Minorazione visiva e depressione

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1 CORSO DI FORMAZIONE Minorazione visiva e depressione Venerdì 26 febbraio 2010 Auditorium Silvano Pontello Via Toblino, 53 Padova (Loc. Mandria) 1

2 (Introduzione al corso) Giuseppe SCALISE (Presidente Centro Polifunzionale Regionale) Buongiorno a tutti, sono Scalise Presidente del Centro Polifunzionale oltre che della Sezione Provinciale di Padova dell UIC e comincio con il ringraziarvi per essere qui, ringrazio la struttura che ci ospita e tutti coloro che sono arrivati sia da vicino che da lontano. Il tema è, quindi, di interesse e attualità: minorazione visiva e depressione. Sembrano cose lontane e invece constatiamo che sono molto vicine. Il Centro ha voluto questo secondo convegno su questo tema mentre il precedente del 12 febbraio, sulle distrofie retiniche, è andato molto bene, con molta attenzione alle cose che verranno, alle ricerche genetiche, alle cellule staminali, occhio bionico, ecc., l impegno dei relatori era di tenerci aggiornati sugli avanzamenti scientifici su quel campo. Sul nostro sito gli eventuali aggiornamenti su questo gruppo di lavoro. Il Centro ha come ragione sociale l intento di promuovere la salute e la vita sociale del non vedente (che comprende anche chi è ipovedente, decimista, ecc.) e cita nell ambito anche, oltre la Legge 188, la Legge 284, con uno sguardo alla pluriminorazione. È una delle strade che vuole percorrere il Centro cercando di mettere assieme le diverse entità ed enti che in questo senso devono collaborare. Quello di oggi è un convegno che tenta di mettere assieme i diversi attori del mondo sociale e della visione, per vedere cosa e come si può lavorare assieme per evitare quella depressione che va ad aggiungersi, a volte, alla minorazione visiva, soprattutto nelle persone anziane, le famiglie dei minori, ecc. Seguirà dopo i vari interventi una tavola rotonda per vedere le diverse voci che possono contribuire a formare questa rete di assistenza, nonostante i pochi fondi a disposizione per quest ambito. Lascio la parola alla coordinatrice della prima parte, la Dott.ssa Luisa Pinello responsabile della Clinica di Pediatria Oculistica che si occupa dell età evolutiva nelle minorazioni visive gravi. (Prima Sessione) Minorazione visiva, depressione, psicoterapia e terapia farmacologica Luisa PINELLO (Oculista e Pediatra Responsabile del Centro Regionale Specializzato per l Ipovisione in Età Pediatrica Università degli Studi di Padova) Ci parlerà delle cause di minorazione visiva delle popolazioni occidentali il Dott. Giovanni Sato che è il responsabile del Centro di Ipovisione dell Istituto L. Configliachi di Padova. Giovanni SATO (Oculista Direttore del Centro Regionale di Riabilitazione Visiva per l età adulta di Padova) Cause di minorazione visiva nei paesi occidentali Apriamo il convegno con le cause di ipovisione e di cecità dato che le stesse malattie che provocano ipovisione possono portare a cecità, sia che vengano trattate, sia perché molte malattie non hanno ancora un trattamento o sia in via sperimentale. Partiamo da lontano: per farvi comprendere come all inizio la vescicola ottica primaria origina dalla evaginazione del proencefalo ed è collegata al diencefalo con un peduncolo; e questo è l aspetto embrionale. Questo per dire che l occhio è da considerarsi, a parte le sue parti tipo la cornea, le strutture di origine ectodermica e mesodermica, di origine neurale. Quindi si può considerare come 2

3 retina nervo ottico una estroflessione del cervello; quindi il nervo ottico non è un nervo come gli altri nervi ma è un nervo che è collegato direttamente al cervello, fino alla corteccia visiva primaria. Quindi un danno del SNC (sistema nervoso centrale) spesso è irreversibile per il problema di rigenerazione dei neuroni. Lo stesso per la retina, quando è danneggiata, è una lesione irreversibile e non si è ancora trovato un rimedio nemmeno con le cellule staminali, sebbene ci siano ricerche molto importanti. La visione è il risultato di un complesso sistema che parte dalla ricezione della luce da parte dell occhio, con il suo sistema diottrico, fino alla retina, dove l immagine viene trasformata in impulso nervoso nella retina e da qui tramite il nervo ottico e le vie ottiche arriva alla corteccia visiva primaria, dove viene elaborata e vista. E quindi ipovedente è colui che è affetto da una disabilità visiva anche dopo trattamento medico, laser, chirurgico, e possiede una acuità visiva inferiore ai 3/10 (fra i 3/10 e 1/20) o un campo visivo inferiore ai 60 dal punto di fissazione. I centri di ipovisione aiutano queste persone a sfruttare il proprio residuo visivo. La fetta della popolazione affetta da ipovisione è molto ampia, in quanto interessa l 1,5% della popolazione generale. Abbiamo delle fasce di età, l età evolutiva infantile da 0 ai 12 anni, l età dell adolescenza dai 12 ai 18 anni, l età adulta lavorativa dai 18 ai 64 anni e l età adulta anziana dai 64 anni in poi. Questo perché ogni età ha le proprie esigenze. Abbiamo detto disabilità visiva perché il paziente perde la capacità di leggere, scrivere, fare lavori manuali, di svolgere normalmente la propria attività lavorativa e di svago, di vedere il volto delle persone, deficit visivo da lontano, non vede più la televisione, perde la patente, ha difficoltà nell orientamento e nella mobilità. Veniamo dunque ai tipi di ipovisione: possiamo avere una visione centrale o periferica; centrale quando abbiamo le maculopatie e la neuropatia ottica, che comporta una diminuzione visiva con scotoma centrale. Periferica in caso di retinopatia pigmentosa, glaucoma, e le malattie neurooftalmologiche che comportano un deficit del campo visivo periferico. Possiamo avere anche le forme miste di ipovisione, ossia la retinopatia diabetica dopo panretinica con edema maculare, otticopatia ischemica, e le patologie associate (maculopatia e glaucoma). La Legge 138 del 3 aprile 2001 per la prima volta dà una classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici. La classificazione secondo la scuola svedese (Backman Inde) afferma che i pazienti ipovedenti si distinguono in 4 gruppi fondamentali: 1) Soggetti con scotoma centrale assoluto o relativo (maculopatie, neuriti ottiche, corioretiniti centrali). I pazienti con scotoma centrale assoluto devono utilizzare per la lettura un area retinica eccentrica in sostituzione della fovea non funzionante, denominata pseudo fovea o locus retinico preferenziale o fissazione eccentrica. 2) Il secondo gruppo sono i soggetti con visione periferica limitata, ma con visione centrale parzialmente conservata, tipica di malattie come la retinopatia pigmentosa, la retinopatia diabetica laser trattata, il glaucoma e le malattie neuro-oftalmologiche. Questi soggetti con deficit del campo visivo periferico hanno gravi difficoltà nell orientamento e nella deambulazione e necessitano di corsi di orientamento e mobilità. Nella lettura vedono solo un minimo numero di lettere per cui devono imparare a leggere tenendo gli occhi fermi e spostando il testo entro il campo centrale. 3

