Dallo Stato liberale al Fascismo
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- Geronima Magni
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1 Fabio Pascalis 5^B Dallo Stato liberale al Fascismo Lo stato liberale La crisi dello stato liberale e l'avvento del Fascismo Marcel Proust Italo Svevo e la figura dell'inetto
2 LO STATO LIBERALE All inizio del XX secolo la forma di Stato prevalente in Europa era quella liberale. Lo Stato liberale nacque dalla rottura dell equilibrio tra la monarchia, che esercitava le funzioni burocratiche e militari dello Stato- apparato, e la borghesia degli affari, dei commerci e dell industria che teneva in mano l apparato produttivo ed economico. La crisi del rapporto tra monarchia e borghesia esplose in Francia nel 1789 facendo scoppiare una delle più famose rivoluzioni che la storia ricordi, si trattò infatti di un evento che determinò ripercussioni in tutta Europa occidentale. La mutata realtà economica che si era venuta delineando fece si che il potere della classe borghese si accentuasse. La borghesia, avendo una certa importanza sul piano economico, pretendeva di averla anche sul piano politico e così, sulla scorta delle dottrine liberali che si erano affermate nel XVIII secolo chiedeva un nuovo modello di Stato, lo Stato liberale, che strutturò in funzione dei propri principi e delle proprie esigenze. Sinteticamente lo Stato liberale si può definire: uno Stato di diritto, perché i rapporti tra Stato e cittadini sono regolati da norme giuridiche che anche lo Stato è tenuto a osservare. Inoltre diritti e libertà sono riconosciuti e tutelati dall ordinamento giuridico; uno Stato costituzionale, in quanto l ordinamento statale si basa su una serie di norme fondamentali contenute nella Costituzione; uno Stato rappresentativo, in quanto i cittadini sono chiamati a eleggere il Parlamento e partecipano, attraverso i loro rappresentanti, al suo funzionamento; nella maggior parte dei casi monarchico, in quanto al vertice dell organizzazione statale sta la figura del monarca, anche se il suo potere deriva dalla Costituzione e da essa è limitato, infatti anche il sovrano è soggetto alla legge; organizzato secondo il principio della divisione dei poteri, poiché nello Stato liberale si trovava appunto realizzato il principio della separazione dei poteri, che garantiva la libertà, attraverso il bilanciamento dei poteri stessi effettuato tramite il controllo reciproco: la separazione dei poteri attribuiva al Parlamento il potere legislativo, al Governo il potere esecutivo e alla Magistratura quello giudiziario; e infine uno Stato che introduce l'idea di cittadino come portatore di diritti, infatti al cittadino vengono riconosciuti non solo diritti privati, ma anche diritti politici, civili e di libertà e il diritto di proprietà viene collocato tra i diritti inviolabili della persona. Il pensiero liberale considerava la libertà e l uguaglianza diritti fondamentali dell uomo, diritti che lo Stato non poteva e non voleva violare. In essi rientravano anche i diritti di proprietà privata, infatti nella concezione liberale solo i proprietari erano realmente liberi ed erano in grado di operare senza condizionamenti le migliori scelte per il bene comune. In pratica, solo a chi disponeva di un alto reddito spettava il diritto e l onore di guidare lo Stato: la classe operaia e la piccola borghesia erano pertanto escluse da qualsiasi forma di partecipazione politica. L essenza dello Stato liberale è il principio di legalità, il quale afferma che nessun atto del potere esecutivo né alcuna sentenza dei giudici sono validi se non si fondano su una legge che li prevede e non rispettano i limiti che la legge assegna loro. In sostanza in base al principio di legalità il potere esecutivo e giudiziario sono vincolati al rispetto del diritto e il potere legislativo è sovrano, senza limiti né vincoli. Un altra importante caratteristica del principio di legalità si ha nella tutela
3 dei cittadini contro gli atti arbitrari, infatti un cittadino danneggiato da un atto della pubblica amministrazione illegittimo può presentare ricorso per difendersi. La prima forma di Stato liberale in Italia si ebbe nell epoca del Regno d Italia, grazie alla promulgazione dello Statuto albertino, la prima Costituzione dello Stato italiano. Lo Statuto albertino rappresentò una riforma della monarchia assoluta in senso liberale e rappresentava una carta costituzionale concessa dal sovrano ai suoi sudditi. L oggetto dell accordo tra il re e la borghesia fu l instaurazione di una monarchia costituzionale, nella quale la borghesia veniva associata alla monarchia. Durante la nascita dello Stato liberale il re fece alla borghesia due concessioni: a) i diritti di libertà e di proprietà, contro gli arbitri dell Antico regime; b) l elezione di una Camera in cui la borghesia potesse inviare i propri rappresenta nti. Lo Statuto prevedeva: - lo stato liberale ; - la monarchia come forma di governo; - l uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini; - la libertà personale; - la libertà di stampa; - la libertà di riunione; - la libertà religiosa; - le libertà economiche; - il diritto di proprietà privata.
