In origine il bisogno di cibo

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1 In origine il bisogno di cibo Il Divulgatore n 7-8/2012 ORTI URBANI Presenti un po in tutto il mondo, gli orti urbani erano inizialmente orti per i poveri, giunti in città come operai durante l industrializzazione, poi orti di guerra nel corso dei conflitti mondiali per sopperire alla carenza alimentare. Questa comune origine ha riguardato anche l Italia così come la successiva evoluzione verso forme sempre più organizzate e con nuove finalità sociali. Ancescao, presente in diciannove regioni italiane, è l associazione più importante nella gestione degli orti comunali. Giorgio Gianquinto, Francesco Orsini Università di Bologna, Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroambientali At the beginning necessity of food Widely spread all over the world, urban gardens were initially for poor moving to town as workers during the industrialization period, then war gardens during the word conflicts to compensate for the lack of food. this common origin has involved also italy as well as the further evolution towards more and more organized forms with new social aims. in fact, nowadays urban gardens fully express the modernity and the need of new life styles: the necessity of being in close contact with nature with the opportunity of more human relations, food as fair and local product. Moreover, garden therapy, born in 17th century, is still used in anxiety and stress treatments as well as in physical and psychological disabilities. the national social centres, elderly and gardens committees (Ancescau), spread in nineteen italian Regions, is the most important Association for the Municipality gardens management. I piccoli appezzamenti di terreno in ambito urbano adibiti ad orti amatoriali sono una realtà diffusa in tutto il mondo come testimoniano i kleingärten in Austria, Svizzera e Germania, gli ogròdek dzialkòwy in Polonia, i rodinnà zahradka nella Repubblica Ceca, i kiskertek in Ungheria, i volkstuin in Olanda e Belgio, i jardins ouvriers o jardins familiaux in Francia e Belgio, i kolonihave in Danimarca, i kolonihage in Norvegia, i kolonitraetgard in Svezia, i siirtolapuutarhat in Finlandia, gli shimin-noen in Giappone, i community gardens e gli allotment gardens nei paesi anglosassoni, gli orti urbani o gli orti sociali nel nostro paese. Una comune origine, l emigrazione in città L origine degli orti urbani è, comunque, molto simile nelle diverse parti del mondo: durante il periodo di industrializzazione un elevato numero di lavoratori e le loro famiglie sono emigrati dalle zone rurali verso le città in cerca di lavoro nelle fabbriche. Molto spesso queste famiglie vivevano in condizioni economiche precarie, di emarginazione sociale e di malnutrizione per cui gli orti dei poveri (i migrant gardens anglosassoni, i jardins ouvriers francesi), allestiti in appezzamenti di proprietà delle amministrazioni locali, delle fabbriche o di comunità religiose, ebbero il compito di alleviare questa situazione permettendo la coltivazione di ortaggi e l allevamento di piccoli animali. La loro utilità e diffusione divenne ancora più importante nella prima metà del XX secolo, durante le due guerre Mondiali, quando la situazione socio-economica era sconvolgente soprattutto dal punto di vista alimentare. Molte città infatti erano isolate dalle zone rurali periferiche cosicché i prodotti agricoli non riuscivano più a raggiungere i mercati cittadini ed erano venduti a prezzi molto alti o al mercato nero. Conseguentemente la produzione di derrate alimentari, soprattutto frutta e ortaggi, negli orti familiari e negli orti urbani (divenuti orti di guerra) divenne essenziale per la sopravvivenza. Tutte queste forme di orticoltura urbana dalla finalità originaria di assicurare l approvvigionamento di derrate alimentari si sono poi evolute svolgendo funzioni estetico-ricreative, educative, sociali o terapeutiche in relazione alle mutate condizioni economiche e socio-culturali. I community gardens e gli allotment gardens dei paesi anglosassoni sono paradigmatici di questa evoluzione.

