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2 Chiara Naseddu OCCHI DI GHIACCIO Visioni Chiara Naseddu OCCHI DI GHIACCIO ISBN copyright 2013 Caosfera Edizioni soluzioni grafiche e realizzazione

3 A tutti coloro che credono sia possibile un rapporto di comunione tra uomo e natura. 5

4 1. LA LUPA Camminava lungo il viale, i piedi nudi sulla strada lastricata e fredda, doveva trovare qualcuno cui lasciare la propria creatura, quella che teneva stretta a sé, sul petto: doveva trovare un luogo sicuro, con persone comprensive e gentili, era necessario che avessero cura della piccola. Continuò a camminare, pur sapendo di essere seguita, di non avere più molto tempo, sapeva anche di doversi separare dalla bambina, che ella avrebbe trovato da sola la strada di casa, a tempo debito, ma le doleva il cuore al pensiero che non sarebbe stata accettata a casa come in quel luogo, che avrebbe dovuto tracciarsi una strada da sola, perché apparteneva a una specie differente, e avrebbe dovuto andarne fiera! Si fermò. Davanti a lei si trovava un ampio portone di legno nero, la vernice era vecchia e, per lo più, era stata raschiata via, il portone sfoggiava un grosso battente di bronzo a forma di pipistrello, contorto e con la bocca spalancata in una sorta d isterico urlo di rabbia. Certo non era il posto che si aspettava d incontrare, non voleva lasciarla lì, ma non c era tempo per andare altrove e, sicuramente, nessuno avrebbe potuto immaginare che sua figlia si nascondesse in un luogo simile: sarebbe stata al sicuro! Afferrò il grosso battente in bronzo e bussò tre volte alla porta con una sorprendente delicatezza ed eleganza, da dentro vennero dei suoni di catenacci e la porta si aprì, sbattendo rumorosamente sulla parete interna della casa. Sulla soglia apparve una donna bassa, anziana e vistosamente trascurata: i capelli erano decisamente sporchi e unti, tenuti legati alti da un grosso fermaglio nero dall aria antica che, a giudicare dalla ruggine formatasi nella sua molla, doveva essere rimasto su quella 7

5 testa e in quella posizione per anni, le unghie erano lunghe e, sotto lo smalto scarlatto e rovinato, s intravedeva un rivoltante color giallo, da lei o forse dalla casa stessa emergeva un forte e raccapricciante odore di muffa! Per un momento fu tentata di andarsene e cercare un posto migliore, per lo meno più pulito, ma queste riflessioni furono interrotte perché la donna sfoggiò un gran sorriso deforme e maligno e disse con voce rocca e bassa, tanto che pareva non essere stata usata per anni: «Sono stata avvertita del vostro imminente arrivo, la aspetto da anni, sa? E la creatura... è in buona salute?» «Naturalmente!» «Noi accettiamo solo creature umane e...» «Lei è umana!» «Di sangue puro?» «Ovviamente.» «Meglio per lei, allora! Vediamo: da noi arrivano solo disperati e senza tetto... e non mi pare che voi siate una di quelle rare eccezioni.» Aggiunse abbassando il capo per scorgere i piedi di lei. «Entrate!» L ingresso era rettangolare, sulla destra si trovava un comodino con sopra, appeso al muro, uno specchio dalla cornice dorata, il quale, però, era talmente vecchio e sporco da non riuscire a vedere il proprio riflesso al suo interno. Il comodino sfoggiava un evidente strato di polvere tanto spesso che, da marrone che era, lo faceva apparire bianco e, in alcuni punti, addirittura grigio. Più avanti, sulla destra, c era una grande porta di quercia, di un marrone quasi nero, forse la cosa più pulita della casa, probabilmente per il fatto che, sul suo architrave era incisa la scritta: Sala mensa (ricordate la buona educazione) e, poco distante, vi era una seconda porta, più piccola il cui architrave recitava: Cucina (lavatevi le mani prima di toccare il cibo). Davanti alla porta d ingresso, dopo il comodino impolverato, la giovane madre vide una stretta scala di legno che saliva al secondo piano, più simile a una soffitta piena di spifferi, dove, ella immaginò, si trovassero i dormitori. Di fianco, incominciava un ampio corridoio, le sue pareti erano piene di specchi rotti e porte sbarrate, sulla maggior parte di esse era stato scritto a lettere cubitali la parola Tabù sulle altre vi erano scritte parole come: Ufficio del direttore, Scuola, Archivio, Oggetti smarriti, Oggetti sequestrati e Aula punizioni. Lo percorsero insieme, l anziana signora davanti e lei al seguito, fino a che non si fermarono davanti a una porta con la scritta: Auditorium. Qui la strana signora estrasse un grosso mazzo di chiavi arrugginite, ne prese una molto grande, la infilò nella serratura, la fece scattare e ripeté, con un leggero inchino: «Entrate, prego!» L auditorium non era una sala molto grande, sulla parete in fondo c era un grande armadio di metallo marrone, più simile a una cassaforte, sopra al quale vi era scritto Archivio ; dall altro lato della sala c era una lustra scrivania di legno nero. La donna si sedette dietro a quella, su una squallida sedia di pelle, anch essa nera, e le fece cenno di accomodarsi su una sedia di legno, questa volta molto chiaro, che stonava con il resto dell arredamento. Si sedette. La stanza era illuminata da una lampada a olio, e la vecchia signora accese una candela sopra alla scrivania, aprì un cassetto, ne estrasse una cartella, la aprì appoggiandola sul piano estremamente pulito che faceva contrasto con il resto dell edificio, il quale pareva abbandonato, prese una bella penna d oro e, infine parlò: «Come si chiama la bimba?» «Soria.» «Soria come?» «Soria Arianna Prix.» «Ah, però, che strano nome, è sicura che Soria sia il primo nome e Arianna il secondo?» «Se permette, penso di conoscere il nome di mia figlia!» «Il cognome si scrive P-r-i-x, giusto?» «Sì.» «Non è di queste parti, vero?» «Sì, è il mio cognome, non quello di mio marito, io non sono di qui, sono straniera, lui ed io abbiamo deciso che sarebbe stato meglio darle il mio cognome anziché il suo.» «Bene, dove si trova il padre?» «Non lo so più, ora mai...» «Quando è nata?» «Il sette luglio.» 8 9