4 LA CRISI DELLO STATO LIBERALE E L AVVENTO DEL FASCISMO Lo Stato liberale vide arrivare la crisi alla fine della prima guerra mondiale, dove le classi dirigenti dei paesi belligeranti si trovavano a dover gestire situazioni di crisi pesantissime provocate dalla guerra: il rialzo dei prezzi, l inflazione, i conflitti di classe con scioperi e occupazioni e violenze della destra nazionalista. C era poi il problema delle decine di milioni di reduci che tornati dalla guerra non trovavano lavoro nonostante le promesse di terre e di migliori condizioni sociali fatte dalla classe dirigente durante il conflitto. Lo Stato liberale entrò definitivamente in crisi con la nascita del Partito nazionale fascista nel Il Pnf non era un organizzazione democratica che seguiva la volontà degli iscritti, bensì uno strumento di mobilitazione guidato dal duce, capo del fascismo Benito Mussolini. Il fascismo fu sostanzialmente accolto dalla borghesia come una forza restauratrice che avrebbe ripristinato l ordine turbato dalle forza di sinistra. L avvenimento che causò la caduta definitiva dello Stato liberale fu la marcia su Roma. Questa marcia consisteva nella mobilitazione di tutte le forza fasciste al fine di conquistare il potere centrale. Mussolini sapeva benissimo che erano poche le possibilità di successo se avesse incontrato una ferma reazione da parte delle autorità e infatti si serviva della marcia come mezzo di pressione politica e contava sulla debolezza del governo e sulla neutralità del re. Infatti Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto per la proclamazione dello stato d assedio e non oppose alcuna resistenza alla marcia. Il rifiuto del re aprì ai fascisti la strada di Roma e al loro capo la via del potere. Mussolini chiese e ottenne di essere chiamato lui stesso a presiedere il governo e la mattina del 30 ottobre Mussolini fu chiamato dal re per formare il nuovo governo. Ne facevano parte oltre a 5 fascisti, liberali giolittiani, liberali di destra, democratici e popolari. Una volta assunta la guida del governo, Mussolini alternò la linea dura alla linea morbida, le promesse di normalizzazione moderata alle minacce di una seconda ondata rivoluzionaria. Nel 1922 istituì il Gran consiglio del fascismo, che aveva il compito di indicare le linee generali della politica fascista e di servire da raccordo fra partito e governo, e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che aveva lo scopo di proteggere gli sviluppi della rivoluzione, di disciplinare lo squadrismo e limitare il potere dei ras. La politica di Mussolini prevedeva anche la repressione legale dei comunisti, la compressione salariale, il contenimento della spesa pubblica tramite licenziamenti nel settore pubblico e la libertà d azione all iniziativa privata diminuendo le tasse alle imprese, abolendo il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita e privatizzando il servizio telefonico. Un decisivo sostegno Mussolini lo ebbe da una Chiesa cattolica in cui, dopo l avvento di papa Pio XI, stavano riprendendo il sopravvento le tendenze conservatrici. Per molti cattolici il fascismo aveva il merito di aver allontanato il pericolo di una rivoluzione socialista e di aver restaurato il principio di autorità. Anche la riforma scolastica varata nel 23 da Giovanni Gentile, andava incontro alle attese del mondo cattolico con l insegnamento della religione nelle scuole
5 elementari e con l introduzione di un esame di Stato al termine di ogni ciclo di studi. Mussolini prese definitivamente il potere servendosi di una legge elettorale maggioritaria che attribuiva i 2/3 dei seggi al partito che avesse riportato il 25 % dei voti portando così alla scontata vittoria i fascisti. Il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò in Parlamento i brogli elettorali e per questo il 10 giugno 1924 venne ucciso dagli squadristi fascisti. Dopo questo fatto un ondata di indignazione si scatenò contro il fascismo da parte dell opinione pubblica. Il paese capì che il delitto