La tutela dell utilizzatore nel leasing
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- Salvatore Maurizio Galli
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1 La tutela dell utilizzatore nel leasing tra collegamento negoziale atecnico e buona fede integrativa: nota a margine delle SS.UU. 5 ottobre 2015 n di Ambra Alvano Premessa Con ordinanza interlocutoria del 4 agosto 2014, n , la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, chiedeva l intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine al tema della tutela dell utilizzatore di un bene in leasing, con riguardo, segnatamente, al quesito da sempre più controverso: l ammissibilità, al di fuori dei limiti di tutela riconosciuti al mandante dall art 1705, comma II c.c. (come interpretato da Cass., SS.UU., n /2008), dell esercizio diretto da parte dell utilizzatore dell azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, in assenza di una specifica clausola contrattuale di trasferimento di tale azione dal concedente all utilizzatore 1. La Suprema Corte veniva chiamata in sostanza a valutare se il collegamento negoziale, sussistente tra due contratti (nella specie fornitura e leasing), fosse bastevole a giustificare, in nome della sostanziale unitarietà dell operazione economica posta in essere, una deroga al principio di relatività degli effetti del contratto (1372 c.c.) e dunque a legittimare la proponibilità, in caso di vizi della cosa oggetto di leasing, di un azione contrattuale derivante da un contratto (quello di fornitura) di cui l attore (utilizzatore) non sarebbe stato, in ipotesi, formalmente parte. La tutela dell utilizzatore, immaginata dalla Corte di Cassazione, nella sentenza resa a Sezioni Unite n del non ricalca quella suggerita dall ordinanza di rimessione, ma è comunque ispirata dall intento di rinvenire un punto di equilibrio tra il principio di relatività degli effetti contrattuali, riparto dei rischi nell operazione di leasing ed esigenza di forgiare una tutela quanto più effettiva possibile per il terzo - utilizzatore. La decisione della Corte A parere dei Giudici di legittimità, il tema della tutela dell utilizzatore a fronte della mancata consegna o di vizi del bene oggetto di leasing 2, come già aveva posto in luce l ordinanza di rimessione, non può prescindere da quello della struttura del contratto di locazione finanziaria. Nella generica denominazione di leasing afferma la Corte si vanno a ricomprendere numerosissime figure contrattuali, tra le quali: il leasing traslativo e quello di godimento 3, il leasing 1 Sul punto vedi amplius M. Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto civile. Aggiornamento 2015, pp. 93 ss. 2 Nel caso oggetto della pronuncia in commento, l utilizzatore stipulava un contratto di locazione finanziaria con una società di leasing avente ad oggetto un autocarro fornito dalla società fornitrice e rivelatosi poi privo di una qualità essenziale che lo rendeva strutturalmente inidoneo ad ottenere l omologazione ministeriale. L utilizzatore citava in giudizio la società fornitrice chiedendo la risoluzione per inadempimento di quest ultima unitamente al risarcimento dei danni ed in subordine, la riduzione del prezzo di compravendita. In primo grado, il Tribunale di Verona accoglieva la domanda di risoluzione. In secondo grado la decisione veniva ribaltata e l attore veniva dichiarato privo di legittimazione ad agire in relazione a tutte le azioni proposte. Veniva così proposto ricorso per Cassazione. 3 Si distingue tra leasing di godimento e leasing traslativo, a seconda che sia prevalente l interesse dell utilizzatore semplicemente all uso del bene per un certo periodo (rectius: godimento) o, invece, all acquisto del bene al termine del periodo di utilizzazione, mediante l esercizio del diritto di opzione. Il leasing di godimento generalmente ha ad oggetto beni a rapida obsolescenza, ed è ritenuto assimilabile alla locazione. Il leasing traslativo, che ha di solito ad oggetto beni che conservano utilità alla scadenza, è assimilabile ad una vendita con riserva di proprietà.