2 I community gardens sono appezzamenti di terreno che sono curati collettivamente da un gruppo di persone. la maggior parte dei community gardens sono aperti al pubblico per la fruizione di spazi verdi in aree urbane con diverse opportunità di relazioni sociali, ricreazione, formazione, semplice relax e, ovviamente, produzione di ortaggi e altre colture a cura diretta degli associati. i community gardens sono diffusi in tutto il mondo ma particolarmente negli USA, in Canada, Australia e Nuova Zelanda anche se i loro scopi, struttura e organizzazione sono piuttosto variabili: in nord America i community gardens spaziano da aree familiari dove si coltivano piccoli appezzamenti di ortaggi (versione contemporanea dei relief gardens e dei victory gardens, orti di guerra), a interventi di rinverdimento di angoli di strada, fino a progetti più ampi di verde urbano allo scopo di preservare o mantenere aree naturali e parchi o recuperare e riqualificare aree urbane dismesse in ambienti urbani degradati dal punto di vista urbanistico e sociale (si veda ad esempio a new york l organizzazione Green Guerrillas, o la Green Thumb, In Gran Bretagna e nel resto dell Europa, invece, gli orti urbani amatoriali hanno assunto prevalentemente il carattere di allotment gardens, cioè di aree suddivise in piccoli appezzamenti assegnati per la coltivazione a un singolo associato a fini produttivi, sociali o educativi. In Germania la prima comunità organizzata La prima associazione di singole persone, famiglie o piccole comunità dedite alla coltivazione di orti urbani fu costituita in Germania nel 1864 in seguito alle iniziative elaborate dal medico Daniel Gottlob Moritz Schreber ( ) a cui nel paese è ancora associata l idea degli orti urbani che prendono perciò anche il nome di Schrebergarten. nel 1921, dopo più di un decennio di discussioni preparatorie, gli orti urbani tedeschi si sono organizzati nella Bundesverband der Gartenfreunde ( che oggi riunisce circa 1,5 milioni di membri in circa (di cui ben 900 con 80 mila orti nella sola Berlino). In Inghilterra i circa orti urbani amatoriali sono organizzati in più società, tra le quali la più importante è la National Society of Allotment and Leisure Gardeners (nsalg) le cui origini risalgono al 1901 ( Negli Stati Uniti gli orticoltori urbani hanno costituito varie associazioni, accorpatesi poi nel 1979 nella American Community Gardening Association ( In Canada c è una diffusione crescente dei community and allotment gardens e di altre forme di orticoltura urbana (rooftop and back-yards gardens, urban farms...) al fine di contribuire alla sicurezza alimentare di alcune fasce sociali di cittadini. Oggi Montreal ha il più grande programma di orticoltura urbana del canada e, su 100 community gardens, 73 sono mantenuti dall amministrazione cittadina che fornisce gli appezzamenti, le attrezzature, l approvvigionamento idrico, la raccolta di residui e provvede anche a forme di assistenza tecnica. L origine degli orti a Montreal risale agli inizi degli anni settanta, quando dei cittadini di origine prevalentemente italiana e portoghese cominciano ad appropriarsi degli incolti ai lati della ferrovia e delle linee idroelettriche. Il primo programma ufficiale e organizzato di orticoltura della comunità nasce nel 1975; in seguito, nel 1979, grazie all attivismo di Pierre Bourque - l allora direttore dell orto botanico, che sarebbe poi diventato sindaco di Montreal - l amministrazione comunale decide di classificare a parco buona parte degli orti urbani per sottrarli alla lottizzazione. grazie a questa iniziativa ben due terzi degli orti urbani di Montreal sono classificati attualmente a parco. In Francia la storia degli orti urbani ha ufficialmente inizio nel 1896, anno in cui l abate Lemire fonda la Ligue du Coin de Terre et du Foyer e crea l Ouvre des Jardins Ouvriers allo scopo di offrire un aiuto alle famiglie in gravi difficoltà economiche. durante l esposizione internazionale di Parigi del 1900, l associazione ha un proprio stand in cui presenta il progetto degli orti urbani e nel 1909 i jardin ouvriers vengono riconosciuti di pubblica utilità. la diffusione degli orti è enorme durante gli anni del primo conflitto mondiale e nel 1926, nel trentennale dell associazione, sotto lo stimolo della lega francese (che nel 1921 aveva mutato il nome in Fédération nationale des Jardins Ouvriers de France) viene istituito l Office International du Coin de Terre et des Jardins Ouvriers ad opera dei delegati degli orti di Francia, Lussemburgo, Austria, Inghilterra, Germania. Nel 1952 si perviene all approvazione di una vera legge organica sugli orti operai, che ha effetti anche sul codice Rurale e sul codice generale e delle imposte.

