A veva promesso una «nuova fase

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1 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLV. N MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 EURO 1,50 La (nuova) sinistra ai tempi dell astensione a partire dal «caso Liguria» L ANALISI Aldo Carra pagina 2 SINISTRA Network politico E Civati aspetta il Big Bang Un «political network», cinque referendum e due appuntamenti già in programma, il primo a Rieti il 9 giugno, il secondo - più grande - a Roma il 21. Pippo Civati presenta il suo «patto repubblicano» (e lo fa il 2 giugno), posizionando in prima fila l associazione «È possibile», in attesa del big bang a sinistra. Cioè la tanto attesa rottura nel Pd, dove nel frattempo si prepara lo scontro tra maggioranza e minoranze, al senato, sulla riforma della scuola. PREZIOSI PAGINA 3 INTERVISTA A BONOMI «Renzi non ha capito le vittime della crisi» Per il sociologo Aldo Bonomi Matteo Renzi non capisce la società di mezzo. «Nel Nord-Est parla ai vincenti della globalizzazione - afferma - Riscuote l'empatia degli imprenditori dei distretti che hanno saputo usare la crisi come un'occasione, ma raccoglie l'ostilità di quelli che sono stati travolti dal fallimento delle reti di prossimità o dei distretti monoprodotto. In questi settori il discorso anti-euro e anti-europa funziona perfettamente». CICCARELLI PAGINA 4 Il neo-eletto governatore della Campania, Vincenzo De Luca, va in questura e denuncia la presidente dell Antimafia Rosy Bindi. Che chiede, e aspetta, le scuse del Pd. Ma è la legge (Severino) a denunciare l anomalia del candidato finito nella lista degli «impresentabili». Per Renzi va tutto bene e fatta la legge si troverà l inganno PAGINE 2,3,4,5 Il questurino GRECIA/UE Tsipras: «Il nostro piano di riforme è pronto» I l piano di riforme del governo greco è pronto ed è stato consegnato ieri alle istituzioni europee. Lo ha annunciato Tsipras, aggiungendo che Atene non attende un piano alternativo da parte dell ex troika, magari sotto la forma di un ultimatum, come sostenevano alcuni giornali tedeschi. Il senso delle dichiarazioni del premier è evidente: Atene ha esaurito lo spazio di manovra per ottenere un compromesso onorevole. Un ulteriore passo indietro rispetto al programma di Syriza significherebbe la sua negazione e renderebbe inutile la stessa presenza di Tsipras a capo del governo. DELIOLANES PAGINA 7 BIANI FOTO MARCO CANTILE-LAPRESSE IMBUTO CAMPANO Andrea Fabozzi A veva promesso una «nuova fase all insegna della legalità» ed effettivamente prima della proclamazione è già passato in procura. Per denunciare Rosy Bindi, che lo ha inserito nell elenco dei candidati non in regola con il codice dell Antimafia. Una denuncia che non avrà esito: Bindi è una parlamentare che esercita il suo mandato, può essere criticata quanto si vuole (lo è stata) ma sul piano politico. È una legalità sbruffona quella di Vincenzo De Luca, non a caso chiamato sceriffo. Denuncia per fare ammuina, il problema con la legge è tutto suo. La legge Severino, in base alla quale non potrà adempiere al mandato per il quale il Pd lo ha candidato. Lo aspetta la sospensione. I campani lo sapevano e l hanno votato lo stesso. Hanno votato, molto, anche le liste degli invotabili (Renzi dixit), quelli che De Luca si è trovato accanto «a sua insaputa», ma senza le quali non avrebbe vinto. E chi vince ha sempre ragione, un concetto semplice che prima di essere renziano era stato berlusconiano. De Luca ha preso i voti, per l esattezza, di meno di un milione di elettori campani su cinque milioni. Ha vinto sull astensione, avendo cinque anni fa perso con il 22% dei voti in più. Ma De Luca non può avere ragione della legge, anche questa criticabilissima ma molto chiara. La sua condanna in primo grado (abuso d ufficio, da sindaco) lo terrà lontano dall ufficio di presidente. Quando le regole lo riguardano lo sceriffo si toglie la stella e diventa villano: «È un aborto