche sotto il profilo probatorio, l inadempimento contrattuale all illecito aquiliano. In effetti, spesso ricorre nelle sentenze l affermazione secondo cui il paziente ha l onere di provare la difettosità o l inadeguatezza della prestazione professionale che integra, in un caso, l inadempimento della struttura cui si è rivolta per ricevere delle cure e, nell altro, il fatto illecito del medico. In definitiva, la regola del cumulo, nell ambito della responsabilità medica, risponde all esigenza di offrire la miglior tutela possibile al diritto alla salute, senza sottrarla al regime aquiliano anche quando la sua lesione derivi da un inadempimento contrattuale, e adottando, nello stesso tempo, un criterio uniforme di valutazione sia per la condotta del medico che per l organizzazione dell ente. Verso la fine degli anni ottanta, la giurisprudenza di legittimità, sotto l insegna della regola del cumulo c.d. improprio, è pervenuta alla decisione di qualificare anche l obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria come obbligazione contrattuale la quale determina una responsabilità ex art cod. civ.; in tal modo si è posto fine a diversificazioni ingiustificate per prestazioni sostanzialmente identiche ma rese in contesti normativi differenti. 7 La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2144/1988, è arrivata ad affermare la responsabilità contrattuale del medico dipendente, richiamando l art. 28 Cost., che riconosce, accanto alla responsabilità diretta dell ente, la responsabilità diretta del medico dipendente. Ha inoltre dedotto la responsabilità dell ospedale pubblico e del sanitario, nell esecuzione non diligente della prestazione sanitaria da parte del medico dipendente, nell ambito dell organizzazione sanitaria. Considerata la radice comune, ne consegue che la responsabilità del medico, al pari di quella dell ente sanitario locale, è di tipo professionale contrattuale: a essa si applicano, in via analogica, le norme che regolano la responsabilità professionale in tema di prestazione medica in esecuzione di un contratto d opera intellettuale. Da questa sentenza è emersa, in modo chiaro, la tendenza in giurisprudenza di far ricadere la responsabilità del medico dipendente in ambito contrattuale, non già per la violazione della lex contractus, peraltro qui non invocabile, bensì per la violazione di obblighi di conservazione della sfera giuridica altrui; obblighi autonomi di protezione che trovano fondamento diretto, in favore del paziente, nell affidamento che la qualità professionale del medico genera anche in mancanza di un rapporto di prestazione. In dottrina si è allora rilevato che viene a esistere il vincolo con il paziente, nonostante il medico non sia gravato da un obbligo di prestazione, e la

12 violazione di esso si configura come culpa in non faciendo, la quale dà origine a responsabilità contrattuale. La positiva individuazione di un obbligo di protezione in capo al medico, la cui violazione conferisce alla responsabilità medica natura contrattuale, fa in modo che la responsabilità contrattuale tenda ad assumere quella prevalente funzione compensativa che caratterizza la responsabilità extracontrattuale; si cerca dunque di offrire tutela in ambito contrattuale a interessi diversi da quello puramente creditorio all esatto adempimento. 8 Questo orientamento è ormai definitivamente consolidato in giurisprudenza, ma è solo con la sentenza della Corte di Cassazione del 22 gennaio 1999, n. 589 che viene spiegato il fondamento di una responsabilità contrattuale che trae origine da un rapporto professionale, tra paziente e medico, senza obbligo di prestazione. Rifacendosi all orientamento dottrinale sopra citato, la Suprema Corte ha motivato la responsabilità contrattuale del medico dipendente sulla base della violazione di quegli obblighi di comportamento, in quanto obblighi di perizia professionale, che trovano la loro fonte, appunto, nel rapporto professionale instauratosi tra medico e paziente, venuti tra loro in contatto (c.d. responsabilità da contatto sociale. Vedi anche Cass. Civ , n ; Cass. Civ., , n ; Cass. Civ. 9085/2006; SS. UU , n. 577). Il contatto che si crea al momento dell accettazione del paziente in ospedale, pur non costituendo formalmente un atto negoziale, dà origine a una vera obbligazione da parte del sanitario accettante con la conseguenza che quest ultimo diviene contrattualmente responsabile verso il