3 Oggi l Office International du Coin de Terre et des Jardins Ouvriers è il più importante raggruppamento di orti urbani amatoriali d Europa, che raggruppa organizzazioni di 14 nazioni (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Polonia, Slovacchia, Svezia, Svizzera) con più di 3 milioni di associati ( In Giappone l associazione degli orti urbani (Shimin-noen Seibi Sokushin-ho) si è formata negli anni 80 prendendo ad esempio l esperienza tedesca e inglese. L esperienza italiana prima e dopo le due guerre In Italia coltivazioni orticole erano presenti all interno delle aree urbane già dalla prima metà del XIX secolo; tale presenza accompagnò lo sviluppo delle città nei decenni successivi integrandosi alle trasformazioni urbanistiche, in particolare del nord Italia. In questo periodo e nei primi decenni del XX secolo, il carattere autonomo e spontaneo degli orti urbani coesiste con iniziali forme di assegnazione e gestione di aree orticole, messe in atto direttamente da imprenditori industriali attraverso i cosiddetti villaggi operai. In molte città italiane, all inizio degli anni 40 gli orti cambiano nome e diventano orti di guerra. Il numero sale vertiginosamente in quasi tutte le città (a Milano si passa da meno di mille a più di diecimila unità), dove vengono messe a coltivo anche le aree comunali a giardino, i parchi pubblici, le sedi stradali. durante il conflitto anche le aree distrutte dai bombardamenti vengono coltivate. finita la guerra iniziano le attività di ricostruzione: cresce il lavoro, crescono le industrie, la città si ingrandisce, il prezzo dei terreni fabbricabili sale e così il fenomeno degli orti urbani decresce significativamente. Ma gli orti non spariscono del tutto, si spostano dai centri cittadini per ricomparire, spesso abusivamente, nelle periferie. in città come Milano e Torino, i coltivatori sono gli immigrati dalle campagne per i quali è stato traumatico il balzo alla città e alla grande fabbrica. dopo questa fase, databile tra gli anni 50 e 60, il fenomeno degli orti urbani riprende vigore soprattutto nelle città industriali del nord, in particolare nelle aree periurbane, cioè in quelle zone di transizione tra città e campagna destinate storicamente ad accogliere determinate attività (industrie, infrastrutture ferroviarie, depositi, centrali del gas e dell acqua, ecc.) e che in quegli anni vengono inglobate all interno delle città in crescita. sono zone caratterizzate da un diffuso degrado e dall isolamento sociale tipici dei quartieri dell estrema periferia cittadina. È qui che saranno edificati i complessi abitativi destinati alla nuova manodopera industriale proveniente dal meridione d Italia e sono queste le aree in cui il fenomeno degli orti urbani avrà il suo massimo sviluppo. I casi eclatanti di Torino e Milano Il caso di Torino è particolarmente significativo: nella città piemontese, durante gli anni 70, gli orti erano appannaggio degli immigrati meridionali e nel 1980 su una popolazione residente di circa abitanti risultava una superficie ortiva di 146 ha. l ampiezza del fenomeno spinse l Amministrazione comunale, nell ambito di un ampio progetto di riqualificazione di aree marginali della città e di regolamentazione degli spazi ortivi in esse presenti, ad avviare uno studio approfondito sul fenomeno degli orti urbani, da cui emerse che gli artefici del boom orticolo torinese erano proprio gli immigrati meridionali: contadini, braccianti, pastori che, costretti a trasformarsi in operai nelle grandi fabbriche, mantenevano un rapporto con la loro cultura d origine, con le loro radici, attraverso la coltivazione di decine di migliaia di piccoli appezzamenti, ricavati lungo le rive dei fiumi cittadini (Sangone, Stura, Dora, Po), lungo le reti ferroviarie, i tracciati viari e in qualunque altro pezzo di terreno residuale. Nello stesso periodo a Milano viene svolta dall Associazione Italia Nostra una ricerca sulla situazione ortiva dal dopoguerra in poi. dallo studio si rileva una crescita consistente degli orti urbani fra il 1964 ed il 1980: si passa, infatti, da circa 91 ha di aree orticole a 285 ha. i lotti sono coltivati o da anziani (la maggior parte dei quali possedevano l orto già da molto tempo) o da giovani immigrati (ci si riferisce ancora a una immigrazione interna al paese) che integrano tale attività con il lavoro dipendente. A partire da questo studio il comune di Milano, ravvisando l utilità sociale degli orti, incarica gli uffici decentrati di censire le aree potenzialmente adatte alla coltivazione urbana e di fornire una lista di persone interessate al progetto. Attualmente il fenomeno degli orti sociali nell hinterland milanese è ampio e diversificato. Di particolare interesse risultano le esperienze del Parco nord Milano e di Boscoincittà.