4 3) Un terzo gruppo sono i soggetti con nistagmo, ossia grave difficoltà nel controllo del movimento degli occhi (nistagmo congenito primario, nistagmo congenito secondario a cataratta o altre patologie congenite oculari, nistagmo acquisito). 4) Quarto gruppo le ambliopie, ossia i pazienti che hanno uno strabismo non trattato, anisometropia o vizi refrattivi trascurati. Nell infanzia le cause di ipovisione sono il cortical visual impairment che sarebbe la vecchia cecità corticale, le degenerature tappeto retiniche che si riallacciano poi nell adulto, le malattie vitreo retiniche bilaterali ereditarie, le atrofie ottiche ereditarie, le corioretiniti, la retinopatia del prematuro dovuta ad un eccesso di somministrazione di ossigeno al bambino prematuro con distruzione della retina e cecità, distrofie corneali, albinismo e malformazioni congenite. Il cortical visual impairment è la prima causa di ipovisione, in età infantile, nei paesi occidentali ed è un deficit visivo, visuopercettivo e visuomotorio e le cause più frequenti sono ipossia prenatale, emorragie cerebrali, epilessia, infezioni, intossicazioni da farmaci, disturbi metabolico-neurologici, traumi (Dott.ssa L. Pinello). I problemi visivi non sono soltanto visivi ma bensì sono deficit di acuità visiva, campi metrici, di accomodazione/convergenza, di stereopsi, del contrasto e della sensibilità cromatica. Nell adulto le cause sono diverse, la prima causa è la maculopatia senile, la maculopatia miopica, le strie angioidi, la retinopatia diabetica e le retinopatie ereditarie, le malattie vascolari retiniche, glaucoma, i fori retinici, le corioretiniti, malformazioni, distacco di retina. La maculopatia senile atrofica si presenta con la parte centrale della retina completamente atrofizzata. Nella maculopatia neovascolare invece si forma un tessuto fibrovascolare che all esame che si chiama fluorangiografia dà una essudazione, cioè libera del colorante, ed è una malattia che poi porta alla cicatrizzazione della retina, una fibrosi retinica grave. La maculopatia atrofica miopica presenta un atrofia della retina della coroide e porta a ipovisione grave e anche cecità. Le strie angioidi è una forma che porta a una gravissima maculopatia neovascolare e resiste anche ai trattamenti. Nel diabete possiamo avere la maculopatia edematosa cioè si forma un essudazione della macula con diminuzione della vista, oppure può dare delle essudazioni, cioè escono anche le proteine dei vasi oltre che il liquido e dà questo aspetto di essudati che creano una grave diminuzione visiva, però può essere trattata con il trattamento laser. Abbiamo delle forme che possono essere trattate chirurgicamente, cioè il foro maculare e il pucker, cioè un ispessimento della membrana retinica interna che può essere comunque asportata. Anche il foro retinico si può correggere con la chirurgia. Corioretinite significa un infiammazione della coroide, che è lo strato sotto la retina e possiamo avere anche delle corioretiniti ossia infiammazioni della retina e di ciò che sta sotto, causate da toxoplasmosi o da forme più rare come la tubercolare da funghi, citomegalovirus in pazienti con l AIDS oppure nelle vasculiti che sono dovute a malattie autoimmunitarie. Nel campo visivo abbiamo lo scotoma assoluto, quello che porta cioè a minorazione e disabilità visiva. Nelle forme ereditarie invece la più importante è la retinopatia di Stargardt, la distrofia dei coni, la maculopatia di Best, l amaurosi congenita di Leber. La maculopatia di Stargardt dà un abbassamento visivo che compare di solito dopo l adolescenza ed è progressivo. Ciò si verifica in pazienti in età lavorativa, con conseguente perdita del lavoro, e porta a gravi problemi psicologici, come nel caso di una farmacista che non riusciva più a leggere le 4

5 ricette ed è stata licenziata. Questa malattia raramente porta a cecità ma comunque genera grave ipovisione. La distrofia dei coni è un altra malattia presente in pazienti giovani, la maculopatia di Best è meno grave mentre la più grave è la retinopatia pigmentosa inversa. Un altra infezione che interessa i bambini, ma anche gli adulti, sono il coloboma irideo e corioretinico in miopia elevata, dovute nell embrione alla mancata saldatura delle fessure embrionali a causa di fattori ereditari, trisomie, malattie infettive prenatali. L albinismo è una malattia dove c è la mancanza del pigmento che comporta nistagmo, ossia non si riesce ad avere una fissazione a causa della malattia della macula. Vi è displasia maculare, una grave fotofobia e ipovisione. L amaurosi congenita di Leber è una degenerazione infantile autosomica recessiva con sviluppo di cecità o grave ipovisione nel primo anno di vita; l esame del fundus è eterogeneo, a volte sembra normale, con anomalie della pigmentazione retinica, restringimento arteriorale, atrofia ottica. Anche qui c è il nistagmo pendolare di ricerca. L ERG è estinto. C è l assenza dello strato retinico esterno con perdita dei bastoncelli. Malattie retiniche vascolari sono le trombosi retiniche e le occlusioni arteriose. L occlusione dell arteria centrale della retina porta a cecità in due ore. Le malattie del nervo ottico sono dovute a molteplici cause, come la sclerosi multipla, malattie virali o causa ignota. La neurite ottica retrobulbare in monocola di solito ha un recupero dell acuità visiva, ma diverse neuriti ottiche portano a ipovisione, come chi ha sclerosi multipla, e sono pazienti giovani anche questi. Come sono giovani i pazienti affetti da atrofie ottiche ereditarie. Abbiamo, poi, anche i traumi del nervo ottico, sebbene più rari. Vi faccio vedere questo caso di un paziente giovane che ha avuto uno schiacciamento toracico, cioè gli è passata una gomma di un camion sul torace, ha avuto un reflusso di sangue per il quale ha avuto un ischemia dei nervi ottici causando atrofia nella macula e nel nervo ottico, che porta a cecità e ipovisione, quindi con campo visivo molto ridotto; questo paziente tuttavia ha usufruito della riabilitazione visiva in modo molto positivo. Nell ipovisione periferica abbiamo un deficit, invece che nella visione centrale, in quella periferica appunto, con difficoltà nell orientamento e mobilità. Ciò porta il paziente ad una grave visione tubulare dovuta al restringimento del campo visivo. Anche il glaucoma è una malattia molto grave, se non è diagnosticata in tempo, perché porta ad un danno del nervo ottico in seguito all aumento della pressione nell occhio, con un campo visivo che viene perso progressivamente. Quindi è bene misurare la pressione dell occhio una volta all anno, perché non dà sintomi finché non porta alla cecità. Le emianopsie, cioè le perdite del campo visivo dovute a emorragie cerebrali, ictus ecc, per cui viene persa metà del campo diviso destro, sinistro o entrambe le parti esterne. Nella emianopsia sinistra si fa difficoltà nella lettura a leggere il rigo successivo. Il nistagmo è molto difficile da trattare, se non praticamente impossibile. Luisa PINELLO (Oculista e Pediatra Responsabile del Centro Regionale Specializzato per l Ipovisione in Età Pediatrica Università degli Studi di Padova) Io credo che sia molto importante conoscere l epidemiologia delle malattie visive anche in relazione alla frequenza di determinate malattie, ai nostri giorni, che magari sono diverse da quelle di qualche anno fa, in modo da poter proporre delle risposte più rispondenti ai bisogni di queste persone, cosa ne pensi? 5

6 Giovanni SATO (Oculista Direttore del Centro Regionale di Riabilitazione Visiva per l età adulta di Padova) Si, in effetti adesso ci sono terapie specifiche per la maculopatia, che è più frequente oggi e più difficile da curare, anche se ancora non è una terapia decisiva e si tende a fare trattamenti misti. Abbiamo visto anche la terapia genica e la terapia con l impianto vitreo retinico che dà risultati molto buoni. Sicuramente sono cambiate le cause di ipovisione, ad esempio grazie alla prevenzione della pressione dell occhio i casi di glaucoma sono minori rispetto a una volta. Paolo SANTONASTASO (Direttore dell Unità Operativa Complessa di Clinica Psichiatrica Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova) Disturbi depressivi in relazione alla perdita della vista: quadri clinici e prognosi Mio padre era un oculista, forse i più vecchi possono ricordarlo, e del suo lavoro di oculista io ricordo poche cose, intanto che faceva delle visite lunghissime, poi che i suoi pazienti passeggiavano per ore in giardino per provare occhiali diversi; poi ricordo il fatto che ciò che per mio padre era la perdita di un occhio, per altri medici equivaleva alla perdita della vita. Era cioè per mio padre, oltre che per i pazienti, un lutto incredibile. E il lutto è uno dei meccanismi fondamentali della depressione. Quindi io oggi cercherò di parlare del rapporto tra cecità e minorazione visiva, cercando di chiarire quali sono gli aspetti clinici della depressione e parlerò di un solo tipo di depressione, senza fare problemi di classificazione, cioè del disturbo depressivo maggiore. Poi vedrò di esaminare rapidamente alcuni dei problemi del rapporto tra depressione e minorazione visiva. Cominciamo con il dire che i disturbi dell umore, cui la depressione appartiene, sono un problema molto significativo della salute pubblica, perché nel corso della vita più del 10% delle persone hanno avuto un episodio depressivo maggiore sufficientemente grave da richiedere un trattamento, c è un alto costo economico, e poi è frequente nei pazienti internistici, nei pazienti con minoranze visive e aumenta la morbidità e mortalità di altre malattie, ossia è facile che insorgano altre malattie o che le esistenti peggiorino. È un problema grave la depressione anche perché è strettamente collegato a quello del suicidio (il 15% dei pazienti depressi gravi muore per suicidio) e alle malattie cardiovascolari. Le persone che, dopo un infarto, sviluppano una depressione hanno 5 volte più probabilità di avere esito negativo dell infarto negli anni successivi. Ci sono, poi, i problemi psicosociali in quanto la depressione causa una maggiore difficoltà nelle relazioni, e una persona depressa cerca spontaneamente di curare la propria malattia facendo uso di certe sostanze, tra cui anche l alcool. La prevalenza nel corso della vita del DDM (Disturbo Depressivo Maggiore) è piuttosto elevata: nei maschi va dal 7 al 12% e nelle femmine dal 20 al 25%. La depressione è più frequente nei separati/divorziati o vedovi di quanto non lo sia nelle persone non separate. I criteri per il DDM: devono essere presenti 5 o più di questi sintomi per la diagnosi di DDM, di cui almeno uno costituito o dall umore depresso o la perdita di interessi (che sono quindi criteri indispensabili per fare la diagnosi). Oltre a questi due criteri ce ne sono altri e vedrete alcuni sintomi di carattere psichico e altri di carattere fisico, ad esempio la perdita dell appetito o l aumento di peso come, oppure, l insonnia o dormire troppo. Può esserci agitazione, affaticabilità, soprattutto sentimenti di auto svalutazione, che sono il nucleo centrale della depressione, e i sentimenti di colpa eccessivi che a volte diventano non sentimenti ma idee di colpa e idee deliranti, 6