giuridico». Il presidente del Consiglio, che dovrà firmare il decreto di sospensione, proverà a scansare il problema dando tempo a De Luca per nominare un (o una) vice e occupare comunque la casella campana. Un trucco, nascosto da un fumo di messaggi allusivi. La Severino, dicono, «non sarà un problema». Ma De Luca non spiega come, malgrado in questa «nuova fase» prometta anche «trasparenza». Finirà che il governo, per far passare il tempo, si affiderà ai passaggi di carte che burocraticamente accerteranno l incompatibilità già evidente. Rottamazione, legalità, trasparenza: il caso De Luca abbatte definitivamente anche l ultimo mito renziano. La velocità. FIFA PAGINA 6 Tangenti al vertice, appena rieletto Blatter si dimette Il numero uno del calcio mondiale annuncia le dimissioni dopo le rivelazioni del Nyt: «Il suo braccio destro sapeva» AUTOMAZIONE Nella gabbia di vetro di Nicholas Carr BENEDETTO VECCHI l PAGINA 10 MUSICA Giorgio Moroder, rinascimento dance STEFANO CRIPPA l PAGINA 12 KABUL/ROMA Il mimetico Renzi Giuliano Battiston U n «sacrificio» ulteriore. Un altro sforzo. «Qualche mese in più». Arrivato a sorpresa a Camp Arena, la base militare italiana a Herat, nell Afghanistan occidentale, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha reso ufficiale quel che tutti già sapevano: i soldati italiani prolungheranno la loro permanenza nel paese centro-asiatico. L annuncio è arrivato alla vigilia della festa della Repubblica, che Matteo Renzi ha voluto festeggiare ribadendo il militarismo atlantista dell Italia. PAGINA 7 INTERVISTA ESCLUSIVA PAGINE 8, 9 Dilma Rousseff: «Su Petrobras niente passi indietro» La presidente brasiliana sul petrolão: «Chi ha sbagliato pagherà, no privatizzazione, il petrolio resta ai brasiliani»

2 pagina 2 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 IL QUESTURINO Campania La presidente della commissione Antimafia aveva chiesto le scuse, ma Vincenzo De Luca risponde con una querela Lo sceriffo sbatte Bindi in questu «Attentato ai politici dei cittadini»: questo e altri reati sarebbero stati commessi con la pubblicazione della lista degli impresentabili Adriana Pollice L aveva annunciata venerdì scorso e ieri l ha depositata presso la questura di Salerno. Vincenzo De Luca, il giorno dopo la vittoria alle regionali della Campania, ha presentato «formale denunzia-querela» nei confronti della presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi: «Si chiede alla procura della Repubblica di Roma di procedere penalmente nei confronti della predetta, per i reati di diffamazione, attentato ai diritti politici costituzionali e abuso d ufficio». Lunedì sera a La7 Bindi aveva chiesto le scuse formali da parte del partito per le critiche e le accuse piovute su di lei ma l unica belligerante risposta è arrivata dal neogovernatore. La vicenda è cominciata a 48 ore dal voto, quando la lista degli impresentabili stilata dalla commissione viene data ai giornalisti: ci sono 16 candidati con procedimenti pendenti per reati connessi alla criminalità organizzata oppure reati spia, inaspettatamente c è anche il nome dell ex sindaco di Salerno. Matteo Renzi solo poche ore prima aveva dichiarato «tra gli impresentabili nessuno del Pd» così scoppia la bufera. De Luca annuncia querela e sfida la Bindi a un dibattito pubblico. Il premier commenta furioso da Ancona: «Mi fa molto male che si utilizzi la vicenda dell antimafia per regolare dei conti interni al Partito democratico. De Luca e la Bindi se la vedranno in tribunale». Scaricano la presidente anche molti membri della commissione, concordi nel dichiarare di essere stati tenuti all oscuro. Negli studi di Piazza pulita Rosy Bindi ha fatto gli auguri al governatore campano e, in merito alla querela, ha spiegato: «Sa bene che non può farlo perché ho usato dati pubblici disponibili». De Luca però non è tipo da perdonare, la decisione di procedere è sua ma probabilmente sarà stata gradita al Nazareno, dove si