4 Per regimare spontaneità e abusivismo Assieme a Torino e Milano, negli stessi anni altri capoluoghi di provincia e molti altri comuni hanno messo a disposizione appezzamenti di terreno e hanno riproposto l esperienza degli orti mutuandola sulla propria tipologia urbana e in risposta alle dinamiche sociali delle loro comunità. Il riconoscimento dell importanza degli orti urbani e l esigenza di contenerne gli aspetti di spontaneità e abusivismo si è tradotta poi nella redazione dei primi regolamenti, contenenti i criteri per l assegnazione di aree orticole ai cittadini interessati da parte delle amministrazioni comunali. Il primo regolamento italiano di orti sociali comunali è stato redatto a Modena nel 1980, in virtù del quale sono stati assegnati, a pensionati di età superiore ai 55 anni, 6 orti su un terreno suburbano non edificabile. da allora molte amministrazioni comunali, soprattutto nell Italia settentrionale, hanno fatto altrettanto, andando incontro a una sempre maggiore richiesta dei residenti di terra da coltivare. Tra le realtà più attive sono da segnalare i comuni dell Emilia-Romagna, dove si sono moltiplicate le esperienze di orti urbani, rivolte soprattutto agli anziani, e dove è sorta l Associazione nazionale centri sociali, comitati Anziani e orti (Ancescao), che ha formulato un primo regolamento di gestione delle aree ortive. ANZIANI IN RETE CON ANCESCAO Ancescao, l Associazione Nazionale Centri Sociali, Comitati Anziani e Orti, nasce nel 1990 a Bologna con finalità di utilità e solidarietà sociale, volte prioritariamente a favorire e consolidare la socializzazione e l emarginazione degli anziani mediante attività culturali, ricreative e artistiche. Il nome orti è stato inserito nella denominazione per dare ai Comitati di gestione delle zone ortive assegnate dagli enti locali agli anziani la possibilità di aderire all associazione, in considerazione dell importanza di queste realtà, come forma di aggregazione e di lotta al decadimento della qualità della vita. La caratteristica principale che distingue l esperienza dell associazione da altre simili è l autogestione e il totale volontariato di chi presta la propria opera per il funzionamento dei centri sociali. I numeri di Ancescao sono decisamente importanti: l associazione è articolata in 19 strutture regionali e 73 provinciali e conta oltre 392 mila iscritti e centri sociali associati in tutto il Paese (dati 2011). In provincia di Bologna i centri associati sono 107 per un totale di circa 50 mila soci e sono presenti in tutte le realtà del territorio, dal centro storico alla periferia cittadina, e nella quasi totalità dei comuni. Le aree ortive associate sono 36 con orti, sul totale provinciale di 57 aree con orti. Le iniziative realizzate all interno dei centri sono molteplici, dalle attività culturali e ricreative, alla ginnastica, dal turismo alle cure termali e in generale tutte le attività che possono favorire e consolidare la socializzazione degli anziani. Gli obiettivi sono evitare l isolamento dell anziano, contribuire a mantenerlo autosufficiente, permettergli un sano impiego del tempo libero, facilitargli occasioni d incontro, di discussione e di vita sociale. Le zone ortive costituiscono un elemento fondamentale dell attività dei centri e il coordinamento provinciale, in collaborazione con l Assessorato alle politiche sociali del Comune, ha elaborato un apposito regolamento che ne prevede le modalità di gestione - con un Assemblea annuale per ciascuna zona ortiva che elegge il Presidente e il Comitato e discute il bilancio - ed entra nel merito anche di aspetti tecnici quali le regole per un opportuno risparmio idrico, le disposizioni per combattere la zanzara tigre, l uso esclusivo di concimi organici.

