OSSERVATORIO SUL DIRITTO DELL AMBIENTE AGGIORNATO AL 31 GENNAIO 2013 ANGELA OZZI BELLEZZE NATURALI

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1 OSSERVATORIO SUL DIRITTO DELL AMBIENTE AGGIORNATO AL 31 GENNAIO 2013 ANGELA OZZI BELLEZZE NATURALI T.A.R. Campania Salerno, 28 gennaio 2013, n. 235 Il mutato senso estetico consente oggi di considerare i pannelli fotovoltaici non più come un elemento di disturbo visivo, ma come evoluzione dello stile costruttivo. Di conseguenza la scelta di negare l autorizzazione all installazione di un impianto fotovoltaico non può essere giustificata con la semplice visibilità dei pannelli. La pronuncia in esame concerne il tema del difficile bilanciamento tra le esigenze paesaggistiche e quelle energetiche. Nel caso di specie, infatti, parte ricorrente si doleva del provvedimento della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici con il quale era stato annullato il provvedimento di autorizzazione paesaggistica sul progetto di realizzazione di un tetto fotovoltaico. Ad avviso della Soprintendenza, infatti, i pannelli collocati sul tetto dell immobile avrebbero aggiunto elementi di disturbo ad un contesto paesaggistico caratterizzato dalla soggezione a vincolo. Secondo parte ricorrente, invece, tale posizione della Soprintendenza sarebbe stata troppo radicale, anche in considerazione della circostanza che nella medesima zona vi sarebbero già edifici più alti (con pannelli fotovoltaici sulla sommità). A sostegno della propria tesi il ricorrente richiamava, inoltre, l orientamento secondo il quale anche l esistenza di intese tra il Ministero dei beni culturali e alcune Regioni denoterebbe un atteggiamento di tendenziale favore verso la realizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, anche in siti vincolati. Il Collegio, nella pronuncia in epigrafe, non accoglie nel caso di specie il ricorso in appello, ma, sia pur in un obiter dictum, non disconosce la validità delle argomentazioni proposte da parte ricorrente, sostenendo che di fronte a due principi, entrambi aventi rango costituzionale, quale 1

2 quello alla salubrità ambientale, che deriva dall utilizzo di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili non inquinanti, e quello alla conservazione del paesaggio, che potenzialmente è messo in pericolo dalla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili aventi un forte impatto visivo, la scelta tra quale di essi debba essere considerato prevalente è rimessa all amministrazione, trattandosi di un inevitabile scelta di merito sulla quale il controllo giurisdizionale non può che essere limitato a profili di palese illegittimità. Nel bilanciamento quindi non si può accordare esclusiva prevalenza all interesse paesaggistico, senza contemperare tale principio con quelli pari ordinati e la giustificazione del rifiuto al rilascio di autorizzazione non può essere giustificata dalla sola visibilità dei pannelli solari. Gli interessi alla salubrità ambientale e alla conservazione del paesaggio sono collocati, infatti, sullo stesso piano, non essendovi alcuna norma o principio, sia di rango costituzionale che comunitario, che consenta di ritenere prevalente uno dei due rispetto all altro. Non può, quindi, riconoscersi un favor agli impianti di produzione di energia alternativa, consistente nell automatico riconoscimento del diritto al rilascio dell autorizzazione in ragione dei benefici legati all efficienza energetica, poiché, se così fosse, ne deriverebbe una preferenza dell interesse all efficienza energetica rispetto a quello alla conservazione del paesaggio. Pur non potendosi formalmente accordare alcuna preferenza, osserva tuttavia il Collegio, richiamandosi ad altra pronuncia del TAR Lombardia Brescia, Sez. I, 4 ottobre 2010, n e 15 aprile 2009, n. 859) che la sensibilità e l attenzione verso le tecnologie rinnovabili hanno indubbiamente condizionato il giudizio estetico comune, con la conseguenza di rendere la presenza di impianti fotovoltaici non più motivo di disturbo visivo, essendo i pannelli solari considerati oramai come un evoluzione dello stile costruttivo accettata, oltre che dall ordinamento, anche dalla sensibilità collettiva. Tale mutamento sociale, osserva il Collegio, è stato recepito anche dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale per negare la realizzazione di un impianto di produzione energia da fonte rinnovabile è necessario dare la prova dell incongruenza delle opere rispetto alla peculiarità del paesaggio, non potendo ritenersi sufficiente la motivazione che rimandi alla semplice visibilità dei pannelli medesimi. RIFIUTI T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 09 gennaio 2013, n. 52 2