malato che abbia subito un danno. In questa prospettiva, quindi, si ammette che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. L art cod. civ., infatti, stabilisce che le obbligazioni possano anche derivare da atti o fatti idonei a produrle in conformità dell ordinamento giuridico e, tra le fonti, comprende allora i principi di rango costituzionale, quale il diritto alla salute, che trascendono singole proposizioni legislative. In qualità di operatore di una professione c.d. protetta, la cui attività va a incidere sul bene costituzionalmente garantito della salute, al medico viene imposto dall ordinamento giuridico, oltre a un obbligo di non facere, un obbligo di facere nel quale si manifesta la perizia professionale che ne deve contrassegnare l attività in ogni momento e situazione. Del resto, è proprio la suddetta professionalità a qualificare ab origine l attività del medico, e che si traduce in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto affidamento, entrando in contatto con il medico; in buona sostanza, il contenuto della prestazione medica dovuta da parte del medico è il medesimo, a prescindere dal contesto in cui essa viene prestata. Nell ambito di un contratto concluso tra la struttura ospedaliera e il paziente, quest ultimo non potrà pretendere la prestazione sanitaria dal medico; quando però il sanitario dipendente intervenga, (perché a ciò tenuto nei confronti dell ente), l esercizio della sua attività medica non potrà essere differente nel contenuto da quella che abbia come fonte un contratto medico- paziente. Ciò nondimeno, il medico dipendente può altresì incorrere in responsabilità extracontrattuale: essa è, a ogni modo, configurabile solo nel caso di lesione della salute del paziente conseguente all attività del sanitario, in conformità al generale principio del neminem laedere. La responsabilità aquiliana, infatti, non nasce dalla violazione di obblighi di protezione, come nella fattispecie di cui si discute, bensì dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui (Cass. Civ , n. 589) L applicazione, costante in giurisprudenza, del principio del cumulo ha portato all emersione di un regime di regole di responsabilità proprie nell ambito della responsabilità medica di cui si è formalmente sancito il loro inquadramento nell ambito della responsabilità contrattuale, nel rispetto della funzione da esse acquisita, nel tempo, per conferire così tutela anche al bene salute

13 La ripartizione dell onere probatorio nell accertamento della colpa professionale La conseguenza più rilevante dell estensione della responsabilità contrattuale a tutti i medici, sia che operino in ambito pubblico che privato, concerne la ripartizione dell onere probatorio nell accertamento della colpa professionale che comporta un alleggerimento dell onere posto in capo al paziente. In breve il danneggiato che agisce in giudizio deve solo dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte dimostrando l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione medica, mentre resta a carico del sanitario la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. 10 Se tale onere è assolto, la giurisprudenza ritiene dunque, ormai univocamente, che, invertito l'onere probatorio, spetti al medico-debitore la prova di avere ottemperato alla propria obbligazione mettendo in opera, con la dovuta diligenza, perizia e prudenza, i mezzi di cui dispone la moderna medicina. Se tale prova non è fornita, l'inadempimento si presume in accordo a quanto affermano numerose sentenze della Corte di Cassazione (vedi, per esempio Cass. Civ , n ; Cass. Civ , n. 8826). Come già accennato, la giurisprudenza è pervenuta alla suddetta interpretazione attraverso una diversa qualificazione della colpa professionale, anche alla luce della rinnovata lettura dell art. 32 Cost., come fondamentale diritto dell individuo e interesse della collettività. Ai fini della valutazione della responsabilità del medico e della struttura sanitaria, si richiama l art cod. civ. relativo alla responsabilità del prestatore d opera intellettuale. La norma dell art cod. civ., a causa della sua infelice formulazione letterale, ha dato luogo a una lunga diatriba, in dottrina e giurisprudenza, circa la sua interpretazione e, dunque, il significato da doverle attribuire. L orientamento giurisprudenziale e dottrinale più risalente nel tempo ha inteso la norma, in accordo con la sua lettera, come diretta