5 OGGI È UNO STILE DI VITA Un tempo sinonimo di povertà, oggi gli orti urbani esprimono appieno la modernità e la ricerca di nuovi stili di vita: il bisogno di contatto con la natura, il cibo come prodotto locale e solidale, il verde come occasione di relazioni più umane. Senza dimenticare che l ortoterapia, nata nel Seicento, è tuttora una cura utilizzata nei casi di ansia e stress oltre che di disabilità fisiche e psichiche. Silvia Bertini Sociologa specializzata in sociologia sanitaria, collabora con l azienda USl di Bologna per la promozione e comunicazione della salute e marketing sociale Tra le città di cemento, traffico e inquinamento si corre, si viaggia, si ha fretta. il contatto con la natura è, per la maggior parte degli abitanti delle città, un privilegio. eppure in questo stressante via vai, c è qualcuno che immagina balconi fioriti e curati, piccoli pezzi di terra, ignorati dalla frenesia cittadina, e trova il tempo per coltivarli usando metodi antichi dimenticati da un industria agricola che, per esigenze di mercato, si adegua costantemente alla moderna tecnologia - e ha la pazienza di aspettare i suoi frutti! Dedicarsi alla cura di un piccolo orto anche in contesti urbani, è un bisogno emergente e diffuso, genera piacere, permette di fare esercizio e di mangiare meglio. Molte persone, oltre a rose e gerani, dedicano spazio e dedizione a: erbe aromatiche, fragole, pomodori, insalata, zucchine, patate, melanzane, peperoni e frutta. Chi è l ortista del XXI secolo Può apparire fuori dal tempo, fuori da ogni logica di consumo di massa e di vita urbana, eppure il fenomeno degli orti cittadini è oggi estremamente attuale. Si tratta di un comportamento spontaneo, non prodotto dai mass-media, piuttosto diffuso e che si configura come una sorta di cultura autonoma, trasversale a: classi sociali, generi, generazioni, professioni. che cosa alimenta la partecipazione cittadina alla coltivazione personale di orti, balconi e piccoli giardini spesso ricavati in contesti urbani laddove si è persa da anni la ben che minima attitudine a coltivare la terra? le ragioni sono antiche e connaturate alla storia dell uomo. Esse sono assai variegate; i fattori che sorreggono il popolo degli ortisti del XXI secolo non si limitano alla semplice azione di lavorare e faticare su di un piccolo orticello assolato, ma si consolidano come stile di vita alternativo, in antitesi all ampia offerta consumistica. Come suggerisce Mariella Bussolati, nella sua ultima pubblicazione l orto diffuso. Dai balconi ai giardini comunitari, come cambiare la città coltivandola : negli orti, non crescono solo rape e fagiolini, ma anche autonomia economica e alimentare, cultura e natura. gli orti permettono in questo modo di rintracciare le proprie radici, di mettere alla prova le proprie abilità e di sentirsi parte di una rete più grande. Tornare alla terra da contadini, o comunque non da contadini produttori, è inevitabilmente parte di una ribellione: il desiderio di riconoscere la propria parte biologica e culturale, rifiutando il modello del consumatore passivo, incapace e artefatto, che è stato imposto negli ultimi trent anni. Secondo l indagine di IPR Marketing Coldiretti, nel 2011 un italiano su quattro, circa il 37% della popolazione, coltiva un orto. nelle interviste a persone che si dedicano alla coltivazione sul balcone emerge un bisogno espresso piuttosto ricorrente: vi è la necessità di mostrare ai propri figli come sono fatte le piante da cui si ricava il cibo che mangiamo, per il timore che i bambini associno il cibo al supermercato, senza scoprire il contatto con la natura e la meraviglia dei suoi frutti. Non a caso il profilo tipico di un coltivatore da balcone è: donna sulla quarantina, quasi sempre con figli, con elevata sensibilità ambientale, incline alle coltivazioni naturali. Mentre secondo l indagine di nomisma sull Hobby farming, il 44% di chi coltiva l orto lo fa per consumare prodotti più sani e genuini, il 29% per mantenere le tradizioni familiari, il 29,6% perché si rilassa, il 26,6% perché lo trova una buona occasione per restare all aria aperta. Lo si può pensare come esito più diretto al fenomeno della crisi, ma l attività di orticoltura si traduce in un risparmio più che in un guadagno: l orto urbano non dà luogo a mercato, favorisce l autoconsumo. Il cibo come catalizzatore di relazioni Gli orti che un tempo erano sinonimo di povertà, oggi diventano