7 persone che si addossano la responsabilità della guerra, dei disastri naturali, della rovina della propria famiglia e sono sopraffatti dal senso di colpa, che è uno degli elementi dominanti nella depressione. Credo che ognuno di noi nella vita, purtroppo, affronta un lutto; chi ha affrontato un lutto sa che quando muore una persona cara uno dei sentimenti che si sviluppa è il senso di colpa: non gli sono stato abbastanza vicino, ecc. Oltre a questo si osserva la ridotta capacità di concentrazione, l incapacità di fare una scelta, pensieri ricorrenti di morte, e lo psichiatra deve stare attento quando il paziente comincia a elaborare pensieri concreti di morte, in quanto il rischio del suicidio è elevato. Questi sintomi causano un disagio clinicamente significativo, una persona non è più in grado di fare quello che faceva prima e vengono compromesse le aree del lavoro, famiglia, relazioni sociali. L ultimo punto dice che i sintomi non sono meglio giustificati dal lutto, cioè dopo la perdita di una persona amata i sintomi persistono per più di due mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, auto svalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio. Ciò significa che quando muore una persona cara avere una depressione grave è normale. È normale se questi sintomi persistono per una durata superiore a due mesi; questa questione della perdita è importante perché quando parleremo dell eziologia della depressione diremo che c è, innanzitutto, una vulnerabilità genetica (le persone depresse generalmente hanno familiari che hanno sofferto di depressione, i gemelli monovulari di persone depresse sono più del 50% depressi, ecc.). E anche ciò che riteneva Aristotele che diceva che i melanconici sono tali per natura. Ma, oltre a ciò, è altrettanto noto che si deprimono le persone che subiscono dei traumi gravi che riguardano una perdita: ad esempio è noto che i bambini che hanno perso i genitori in età infantile hanno maggior rischio di sviluppare la depressione in età adulta. Anche traumi lontani possono condizionare la vita di una persona e dar luogo anche più tardi a gravi sintomi depressivi. L episodio di depressione dura da 6 a 24 mesi; se una persona depressa viene sottoposta a trattamento farmacologico, in genere, c è una risposta di miglioramento di almeno 50% della sintomatologia nel 50-60% dei casi. Le variazioni dell umore possono essere molto diverse rispetto al semplice episodio depressivo, possono esserci variazioni anche in eccesso. Se uno ha avuto molti episodi depressivi ha maggiore rischio di averne altri, così come se l episodio è stato molto lungo o l esordio è stato molto precoce o molto tardivo. La comorbilità o la familiarità sono altri fattori di rischio di ricadute, nel genere femminile o nel caso che la depressione abbia compromesso il fattore lavorativo. La scarsa adesione al trattamento è importante in relazione al problema della ipovisione, in quanto un ipovedente è meno autonomo nell assunzione dei farmaci e, quindi, corre un rischio maggiore di non seguire cure adeguate. Il rischio di cronicizzazione è elevato e i fattori di rischio sono simili a quelli per le recidive e il ritardo dell inizio del trattamento perché se si interviene tardi la possibilità di miglioramento è inferiore. La percentuale di risposta è del 60-70%, mentre la percentuale di guarigione è intorno al 40-50% e per questo motivo la depressione è una malattia seria, perché si ripresenta e tende a non guarire completamente, anche se ciò è comunque possibile. Se invece di un farmaco diamo un placebo abbiamo un 30% di risposta a breve termine, un 70% di non risposta. Anche il farmaco placebo funziona! La differenza fondamentale è che funziona per un tempo diverso (un mese), mentre l antidepressivo finché la persona lo assume. Si tende a 7

8 prescrivere l antidepressivo per una lunga quantità di tempo perché, se viene interrotto dopo 3-4 mesi di cura, il rischio di ricaduta è molto superiore che non se continuiamo la terapia per 8-9 mesi. Ci sono teorie biologiche di cui fanno parte gli aspetti genetici, psicologiche tra cui quelle psicoanalitiche che sottolineano molto la questione della perdita di cui parlavo prima, del lutto, cioè della depressione come un lutto che a volte, se non è reale, è immaginata, ma comunque una perdita. Le teorie cognitivo-comportamentali, che sostengono che la depressione non sia soltanto una conseguenza dell alterazione degli affetti, ma bensì degli assetti cognitivi, un po come se il depresso avesse un velo davanti agli occhi che le fa vedere solo gli aspetti negativi della realtà e non quelli positivi. I farmaci sono efficaci nel trattamento acuto e sostanzialmente non ci sono differenze tra i diversi farmaci; le psicoterapie possono essere più efficaci del trattamento farmacologico nei casi lievi; in quelli gravi la combinazione dei due trattamenti può essere importante. In conclusione esaminiamo qualcosa di più specifico riguardo alla minorazione visiva. Ho sottolineato come i fattori di perdita possono giocare un ruolo importante nell insorgenza della depressione. La perdita della vista è uno dei più grandi eventi di perdita che possono verificarsi nel corso della vita, altrettanto grave della perdita della persona amata, perché è una perdita che è difficile rimarginare. Può compromettere la sicurezza e la stima di sé, e questo è il nucleo psicologico per cui la perdita della vista può determinare la depressione. In un lavoro recente è stato sottolineato come una persona su 28, di età superiore a 40 anni, ha una grave compromissione visiva e la perdita della visione è spesso associata alla depressione, isolamento sociale, cadute a terra. La perdita della vista induce anche a commettere degli errori nell assunzione farmacologica. Si dice che le funzioni sensitive e cognitive ci permettono di orientarci nel mondo, ci rendono consapevoli di pericoli e rischi, mediano molte sorgenti di piacere o di dolore, e qualsiasi cosa comprometta seriamente la funzione sensitiva o cognitiva è probabile abbia effetti psicologici profondi, non solo sulla persona affetta, ma anche su famiglia, amici, collaboratori e coloro che si prendono cura di lui. I dati che derivano da questo lavoro ci dicono che quando una persona ha una grave compromissione visiva, la guarigione dalla depressione si verifica in meno della metà dei casi. Il 20-30% dei soggetti presenta notevole perdita dell autostima, disturbi del sonno, ritiro sociale, aumento di peso, episodi di rabbia e irritabilità e il maggior correlato della mancata guarigione è la persistente negazione della cecità. È molto importante, per il recupero psicologico ed educativo, che una persona prenda atto e si confronti con questa perdita gravissima. Volevo segnalare che, oltre alla possibilità frequente che la minorazione visiva possa determinare lo sviluppo di una depressione, rendere difficile la guarigione, può essere anche vero il contrario; sono stati pubblicati recentemente due lavori che dicono che, tra le persone che hanno tipo 2 di diabete, la depressione maggiore è associata ad un aumentato rischio di complicazioni microvascolari che macrovascolari. Le complicazioni micro vascolari sono quelle che portano a retinopatia diabetica e cecità. Quindi persone che sono malate di diabete e che hanno la depressione vedono l evoluzione della loro malattia più negativa e vanno incontro al rischio della cecità. (Intervento dal pubblico) Mi chiamo Enzo Tioli, sono stato alunno del prof. Santonastaso. Mi permetto di portare a questo convegno il saluto della Presidenza Nazionale dell U.I.C.I. che partecipa in maniera vissuta a questo incontro, perché stiamo affrontando un tema che è stato ai margini della nostra attenzione, 8

