SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III PENALE Sentenza 29 gennaio - 1 aprile 2014, n ha pronunciato la seguente: sentenza

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1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TERESI Alfredo - Presidente - Dott. SAVINO Mariapia - Consigliere - Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - Dott. DI NICOLA Vito - rel. Consigliere - Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - sul ricorso proposto da: M.P., nato a (OMISSIS); SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III PENALE Sentenza 29 gennaio - 1 aprile 2014, n ha pronunciato la seguente: sentenza avverso la sentenza del 10/01/2013 del Tribunale di Pordenone; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. IZZO Gioacchino che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per l'imputato l'avv. Longo Francesco che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Pordenone, in composizione monocratica, ha condannato, con sentenza emessa in data 10 gennaio 2013, M. P. alla pena di Euro 6.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a) perchè, in concorso con M.C., nei cui confronti si è proceduto separatamente, quale amministratore e legale rappresentante della "M. Daniele di M. geom. Paolo & c. Snc", in assenza della prescritta autorizzazione, stoccava all'interno di area già destinata alla coltivazione di cava denominata "Grave di Marsure" rifiuti speciali provenienti da cantieri esterni, costituiti da terre e rocce di scavo non utilizzate nel rispetto delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186 frammiste a residui di laterizi ed altro materiale di scarto, anche vegetale per un ammontare complessivo di 3.418,01 mc. ed il fatto (capol) commettendo in (OMISSIS) nonchè

2 del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) perchè, nella qualità ut supra, in assenza della prescritta autorizzazione, stoccava e lavorava all'interno di area di sua proprietà, in cumuli, rifiuti speciali provenienti da cantieri esterni costituiti da mc. di terre e rocce da scavo non utilizzate nel rispetto delle condizioni previste dall'art. 186 cit. D.Lgs., nonchè un cumulo di circa 80 mc. di terre da scavo miste e residui di demolizione ed il fatto (capo2) commettendo in (OMISSIS). Nel pervenire a tale conclusione all'esito dell'istruttoria, il Tribunale osservava come non fosse risultato secondo quale intervento preventivamente individuato e definito il materiale rinvenuto presso la cava di (OMISSIS) fosse stato, come sostenuto dalla difesa, utilizzato per ritombare la cava, nè fosse stata dimostrata la certezza dell'integrale riutilizzo dei cumuli di materiali rinvenuti sul fondo a Pordenone, così da poter escludere l'applicazione della disciplina sui rifiuti, non avendo l'imputato dimostrato la riutilizzazione delle terre e rocce da scavo secondo un progetto ambientalmente compatibile. 2. Per l'annullamento della sentenza impugnata ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, M.P., affidando il gravame ai due seguenti motivi Con il primo motivo, denuncia violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e, quindi, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche rappresentate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 181, art. 183, lett. a) e n), art. 184 bis e s.m.i., nonchè dall'art. 5 della Dir. CEE 91/156 e 98/2008 e dal D.M. n. 32 del 1998, art. 3, avendo erroneamente il Tribunale ritenuto sussumibile nella disciplina dei rifiuti e non invece del sottoprodotto i residui dell'attività produttiva, rinvenuti presso i siti di (OMISSIS), trattandosi di materiale oggettivamente reimpiegato in modo certo e non oggetto invece di disfacimento Con il secondo motivo di gravame si denuncia violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 181, comma 13 (testo originario), artt. 181 bis e 184 ter e s.m.i., nonchè dell'art. 6 della Dir. CEE 2008/98 e del D.M. 5 febbraio 1998, art. 3, u.c. avendo erroneamente il Tribunale ritenuto sussumibile nella disciplina dei rifiuti e non invece delle materie prime secondarie di cui all'art. 184 ter cit. D.Lgs. i residui dell'attività produttiva, rinvenuti presso i siti di (OMISSIS). Motivi della decisione 1. Il ricorso è manifestamente infondato sulla base delle seguenti considerazioni. 2. I motivi di gravame, essendo tra loro strettamente collegati, possono essere trattati congiuntamente Va premesso che, a seguito di un accertamento compiuto dalla stazione forestale di (OMISSIS), è emerso che, quanto al materiale rinvenuto presso la cava di (OMISSIS), esso aveva provenienza diversa da quella dei materiali presenti in loco e comunque il terreno su cui era stato esaminato il suddetto materiale non era risultato interessato dall'attività di smaltimento di rifiuti autorizzata e conclusasi cinque anni prima nella zona limitrofa a quella di cava. All'interno di una accentuata depressione del terreno formata da lavori di escavazione, erano stati depositati e livellati ingenti quantitativi di terre e rocce da scavo provenienti da altri cantieri, che si