espressione di modernità e ricerca di stili di vita. Al punto che, oltre a quelli nei giardini e sui terrazzi, sono nati orti anche sopra i tetti delle case, appesi ai pali della luce, alle inferriate, orti di artisti, orti in bottiglie di plastica. Questa rivoluzione è da attribuire alla diversa finalità che riveste oggi l orto, in cui il cibo è considerato non più solo un alimento, ma un frutto della natura. la sussistenza alimentare viene oltrepassata dal desiderio di sapere che cosa si mangia, in una percezione di orto non più come spazio individuale ma giardino comunitario di condivisione di pratiche. proprio perché il successo degli orti è fortemente connesso a quello di altre attività promozionali che hanno messo il cibo al centro di riflessioni più ampie, come il concetto di chilometraggio zero nella riduzione dei

6 trasporti legati alla distribuzione degli alimenti, idea promossa all interno delle reti gas (gruppi d acquisto solidali). Il cibo si traduce in un catalizzatore di relazioni tra soggetti che oltre ad essere produttori e consumatori, mettono a confronto le proprie esperienze ed esigenze. Le tre parole richieste sono: piccolo (in contrapposizione all ipermercato), locale (si valorizza il contesto in cui si vive) e solidale (tra le persone del gruppo). Gli orti e i balconi coltivati restituiscono il verde e riportano alla città una scala di relazioni più umane, permettendo una responsabilizzazione del luogo che si abita, a seconda della gente che li anima e in funzione della loro diversità, favorendo l incontro di persone provenienti da culture diverse, attraverso lo scambio di conoscenze sui modi di coltivare e cucinare le varietà del raccolto. Ma gli appassionati di orto oggigiorno non sono coloro che rimangono per ore a zappare la terra in assenza di tecnologie! il superamento di questo stereotipo ci consente di guardare in faccia alla realtà del fenomeno: l orto diffuso si realizza attraverso il raggiungimento di un ampia varietà di persone dove mailing list, blog e social network sono indispensabili al pari di vanghe e rastrelli, nel creare rete e reperire l enorme offerta di informazioni su internet (si veda al capitolo successivo). Oltre a parchi e giardini pubblici, le città sono piene di micro spazi verdi, angoli di aiuole lussureggianti, balconi in fiore, piccoli giardini e orti: una ricchezza privata che può trasformarsi in un vero e proprio patrimonio di risorse e relazioni. nell idea che i nuovi contadini rappresentino una potenziale comunità di individui che condivide bisogni e principi, primi tra tutti il rispetto per la natura, la riduzione dei consumi e l autoproduzione. La natura che cura È evidente come tutti noi, per raggiungere un maggior benessere fisico e psicologico abbiano bisogno di un rapporto più stretto con la natura, come emerge da studi compiuti nell ultimo quindicennio. In particolare dedicarsi alle attività di orticoltura migliora lo stato di salute degli individui e ha il vantaggio di farci concentrare su di un fine che si spiega da sé, assomigliando più a uno stile di vita che a una terapia e che coinvolge diversi aspetti richiamati alla pagina successiva. Le piante, è stato dimostrato, hanno un azione terapeutica. In tutte le civiltà antiche gli alberi erano considerati ricchi di grande potere benefico. In alcune tecniche terapeutiche orientali, come nel Qi gong cinese, si prescriveva di abbracciare un albero, per ottenere da esso sostegno energetico oltre che un contatto rassicurante. Nel medioevo i monaci crearono spesso giardini nei luoghi di degenza, affinché i malati passeggiando tra le aiuole e i sentieri degli orti si distraessero e superassero i momenti di depressione legati alla malattia. l ortoterapia - conosciuta nel resto del mondo col termine inglese di Horticultural Therapy - nacque quasi per caso intorno al 1600, quando la povertà nei paesi anglosassoni non permetteva ai meno abbienti di essere ricoverati in ospedale se non ripagando l ospizio delle cure ricevute: ad essi veniva infatti chiesto di prendersi cura, durante il ricovero, del giardino dell ospedale. Con grande stupore dei medici, non solo il lavoro nel giardino non sembrava essere di peso ai malati, ma questi parevano guarire più in fretta dai loro malori rispetto ai pazienti più ricchi che potevano permettersi di pagare l ospedalizzazione senza dover lavorare. l ortoterapia restò per molto tempo un modo per