2 operativo 4 e quello di consumo, il leasing pubblico e quello finanziario immobiliare, il lease back 5 e la locazione finanziaria di autoveicoli, navi ed aeromobili. Tutte queste tipologie di leasing sottendono una duplice operazione, che ne rappresenta al contempo il tratto comune: un operazione di finanziamento (tra utilizzatore e concedente) tendente a consentire al cd. utilizzatore il godimento di un bene grazie all apporto economico di un soggetto abilitato al credito (cd. concedente); ed un operazione di compravendita (tra fornitore e concedente) tendente all acquisto della proprietà del bene (con funzione, soprattutto nel leasing traslativo, di garanzia) che il concedente darà in locazione all utilizzatore da lui finanziato, dietro pagamento di un canone che si compone in parte, del costo del bene ed, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l anticipazione del capitale. La vera chiave di volta della questione risiede tuttavia nella veste giuridica che si voglia dare a tale duplice operazione. Al riguardo la Corte, prima di fornire la propria soluzione, ripercorre le due principali tesi che si sono contese il campo: la tesi della giurisprudenza risalente, ma ormai abbandonata, secondo cui le operazioni di leasing si configurerebbero dal punto di vista strutturale come un contratto unitario plurilaterale (prospettando la quale non vi sarebbero stati ostacoli alla configurazione di una legittimazione ad agire piena dell utilizzatore - parte negoziale - per qualsivoglia azione contrattuale contro il fornitore, fermo restando soltanto il rispetto del litisconsorzio necessario con il concedente c.p.c.) e la tesi, attualmente dominante, del collegamento negoziale tra un contratto di leasing propriamente detto, intercorrente tra utilizzatore e società di leasing (concedente) ed uno di fornitura, intercorrente tra quest ultima ed il fornitore. Tale collegamento risulterebbe secondo la giurisprudenza, da alcuni indici, tra i quali: la struttura del procedimento di formazione negoziale (in cui intervengono in varia sequenza le tre parti 6 ) ed il contenuto del contratto di fornitura (ove di frequente è fatta menzione che il bene sarà acquistato allo scopo di cederlo in godimento e che la consegna avverrà direttamente all utilizzatore). Aderendo a questa tesi, dunque, il contratto di vendita diviene per l utilizzatore, una res inter alios acta rispetto alla quale, non avrebbe in astratto alcun potere di incidenza (1372 c.c.) salvo che, questo non gli venga espressamente riconosciuto in virtù di apposite clausole di cessione di azioni (che rappresentano diritti futuri e determinabili c.c.) come, invero, avviene di frequente nella pratica negoziale. 4 Si distingue tra leasing operativo e leasing finanziario a seconda che il locatore sia il produttore del bene o un finanziatore che lo acquista per conto dell utilizzatore. La prima decisione della S.C. che ha proposto la distinzione tra leasing operativo e finanziario, mutuata dalla dottrina, è stata Cass. 6390/1983. Il leasing operativo è caratterizzato dalla bilateralità del rapporto, in quanto viene posto in essere direttamente dal produttore o fornitore dei beni oggetto del contratto ( ) dalla particolare natura dei beni, solamente si tratta di beni mobili durevoli con una lunghissima obsolescenza, che consente di rilocarli più volte a differenti utilizzatori; dalla mancanza di un opzione finale di acquisto, cfr., M. La Torre in Manuale del leasing, p Anche nel leasing operativo è ammesso l intervento di un intermediario, in questo caso l operazione diviene trilaterale. 5 Nel sale and lease back il proprietario di un bene lo aliena ad una società finanziaria che glielo concede in leasing secondo lo schema del costituto possessorio. 6 Sebbene sia il concedente a concludere il contratto di fornitura è l utilizzatore a prendere sostanzialmente parte alle trattative, scegliendo direttamente il bene in tutte le sue caratteristiche.