discute di rimettere mano alla rottamazione. Tre i punti sottolineati nella querela: i tempi della presentazione della lista, il giorno prima che scattasse il silenzio elettorale, senza possibilità di replica in commissione come previsto dal regolamento, un abuso d ufficio e una interferenza nelle elezioni secondo i legali di De Luca; l inserimento dei nomi nell elenco senza una discussione collegiale; i motivi che hanno portato a includere il processo sulla riconversione dell Ideal standard (De Luca è accusato di concussione) tra i reati spia, visto che l accusa riguarda la richiesta nel 1998 della cassa integrazione per circa 250 operai e gli oneri di urbanizzazione per la riconversione dei suoli, ma non sono coinvolte organizzazioni camorristiche. La diffamazione consisterebbe nell aver accostato il nome di De Luca a reati di tipo mafioso. Sarebbe poi stato leso il diritto costituzionale dell elettorato passivo in capo a De Luca con l aggravante dell uso della carica istituzionale per connotare di autorevolezza un informazione, procurando un danno in termini di voti. Difendono Rosy Bindi Corradino Mineo («è una cortina fumogena sulla sospensione») e Claudio Fava («la denuncia è un atto ritorsivo e intimidatorio»). Rosaria Capacchione, membro della commissione e giornalista anticamorra, prende le distanze: «Più che un lavoro di applicazione rigida dei carichi pendenti occorreva svolgere un attività di analisi. Perché non si può mettere assieme la vicenda di De Luca, per un fatto di 20 anni fa, insieme con reati attuali di altri candidati. La diffusione dei nomi è stato un fatto inopportuno perché era il giorno prima del silenzio». Bindi invece commenta: «E una denuncia priva di ogni fondamento, un atto puramente strumentale, che ha scopi diversi da quelli che persegue la giustizia e che pertanto non mi crea alcuna preoccupazione». Per Valeria Ciarambino, candidata governatore dei 5stelle e neo eletta al consiglio regionale campano, si tratta di «un azione mediatica e una minaccia sottile. Avevamo detto che se De Luca fosse stato eletto, tra legge Severino e i processi in corso, avremmo avuto un personaggio più occupato nei tribunali che a governare. Sta preparando il terreno per consentire a Renzi di fare un decreto ad hoc per eliminare la Severino». Si torna così alla sospensione che pende sul governatore. In campagna elettorale ha evitato di chiedere la modifica della norma per non creare imbarazzi a Renzi ma, a elezioni vinte, torna a dirlo apertamente. Il suo entourage non ha comunque dubbi sulla road map: il provvedimento di sospensione non può essere recepito se prima non si insediano gli organi regionali, ci sarà tempo anche per nominare la giunta con il vice che subentrerà fino alla presentazione del ricorso al tribunale ordinario. E stato chiesto un parere all Avvocatura di Stato, in modo da mettere al riparo gli atti da eventuali ricorsi. Il vice, dicono, sarà donna e del Pd. La renziana Pina Picierno potrebbe rientrare nell identikit: era a Salerno quando il premier è andato a tirare la volata a De Luca subito prima del voto. Ma nello staff del governatore giurano che è ancora presto per fare nomi. MAPPA DEL NON VOTO VINCENZO DE LUCA FOTO LAPRESSE L astensionismo e la (nuova) sinistra I principali dati di queste elezioni sono Aldo Carra sentate separatamente sia dove si sono due: l aumento dell astensionismo e presentate insieme ed anche con i movimenti non escono affatto bene da queste la flessione dei voti al Pd. I votanti si sono ridotti ad un elettore su due, il Pd con le sue liste ha perso due milioni di voti ed il 15% in meno rispetto alle europee. Ma l astensionismo non si è manifestato in modo uniforme e la flessione del Pd presenta aspetti diversi nelle diverse regioni. Conviene, quindi, analizzare i due fenomeni separatamente per trarne considerazioni politiche utili anche per il futuro della sinistra nel nostro paese. Astensionismo. La partecipazione al voto, del 