era il risultato di una pratica di violenze e impunità, di cui Mussolini e i suoi seguaci erano responsabili. Il fascismo si trovò improvvisamente isolato, divise e distintivi scomparvero dalle strade e i giornali antifascisti moltiplicarono le vendite. L opposizione non aveva, però, la possibilità di mettere in minoranza il governo e la proposta dei comunisti di proclamare uno sciopero generale fu respinta dagli altri partiti. L unica iniziativa concreta fu quella di astenersi dai lavori parlamentari e di riunirsi separatamente finché non fosse stata ripristinata la legalità democratica. Neanche il re intervenne nella questione morale espressa dall opinione pubblica e i fiancheggiatori di Mussolini pur criticando l illegalismo fascista non tolsero l appoggio al capo del governo. Mussolini per venire loro incontro si dimise da ministro degli Interni ma dopo pochi mesi dichiarò chiusa la questione morale e minacciò apertamente di usare la forza contro le opposizioni non lasciando più spazio per gli equivoci e i compromessi. Molti politici e uomini di cultura che fin allora avevano mantenuto un atteggiamento neutrale nei confronti del fascismo sentirono la necessità di prendere posizione. A un manifesto degli intellettuali fascisti diffuso per iniziativa di Giovanni Gentile, gli antifascisti risposero con un contro- manifesto redatto da Benedetto Croce,che rivendicava i diritti di libertà ereditati dalla tradizione risorgimentale. Intanto molti esponenti antifascisti come Amendola o Gobetti furono costretti all esilio perché il fascismo chiudeva ogni residuo spazio di libertà politica e sindacale, e i grandi quotidiani d informazione antifascisti furono fascistizzati tramite pressioni sui proprietari. Per stravolgere definitivamente i connotati dello Stato liberale formulò nuove leggi, le leggi fascistissime : la prima legge costituzionale del regime rafforzava i poteri del capo del governo e una legge sindacale proibiva lo sciopero e stabiliva che solo i sindacati legalmente riconosciuti potevano stipulare contratti collettivi. Infine con una serie di provvedimenti repressivi eliminò del tutto le tracce di democrazia, i partiti antifascisti e le pubblicazioni contrarie al regime. Istituì, inoltre, un Tribunale speciale per la difesa dello Stato composto non da giudici ordinari, ma da ufficiali delle forze armate e delle Milizia e con la legge elettorale del 28 introduceva il sistema nella lista unica e lasciava agli elettori solo la scelta se approvarla o respingerla. In Italia lo Stato totalitario era caratterizzato dalla sovrapposizione di due strutture: quella dello Stato e quella del partito che erano congiunti dal Gran consiglio del fascismo, ma al di sopra di tutti si esercitava incontrastato il potere di Mussolini. Il Pnf durante la crescita delle sue dimensioni istituì delle importanti organizzazioni giovanili: I Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti, l Opera nazionale balilla, per i giovani fra i 12 e i 18 anni, e i Figli della lupa per chi avesse meno di 12 anni. I propositi totalitari di Mussolini incontrarono però dei limiti, il primo era rappresentato dal peso della Chiesa, la cui influenza venne riconosciuta tramite i Patti lateranensi. Questi si articolavano in 3 parti: un trattato internazionale in cui la Chiesa si vedeva riconosciuta la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano; una convenzione finanziaria con cui l Italia pagava al papa un indennità per la perdita dello Stato