3 Al di fuori di queste ultime ipotesi, allo scopo di fornire di una tutela diretta l utilizzatore nei confronti del fornitore, anche a fronte della non più discussa scissione dei rapporti giuridici, si è calata l operazione di leasing nello schema del mandato (implicito) senza rappresentanza, ascrivendosi all utilizzatore la veste di mandante, al concedente quella di mandatario ed al fornitore quella di terzo. In questo modo si reimpiegava per l utilizzatore la tutela apprestata dall art comma II c.c. per il mandante. Per tal via, come sottolinea la Corte, la tutela dell utilizzatore - mandante non risultava comunque completa. Infatti, pur venendogli riconosciuta la possibilità di far valere la pretesa all adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno conseguente (cfr., Cass. 27 luglio 2006, n ), nonché secondo la giurisprudenza successiva (cfr., Cass del 2007) anche all accertamento dell esatto corrispettivo spettante al fornitore; non gli veniva ancora riconosciuta un azione di risoluzione né tantomeno di riduzione, dirette. La ragione è da rinvenire nella circostanza che l art comma II, nella ricostruzione elaborata dalle SS.UU. n /2008, attribuisce al mandante la possibilità di agire per far propri di fronte ai terzi i diritti sostanziali sorti in testa al mandatario a condizione che non vi sia pregiudizio per questi, ma non anche le azioni contrattuali (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno) configurandosi altrimenti una cessione al mandante dell intera posizione contrattuale costituitasi in capo al mandatario senza consenso del contraente ceduto ed in spregio al principio di relatività (la società di leasing, per effetto di un azione diretta di risoluzione, verrebbe privata della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene e rischierebbe di non ricevere i canoni posti in rapporto di corrispettività con il godimento dello stesso). A ciò, andava aggiunto che, costituendo elemento naturale del leasing l esonero del locatore da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato, l utilizzatore non poteva far valere l eccezione di inadempimento del fornitore per vizio del bene locato, a norma del 1460 c.c. per rifiutare le proprie prestazioni nei confronti del concedente (Cass. n /2004). Per fuoriuscire dalle strettoie di una tale insoddisfacente tutela, l ordinanza di rimessione, valorizzando il nesso dato dal collegamento negoziale proponeva di ritenere quest ultimo anche bastevole per l esercizio diretto dell azione di risoluzione, mettendo in luce in particolare tre differenze tra leasing e mandato, che non avrebbero reso gli istituti sovrapponibili: - l utilizzatore, a differenza del mandante, ha un rapporto diretto con il fornitore gestendo in prima persona il rapporto di fornitura e stabilendone discrezionalmente le condizioni; - il passaggio delle cose alla proprietà del mandante non avviene per rivendica (cose mobili) o per obbligo di ritrasferimento (immobili e mobili registrati), ma per esercizio del riscatt; - la ratio ispiratrice di SS.UU. n /2008 (tutela dell affidamento del terzo), infine, è incompatibile con il leasing dove il rapporto viene ad instaurarsi ed a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti; certamente incluso il venditore. Sicché, si diceva, non vi sarebbe motivo di parlare di cessione contrattuale senza consenso del contraente ceduto, ma soltanto di esposizione del terzo (anche senza una specifica previsione pattizia) ad una legittimazione non soltanto non aliena ma addirittura coessenziale al contratto da lui stipulato (Cass. 4 agosto 2014, n ).
4 Nella medesima direzione si muovevano anche altre soluzioni, tutte accomunate dall intento pratico di fornire all utilizzatore, una tutela più ampia di quella del mandante (si pensi in particolare alla tesi del leasing come contratto a favore di terzo nella rilettura fornita dalla Cass. 9 aprile 2014 n. 8272, che ha ammesso un azione di risoluzione diretta da parte del terzo 7 e ad altre pronunce che avevano ritenuto l espediente processuale del litisconsorzio necessario con il concedente capace di rimediare alla stridente anomalia dell'azione risolutiva concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere - Cass. n. 5125/2004). Le SS.UU., dopo aver riportato il suddetto quadro evolutivo, danno risposta al quesito in argomento, proprio partendo da una puntualizzazione in tema di qualificazione del contratto di leasing. La Corte non pone in dubbio che il leasing, nella sua essenza trilatera, configuri un collegamento negoziale, pur tuttavia, ed è questo il nodo centrale della sentenza, ravvisa nella peculiarità del suo schema un collegamento sui generis, di tipo segnatamente atecnico. Per aversi collegamento negoziale in senso tecnico; l unico in grado di giustificare tra i contratti collegati gli effetti di cui al brocardo simul stabunt simul cadent, e per tal via anche l esperibilità di un azione diretta di risoluzione, secondo la costante giurisprudenza e la prevalente dottrina 8, l interprete deve rinvenire : un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, ed un requisito soggettivo, costituito dal comune intento delle parti, espresso o tacito, di realizzare un