9 per noi il problema maggiore è stato il problema sociale ossia inserirsi nella società e partecipare attivamente alla vita quotidiana. Trattare della depressione, che in qualche modo tutte le persone con disabilità visiva hanno affrontato, diventa essenziale soprattutto in relazione al complicarsi della vita attuale. Ringrazio coloro che hanno organizzato questo convegno e penso di poter chiedere se fosse possibile socializzare l argomento del convegno mediante la diffusione degli atti. Grazie a tutti. (Intervento dal pubblico) Buongiorno sono Angelo Fiocco. Il Professor Santonastaso ha taciuto una cosa che io devo dire. Il professore sapeva, probabilmente perché viveva questa specie di lutto anche lui quando i suoi pazienti perdevano la vista, lui sapeva dare un segno di speranza ai genitori, facendo loro capire che quegli occhi non avrebbero funzionato più, ma che quella persona aveva una serie di potenzialità da sfruttare. Ho una domanda da fare, anzitutto al Prof. Santonastaso ma anche ad altri professionisti presenti: siccome io non sono convinto che una disabilità come la cecità debba necessariamente essere accettata perché io non accetto la sfiga, chiedo se sia forse più opportuno invece lavorare sulla persona e sul suo ambiente di riferimento affinchè si impari a convivere in maniera decente, creativa, positiva, vincente con la disabilità e nel nostro caso quella visiva. Paolo SANTONASTASO (Direttore dell Unità Operativa Complessa di Clinica Psichiatrica Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova) Sostanzialmente io volevo dire esattamente quello che diceva lei, cioè accettare la malattia non vuol dire essere contenti di avere avuto una sfiga ma imparare a convivere con essa. Occorre anche dire che, prima di ciò, bisognerebbe fare un lavoro di prevenzione per evitare la frequenza di eventi traumatici, ma una volta che si è presentata occorre impedire alla disabilità di rovinarci la vita, senza farci schiacciare da un evento drammatico. Non ho avuto tempo di approfondire cose diverse, cioè un conto è perdere la vista in età molto precoce (il bambino piccolo ha enormi capacità di adattamento), un conto è perderla in giovinezza o età adulta, un conto è perderla in 15 giorni, un conto in 10 anni. Sono tutti eventi con forte carica depressiva ma la reattività a questi eventi è diversa a seconda della diversità dell evento stesso. (Intervento dal pubblico) Buongiorno sono Corcio e vengo da Foggia. Ringrazio tutti per l organizzazione di questo evento importante di cui si parla poco. Tre questioni: la prima grossa difficoltà che mi trovai ad affrontare in famiglia con una situazione del genere riguardò quella di individuare il giusto supporto psicologico, perché ci sono diversi orientamenti e per noi è stato un passare dall uno all altro fino alla strada giusta. Quindi come ci si può indirizzare in situazioni del genere? La seconda questione l avete già affrontata in quanto preferisco sempre parlare di riconoscimento della minorazione visiva. La terza, siccome sono qui in rappresentanza dell Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità (I.A.P.B.) e come uno dei dirigenti della stessa, e referente tiflologo del Polo Nazionale per la Riabilitazione Visiva degli Ipovedenti, stiamo organizzando dal 15 al 17 dicembre 2010 a Roma un grande simposio sulla riabilitazione visiva e l abilità visiva. Io le sarei immensamente grato se 9

10 potesse darci la sua disponibilità a svolgere un intervento sulla correlazione tra minorazione visiva e depressione all interno di questo Simposio internazionale. Paolo SANTONASTASO (Direttore dell Unità Operativa Complessa di Clinica Psichiatrica Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova) Grazie per l invito, vedrò come organizzarmi. La questione che lei poneva è molto importante, quella del cosa si fa. Io penso che il problema della minorazione visiva grave comporti necessariamente una depressione e all inizio non è una cosa patologica, ma rischia di diventarlo. E, siccome il rischio è elevato, occorre intervenire il più precocemente possibile, prima di tutto con un trattamento farmacologico, che è la cosa più semplice da fare, quella più studiata purtroppo (perché dovrebbe essere altrettanto studiato il trattamento psicologico). Si sa che l intervento farmacologico dà, molto spesso, risultati positivi e diminuisce il rischio della cronicità della malattia e ricadute, quindi il primo trattamento da effettuare, soprattutto nell adulto e anziano, è il trattamento farmacologico, diversamente nel bambino. Occorre poi valutare attentamente le indicazioni ad un trattamento psicologico, e qui quelli più studiati sono i trattamenti cognitivo-comportamentali. I più effettuati in Italia, anche se i meno studiati, sono i trattamenti psicoanalitici. Il fatto che siano poco studiati non significa che siano poco efficaci. Giuseppe SCALISE (Presidente Centro Polifunzionale Regionale) Le faccio anche io una domanda. Ultimamente affronto casi in cui la cecità arriva all improvviso, o per trauma cranico, o per perdita della vista a causa di retinite, e ultimamente ho affrontato 4-5 casi di persone 40enni ben collocate nel mondo del lavoro (un capo contabile, un macellaio, un autista) che hanno perso completamente la vista. La mia domanda ha due aspetti: uno di prevenzione, ossia queste persone danno segnali di difficoltà di adattamento per la perdita del lavoro, pur avendo un supporto dalla famiglia, ma come arrivare a prevenire uno stato più grave, come indirizzarli, chi ha il dovere di dire a queste persone che questo disagio leggero può trasformarsi in qualcosa di più serio? Il malessere di queste persone che devono o cambiare o perdere il lavoro è sempre delicato da affrontare. Paolo SANTONASTASO (Direttore dell Unità Operativa Complessa di Clinica Psichiatrica Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova) Lei mi sta chiedendo concretamente dove e a chi rivolgersi; questi sono due aspetti diversi del problema. Secondo me dobbiamo imparare a considerare la depressione una malattia come le altre di cui non ci si deve vergognare. La depressione dovrebbe essere vissuta come è vissuto il diabete, una cosa seria con cui bisogna confrontarsi e che si può sconfiggere o comunque limitare. Da un certo punto di vista una persona, nelle condizioni che lei ha descritto, entra normalmente in depressione e questo bisogna dirgli: è normale che tu sia depresso, ma nonostante sia normale, se non interveniamo per limitare le conseguenze diventa anormale e non se ne esce più. Il suggerimento è di farsi aiutare nell ambito sia della riabilitazione ma anche dell affettività, delle emozioni, dell ambito psicologico. Uno dei suggerimenti è quello di consigliare a queste persone di chiedere una visita specialistica per un problema depressivo, che è un problema comunque enorme nella popolazione, quindi non c è da vergognarsi. 10

11 Salvatore SORESI (Professore Ordinario presso la Facoltà di Psicologia, docente di Psicologia della Disabilità, Direttore del Centro di Ateneo di Ricerca e Servizi in materia di Handicap, Disabilità e Riabilitazione Facoltà di Psicologia dell Università degli Studi di Padova) Disabilità visiva, autodeterminazione e qualità della vita La riflessione che vorremmo proporre potrebbe essere letta in termini di prevenzione di disagi di tipo psicologico che potrebbero sfociare in situazioni preoccupanti. Nel preparare l intervento di oggi abbiamo pensato di suddividerci i compiti secondo questa scaletta: una breve introduzione teorica di questi costrutti, una presentazione dei dati che stiamo raccogliendo all interno del Centro di Ateneo di Disabilità Trattamento e Integrazione di questa Università, che riguarda l analisi delle caratteristiche associabili all autodeterminazione e qualità della vista, confrontando un piccolo gruppo di persone con disabilità visive con diverse caratteristiche. Questo studio ci fa capire se è importante occuparci di queste cose considerando i problemi che le persone con disabilità visiva possono incontrare. I risultati ci dicono che è possibile implementare un lavoro di ricerca più consistente. Poi alcune considerazioni conclusive. L autodeterminazione è un costrutto che solo recentemente viene usato nell ambito della disabilità ed è uno dei costrutti, assieme alla qualità della vita, più interessanti che la letteratura ultimamente ha offerto in tema di disabilità. Si tratta dell azione dell individuo in quanto agente causale nella propria vita e nelle possibilità di prendere decisioni riguardanti la qualità della propria esistenza, libere da interferenze ed influenze esterne. Le componenti dell autodeterminazione sono: abilità di compiere scelte anticipando le conseguenze delle azioni e rappresentazione del futuro, capacità di porre in essere le decisioni ritenute vantaggiose per l individuo stesso (non essendo dipendente dal giudizio altrui), abilità di problem solving, capacità di individuare e perseguire obiettivi personali (che cosa ti stai proponendo di raggiungere? Una persona senza obiettivi non ha possibilità di mettere alla prova la capacità di autodeterminazione), capacità di gestire in modo autonomo le proprie necessità, capacità di interpretare gli eventi ricorrendo a un locus of control interno piuttosto che a cause esterne, livelli sufficientemente elevati di autoefficacia, capacità di auto valutare la propria situazione, ossia consapevolezza di limiti e risorse. L altro costrutto fondamentale è quello della qualità della vita, un costrutto complesso che incorpora la salute fisica, le credenze personali, le relazioni con le figure salienti dell ambiente, valutazioni oggettive e soggettive. La qualità della vita come indicatore dell efficacia dei trattamenti di qualsiasi genere; non è sufficiente un decremento della disabilità, ma occorre arrivare a livelli di soddisfazione di vita più alti rispetto a prima. La qualità della vita incorpora il concetto di soddisfazione personale e benessere psicologico, soddisfazione nelle relazioni sociali, avere un occupazione soddisfacente, benessere fisico e materiale (vivere in modo indipendente), l integrazione comunitaria, l accettazione sociale e lo status sociale, la qualità dell ambiente di vita e dei supporti, il tempo libero vissuto in maniera soddisfacente, la normalizzazione. È importante invitare le persone a sperimentarsi in contesti eterogenei, evitando l esclusione e l isolamento. La qualità della vita e l autodeterminazione richiede diverse procedure di valutazione di stima, perché sono costrutti utilizzati per valutare gli impatti dei trattamenti e la loro efficacia. Confrontare rilevazioni precedenti e successive al trattamento indica l efficacia: abbiamo bisogno di strumenti specifici quindi. Sono procedure di tipo oggettivo e soggettivo; c è una relazione tra caratteristiche della persona e ambienti che questa persona frequenta. Le persone tendono ad autovalutarsi in modo 11