63% alle precedenti regionali e del 59% alle europee, è scesa al 52%. Sull aumento dell astensionismo possono aver inciso un solo giorno di vitazioni e il ponte. Ma sicuramente ha pesato il discredito che delle istituzioni regionali a seguito degli scandali degli ultimi anni, circostanza che richiederebbe un ripensamento su decentramento e federalismo ben oltre la demagogica mossa della finta abolizione delle province. Ma c è qualcosa in più: in Puglia e Campania, due regioni in cui si concentra quasi la metà dei voti, l astensionismo non è aumentato. E invece aumentato molto nelle regioni rosse (dai 10 punti della Liguria ai 15 di Marche ed Umbria, ai 20 della Toscana). Se prima era più alto al sud e più basso al centro nord, e soprattutto nelle regioni rosse, adesso si attesta dappertutto intorno al 50%. E chiara la relazione tra aumento dell astensionismo e flessione di voti al Pd. Il voto al Pd. In termini di voti di lista il Pd è tornato ai livelli delle regionali del 2010 e delle politiche del Ma nella lettura del voto di lista regionale non si può trascurare che in queste elezioni si vota separatamente per presidente e liste di partito e che per raccogliere voti si creano liste personali o civiche che tolgono voti ai partiti. Si verifica così uno scarto tra voto di lista al Pd e voto al candidato presidente del Pd. Anche in questo caso torna utile la distinzione prima fatta tra regioni perché se in Puglia e Campania i voti al candidato presidente sono stati più del doppio di quelli al Pd, nelle altre regioni la differenza è minima. In sostanza in Puglia Campania sono state ottenute due vittorie con due personaggi prorompenti che hanno vinto per la loro forza e per le alleanze (in Puglia 8 liste, in Campania 9 FOTO LAPRESSE liste) spesso discutibili che hanno messo in piedi. Qui, quindi, i voti perduti dal Pd non sono significativi perché se si dovesse votare per le politiche i voti presi dai presidenti rientrerebbero in buona parte nel Pd. Ma nelle altre regioni, dove voti al Pd e voti al Presidente sono vicini, questo ragionamento non vale ed i voti persi sono voti persi. Ed il fatto che essi siano concentrati nelle regioni rosse e nelle regioni in cui si è registrata la maggiore astensione fa pensare che il maggiore astensionismo sia in buona parte dovuto a delusione dell elettorato di sinistra. La sinistra e il voto. Se si esclude il caso Liguria, le sinistre sia dove si sono pre- elezioni. E inutile girarci intorno: pur in una fase come questa con alle spalle lotte, grandi manifestazioni, provvedimenti del governo che con la sinistra non hanno niente a che fare, le sinistre esistenti non riescono a frenare la fuga dei delusi dal Pd verso l astensione, non riescono a richiamare al voto i vecchi astenuti, non riescono a far tornare ad un voto a sinistra i delusi che si erano spostati verso il M5S, non riescono ad attrarre giovani. Se così è, mi scuso per la crudezza, è bene decidere di metterci una pietra sopra e pensare un percorso radicalmente nuovo. L unico caso in cui la sinistra si afferma con una percentuale che può far sperare in un futuro è quello della Liguria dove si è realizzata una condizione nuova, l unità tra coloro che hanno rotto col Pd e la sinistra che si era aggregata alle europee. Può, questa esperienza, costituire una base di partenza, un laboratorio? Molto dipenderà da come evolverà il confronto dentro il Pd, e questo, a sua volta, dipenderà dalla tempestività e dalla capacità, a sinistra, di qualificarsi come novità, attraente nella forma organizzativa, nella costruzione delle scelte politiche, della democrazia, delle forme di partecipazione. E la scommessa che si apre oggi per una nuova sinistra. I tempi sono strettissimi sia perché si sta consolidando un tripolarismo che lascia pochi spazi, sia perché potremmo essere chiamati ad un appuntamento elettorale prima del previsto. Quindi, dalla Liguria, non un modello, ma uno spunto, uno stimolo per provarci.