fine ulteriore, rispetto a quello tipico dei singoli negozi posti in essere; tale da assumere una propria autonomia anche dal punto di vista causale (Cass. 17 maggio 2010 n ; Cass. 16 marzo 2006, n. 5851). Non è rilevante invece, secondo l orientamento predominante in giurisprudenza e dottrina, la circostanza che le parti dei contratti siano diverse. Quel che impedisce la configurazione del leasing in termini di collegamento tecnico è, a parere della Corte, la mancanza del nesso soggettivo, cioè dell intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune, così da dar vita ad un autonoma ed ulteriore causa in concreto. Da un lato, il fornitore, nonostante sappia della destinazione del bene, ha come unico interesse quello di vendere il suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatoreconcedente non può che essere quella tipica del contratto di compravendita. Dall altro, il concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore. Pertanto, la mera consapevolezza che i singoli contraenti dell operazione di leasing hanno l uno dell altro e le loro interazioni reciproche, non sono elementi, nel ragionamento della Corte, in grado 7 Non è configurabile in capo allo stipulante un diritto alla risoluzione del contratto a favore del terzo, perché detto inadempimento non concerne tale contratto, ma il rapporto originato dall'attribuzione al terzo del diritto, che se si sostanzia in una posizione contrattuale fra il terzo e il promittente (..) potrà dare luogo ad azione di risoluzione da parte del terzo (Cass. n. 8272/2014). Con questa pronuncia si fornisce al terzo il potere di agire non più soltanto per l adempimento, ma anche per risolvere il contratto a suo favore direttamente nei confronti del promittente. L azione di risoluzione come quella di adempimento, infatti attiene al rapporto e non all atto, circostanza che ha condotto la Corte a questa innovativa decisione. 8 v. contra C.M. Bianca, Diritto Civile, vol. III, Il contratto, 2000, p.482. Secondo l Autore: L idea secondo la quale ai fini del collegamento occorrerebbe un elemento soggettivo, consistente nell intenzione delle parti di connettere i vari contratti, non sembra condivisibile in questi termini. E infatti sufficiente che la connessione risulti, sul piano funzionale, dall unitarietà della causa che l operazione è diretta a realizzare.
5 di mutarne la causa, ma semplici circostanze esterne, che permangono allo stadio di motivi irrilevanti. Dunque, nessuna pretesa azione diretta sarebbe giustificabile in virtù di un mero collegamento negoziale tecnico che, nella specie per l appunto, mancherebbe. Che non sia ammessa un azione diretta di risoluzione (e conseguentemente di riduzione) emergerebbe, a parere dei giudici di legittimità, non soltanto dal dato qualificatorio, ma anche da due importanti argomenti sistematici (si tratta tuttavia di discipline settoriali non estendibili analogicamente): la Convenzione di Ottawa del 1988 sul leasing finanziario internazionale, che esclude la legittimazione diretta dell utilizzatore alla risoluzione contrattuale senza il consenso del concedente e l art. 125 quinquies, comma III del TUB, che facoltizza l utilizzatore, in seguito alla costituzione in mora del fornitore, a chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione, ma non anche di provvedervi direttamente. All esito di tale percorso motivazionale, la Corte delinea il quadro di tutela riconosciuto all utilizzatore, in caso di inadempimento del fornitore, nel modo seguente. Nell ipotesi di vizi non in grado di pregiudicare definitivamente il godimento del bene, l utilizzatore è legittimato ad agire nei confronti del fornitore per far valere la pretesa all adempimento o all esatto adempimento (azioni queste innovativamente accostate nel decisum della Corte) e al conseguente risarcimento del danno, in via diretta (ex 1705, comma II c.c.). Nell ipotesi in cui i vizi ed i difetti siano tali da pregiudicare in via definitiva il godimento del bene, tanto da radicare l interesse ad uno scioglimento del rapporto, a fronte del disconoscimento delle azioni di risoluzione e riduzione dirette, l utilizzatore ha una tutela soltanto mediata, rimanendo il concedente l unico legittimato ad agire, ma in ogni caso potrà richiedere al fornitore il ristoro dei danni subiti ex 2043 c.c. per lesione del suo diritto di credito (secondo l elaborazione inaugurata dal noto caso Meroni del 1971); ristoro che, comprenderà la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente. A tale ultimo proposito, per rafforzare la tutela dell utilizzatore in caso di inerzia del concedente, le SS.UU. si spingono oltre, giungendo a rinvenire un vero e proprio dovere del concedente ex fide bona di agire in giudizio. Ed in particolare la Corte distingue: - in caso di vizi emersi prima della consegna, che viene quindi rifiutata (o di mancata consegna), il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura (alla quale consegue necessariamente la risoluzione del contratto di leasing) o per la riduzione del prezzo. - In caso di vizi emersi dopo la consegna (perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore), l utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso.