6 pontificio; e un concordato che regolava i rapporti fra la Chiesa e il Regno d Italia, stabilendo che i sacerdoti fossero esonerati dal servizio militare, che i preti spretati fossero esclusi dagli uffici pubblici, che il matrimonio avesse effetti civili, ecc L altro limite a cui erano sottoposti i proposti totalitari del regime era rappresentato dal re quale massima autorità dello Stato non subordinata al fascismo. Questi limiti erano la caratteristica essenziale del totalitarismo imperfetto del regime, che esprimeva l incapacità di quest ultimo di affermarsi come unica forza indipendente. Questa incapacità viene chiaramente espressa da Italo Svevo attraverso la figura dell inetto. ITALO SVEVO E LA FIGURA DELL INETTO Nelle opere di Svevo l inetto è il "malato", in questo caso il regime fascista, che osserva, quindi la realtà della sua debolezza e la ignora, come una sorta di autoinganno. Il tema dell inettitudine, insieme con quello della vecchiaia e della morte, costituisce un motivo costante della narrativa e della meditazione di Svevo. Con la sua ottica divergente, il personaggio sveviano fa lucidamente la diagnosi della propria condizione alienata, professa la propria inettitudine, bloccando in sé definitivamente ogni residua possibilità di azione. Inoltre, quanto più è acuta la sua sofferenza della vita, tanto più viva è la sua aspirazione a realizzarsi in esperienze totali, tanto più il personaggio è immobilizzato nei gesti, incapace cioè di un qualsiasi atto valido alla costruzione di se stesso. Suo destino è quindi quello di subire la realtà. In questa coscienza che il personaggio ha della sua malattia, si riflette l idea più generale di un malessere esistenziale e di una crisi che si rivela incapace di trovare una qualche soluzione ai problemi di ordine storico che investono la società italiana ed europea del tempo. Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo, è nato nel 1861 a Trieste da una famiglia di commercianti ebrei ed è morto nel 1928 a Motta di Livenza in seguito ai postumi di un incidente d auto. La sua vita è sintetizzabile nel binomio affari e letteratura. Dopo la formazione avvenuta prima in un collegio tedesco e poi all Istituto Superiore del Commercio di Trieste, Schmitz si impiega malvolentieri presso la Banca Union della città natale, in seguito al fallimento del padre, e ci rimane per 19
7 anni. Nel 1986 sposa la cugina Livia Veneziani e passa a dirigere la ditta di vernici del suocero di cui diviene socio. La diretta esperienza nel mondo impiegatizio, industriale e commerciale influisce molto sull opera letteraria di Svevo che mette spesso in scena impiegati e uomini d affari e problemi relativi a quel mondo. Accanto a queste attività pratiche Schmitz si dedica spesso alla letteratura, collabora al quotidiano L indipendente e scrive racconti sotto lo pseudonimo di Italo Svevo. Nel 1893 il suo primo romanzo, Una vita, (il cui titolo originario era Un inetto ), viene pubblicato a sue spese e si rivela un autentico fallimento, nel 1898, sempre a sue spese, viene pubblicato il suo secondo romanzo, Senilità, ma l esito fallimentare anche di quest opera lo induce a desistere, almeno pubblicamente, dall attività letteraria. Per oltre vent anni Svevo non da alla stampa più nulla ma non cessa comunque di scrivere, infatti scrive un diario, fiabe, riflessioni, commedie e nel 1923 l ultimo romanzo, La coscienza di Zeno, che gli darà finalmente la tanto attesa notorietà. Tra i primi ad accorgersi di lui e a propagare la sua fama sono il critico Giacomo Debenedetti, Montale e Joyce, quest ultimo, dopo aver apprezzato anche i suoi primi romanzi, favorisce la conoscenza dello scrittore all estero. Si può dire che l opera di Svevo entri attivamente nel sistema letterario italiano solo nella metà degli anni Venti, epoca propizia ad intendere il messaggio di Svevo e il grande tema dell inettitudine a vivere affrontato in quasi ogni sua opera. Infatti nella sua prima opera, Una vita, il dato fondamentale che distacca quest opera dal naturalismo è l inettitudine di Alfonso, il protagonista. Alfonso è vittima di se stesso e delle sue tortuosità psicologiche, la società e l ambiente rimangono per lunghi tratti sullo sfondo per mettere in primo piano l analisi interna di Alfonso, la quale rivela le sue contraddizioni, i repentini mutamenti di proposito e di stato d animo e la frattura fra comportamenti esterni e sentimenti, e ciò fa di Alfonso appunto un inetto. Il motivo dell inettitudine è ripreso in Senilità dove