3 Sulla non applicabilità del principio di autosufficienza provinciale nello smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi. Il principio di autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi si ricava dall art. 182, comma 5, del Codice dell Ambiente, il quale ha recepito la disposizione già prevista in tal senso dall art. 22, comma 3, del Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997). L autosufficienza delle operazioni di smaltimento implica, più esattamente, il divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale ed è un principio che, rappresentando una limitazione alla libertà di circolazione delle persone e delle cose, non può essere interpretato in maniera estensiva. Esso quindi si riferisce unicamente ai rifiuti non pericolosi, non rientrandovi nell ambito di applicazione né i rifiuti speciali pericolosi, né quelli speciali non pericolosi. Tale divieto di estensione analogica è stato chiaramente enunciato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 12 del 2007, n. 62 del 2005, n. 505 del 2002, n. 335 del 2001 e n. 281 del 2000 e ad esso si è conformata con orientamento giurisprudenziale costante anche la giurisprudenza amministrativa, la quale ha escluso la possibilità che le regioni possano adottare provvedimenti contrari a tale principio. Il contenzioso in materia si esaurisce dunque nell esatta qualificazione dei rifiuti, poiché nel caso di smaltimento di rifiuti diversi da quelli urbani non pericolosi, è automatica l esclusione della riferibilità del predetto principio dell autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti, come accertato nel caso di specie dal Collegio milanese. Interessante a tal proposito l analisi svolta dal TAR circa la ratio sottesa al divieto di applicazione analogica. Osserva, infatti, il Collegio che per i rifiuti speciali non pericolosi e per i rifiuti pericolosi non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l obiettivo dell autosufficienza nello smaltimento. Con una seconda censura i Comuni ricorrenti avevano poi dedotto la violazione degli artt. 14 ter e quater della L. n. 241 del 1990, dell art. 5 del D.Lgs. n. 59 del 2005 e degli artt. 216 e 217 del R.D. n del 1934, poiché il parere negativo espresso dal Sindaco rispetto all adozione della VIA e della connessa integrazione all AIA avrebbe di fatto precluso la possibilità di realizzazione di un impianto di smaltimento rifiuti e produzione di energia da biogas. Il Collegio rigetta tuttavia anche la predetta censura osservando che al Comune è preclusa la possibilità di apporre un veto rispetto alla realizzazione di impianti di tal genere, dovendosi rimettere la comparazione tra i numerosi interessi collettivi coinvolti nel procedimento autorizzatorio in capo alla Regione, alla quale spetta 3

4 la valutazione complessiva delle posizioni rappresentate in sede di conferenza di servizi, ivi comprese anche quelle aventi carattere negativo. INQUINAMENTO T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 29 gennaio 2013, n. 95 Sulla responsabilità del proprietario del sito inquinato secondo il Decreto Ronchi Nella controversia in esame il Collegio bresciano fa applicazione del Decreto Ronchi, vigente all epoca dei fatti, in relazione al quale compie delle osservazioni particolarmente esaustive circa le responsabilità ascrivibili al proprietario del sito inquinato e quelle invece riconosciute in capo all inquinatore. Nel sistema del d.lgs. 22/1997 la responsabilità del proprietario si poneva ad ulteriore garanzia degli interventi posti a carico dell inquinatore. Di conseguenza la responsabilità dell uno e dell altro soggetto erano fondate su titoli diversi. Quella dell inquinatore, in particolare, costituiva una forma di responsabilità discendente direttamente dalla contaminazione provocata da un proprio operato e che l inquinatore era chiamato a riparare, in forza del principio chi inquina paga. Sull inquinatore, quindi, la legge imponeva specifici obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale, giustificati dall esistenza di una connessione causale tra l azione dell autore dell inquinamento e l inquinamento medesimo. Quanto alla posizione del proprietario, invece, l art. 17, comma 10, del Decreto Ronchi prescriveva che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituissero onere reale sulle aree inquinate e che le spese sostenute per la bonifica dovessero essere assistite da privilegio speciale sugli immobili, per cui potevano essere esercitate anche in pregiudizio dei diritti acquisiti dai terzi sull immobile. Tale responsabilità del proprietario era definita di posizione, essendo non solo svincolata dall elemento soggettivo ma anche dall accertamento del nesso causale. Osserva il Collegio nella sentenza in epigrafe che l esistenza di un onere reale sul fondo inquinato non modifica gli obblighi di bonifica e ripristino ambientale in capo all inquinatore, i quali costituiscono diretta conseguenza dell attività inquinante posta in essere in violazione di legge e non possono ricadere sul proprietario senza l esistenza di un nesso di causalità. L onere reale riguarda, infatti, il terreno e non grava sul proprietario, al quale non può essere imposto alcun obbligo di realizzazione della procedura di bonifica, dovendo la disciplina deve essere interpretata 4

5 in senso sostanzialistico e dunque nel rispetto del principio comunitario chi inquina paga, il quale prescrive che l imputazione dei costi ambientali deve essere posta a carico del soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita. Nel caso di specie, quindi, il TAR accoglie la richiesta di parte ricorrente di annullamento dell ordinanza impositiva degli obblighi di ripristino ambientale in ragione dell esistenza di un difetto di istruttoria relativo all accertamento delle responsabilità in capo al proprietario. Anche nel sistema del decreto Ronchi, dunque, nessuna responsabilità poteva essere imputata in modo oggettivo, essendo necessario l espletamento di specifici oneri probatori volti all individuazione delle cause di inquinamento e dei responsabili da individuarsi sempre in concreto. 5

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