6 Le SS.UU. in questo modo, pur negando l azione diretta in giudizio da parte dell utilizzatore, per le ripercussioni in termini di principio di relatività che possono derivarne sulla sfera giuridica del concedente, onerano quest ultimo di un dovere di agire in giudizio a protezione dell interesse dell utilizzatore, sobbarcandolo quindi di un impegno ben più rilevante di quello nascente dalla mera partecipazione al processo a titolo di litisconsorte necessario (come pure era stato sostenuto dalla giurisprudenza in passato) e raggiungendo per tal via, il medesimo risultato di un azione diretta. In caso di inerzia, la società di leasing sarà dunque chiamata a risarcire i danni. Conclusioni La Corte approda alla soluzione esposta, facendo ricorso agli obblighi protettivi nascenti dalla buona fede. Come ogni clausola generale, si tratta di uno strumento, da un lato, estremamente versatile alle diverse esigenze di tutele, ma che, dall altro, presenta come contropartita il rischio di un eccessiva discrezionalità pretoria nel darne forma e contenuto. La matrice di tali obblighi può essere duplice: da un lato, possono generare dal contatto sociale (in questo caso obblighi di protezione senza prestazione), dall altro, dalla buona fede integrativa ex artt c.c. e 2 Cost. (in questo caso gli obblighi di protezione integrano l obbligo principale di prestazione). In entrambi i casi, secondo l impostazione dominante, allargano il concetto di inadempimento e con esso le maglie della responsabilità contrattuale (1218 c.c.), dando rilievo ad interessi diversi dello stesso contraente o anche di soggetti terzi collegati al contraente da un vincolo di proximity 9. Originando dalla clausola di buona fede, gli obblighi protettivi condividono con quest ultima l ispirazione solidaristica ed il limite dell apprezzabile sacrificio. Quest ultimo, impedisce che in nome della buona fede vengano a sacrificarsi rilevanti interessi personali e patrimoniali attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose 10. La Corte richiama questi obblighi a protezione dell interesse dell utilizzatore, in modo peculiare. Da un lato, perché si valorizza la buona fede nell ambito del fenomeno dei contratti collegati, dall altro, circostanza questa più rilevante, perché la buona fede viene spinta fino al punto di costringere (le SS.UU. parlano di un dovere giuridico) la società di leasing ad agire in giudizio, il che sembrerebbe porre il decisum della Corte in rotta di collisione con il principio di insindacabilità delle scelte giudiziarie 11. Tradizionalmente si riteneva che l iniziativa giudiziaria, in quanto per definizione onerosa ed aleatoria, fosse inesigibile in base a buona fede proprio per il limite dell apprezzabile sacrificio (ex plurimis Cass. 2002/11364). A tale orientamento consolidato, nel tempo si sono imposte due eccezioni: la prima, data dalle attività stragiudiziali che non presentano profili di particolare complessità (es. stimolare l autotutela della P.A); la seconda, dal principio affermato dall Ad. Plen 9 Sulla scia della giurisprudenza tedesca, nel 1971 la Corte d appello di Roma, condannava per la prima volta il proprietario di un immobile malsano per i danni cagionati alla salute della famiglia del custode di un condominio, cui l immobile era stato concesso in abitazione; il titolo della responsabilità del proprietario, anche nei confronti dei familiari terzi rispetto al contratto fu individuato nel contratto di portierato. 10 V. sul punto Coordinate ermeneutiche di diritto civile, 2014 di M. Santise, Giappichelli Editore, p Di tale principio in un senso più ampio se ne è parlato anche in riferimento al quomodo della scelta (in questo diverso senso la tematica intercetta quella dell abuso del processo: si v. SS.UU /2007 sul frazionamento giudiziale del credito unitario, SS.UU. 7097/2011 sull inammissibilità di un cd. diritto ad avere torto ).