appare significativa l analisi degli autoinganni della coscienza, messi in atto dal protagonista per cercare un equilibrio fra elementi opposti inconciliabili fra loro. Infatti da un parte c è il tenace attaccamento alla propria inettitudine, alla metafora della senilità, e dall altro il pericoloso insorgere della passione che egli non voleva suscitare, ma che una volta scatenata non sa controllare. Nella sua opera più importante, La coscienza di Zeno, Svevo adotta la tecnica del narratore interno, di un narratore cioè che narra la propria storia, e la utilizza per produrre una continua dialettica di punti di vista, di tempi e di istanze narrative, come ad esempio tra lo Zeno vecchio e lo Zeno giovane. Il narratore e protagonista è Zeno Cosini che, ormai vecchio, scrive le proprie memorie perché indotto dallo psicanalista presso cui è in cura, che a sua volta le pubblica per vendicarsi del fatto che Zeno a un certo punto ha interrotto la cura. Augusta, la donna che Zeno sposa per ripiego, rappresenta la salute e la normalità borghese, mentre Zeno è malato, ma la sua malattia è psicologica, descritta dall episodio del fumo. La figura di Zeno è l ultima incarnazione dell inettitudine a vivere, la quale poi si associa alla tragicità. La morale è che la malattia di Zeno non è una condizione eccezionale e anormale, ma una condizione comune inalienabile dell uomo, che solo una catastrofe inaudita che lo facesse scomparire dall universo potrebbe definitivamente eliminare.
8 MARCEL PROUST Pendant le temps de "La Coscienza di Zeno ", Marcel Proust écrit son œuvre la plus importante: "À la recherche du temps perdu " (publiée en 1925). Fils d un médecin d antique famille catholique et d une israélite d origine alsacienne, Marcel Proust est né à Paris en 1871 et il est mort en 1922 par fréquentes crises d asthme. Il a toujours conduit de brillantes études au Lycée Condorcet, où il découvre sa passion pour la littérature. Il a dédié sa vie à écrire et aux salons où il n était pas accepté parce que sa famille n était pas noble et parce qu il était considéré sans talent et sans personnalité!
9 Les principaux œuvres de Proust sont: "Du côté de chez Swann ", "À la recherche du temps perdu ", "À l ombre des jeunes filles en fleurs ", "Sodome e Gomorrhe ", "La prisonnière ", "La fugitive " et enfin "Le temps retrouvé ". Le style de Proust est caractérisé par des phrases denses, très longues, par une langue complexe particulièrement soignée et qui s'adapte à sa pensée pénétrante et qui utilise la forme de la première personne du singulier comme une autobiographie. Dans l œuvre la plus importante, qui est justement, "À la recherche du temps perdu ", la première personne et la phrase envoûtant de Proust compose, en parcourant les chemins complexes de la mémoire, la biographie sensible du Narrateur: ses promenades d enfant, ses amours de jeune homme, ses enthousiasmes pour un poète, un peintre ou une actrice de la Comédie- Française, et enfin sa décision de devenir écrivain, qui est le vrai sujet du livre. L'œuvre de Proust repose sur le thème du temps et sur le travail fait par l'écrivain qui cherche de récupérer le passé. La recherche se compose de plusieurs volumes, liés entre eux dans une structure circulaire où le dernier volume est "Le temps retrouvé ". Le temps de la recherche n'est pas le temps chronologique, mais plutôt le temps intérieur ressuscité grâce à la mémoire involontaire. La mémoire involontaire est réveillée par un goût, par un parfum, par un bruit qui permettent à l'écrivain d'abandonner la dimension du temps chronologique pour rejoindre le temps de la conscience. Le temps chronologique est donc substitué par la durée intérieure. Marcel Proust il nous présente des figures inoubliables et symboliques. Les héros proustiens appartiennent au milieu mondain de la bourgeoisie ou de l'aristocratie. Les classes populaires sont souvent exclues et ne sont représentées que par les domestiques.
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