6 «Mi occorrono i suoi dati, signora, e devo sapere quanto è disposta a pagare e, soprattutto con cosa.» «Mi chiamo Marta Soria Prix, sono nata il nove di agosto, sono disposta a pagare in perle di terra.» «Perle di terra, dovevo immaginalo... da una come lei non ci si poteva aspettare altro!» «Che cosa vorrebbe dire?» «Ecco tutti i disperati e gli straccioni che vengono qui non hanno il becco di un quattrino e cercano di farmi fessa...» Lo sconforto iniziò a crescere in Marta: stava quasi per rivelare il suo segreto e aveva una grande voglia di dire alla vecchia chi era in realtà, ma poi pensò alla sua bambina e si trattenne: «Mi dica cosa vuole e quando lo vuole ed io farò in modo di farglielo avere.» «Mi paghi pure con un qualsiasi oggetto che possa anche solo sembrare di valore, così io potrò rivenderlo e, a seconda della cifra che guadagnerò, vedrò quanto cibo, quanti giochi, quanta istruzione o altro sua figlia potrà ricevere nel tempo che passerà qui.» A questo punto, Marta mise le due mani a conca una sull altra e, quando le riapri al loro interno si trovavano quattro anelli, ognuno dei quali con una perla di diverso colore incastonata al suo interno: una azzurra, una bianca, una marrone e una rossa. Negli occhi della donna si accese un barlume d avidità e la sua mano, con sorprendente prontezza e velocità, si avventò sui quattro gioielli. «Bene, allora la creatura resterà qui fino a che non inizierà a dare particolari problemi. Allora lei mi deve dire se, nel caso si presentasse qui, il padre o qualche altro parente...» «NO! La bimba non dovrà essere consegnata a nessuno e per nessuna ragione, se non a me, e solo se io sarò in grado di dimostrare di essere sua madre!» «Mmmh, strana affermazione! Allora è tutto a posto ora... può salutare sua figlia e si ricordi che, nel momento in cui essa sarà tra le mie braccia, non sarà più sua ma mia, MIA... mia!» Marta strinse a sé la bambina... non voleva... non poteva lasciarla... da fuori si udì un lupo ululare, Marta si riscosse, avvicinò la piccola alle labbra, la baciò e lasciò che una lacrima scivolasse sulla sua guancia e da lì cadesse sulla fronte di Soria, poi avvicinò delicatamente l orecchio della bimba alle sue labbra e piano sussurrò: «Non perderla, è il tuo dono, un regalo che ti unirà a me per sempre e ti guiderà a casa... non perderla Soria... proteggila... e aspettami... aspettami!» Detto questo, Marta diede un ultimo sguardo alla piccola cercando di ignorare lo sguardo scocciato e impaziente della vecchia che, dopo pochi secondi, sbottò, desiderosa di appropriarsi di quello che, lei aveva capito, sarebbe stato l oggetto più prezioso che le sarebbe mai capitato di avere tra le mani: «Allora! Ha finito con tutta questa melensa scena?» e, allungata una mano, strappò Soria dalle braccia della madre. La piccola non pianse né si divincolò, ciò insospettì la vecchia che, desiderosa di poter sperimentare il potenziale della bimba il più presto possibile, trascinò la giovane donna fino alla porta, la spinse fuori e richiuse il portone dietro di lei. Quel portone non si sarebbe più aperto per Marta né per nessun altro e nessuno si sarebbe più degnato di riverniciarlo: avrebbe avuto l aspetto di un qualunque portone di una casa abbandonata: Soria sarebbe stata al sicuro... Una volta fuori, s incamminò lungo il viale a piedi nudi sulla strada lastricata e fredda, ripeteva: Un gioiello in cassaforte... un gioiello prezioso si tiene in cassaforte... un gioiell... Le sue parole vennero smorzate: da dietro l angolo buio della strada uscì una figura nera con al fianco un altra figura più piccola ma imponente. Marta aguzzò la vista, riconobbe la lupa dagli occhi di ghiaccio, sorrise, un sorriso cupo, e disse: «Eccomi.» la nera figura protese il braccio verso di lei tenendo in mano un lembo del mantello, la coprì con esso e insieme s allontanarono... Stava iniziando una nuova storia... una storia che non si sarebbe mai ripetuta prima... una storia come tante? No era la storia di Soria... La lupa esitò un attimo, i suoi occhi riflettevano la luna, poi abbassò lo sguardo sul portone ormai spento... nei suoi occhi si rifletteva il ghigno bronzeo del pipistrello... sospirò... si alzò in piedi e, con una calma glaciale, raggiunse le due figure che camminavano lungo il viale, i piedi nudi di lei sulla strada lastricata e fredda, i capelli sciolti a coprirle le orecchie

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