7 3/ in tema di pregiudizialità (sostanziale) dell azione di annullamento rispetto a quella di risarcimento del danno 13. La decisione in commento, che si inserisce a pieno titolo nel trend della grande enfatizzazione della clausola di buona fede 14, ha una portata senz altro più dirompente rispetto a queste eccezioni, giacché impone al debitore un dovere giuridico di agire in giudizio per salvaguardare l interesse del creditore ed evitare che questi subisca pregiudizi. Si tratta di un principio che, affermato in termini così vaghi ed assoluti, come fa la Corte, rischia di non porsi, in semplice rapporto di regolaeccezione con quello di insindacabilità delle scelte giudiziarie, quanto nel senso di un suo totale superamento. Un secondo punto merita di essere posto in risalto. In particolare, la ricostruzione della responsabilità del fornitore in termini di responsabilità aquiliana operata dalle SS.UU. può essere posta in dubbio. Si potrebbe pensare, infatti che tra fornitore ed utilizzatore si instauri un contatto sociale; tesi tanto più plausibile se si considera che in passato la giurisprudenza tendeva addirittura a considerare la vicenda in termini di contratto trilaterale; e se anche non si volesse far riferimento a tale dibattuto istituto, si potrebbe valorizzare il contratto di fornitura in termini di rapporto complesso, fonte anch esso di obblighi protettivi, in questo caso verso il terzo utilizzatore; con i connessi vantaggi in entrambe le ipotesi in punto di riparto dell onere probatorio, prescrizione, mora ed applicabilità del 1225 c.c.. Può apparire interessante inoltre valutare la decisione della Corte in un ottica sistematica 15. Sotto questo punto di vista, la non sussunzione del rapporto di leasing nello schema del collegamento negoziale tecnico ed il conseguente disconoscimento di un azione di risoluzione diretta, allontana la vicenda da quella limitrofa del mutuo di scopo 16. La giurisprudenza, proprio valorizzando alcuni elementi, tra i quali lo stretto legame funzionale esistente tra i contratti di compravendita e mutuo e la destinazione immediata della somma mutuata alla società venditrice, ha ritenuto sussistente un collegamento negoziale in senso tecnico e, per tal via, ha affermato altresì che la richiesta di restituzione di somme, in caso di risoluzione della vendita per inadempimento del venditore, grava direttamente sul venditore e non sul mutuatario (si v. Cass. n /2012). La differenza tra mutuo di scopo e leasing, che giustificherebbe il diverso regime giuridico, sarebbe da ravvisare nella diversa rilevanza del collegamento sulla causa in concreto. Solo nel mutuo di scopo, infatti, lo speciale impiego delle somme mutuate, da semplice motivo del contraente assurge a rango causale (il mutuante è interessato alla finalità di impiego delle somme); nel leasing non si può dire, invece, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore - concedente all utilizzatore - locatario. 12 L Ad.Plen. 3/2011 stabilisce che la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede se si dimostra che avrebbe evitato o ridotto il danno patito ex 1227 c.c. 13 Per un opinione contraria in materia di pregiudiziale (non amministrativa) cfr. Cass /2006 e Cass.21255/ Da ultimo cfr. l ordinanza della Corte Cost. del 2 aprile 2014 n Il tema in esame rientra, più in generale, in quello relativo alla portata della tutela nei rapporti multipolari, di quei rapporti cioè in cui si apprezza un intreccio di interessi non sempre forniti di azioni contrattuali: collegamento negoziale, subcontratto, vendite a catena, contratto a favore di terzo. 16 Con Il mutuo di scopo viene data a mutuo una somma di denaro o altre cose fungibili con l obbligo per il mutuatario di farne un determinato utilizzo. Il mutuo di scopo si differenzia dal mutuo tipico per la natura consensuale e non reale ed inoltre perché il perseguimento dello scopo (e quindi la futura destinazione della somma mutuata) entra a far parte dello stesso schema causale. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2011, p
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QUESITO SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
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