ad attenuare la responsabilità del medico e ha ritenuto di poter giustificare questa lettura attraverso il richiamo alla ratio della norma stessa; scopo della norma è, come già accennato, quello di non mortificare l iniziativa del professionista col timore d ingiustificate rappresaglie da parte del cliente, in caso d insuccesso, senza però indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista. In seguito, questa posizione è stata rigettata, evidenziando che in tal modo si ottiene il risultato, del tutto ingiustificato e irragionevole, di esigere dal medico un impegno minore proprio quando maggiori sono le difficoltà che deve affrontare. Nella prospettiva di un interpretazione, a suo avviso, più accettabile, parte della dottrina maggioritaria ha individuato il significato attribuibile alla suddetta norma in relazione alla duplice valenza che si riconosce al criterio della diligenza, ex art cod. civ.. Distinguendo tra la diligenza come criterio d imputazione della responsabilità e la diligenza come criterio di misura per stabilire il contenuto dell obbligazione, si ritiene che l art cod. civ., con riferimento a questo ultimo profilo della diligenza, costituisca il parametro di valutazione oggettivo della colpa professionale alla stregua del contenuto dell obbligazione, ossia dell esatto adempimento fondato sul rispetto delle regole dell arte medica in correlazione tra specificità della competenza professionale dell operatore e difficoltà del caso concreto. Il giudizio di responsabilità del medico, dunque, è ancorato a criteri di valutazione oggettivi: questi sono enucleati con riferimento alle regole di condotta dettate dalla scienza medica per le varie specialità e nelle diverse epoche. La valutazione della colpa è ovviamente diversa a seconda che la prestazione richiesta al medico sia di facile o di difficile esecuzione. Secondo la giurisprudenza, la difficoltà del caso va associata all insufficiente studio e sperimentazione del caso concreto, ovvero al contrasto tra varie scuole in ordine ai metodi terapeutici da seguire, quando questo comporti per il medico un impegno intellettuale superiore a quello del professionista medio. Bisogna dunque distinguere tra i casi in cui, per valutare la colpa del medico, si guarda, da un lato, all osservanza delle regole della perizia professionale, e, dall altro, a una condotta conforme alle regole della diligenza e della prudenza. Con riguardo ai casi particolarmente difficili, la

14 limitazione all esigibilità della condotta del medico riguarda, infatti, solo il primo aspetto; riguardo agli altri due la norma non comporta alcun abbassamento del livello richiesto, anzi, la persistente applicabilità dell art cod. civ. fa sì che al sanitario sia richiesto un impegno superiore a quello ordinario, per far fronte alla difficoltà del caso. D altra parte, l art cod. civ. attribuisce alla colpa grave il ruolo di causa di imputabilità dell impossibilità dell esatta prestazione, facendo così ricadere sul medico-debitore la responsabilità, proprio per censurarne il comportamento gravemente imprudente e negligente che ha impedito la corretta osservanza delle regole tecniche nello svolgimento di una prestazione di difficile esecuzione; la dimostrata assenza di colpa grave, da parte del debitore, fa sì che il sanitario non debba rispondere dei danni. 11 Parimenti, la giurisprudenza maggioritaria, sia di legittimità sia di merito, applica l art solo con riferimento alla perizia impiegata dal medico nel caso concreto. 12 Nei giudizi di responsabilità medica, va dato rilievo al fatto che la natura della prestazione medica ha funzionato quale criterio di ripartizione dell onere probatorio, tra attore e convenuto, fino a un epoca molto recente. Dal momento che la prestazione medica viene qualificata, non senza dissensi, come obbligazione di mezzi, la prova dell eventuale inadempimento ricade sul paziente stesso, in conformità al principio generale ex art cod. civ.: questi deve, anzitutto, provare la condotta colposa del medico, oltre che l esistenza di un nesso causale tra tale condotta e il danno subito. La giurisprudenza, dapprima, al fine di agevolare la posizione probatoria del paziente, ha apportato dei correttivi al sistema della responsabilità medica; ferma restando la tradizionale distinzione tra obbligazioni, è stata, infatti, introdotta una regola di responsabilità che, in relazione alla natura dell intervento