12 diverso sulla base delle caratteristiche che hanno. Il grafico evidenzia come ci sia una relazione tra caratteristiche della persona e ambienti che frequenta. Le persone bianche tendono a valutarsi meglio delle persone di colore, quelle con alto reddito meglio di quelle con basso reddito, quelle con disabilità fisiche forniscono valutazioni basse della propria esistenza. Paradossalmente le persone con disabilità intellettiva tendono a valutarsi in modo più consistente. Per quanto riguarda la relazione tra qualità della vita e alcuni costrutti ad essa associati, alcuni dati vi saranno riassunti dalla Prof.ssa Nota per introdurre il nostro lavoro di ricerca. Laura NOTA (Professore Associato presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Facoltà di Psicologia dell Università degli Studi di Padova) Disabilità visiva, autodeterminazione e qualità della vita Alcuni dati presenti in letteratura sono qui riassunti; i bambini ed adolescenti con problemi visivi lamentano una qualità della vita minore, quindi ricalcano quanto detto finora. Mentre in un soggetto adolescente o adulto la qualità della vita è in relazione alla capacità di formulare progetti di vita o obiettivi da raggiungere. Alcuni pregiudizi compromettono l autodeterminazione, ad esempio la convinzione che queste persone debbano essere curate. È stato evidenziato come adolescenti con problemi visivi prendano parte a certa attività, ma siano gli altri che decidano il da farsi, con una conseguente riduzione della partecipazione. Queste riflessioni hanno portato ad attività di ricerca, la prima relativamente alle opinioni che hanno gli altri su di noi, ad esempio alla richiesta nei confronti di alcuni insegnanti che cosa possono fare le persone quando raggiungono l età adulta, che obiettivi avranno, ecc. Questi insegnanti tendenzialmente affermano che il futuro non sarà roseo, potrebbero avere difficoltà di inserimento e in certi tipi di menomazione c è il ritornello che non possono lavorare, oppure possono fare lavori semplici manuali e ripetitivi (es. le persone con sindrome di Down) oppure possono fare i centralinisti o i fisioterapisti (le persone disabili della vista). Queste idee riducono la gamma dell esposizione ad esperienze diverse da parte di questi soggetti. Nell analisi dell autodeterminazione e qualità della vita abbiamo confrontato 15 persone con disabilità visiva e 15 persone con disabilità visiva e lieve ritardo mentale, di età media pari a 25 anni, con l ipotesi che le persone che presentavano disabilità anche a livello intellettivo presentassero maggiori difficoltà. Per far ciò abbiamo usato la scala di valutazione dell autodeterminazione che raccoglie informazioni sull autodeterminazione nei confronti delle attività della vita, ad esempio il suo rapporto col denaro (sono io a decidere come spendere il mio denaro o sono gli altri), nei confronti dell espressione delle proprie emozioni (una persona è in grado o meno di esprimerle), nei confronti delle attività da svolgere (sono io o sono gli altri a decidere cosa devo fare?), nei confronti delle proprie scelte (riesco a farle rispettare o no?). Quello relativo alla qualità della vita, invece, prende in considerazione gli aspetti soggettivi della qualità della vita, ad esempio la soddisfazione nel rapporto con i familiari, la presenza di supporti, la soddisfazione per l attività di studio o professionale, la soddisfazione economica, ecc. Abbiamo, quindi, fatto un intervista volta a indagare in merito alla progettazione che queste persone fanno della propria vita (fra cinque anni mi piacerebbe fare?, fra dieci anni molto probabilmente sarò e farò?, qual è la sua definizione di lavoro?, e di studio?, e di tempo libero?, cos hai imparato dalla tua famiglia in materia di lavoro, studio o tempo libero?). I dati raccolti sulla qualità della vita e soddisfazione, in persone con disabilità visiva e persone con disabilità visiva unita a disabilità intellettiva, evidenziano come l unico punto che trova maggior differenza tra i due gruppi è proprio quello riguardante l autodeterminazione. Le persone con unicamente il problema visivo 12

13 hanno maggiore soddisfazione in questo; negli altri ambiti non emergono grandi differenze. Soprattutto nei riguardi dell autodeterminazione nelle attività quotidiane, le persone con solo disabilità visiva hanno maggiore soddisfazione. Per quanto riguarda il futuro, i risultati delle interviste evidenziano questo: tra 5 anni 7 persone affermano che lavoreranno, pur non sapendo di preciso in che modo, 5 persone svolgeranno un lavoro che richiede preparazione universitaria, 3 non danno risposte in merito ad attività professionale. Fra 10 anni 2 persone affermano che staranno svolgendo una professione (senza specificare), 6 che staranno svolgendo una professione che richiede preparazione universitaria, 2 si sarà formato una famiglia e 5 non lo sanno. Queste previsioni accadranno grazie all impegno personale e allo sviluppo di abilità per 2 di queste persone, per altre 3 grazie ad aiuti e sostegni da parte di altri, per 4 grazie alla fortuna, 3 non rispondono e 3 non lo sanno. Quindi la progettualità non poggia su strategie ben precise, ma la maggioranza si affida all aiuto di altri. Questo studio, che è preliminare, ci spinge ad approfondire queste tematiche e nel frattempo affermare che è importante lavorare sull autodeterminazione per favorirne l incremento tramite specifici programmi e specifiche motivazioni contestuali. Per quanto riguarda le modifiche contestuali, significa che devo coinvolgere anche le persone che sono importanti per la vita degli individui in questione, in primis i genitori, ma anche gli insegnanti e gli operatori, affinché vengano stimolate le scelte e il successo, vengano fatte percepire elevate aspettative (puntare alto) e previsioni di successo, venga rinforzato l impegno e venga ridotta l iperprotezione e gli interventi assistenziali non necessari, seppur con fatica. Gli ambienti che favoriscono l autodeterminazione non hanno barriere e sono facilmente accessibili, consentono movimenti ed esplorazioni, si caratterizzano in termini protesici, prevedono aiuti e supporti di natura tecnologicamente avanzata che facilitano l espressione delle preferenze personali, consentono frequenti interazioni tra persone disabili e non, enfatizzano lo sviluppo delle competenze sociali e professionali. Salvatore SORESI (Professore Ordinario presso la Facoltà di Psicologia, docente di Psicologia della Disabilità, Direttore del Centro di Ateneo di Ricerca e Servizi in materia di Handicap, Disabilità e Riabilitazione Facoltà di Psicologia dell Università degli Studi di Padova) Solo due parole in conclusione. La letteratura indica che si può puntare, all interno dei nostri servizi abilitativi e riabilitativi, all incremento delle capacità di autodeterminazione e qualità della vita per le persone con disabilità visiva. Ciò è possibile se questi programmi sono proposti precocemente: insegnare alle persone a scegliere richiede tempo e che la persona sia messa nelle condizioni di esprimere i proprio pareri, e l apprendimento richiede tempi lunghi e professionalità specifici. Secondo elemento importante è che questi programmi siano efficaci se vengono insegnati in contesti integrati. Non si può insegnare a scegliere suggerendo le opzioni, non si insegna a interagire se si fa vivere isolate queste persone; quindi efficacia dei trattamenti, qualità della vita, autodeterminazione, inclusione e partecipazione alla vita sociale sono variabili codeterminanti all efficacia dei nostri trattamenti. (Intervento dal pubblico) Buongiorno, Vettor da Treviso. Fermo restando che la capacità di autodeterminarsi è fondamentale, mi chiedevo se in questo lavoro abbia tenuto conto di due fattori, il primo che il contesto in cui una persona vive può fungere da facilitatore o da barriera quindi non c è in gioco solo la capacità o 13