3 differenziavano dalla matrice presente sul posto, per colorazione e per composizione. Effettuati tre sondaggi della profondità di due metri era stato messo in evidenza che era presente materiale terroso simile a quello presente in superficie su cui si trovava, frammista al materiale ferroso, una modestissima presenza di pezzi di asfalto, cemento e mattoni. Il perito, in sede di incidente probatorio, aveva svolto accertamenti sui cumuli di terra presenti presso la cava constatando che dai sondaggi erano emersi materiali di provenienza alloctona, con residui di laterizi, uno straccio, un piccolo tronco, presenti in modo diffuso in superficie ed in profondità In relazione ai cumuli rinvenuti presso il terreno di Pordenone, risultanti di varia natura e composizione, con ciottoli anche di matrice argillosa e composti altresì da materiali ghiaiosi da scavo frammisti a mattoni pieni e biforati, asfalti, pezzi di cemento e di tubi spezzati, era risultato che non apparivano simili al terreno circostante tenuto altresì conto che non era stato constatato che fosse in corso un'attività di scavo o di ristrutturazione. Detto materiale era disposto lungo tutto il perimetro di quell'apprezzamento, mentre nella sua parte centrale era posizionato un impianto mobile di vagliatura e selezionatura degli inerti Da tali significative emergenze processuali, il Tribunale, con logica ed adeguata motivazione, insuscettibile perciò di essere sindacata in sede di legittimità, ha tratto il corretto convincimento dell'inapplicabilità al caso di specie della disposizione di cui all'art. 186 cit. D.Lgs. mancando i presupposti richiesti dalla norma invocata dal ricorrente per poter ritenere sussumibili nella fattispecie del sottoprodotto o delle materie prime secondarie il materiale rinvenuto presso i siti di (OMISSIS). Va ricordato che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non "manifestamente illogica", ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente "incompatibile" con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (ex multis, Sez. 6, 15/03/2006, n , Casula, Rv ), sicchè costituisce accertamento del giudice di merito il fatto che il materiale depositato nel sito di (OMISSIS), oltre che di varia composizione, avesse provenienza diversa da quella dei materiali presenti in loco e che il materiale depositato presso il sito di Pordenone fosse di altrettanta varia natura e composizione, con ciottoli anche di matrice argillosa e composti altresì da materiali ghiaiosi da scavo frammisti a mattoni pieni e biforati, asfalti, pezzi di cemento e di tubi spezzati. Ne consegue che la diversa ricostruzione del materiale processuale offerta nel ricorso attraverso opzioni fattuali, quanto alla natura del materiale rinvenuto presso i siti controllati, sia per attribuire al predetto materiale la qualifica di sottoprodotto che quella di materie prime secondarie, non è proponibile in sede di legittimità, non potendo - a fronte di una motivazione effettiva, non

4 manifestamente illogica, non internamente contraddittoria e neppure logicamente incompatibile - il sindacato della Corte sui provvedimenti giurisdizionali comportare una rivisitazione dell'iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi diretti ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito. 3. Posto che, quanto alla normativa applicabile ratione temporis, trova applicazione l'art. 186 cit. D.Lgs. - la cui natura di norma transitoria, pur a seguito della sua abrogazione disposta dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 39, comma 4, destinata ad applicarsi ai fatti commessi fino all'entrata in vigore del D.M. n. 161 del 2012, ai fini della qualificazione delle terre e rocce da scavo come sotto prodotto, è già stata affermata da questa stessa Sezione (Sez. 3, 04/07/2012, n , Digennaro, Rv e recentemente ribadita da Sez.3, 17/01/2014, n (dep. 14/03/2014), Rossi) - è indubbio che, a fronte della sopra riportata ricostruzione processuale, le doglianze formulate dal ricorrente sono destituite di fondamento, risultando del tutto insussistenti le denunciate violazione di legge, essendo evidente l'attività di raccolta e di deposito che il ricorrente svolgeva pressi entrambi i siti, ove depositava non solo terre e rocce da scavo propriamente dette, ma anche materiale proveniente dai lavori di scavo effettuati altrove, procedendo anche all'attività di vagliatura e selezione granulometrica anche di quest'ultimo materiale, ossia ad un'attività - non autorizzata - peraltro di recupero. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183 lett. h) indica la cernita o la selezione (ex multis, Sez. 3, 15/06/2006 n , Rv ). Tali residui da demolizione vanno pertanto qualificati come rifiuti speciali e non sottoprodotti o materie prime secondarie e dovendosi ricordare come la giurisprudenza di questa Corte sia ferma nel ritenere che, per la qualificazione di sottoprodotti dei materiali, devono sussistere congiuntamente tutte le condizioni previste dalla legge per qualificare una sostanza come sottoprodotto e che l'onere della prova certa, nella specie non soddisfatta, del loro utilizzo, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione e secondo un progetto ambientalmente compatibile, incomba sull'interessato (Sez. 3, 12/06/2008, n , Pacchioni, Rv ). In continuità con tale indirizzo, questa Sezione ha recentemente ribadito che, in tema di tutela dell'ambiente, le rocce e le terre da scavo che presentino sostante esterne sono sottratte alla disciplina sui rifiuti solo in presenza: a) di caratteristiche chimiche che escludano una effettiva pericolosità per l'ambiente; b) di approvazione di un progetto che ne disciplini il reimpiego; c) di prova dell'avvenuto rispetto dell'obbligo di reimpiego secondo il progetto (Sez. 3 18/03/2013, n , P.G., R.C., Rubegni e altri, Rv ). 4. Sul rilievo che, oltre alle terre e rocce da scavo propriamente dette, nei siti de quibus venivano trattati materiali di provenienza alloctona e di risulta edile, diversi dalle terre e rocce da scavo, non può ritenersi applicabile (come pure in sede di discussione orale la difesa ha reclamato) la nuova disciplina derivante dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, art. 41-bis di conversione del cd. Decreto "del Fare", D.L. n. 69 del 2013, che introduce nell'ordinamento alcune disposizioni tese a disciplinare

5 l'utilizzo, come sottoprodotti, dei materiali da scavo realizzati nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, in deroga a quanto previsto dal D.M. 10 agosto 2012, n. 161, recante il regolamento per la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo. 5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2014.

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