3 MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 il manifesto pagina 3 IL QUESTURINO Partito Lo scontro giudiziario mette in ulteriore difficoltà il presidente del Consiglio, che molto presto dovrà affrontare l imbarazzante pratica della sospensione ra MATTARELLA: ORA BASTA LITIGARE Nel giorno in cui Vincenzo De Luca, vincitore delle elezioni in Campania, va in questura per denunciare Rosy Bindi, il presidente della repubblica Sergio Mattarella torna, nei giardini del Quirinale, sulla litigiosità della politica (corresponsabile, aveva detto l altro ieri, dell astensionismo): «Le elezioni accentuano le tensioni e mi auguro che concluso questo percorso ci sia un attitudine più serena nel rispetto delle posizioni diverse», dice. «Il confronto parlamentare - aggiunge - è un momento alto, che si esprime ai livelli più alti quando è sereno, composto e corretto», ma «questo non toglie nulla alla vivacità delle posizioni politiche, alla profondità dei consensi e dei dissensi». E a chi gli domanda se si debba accelerare sulle riforme, risponde: «Il percorso riformatore è intenso ed è all esame del parlamento e sarà il parlamento a scegliere tempi e contenuti». ROMA S arà «un social e political network» o, per dirla in italiano, «un soggetto» basato su «lotta alla corruzione e alla mafia, riforme fatte con cura costituzionale, una politica economica che non si riduca alla gestione dell esistente, reddito minimo, progressività fiscale vera, parità salariale tra donne e uomini e la corretta applicazione della legge 194, il fine vita, il cambiamento climatico». Insomma è un vasto programma quello dell associazione Possibile che tenta la strada di una Podemos nostrana e che ha «il volto di quelli come Luca Pastorino», il candidato ligure che ha messo insieme più di 60mila voti in un mese racimolando un promettente 9,6 per cento. Pippo Civati, sul suo ciwati.it, l ha annunciato ieri, giorno della festa della Repubblica perché, spiega, riprende il «patto repubblicano» già stilato a Bologna. Primo appuntamento il prossimo 21 giugno a Roma. Poi partirà la campagna nazionale: per la settimana dopo l ex parlamentare invita gli interessati «a incontrarsi nella loro città, nel loro quartiere, nella loro zona, per capire chi ci può stare». Civati dunque fa la prima mossa e prova a fondare un contenitore per accogliere, fra l altro, la diaspora dei militanti del Pd in uscita dal partito in ordine sparso. Ma non solo, nelle intenzioni. Non si tratta ancora del big bang a sinistra, cioè del soggetto unitario che accolga partiti, movimenti e associazioni, che nel frattempo si stanno muovendo per aprirsi al nuovo progetto. Del resto già molte le iniziative unitarie vengono Daniela Preziosi A d attaccarla erano stati in molti, per lo più renziani e renzianissimi. Ma ieri, quando le agenzie hanno battuto la clamorosa notizia della querela del neopresidente della regione Campania Vincenzo De Luca contro la presidente dell antimafia Rosy Bindi, «per diffamazione, attentato ai diritti politici costituzionali e abuso d ufficio», i baldanzosi pasdaràn dem si sono improvvisamente ammutoliti. Zitti. La ragione è chiara: se fin qui la vicenda è stata l occasione per regolare i conti con Bindi, a questo punto la pasticciata storia degli impresentabili, che era nata male ma era finita tutto sommato in una vittoria del candidato campano del Pd e anche di qualcuno dei nomi inseriti nella lista della commissione, poteva chiudersi così. Ma De Luca se l è legata al dito. Non ce l ha solo con Bindi ma anche con quelli che non l hanno difeso con abbastanza trasporto. E adesso rischia di infilare il suo partito in un inedito scontro a colpi di carte bollate fra pesi massimi. Che finirà per mettere ulteriormente nei guai il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che già presto dovrà firmare l imbarazzante decreto della sua sospensione da governatore della Campania. Per questo, e cioè per paura di avvelenare ancora di più una maionese già impazzita, sono state poche, pochissime le voci che ieri si sono alzate dal Pd in difesa di