14 volontà di autodeterminarsi. Un altra cosa è questa: ci sono molti casi di pluriminorazioni, avete tenuto conto del fatto che molte persone presentano questi casi? Salvatore SORESI (Professore Ordinario presso la Facoltà di Psicologia, docente di Psicologia della Disabilità, Direttore del Centro di Ateneo di Ricerca e Servizi in materia di Handicap, Disabilità e Riabilitazione Facoltà di Psicologia dell Università degli Studi di Padova) L autodeterminazione è il risultato dell interazione delle caratteristiche delle persone all interno del suo contesto di vita, quindi sicuramente, nell incrementare la stessa, le determinanti di tipo ambientale sono ineliminabili e vanno considerate perché l innalzamento dei livelli di autonomia delle persone non può che passare attraverso modifiche che altri devono riuscire ad apportare. Coffee break *** Pier Antonio BATTISTELLA (Neuropsichiatra Infantile, Direttore della Struttura Complessa di Neuropsichiatria dell Infanzia e dell Adolescenza ULSS 16 di Padova) Il ruolo del neuropsichiatra infantile La parte del neuropsichiatra infantile viene suddivisa in tre interventi: il mio che parlerà dello sviluppo del sistema visivo dal punto di vista eziologico, seguirà il Dott. Bianchin che vi parlerà dell aspetto psicopatologico dell ipovisione in età evolutiva e un caso clinico della Dott.ssa Ramaglioni. Innanzitutto due note sullo sviluppo del sistema visivo: il sistema visivo si sviluppa per l interazione di fattori genetici e maturativo-ambientali, e un normale sviluppo neurosensoriale e oculo-motorio necessita di stimoli adeguati. Già in periodo prenatale i movimenti oculari si manifestano già dal 4 mese di vita; alla nascita poi il bambino ammicca alla luce intensa con la chiusura palpebrale e ha già un nistagmo optocinetico (legato al fatto che lo stimolo continua a muoversi). Al primo mese si ha l ammiccamento alla minaccia cioè all avvicinamento improvviso delle mani. Nel primo trimestre le funzioni diventano più elaborate: si hanno i movimenti di inseguimento orizzontale, la convergenza e l accomodazione. Nel secondo trimestre abbiamo anche la coniugazione dei movimenti oculari, la stabilizzazione delle immagini sulla fovea, una fusione delle immagini e l inizio di una visione binoculare. Nel primo semestre di vita il sistema visivo ha già tutte queste caratteristiche, tanto che l acuità visiva, cioè la capacità di discriminare, la possiamo vedere attraverso le risposte riflesse, ad esempio il nistagmo optocinetico, i test elettrofisiologici tra cui l elettroretinogramma e i potenziali evocati visivi, e soprattutto le prove comportamentali come lo sguardo preferenziale (preferencial looking). L acuità visiva non è uguale nel corso della vita, ma ben presto arriva a quella dell adulto; se nel neonato è di 1/40, già nel 3 mese raggiunge 1/10, fino ad arrivare ai 10/10 al terzo anno di età pari all acuità visiva in età adulta. Le risposte dei potenziali evocati visivi (PEV) sono simili a quelle dell adulto già a partire dal 6 mese. 14

15 La percezione visiva risulta da due livelli funzionali: uno che potremmo definire primario, cioè l analisi delle caratteristiche connesse all organo di senso che riceve ed elabora le componenti fisiche dello stimolo sensoriale, e un livello secondario che integra funzionalmente le numerose attività nervose superiori. Infatti un difetto visivo congenito o precoce non è settoriale perché interferisce con l evoluzione di altri settori, inoltre determina uno squilibrio tra i processi di maturazione biologica e di apprendimento; infatti nelle minorazioni visive congenite o ad insorgenza precoce il mancato sviluppo del livello primario altera l organizzazione del livello secondario. Se noi vediamo, quindi, la maturazione come un fenomeno biologico che riguarda le strutture sensoriali e neurologiche delle quali l individuo è dotato fin dalla nascita, l apprendimento invece è qualcosa che l individuo ricava dal funzionamento delle proprie strutture biologiche; entrambi questi aspetti sono strettamente correlati e complementari e interdipendenti, con una costante integrazione dinamica nel corso dei processi evolutivi. Una cosa curiosa è che delle nostre afferenze sensoriali la vista ricopre l 83%, quindi è l afferenza più importante, udito 11%, udito, tatto e gusto sono sotto il 3%. Nell ipovisione precoce sappiamo come lo sviluppo psicomotorio possa avere dei ritardi, dei quali alcuni non sono completamente compensabili come la coordinazione visuo-motoria, mentre altri sono compensabili come le abilità locomotorie e di motricità fine (vediamo questi bambini che passano dall essere passivi a sviluppare una migliore motricità degli arti inferiori), le abilità psicomotorie (il comportamento esplorativo insicuro, il ritardo nella costruzione del reale). Qualche parola sull eziologia del deficit visivo; già il Dott. Sato, stamattina, ha fatto un ampia rassegna per cui mi limiterò col dire che la tabella dell O.M.S. è ben conosciuta da tutti; noi vedremo l eziologia che riguarda fattori prenatali come l encefalopatia. Vedete come la cataratta, le distrofie retiniche, l albinismo, le infezioni, le malformazioni congenite, sono fattori prenatali che compromettono la capacità visiva, mentre ci sono anche fattori perinatali, come l atrofia ottica, la ROP, CVI, fattori postnatali (morbillo, traumi, infezioni oculari esterne ) e i fattori non classificabili; esistono anche delle cause non organiche, tra cui l ambliopia e il disturbo di conversione. Per quanto riguarda lo status socio economico, man mano che si va in paesi a basso tenore di vita troviamo più difetti a livello di cornea, cataratta e glaucoma, mentre nei paesi a più elevato sviluppo prevale la retinopatia, tanto che nei paesi con facile accesso ai servizi sanitari la prevalenza della cecità da cause congenite o acquisite è in diminuzione. Vorrei spendere una parola in merito al deficit visivo centrale (CVI). Caratteristiche cliniche: una presenza di un residuo visivo, prestazioni visive fluttuanti ( disattenzione visiva ), incostante riconoscimento di oggetti, difficoltà di riconoscimento dei volti, riconoscimento dei colori più facile del riconoscimento della forma, alcuni atteggiamenti di compenso come la chiusura degli occhi durante l ascolto e l evitamento del contatto oculare durante l afferramento, la tendenza ad utilizzare il tatto nel riconoscimento degli oggetti, difficoltà nella percezione di profondità e movimento. Altra caratteristica del CVI è l associazione con altri disturbi di tipo neurologico, come le paralisi cerebrali, l ipoacusia, l epilessia e l idrocefalo. Ha, inoltre, la tendenza a migliorare nel 50% dei casi nel corso dell evoluzione, e la prognosi è peggiore se correlato a lesioni massicce del sistema nervoso centrale. 15

16 Sul piano epidemiologico vediamo come, in età pediatrica, ci sono circa casi nuovi all anno e almeno il 50% di questi casi sono prevenibili. La prevalenza, in età pediatrica, è circa 0,1-0,4 per mille bambini, mentre l ipovisione grave diventa quattro volte maggiore fino allo 0,8 per mille bambini, con valori che nei paesi in via di sviluppo sono naturalmente molto peggiori. Ricordiamo come oltre il 50% dei bambini con disturbi visivi presenta altre disabilità associate e ciò rende più complessa la parte riabilitativa. Quindi purtroppo una parte rilevante di bambini con ipovisione è associata a malattie neurologiche, a causa della maggiore sopravvivenza dei prematuri, e ciò causa deficit visivo centrale in questi soggetti. Vediamo, infine, che le eziologie perinatali e postnatali sono più frequentemente associate con ritardo mentale e deficit motori. Concludo dicendo che le aree dei protocolli valutativi non devono riguardare solo la funzionalità visiva ma anche il sistema sensoriale globale, il livello cognitivo, le competenze psicomotorie, la capacità manipolativa e tattile e le abilità emotive e relazionali, fino ad arrivare a un protocollo diagnostico che potrebbe essere quello di osservare il comportamento spontaneo del bambino dal punto di vista visivo, una valutazione attenta visiva di tipo funzionale, la valutazione delle abilità visuo percettive, e naturalmente poi gli atti medici con l esame oftalmologico e quelli elettrofisiologici. In quest ultimo problema, nei bambini non collaboranti o nei soggetti con altre disabilità dobbiamo basarci su queste risposte comportamentali e sull elettrofisiologia sulla quale non mi soffermo, perché è molto complessa, ma oggi ha determinato un avanzamento enorme delle conoscenze e la diagnosi precoce. Luigi BIANCHIN (Neuropsichiatra infantile c/o U.O.C. di Neuropsichiatria dell Infanzia e dell Adolescenza ULSS 16 di Padova) Il ruolo del neuropsichiatra infantile Alcuni anni fa l O.M.S. ha lanciato un programma chiamato Visione 2020: il diritto alla vista ; questo per dire che la cecità e l ipovisione in età evolutiva, pur essendo considerata una disabilità a bassa incidenza, si associa a una serie di alterazioni non solo a livello oftalmologico e neurologico, ma anche con ricadute a livello di sviluppo, della mobilità, dell educazione e delle opportunità di lavoro, e vi sono spesso queste ricadute che raggiungono implicazioni importanti sulla qualità della vita del bambino e dei familiari. In generale si ritiene che bambini con minorazione sensoriale presentino dei tassi più elevati di difficoltà di adattamento psicosociale e di disturbi psichiatrici. Uno dei problemi importanti è il non riuscire a definire quali sono i collegamenti che mettono in relazione la menomazione e le problematiche psichiatriche e/o le difficoltà psicosociali. In quest ottica alcuni ricercatori si sono posti il problema se, visti i miglioramenti negli ultimi anni, non sia spesso il timing diagnostico (cioè l epoca) e il tempo necessario per arrivare alla diagnosi, il lavoro precoce coi genitori e una mancanza o parziale sviluppo delle attività di intervento educativo ad essere coinvolti nel determinare le ricadute a livello di adattamento psicosociale e di disturbo psicopatologico. Vediamo alcuni mediatori che possono intervenire in questi processi. L esperienza centrale connessa alla cecità può essere riassunta in questo modo: la costruzione del mondo non avviene secondo la gestalt (quindi con l uso nettamente prevalente della vista), ma secondo modalità narrativa. La reazione dei genitori alla diagnosi di ipovisione o cecità è, nel 30% dei casi, di shock e di incredulità, paura, e il 50% dei genitori dichiara di non volere più altri bambini; hanno reazioni molto intense e oscillanti tra abbandono affettivo e marcata iperprotezione. Nei genitori i livelli di 16