medico e all incidenza della corretta osservanza delle regole tecniche sulla riuscita dell intervento stesso, ha determinato, di fatto, la valutazione dell obbligazione a carico del medico, come obbligazione di risultato. Il medico si è così trovato in una situazione analoga a quella del debitore, ex art cod. civ.. Con riferimento agli interventi di routine o c.d. di facile esecuzione, vale a dire che non richiedono una particolare abilità per la loro esecuzione perché è sufficiente una preparazione medico professionale ordinaria, l eventuale esito addirittura peggiorativo dello status quo ante costituiva prova dell inosservanza di quelle regole tecniche che, stando a un giudizio di prevedibilità scientificamente asserito, se messe in atto, avrebbero garantito il successo dell intervento, con un grado di ragionevole sicurezza. Paradigmatico, è il caso della dimenticanza di garze, tamponi, pinze o altri strumenti chirurgici a seguito d intervento chirurgico; l asportazione di un organo sano simmetrico a quello malato; morte dovuta a somministrazione nel corso dell intervento chirurgico di protossido di azoto anziché di ossigeno. In tutti questi casi, il paziente che avesse voluto ottenere un risarcimento, doveva semplicemente dimostrare di aver subito il danno lamentato nel corso di un intervento di routine o di facile esecuzione: quando il danno riportato era anomalo, rispetto alla consueta aleatorietà che l atto medico di per sé implica, era di conseguenza deducibile e presumibile una condotta colposa del medico che l aveva effettuato. L onere probatorio era qui condizionato sulla base di una presunzione semplice, ex art cod. civ., quale fonte di prova della colpa del medico, utilizzabile dal giudice per il suo libero apprezzamento, che determina altresì un inversione dell onere probatorio, in quanto l art cod. civ. prevede, a proposito della presunzioni legali, che: le presunzioni dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite. Ovviamente il medico, per poter andare esente da responsabilità, era tenuto a fornire prova contraria a quella dedotta in giudizio dal paziente. In passato, il medico non rispondeva, se forniva prova liberatoria, costituita dalla prova positiva dell evento imprevisto e imprevedibile ovvero delle particolari condizioni fisiche del paziente non accertabili con l ordinaria diligenza. L affermazione della responsabilità contrattuale del medico ha però determinato la necessità di adeguare i contenuti del regime probatorio per la responsabilità medica (peraltro già in linea con quello codificato nell art cod. civ.) ai principi dettati in materia contrattuale. In questa prospettiva, pertanto, la semplice non riuscita dell operazione di facile esecuzione, senza che rilevi il raggiungimento di un risultato peggiorativo quale sicuro fattore indiziante della colpa del sanitario, determina l inadempimento del medico all obbligo contrattuale, perché costituisce di per sé prova dell inosservanza delle regole di diligenza ex art comma cod. civ.. Ne consegue che la prova liberatoria, a carico del medico, consiste nella prova diretta a di

15 mostrare che l insuccesso dell operazione non è dipeso da un difetto di diligenza proprio. La dimostrata assenza di colpa, in linea con il disposto dell art cod. civ., costituisce causa non imputabile dell impossibilità sopravvenuta relativamente all esatta esecuzione della prestazione. La ripartizione dell onere probatorio per tutti gli altri tipi d intervento è rimasta invece quella propria delle obbligazioni di mezzo: il paziente deve provare l imperizia del medico, indicando quali siano state le modalità di esecuzione ritenute inidonee; il medico deve invece provare la natura complessa dell operazione. La Corte di Cassazione, in merito alla ripartizione dell onere probatorio delineato per le prestazioni di facile esecuzione, ha subito precisato che: non si verifica un passaggio da obbligazioni di mezzo in obbligazione di risultato (Cass. Civ , n. 589), nella preoccupazione appunto che si scavalchi la tradizionale distinzione tra obbligazioni e si configuri un obbligazione di risultato in capo al medico. 