pagare l ospedale piuttosto che un processo terapeutico e curativo. I pregi dell ortoterapia vennero riscoperti in inghilterra negli anni che seguirono la prima e la seconda guerra mondiale, quando a diversi reduci di guerra, feriti fisicamente e psicologicamente, venne prescritta una forma rieducativa molto simile all odierna ortoterapia. Attraverso il contatto con la natura, gli ex soldati riacquistavano salute, capacità motorie, stabilità mentale e gioia di vivere. In Italia l ortoterapia si diffonde dagli inizi degli anni 90 come terapia di sostegno alle tradizionali cure mediche e punta sull innata affinità dell uomo verso la natura per favorire il recupero del benessere fisico e psicologico: prendersi cura di organismi vivi, da soli o in gruppo, favorisce il senso di responsabilità ed è un occasione per socializzare le proprie esperienze; sollecita l attività motoria, aiuta a vincere il proprio isolamento e l impressione di essere inutili. Dal giardino al paesaggio che guarisce Considerata strumento prezioso nel supporto di portatori di disabilità fisiche e anziani, è consigliata a chiunque soffra di stress e ansia. può comprendere svariate forme: orticoltura, giardinaggio terapeutico, giardini terapeutici e healing landscape, cioè interazione visiva con un paesaggio verde. può essere praticata a casa, in giardino o nelle strutture per la coltivazione delle piante annesse a ospedali, istituti di riabilitazione e case di riposo. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come poter godere della vista di un paesaggio verde faciliti la sopportazione del dolore, degli effetti della depressione e, addirittura, stimoli la ripresa dell organismo in fase di convalescenza. Negli Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, Germania e Inghilterra, dove l Horticultural Therapy è praticata come una vera e propria disciplina scientifica, sono stati progettati paesaggi, giardini e aree verdi grazie alla collaborazione di architetti del paesaggio. L ortoterapia lavora con un materiale vivente: le piante.

7 i giardini terapeutici, come quelli per non vedenti, anziani, disabili, malati di Alzheimer, permettono di muoversi tra piante e fiori senza bisogno di un accompagnatore, verso un esperienza di contatto ed esplorazione più autonoma. tra le piante, le più adatte a tale attività sono considerate quelle da fiore e quelle aromatiche. In Italia i progetti relativi alla terapia orticolturale nascono generalmente grazie a iniziative di persone particolarmente sensibili al tema del paesaggio terapeutico e delle fattorie sociali. L insieme di queste esperienze si inserisce nel più ampio panorama della cosiddetta agricoltura sociale, uno dei nuovi modelli di welfare che si sta tentando di sperimentare nei territori rurali e nelle nuove relazioni tra città e campagna. Gli orti urbani consentono rapporti con cittadini di età diverse; spesso si consolidano in rapporti di collaborazione con scuole, insegnanti, scolaresche, alle quali gli anziani, in un ottica di valorizzazione della solidarietà intergenerazionale, fungono da trasmettitori di esperienze e conoscenze sull uso di strumenti di lavoro manuale e sulla vita delle piante, frammenti di cultura che altrimenti andrebbero persi. E ancora l orto diviene strumento con il quale realizzare forme di volontariato e di solidarietà, attraverso l offerta gratuita di eventuali eccedenze di produzione al mondo delle realtà del non profit. La città è chiamata a integrarsi con l ambiente naturale e a raggiungere un equilibrio, per il benessere dell uomo che la abita: obiettivo più facilmente perseguibile con la diffusione degli orti nelle città. Benefici su più fronti Comportamentale. Il contatto diretto con la natura riduce lo stress, i comportamenti aggressivi, la fatica mentale e aiuta a combattere disagio, tensioni, depressione e ansia. La luce verde riflessa dalle piante ha un forte potere tranquillizzante. Cognitivo. Seminare, veder crescere una pianta, aiutarla a fiorire aumenta l autostima, gratifica, stimola l iniziativa, abitua a prendere decisioni, riequilibra il concetto di sequenza temporale e spaziale. Fisico. Coltivare un orto o un giardino è una forma di attività fisica dolce e non stressante, che comporta i movimenti di entrambe le mani, la coordinazione occhiomano, stimola le capacità visive, tattili, olfattive, gustative e uditive.

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