17 stress sono piuttosto elevati, sono chiamati a modulare le loro capacità comunicative regolando le descrizioni verbali ma anche con contenuti emozionali, sono chiamati a costruire risposte precoci e adeguare le modalità con cui curano e interagiscono con i figli. Spesso i genitori utilizzano uno stile piuttosto direttivo e richiestivo, schematico, piuttosto che uno stile che cerchi la collaborazione e promuova l iniziativa dei ragazzi, i programmi precoci di supporto alla genitorialità svolgono un ruolo estremamente importante. Un altro mediatore è rappresentato dall esperienza scolastica che si connota per notevoli difficoltà di inserimento sociale; in quest ambito è bene utilizzare degli approcci di tipo cooperative learning, cioè con un coinvolgimento attivo anche degli insegnanti creando, così, un ambiente idoneo e di inclusione. Sebbene sempre agli inizi, programmi volti a migliorare le capacità di costruire delle comunicazioni sociali efficaci portano non sempre ad idonea applicazione. In letteratura si trova uno spartiacque tra gli studi della fine degli anni 90 e della fine dell epoca successiva, quindi fino ai giorni nostri. Fino agli anni 90 si pensava che i soggetti con ipovisione presentassero un aumento della vulnerabilità e difficoltà nel corso della crescita, sentimenti di solitudine e isolamento (pochi amici e difficoltà a trovare lavoro). Studi più recenti non hanno invece riscontrato differenze a livello di autostima, felicità, sintomi fisici e psicologici, le relazioni con genitori e fratelli/sorelle e l empatia per gli altri. Sembra confermarsi tuttavia la tendenza a descriversi soggetti con pochi amici, anche se reti sociali tra adolescenti con deficit visivo sembrano fornire supporto sufficientemente adeguato per limitare vissuti di esclusione. Paradossalmente le capacità di adattamento sembrano essere più compromesse nei soggetti con ipovisione piuttosto che in quelli con cecità, perché nei soggetti con ipovisione, quando si presenta un residuo visivo, da un lato è difficile tarare le richieste fatte ai ragazzi e dall altro questi ragazzi possono non avere i requisiti per giungere ad utilizzare il residuo visivo o il Braille. Spesso per sfuggire all esclusione i ragazzi si comportano come se non avessero alcun tipo di difficoltà. Per quanto riguarda alcuni aspetti psicopatologici non sono disponibili studi di popolazione recenti in merito alla presenza di psicopatologia in soggetti con ipovisione; il 57% degli esaminati (da 0 a 20 anni) comunque riportava un disturbo psichiatrico e/o cognitivo di adattamento, personalità, comportamento. Altri riportano problemi legati a difficoltà alimentari e a stringere amicizie, con conseguente livello di psicopatologie, più elevato soprattutto in pazienti di sesso maschile. L unico studio attualmente disponibile in letteratura riguarda 74 bambini di età tra i 6 mesi e 5 anni con ipovisione grave isolata, ed è l unico studio che ha cercato di raccogliere la presenza di qualunque tipo di disturbo a livello emozionale. Da questo studio emerge come di questi 74 bambini, 16 quindi il 20% presentassero un disturbo a livello emozionale e comportamentale. Questa percentuale è da considerarsi tuttavia contenuta (studi precedenti avevano riscontrato la presenza di disturbi nel 40%). Uno dei problemi è che sussistono dei dubbi sulla possibilità di generalizzare il risultato dal momento che insicurezza, ritiro, disattenzione, impulsività, oppositività, disturbi dell attaccamento non potevano facilmente essere fatti rientrare nelle categorie diagnostiche del DSM-IV. In presenza di comorbilità (pluridisabilità), soprattutto di tipo neurologico ma non solo, i disturbi psichiatrici e le difficoltà psicopatologiche risultano più frequenti. Le difficoltà incontrate nei bambini con cecità o ipovisione isolata potrebbero non necessariamente evolvere verso forme più strutturate di psicopatologia in età scolare. 17

18 Per quanto riguarda la depressione, negli adulti senza disabilità visiva la percentuale è del 20%, mentre negli adulti con disabilità visiva va dal 20 al 45%. Per quanto riguarda l età evolutiva, la percentuale di depressione è del 3-8% negli adolescenti senza visual impairment, mentre negli adolescenti con visual impairment c è un grosso punto di domanda, cioè attualmente non è un dato conosciuto perché non ci sono studi in merito. In letteratura sono disponibili due studi in cui sono stati confrontati in uno 29 soggetti senza compromissione visiva (13 maschi, 16 femmine, tra i 14 e 18 anni) con 22 soggetti con compromissione visiva (12 maschi, 10 femmine, tra i 12 e 18 anni) utilizzando un questionario. I punteggi medi sono del 7,10 nei soggetti senza disabilità visiva e 13,65 in quelli con disabilità visiva. L indicatore della presenza di depressione era il valore 10. L altro studio, più corposo, ha messo a confronto 385 soggetti senza visual impairment con 54 soggetti con visual impairment, di circa 14 anni, utilizzando una versione modificata dello stesso questionario dello studio precedentemente illustrato, ridotto e con un valore soglia di 5. I punteggi medi sono circa 2 nei maschi senza VI (visual impairment) e di circa 2 nei maschi con VI; di circa 3 nelle femmine senza VI e di circa 3 nelle femmine con VI. Un altro costrutto molto importante è quello del concetto di sé, che si propone di descrivere la percezione che le persone hanno di se stesse in base alle proprie caratteristiche fisiche e psichiche. Vi sono risultati discordanti nei soggetti adolescenti con VI: secondo alcuni studi pare che vi sia una ridotta accettazione a livello sociale, scarso rendimento scolastico e senso di inadeguatezza e inferiorità, mentre in altri studi lo sviluppo psicologico sarebbe pari a quello degli adolescenti senza VI. Dal punto di vista della valutazione clinica il neuropsichiatra infantile deve cercare di adeguare il percorso valutativo (informazioni, descrizioni, tempi ecc), non ci sono strumenti diagnostici specifici ma possono esser utilizzati gli strumenti utilizzati da genitori e insegnanti, le scale di valutazione adattive e appositi questionari in caso di disabilità a livello cognitivo. Pochissimi sono gli strumenti utilizzabili dal punto di vista neuropsicologico, e vi è un inadeguatezza dei sistemi classificativi attualmente impiegati per descrivere i quadri psicopatologici riscontrabili in soggetti con VI. Per quanto riguarda gli interventi, vi sono pochissimi servizi dedicati e c è quindi un approccio multidisciplinare; possono essere utilizzati l intera gamma di interventi terapeutici con adattamenti a livello di interazione terapeuta-bambino. In conclusione vorrei evidenziare l importanza cruciale del linguaggio nel promuovere tutte le restanti aree dello sviluppo, con particolare riferimento agli aspetti cognitivi e socio-emozionali, e vorrei sottoporre la vostra attenzione sul fatto che la rapida evoluzione delle conoscenze scientifiche, tecniche riabilitative e metodologie di intervento hanno prospettive prognostiche nettamente migliori rispetto a quanto ipotizzabile sulla scorta dei dati ricavati da studi condotti fino a qualche decennio fa. Quale ruolo per il neuropsichiatra infantile? In una prospettiva relazionale in cui i vertici sono rappresentati dal bambino, dalla famiglia e dall équipe medico-riabilitativa e che vede coinvolti la scuola e i servizi, il NPI si trova ad essere al crocevia perché, mettendosi in un ottica di rete, potrebbe essere un facilitatore che media i contatti tra bambino e famiglia ed équipe riabilitativa. 18