13 Si afferma, invece, l operatività del principio della res ipsa loquitur da intendersi come evidenza circostanziale che crea una deduzione di negligenza. Sulla scorta del suddetto principio, operante nei sistemi di common law, così come accolto nelle nostre Corti, la giurisprudenza di legittimità ha di recente statuito che la natura della prestazione non funge più da criterio di ripartizione della prova tra le parti, ma rileva solo ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa. Si è, infatti, proclamato il principio di riferibilità o vicinanza della prova, in base al quale ora compete al medico l allegazione e sopratutto la prova del difetto di colpa o della non qualificabilità della stessa in termini di gravità, ex art cod. civ. Il principio di vicinanza della prova ha portato a un ribaltamento del carico probatorio dal paziente al medico, attraverso l adozione di un regime probatorio unitario, valevole in tutti i casi, che è enucleato dalla concreta applicazione della regola probatoria codificata nell art cod. civ., senza distinzioni di sorta tra mancato o inesatto adempimento. Tale regola, esplicitata, per la prima volta, dalle Sezioni Unite civili della Corte nella sentenza del 30 ottobre 2001 n , comporta l adozione dello stesso criterio di ripartizione del carico probatorio previsto per l inadempimento, anche per le ipotesi d inesatto adempimento. Ciò è reso possibile prospettando una differente lettura dell inesatto adempimento stesso: questo non si rinviene più nella difformità della prestazione ricevuta rispetto a quella pattuita, ma piuttosto nella violazione dell obbligo di conformità del comportamento al programma negoziale che grava sul debitore, e che nelle obbligazioni di mezzi, si materializza nell obbligo di diligenza. Pertanto il paziente che agisce in giudizio deve solo allegare l inesattezza dell adempimento (per esempio, nell esecuzione dell esame ecografico di controllo del feto); il medico, quale soggetto obbligato, è invece tenuto a dimostrare l adeguatezza della prestazione, ossia a dare prova positiva della perizia richiesta dallo specifico settore medico in cui opera, in rapporto al caso di specie (vedi Cass. Civ , n , Cass. Civ , n ; SS. UU , n. 577). Il principio di vicinanza della prova va inteso come apprezzamento dell effettiva possibilità per l una o l altra parte di offrirla: l onere della prova quindi non può non gravare sul medico, ex art cod. civ., che, in qualità di esecutore della prestazione, può spiegare, in modo esaustivo, il perché di determinate scelte terapeutiche e delle possibili deviazioni dalle procedure previste nei protocolli scientifici o dell interferenza di eventuali fattori non controllabili. Va detto, tuttavia, che tale principio il quale crea una deduzione di negligenza, sembra ormai aver condotto più che all'inversione dell'onere probatorio a una vera e propria presunzione semplice di colpa, assimilabile cioè a quello che giuridicamente viene definito anche come prova dell'apparenza o prova prima facie, cioè una sorta di regola d'esperienza di tipo statistico con riguardo ad una "apparenza" basata su un tipico decorso degli avvenimenti. Il peggioramento delle condizioni di salute del paziente diviene, infatti, evidenza circostanziale che crea una deduzione di negligenza. Considerata la progressiva erosione che ha subito l ambito di applicazione dell art cod. civ., per cui la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà sembra ormai legata a ipotesi inconsuete, quali interventi pioneristici, il sanitario ha ormai l obbligo di prospettare realisticamente le possibilità dell'ottenimento del risultato perseguito: la realizzazione del risultato sperato, quindi, entra a far parte del contenuto della prestazione promessa e sul medico incom

16 be l'onere di provare di aver adempiuto a tale dovere. 14 Del resto, la Suprema Corte nella sentenza 13 aprile 2007 n ha esplicitamente affermato che va superata la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, perché priva di argomenti sostanziali. Non vi è dubbio che "la diligenza dell'adempimento" di cui all'art c.c., 2 comma, debba valutarsi, per il professionista, "con riguardo alla natura dell'attività esercitata". Si tratta dunque di una "diligenza speciale", per i medici particolarmente "speciale" e ulteriormente modulata a seconda della disciplina specialistica praticata e, all'interno di essa, a seconda del grado di qualificazione che il medico ha raggiunto per età e peculiari attitudini. È a questo tipo di diligenza che il medico si obbliga ma senza tuttavia poter evitare l'alea che connota i singoli casi concreti. Pretendere quindi un obbligazione di risultato da una professione a rischio connesso alla malattia e ai mezzi spesso invasivi cruenti e non di cui deve servirsi la medicina, è pretesa irrealistica. Infatti, il medico non può essere considerato garante della salute del paziente, in ogni situazione; rimane quindi il problema di dare una diversa definizione del contenuto della prova liberatoria che dia maggior risalto all assenza di colpa nella valutazione e prevenzione di quei fattori che, seppur individuabili ex ante secondo i criteri della normale diligenza, possono incidere negativamente nell intervento medico