19 Elisabetta RAMAGLIONI (Neuropsichiatra infantile c/o U.O.C. di Neuropsichiatria dell Infanzia e dell Adolescenza ULSS 16 di Padova) Il ruolo del neuropsichiatra infantile Presenterò un caso clinico, mettendo a fuoco il ruolo del NPI. Il caso riguarda Francesca, una ragazza di 16 anni, che ho conosciuto nel suo distretto di appartenenza per il rinnovo della certificazione scolastica. La stesura della certificazione scolastica rappresenta spesso, per i bambini con disabilità visiva, l unica modalità di accesso ai servizi di neuropsichiatria. La conoscenza del ragazzo quindi ci permette di valutare lo stato di benessere generale, evidenziare risorse o difficoltà affettivorelazionali, cogliere capacità o criticità scolastiche o sociali. Gli incontri con la scuola permettono al NPI di rivedere il ragazzo con continuità e valutare eventuali nuove necessità terapeutiche. Il NPI deve tener conto anche di tutti gli altri aspetti di salute. In questo senso si pone come tramite nella multidisciplinarietà dell approccio clinico. Rispetto a F., quando in passato non erano mai state segnalate problematiche, stanno emergendo nuove problematicità. F. ha 16 anni con ipovisione grave bilaterale dovuta a coloboma irideo inferiore e del nervo ottico in occhio sinistro, coloboma centrale del nervo ottico e afachia in occhio destro. Presenta distrofia retinica e nistagmo in tutte le posizioni di sguardo. Il visus in OD è di 1/15, in OS di 1/15, il visus per vicino al quinto carattere. Ho condotto un colloquio clinico anamnestico con la madre, una visita con F. con compilazione di un questionario su mia lettura, un incontro con lettrice e insegnante di sostegno in presenza con la madre. La madre ha 47 anni ed è affetta da macroftalmia con nistagmo congenito bilaterali, il padre ha 48 anni ed è non vedente dall età di 7 anni per distacco di retina bilaterale posteriore post traumatico. Francesca è unicogenita, la gravidanza è decorsa fisiologicamente, è nata a termine con taglio cesareo per mancato impegno e pesava 3,100 kg, è stata allattata artificialmente e chiamata pigra. Nel primo anno di vita risultava una bambina molto buona, tranquilla, con scarso interesse motorio e paura ad esplorare gli oggetti e lo spazio. Presentava movimenti di dondolamento della testa; i primi passi li ha compiuti a 2 anni mentre le prime paroline a un anno ma con lenta progressiva acquisizione. Ha frequentato il nido dai 19 mesi e successivamente la scuola materna con un buon adattamento, paura degli spazi grandi, rumorosi e affollati, e propensione alla socializzazione. Dal punto di vista dei trattamenti ha eseguito fisioterapia domiciliare a frequenza settimanale dai 7 ai 12 mesi, e dai 3 ai 10 anni riabilitazione visiva presso un Centro Specialistico di Padova. Dall inizio della scuola elementare è certificata, ha l insegnante di sostegno e personale assistente a carico della provincia. Alle elementari è stata certificata da un centro specialistico, alle medie e superiori, ha svolto il corso di studi con buon inserimento e buon profitto, è stata promossa con distinto alle medie. Attualmente frequenta la II superiore in un istituto tecnico industriale ad indirizzo informatico. Francesca si è mostrata molto disponibile al colloquio. La scuola è molto impegnativa e F. teme di non riuscire a portare a termine il percorso ed essere bocciata e, quindi, demoralizzarsi. La scuola le ha messo a disposizione un computer da usare in classe ma purtroppo, a causa di alcune problematiche tecniche, è inutilizzabile e F. deve scrivere con la penna procedendo molto lentamente. I compagni sono in maggioranza maschi, lei si tiene a notevole distanza per paura di non piacere e non essere accettata per quello che è. Ha fatto amicizia con due compagne di classe che sono più grandi di lei e, quindi, più mature. A casa studia molto sia con la lettrice ma spesso da sola dopo cena, nel tempo libero sta spesso a computer, comunica con Messenger, Facebook e giochi di ruolo. Riferisce di non avere altri interessi extrascolastici in quanto è troppo occupata dallo studio. I suoi principali desideri sono: arrivare al diploma e lavorare come programmatore di 19

20 software per ipovedenti, mantenere le amicizie che è riuscita a costruire, non avere un futuro triste. Vorrebbe cambiare il suo carattere insicuro e timido e la sua scarsa autostima. Alla compilazione del questionario di Achembach si evidenzia un punteggio clinico nelle attività extrascolastiche (inferiore al 3 percentile), un punteggio clinico nelle competenze totali (inferiore al 2 percentile) e punteggi normali nelle scale sindromiche. Questi dati confermano lo scarso investimento extrascolastico e l assenza di sintomi psicopatologici. Il colloquio con gli insegnanti fa emergere il fatto che F. ha buone capacità cognitive ed è molto motivata nello studio. Ha una forte attitudine espressiva e comunicativa, riporta delle difficoltà nelle materie scientifiche di indirizzo, in alcune materie (disegno tecnico) non svolge programma; le insegnanti sono preoccupate che F. venga bocciata; la ragazza comunque ha buone capacità e sarebbe inopportuno un programma molto facilitato che la porti non al diploma, ma ad un attestato di frequenza. F. è una ragazza intelligente e impegnata in un ambito nel quale ha investito; è in un momento particolare della sua vita, in un contesto scolastico meno protetto rispetto alla scuola media inferiore. Deve affrontare richieste didattiche più impegnative e alcune ai limiti delle sue possibilità. Alcune sue risorse sembrano non essere potenziate, ed emergono insicurezze nella relazione con i coetanei. Il notevole impegno per lo studio non facilita la propensione a socializzare nel tempo libero. Rivedrò F. per riferirle l esito dei colloqui con le insegnanti e stendere così il Piano Educativo Individualizzato. È stato programmato un approfondimento cognitivo per valutare le competenze e le modalità della sua intelligenza. La scuola approfondirà l orientamento scolastico per quanto riguarda le scelte più congeniali per lei e come sostenerla per portare a termine il suo percorso di studi. In conclusione, il ruolo dei servizi di NPI del territorio può essere così sintetizzato: stesura della certificazione e della diagnosi funzionale, stesura del PEI condiviso con la scuola, condivisione degli obiettivi di lavoro con l assistente domiciliare della provincia, monitoraggio clinico del ragazzo nel tempo per cogliere le potenzialità o le eventuali precoci difficoltà nell apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione, integrazione e coordinamento delle varie figure specialistiche a vario titolo implicate. Manuela BACCARIN (Direzione Servizi Sociali Venezia) La minorazione visiva e l inserimento sociale Ringrazio per l invito perché è importante per la Regione Veneto dare un contributo a questi lavori. Ringrazio il Dott. Scalise che ci ha invitato. L assessore Valdegamberi si scusa perché, per impegni pregressi, non è potuto essere presente. Vediamo come la Regione Veneto nell inserimento sociale come si è mossa e come si sta muovendo, quindi le politiche e gli strumenti utilizzati. La Regione ha 21 Aziende Socio Sanitarie, 56 Distretti socio sanitari e ci rapportiamo con 581 comuni; la popolazione residente nel Veneto in totale è pari a , aggiornato al 2008, di cui 8703 sono ciechi assoluti o parziali (3090 maschi, 5613 femmine). L incidenza dei ciechi diventa 1,80 per mille sulla popolazione totale (2,28 per mille per le femmine e 1,30 per mille nei maschi). È un dato importante come percentuale. Il modello Veneto è un modello all avanguardia perché molto spinto di integrazione sociosanitario, l obiettivo del modello integrato è di far colloquiare tutti gli attori preposti per dare una risposta ai bisogni del paziente. Nel Veneto quindi l integrazione sociosanitaria costituisce la peculiarità del modello Veneto dell organizzazione dei servizi sociali e sociosanitari, e la persona è posta al centro del sistema. Quindi la presa in carico è la metodologia di intervento degli operatori sociali e socio 20

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