17 L accertamento del nesso causale Per dichiarare la responsabilità del medico, è, altresì, necessario accertare l esistenza del nesso di causalità, ossia di quella situazione giuridica che consente di mettere in relazione un evento, come una lesione, a una condotta umana. La causalità funge, infatti, da criterio d imputazione del fatto al soggetto: il legame causale tra condotta ed evento di regola comprova che non solo l azione ma lo stesso risultato lesivo è opera dell agente il quale può quindi essere chiamato a risponderne giuridicamente. Ciò nondimeno, l esistenza di un nesso di causalità materiale tra condotta umana ed evento dannoso non comporta necessariamente responsabilità: l evento dannoso deve essere riconducibile all azione od omissione colpevole del sanitario di modo che il rapporto di causalità sia giuridicamente rilevante. Va tenuto conto che, nell ambito della responsabilità professionale medica, il verificarsi di un danno all integrità fisica spesso è un fatto strettamente connesso alla natura di certi interventi. Ad esempio, gli esiti invalidanti di certe operazioni chirurgiche sono conseguenza diretta ma invitabile degli interventi stessi. Più spesso, ai fini della responsabilità medica, rileva il danno subito dal paziente per il fatto di non aver beneficiato della terapia come prescritta dalla scienza medica; e proprio con riferimento alla condotta omissiva colposa del medico, la dottrina non ha mancato di rilevare le difficoltà esistenti nell accertare il nesso di causalità tra la condotta stessa e l evento lesivo. La relazione di causa-effetto, infatti, deve necessariamente essere preceduta da un giudizio ipotetico riguardo all idoneità dell azione omessa ad evitare l evento invece realizzatosi, valutazione che, per la natura del comportamento cui si riferisce, difficilmente può svolgersi attraverso il ricorso ad un criterio di certezza scientifica. L indagine sul nesso di causalità deve, dunque, compiersi alla luce di un criterio probabilistico piuttosto che di certezza scientifica: il modello probabilistico ha, infatti, funzionato da correttivo per la teoria della condicio sine qua non la cui operatività avrebbe potuto altrimenti impedire la tutela risarcitoria per il danneggiato ogni qualvolta risultasse arduo, proprio in virtù del suo comportamento omissivo, dimostrare con certezza la derivazione causale dell evento verificatosi dalla condotta del medico. 16 Pertanto, attraverso l applicazione di leggi statistiche e di carattere generale, la giurisprudenza civile, evocando i correlativi approdi della giurisprudenza penale in materia di causalità medica, ha ritenuto sufficiente per affermare la sussistenza di un collegamento eziologico tra l evento lesivo e la condotta omissiva del medico, la presenza di serie e apprezzabili probabilità che l azione omessa avrebbe impedito l evento lesivo. La responsabilità del sanitario viene dunque sorretta, sotto il profilo probatorio, da una presunzione incentrata sulla mera idoneità della condotta del medico a produrre l evento dannoso, quando la condotta si discosti da quella diligente a cui il medico è tenuto ex art cod. civ.. Il richiamo ai suddetti criteri da parte della Suprema Corte, tuttavia, ha quasi sempre prodotto soluzioni ricostruttive poco convincenti, in quanto non dimostrative, in termini sufficientemente persuasivi, della effettiva ricorrenza del nesso di derivazione. Secondo una certa linea interpretativa, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto risultato probatorio valido il riscontro di genericamente serie ed apprezzabili probabilità di successo dell intervento medico omesso, ovvero la mera ragionevole possibilità della lesività della condotta del sanitario; così facendo, ha affidato a basi poco solide la dimostrazione del rapporto causale nell individualità del concreto caso processuale, avuto riguardo a tutte le circostanze del medesimo ( vedi Cass. Civ., sez. III, n /2000; Cass. Civ. n /2002; Cass. Civ., n /2005; Cass. Civ., n /2006). In definitiva, tali decisioni hanno comportato l attribuzione del danno sofferto dal pazienti a soggetti che non ebbero a provocarlo. La valutazione del nesso causale, invece, deve compiersi alla luce dell orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite penali, nella sentenza 30328/2002, e successivamente accolto anche in sede civile: non è sufficiente il ricorso ad un mero criterio di probabilità scientifica per accerta - re l esistenza del nesso causale e dichiarare la responsabilità del sanitario. Dunque, non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell ipotesi dell esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell evidenza disponibile, così che, dall esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l esistenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva o in ogni caso colpevole del medico è stata condizione necessaria dell evento lesivo

18 con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica (vedi Cass. civ , n. 4400). E questo è l orientamento accolto dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite civili n. 577 e 581 dell 11 gennaio In queste decisioni, la Suprema Corte segnala due prospettive di valutazione nell'accertamento del giudice riguardo al rapporto causale: da un lato, la necessità del transito da spiegazioni causali unicamente fondate sulle astratte probabilità, al massimo indicative, in ultima analisi, della potenzialità causale della condotta (ossia disvelatrici di una causalità «in generale»), alla verifica «particolaristica» e «individuale» del nesso eziologico (quella realmente servente al processo), la quale non può prescindere dal confronto dell'ipotesi astratta con tutte le circostanze del fatto concreto, al fine di accertare se l'ipotesi stessa riceva o meno elementi di conferma dalle prove disponibili. E' questo il corretto metodo, che consente anche di escludere l'interferenza di cause alternative (vedi per esempio Cass. Civ., sez III, , n. 975). Dall altro, l'attingimento, all'esito dell'indagine ricostruttiva, di un risultato probatorio («il più probabile che non») espressivo di una persuasività adeguatamente rassicurante del ragionamento causale, confortata dalla preponderanza logica dell'evidenza di affidabilità dell unica ipotesi causale proponibile, ovvero, in caso di più ipotesi, di una di esse rispetto alle altre (vedi Cass. Civ 16381/2010). 17 Bibliografia 1. AA.VV. Medicina e diritto 1995; Trapuzzano C. L obbligo di diligenza e informazione del medico, Nel Diritto.it, rivista telematica di diritto 2008; Todeschini N. La responsabilità civile del medico. Diritto & Diritti ISSN , maggio 2002, pag Frati P, Montanari Vergallo G, Di Luca NM. Gli effetti del consenso informato nella prospettiva civilistica. Rivista ita - liana di medicina legale 2002;4-5: De Matteis R. La responsabilità medica 1995: Iamiceli P. Il diritto privato nella giurisprudenza 1998;6: Bilancetti M. La responsabilità penale e civile del medico 2003: De Matteis R. La responsabilità medica 1995: De Matteis R. La responsabilità medica tra scientia iuris e regole di formazione giurisprudenzial. Danno e responsa - bilità 1999;7:781 e ss. 10. Fiori A, Marchetti D. Un altro passo verso l obbligazione di risultato nella professione medica? Rivista italiana di medicina legale 2008;3:872 e ss. 11. De Matteis R.La responsabilità medica tra scientia iuris e regole di formazione giurisprudenziale. Danno e responsabilità 1999;7:781 e ss. 12. Faccioli M. L applicazione dell art c.c. nel campo della responsabilità medica. Studium iuris 2004;6: Bilancetti M. La responsabilità penale e civile del medico 2003: Frati P, Montanari Vergallo G, Di Luca NM. L inversione dell onere probatorio e gli ambiti applicativi dell art c.c. Rivista italiana di medicina legale 2006;4-5:761 e ss. 15. (Fiori A, Marchetti D. Un altro passo verso l obbligazione di risultato nella professione medica? Rivista italiana di medicina legale 2008;3:872 e ss. 16. Cataldi R. La responsabilità professionale del medico 2005: Iadecola G. La causalità nella responsabilità civile del medico. Giurisprudenza di merito 2010;9:2057 e ss.; Carchietti A. Omessa diagnosi: nessuna responsabilità in capo al medico se non vi è inferenza causale rispetto all evento dannoso. Diritto e giustizia 2010:

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