Bindi. O almeno del buon senso che rende incredibile la querela di De Luca, per giunta seguita i da quella di altri due cosiddetti impresentabili, organizzate in giro per l Italia. Il 9 giugno, per esempio, i civatiani e Sel hanno organizzato un appuntamento a Rieti, città governata dal giovane attivissimo vendoliano Simone Petrangeli. Sul palco, insieme, lo stesso Civati e Massimiliano Smeriglio, vice di Zingaretti nel Lazio e capo dell organizzazione di Sel. Per il 21 giugno però dal fronte sinistro del Pd potrebbe già esserci qualche novità: da oggi al senato si comincia a votare il ddl scuola. La sinistra pd darà battaglia, anche se tra loro non c è nessuno intenzionato a rompere con il partito, al momento. Anzi al contrario la sinistra senatoriale - che conta una trentina di voti ed è de- Sandra Lonardo Mastella, moglie di, e Luciano Passariello, Fdi, entrambi schierati con Caldoro. Il primo a reagire è Alessandro Naccarato, area giovani turchi, della commissione antimafia: si tratta di «una cosa del tutto fuori luogo, una esagerazione» perché, spiega, «Bindi è stata accusata del tutto ingiustamente di voler determinare i risultati del Pd in Campania e Puglia, due regioni dove gli impresentabii sono stati eletti, mentre, alla prova dei fatti, le cose sono andate male in Veneto e Liguria dove non c era nessun candidato con il problema della legge Severino». Naccarato la butta in politica e se la Sinistre/ IL 21 PRIMO APPUNTAMENTO DELL ASSOCIAZIONE POSSIBILE A giugno parte la cosa di Civati «Propongo cinque referendum» DEMOCRACK Lei: atto infondato. Orfini: no querele, ma si scusi con la Costituzione Caso Rosy, il Pd resta muto terminante per la vita del governo - riorganizza le proprie file in attesa di capire se il voto delle regionali porterà da Forza Italia nuove stampelle al governo Renzi. Ma a Montecitorio la situazione è diversa: qui il ddl arriverà per il voto finale che potrebbe provocare l uscita dal Pd di Stefano Fassina. Qualcuno, proprio in quei giorni di fine giugno, potrebbe seguirlo. Intanto Civati si dà da fare per attivare il mondo dei delusi della sinistra intorno a obiettivi «possibili», e per questo propone cinque quesiti referendari: sulla legge elettorale «anzitutto per togliere di torno i nominati e i vincitori a prescindere», sullo sblocca-italia «per garantire la concorrenza nelle concessioni autostradali e la riconversione ecologica dell economia, ad esempio contro le trivelle», sul jobs act e sulla riforma della scuola. In realtà lo strumento referendario raccoglie molti dubbi fra gli altri azionisti della «cosa di sinistra» ma, spiega Civati, «raccogliere firme durante l estate e costringere chi non lo fa ad assumersi le sue responsabilità» leggasi la sinistra Pd, «è un modo per cominciare a lavorare insieme». La scommessa, ardita dati i precendenti, è che a sinistra non partano veti e gelosie, quelli che già hanno ammazzato una mezza dozzina di tentativi analoghi nello scorso ventennio. Civati prova a fare la sua parte: «A metà di luglio ci confronteremo in un Camp, come è già successo negli anni passati. Ma stavolta sono pronto a organizzarlo anche con altri. Con tutti quelli che ci stanno». d.p. FOTO ROBERTO MONALDO / LAPRESSE «Non sono per niente preoccupata, quella dell ex sindaco è una mossa puramente strumentale» prende con il suo segretario, rivelando così il malumore contro il candidato campano serpeggiava anche nella maggioranza dem, oltreché nella sinistra interna: «Era meglio se Renzi avesse fatto quel che fece con la Barracciu che aveva solo ricevuto un avviso di garanzia: andò in Sardegna a la convinse a non candidarsi alle regionali. In lista fu messo Pigliaru che è stato eletto governatore». Il capogruppo in commissione Franco Mirabelli, che invece aveva cercato di dissuadere Bindi e il suo vice Claudio Fava dal procedere con la lista, non concorda. Ma non difende le carte bollate: «Gli errori fatti da Bindi con la lista degli impresentabili si affrontano politicamente non in tribunale». A buttare acqua sul fuoco ci prova il moderato Giacomo Portas: «Il partito ci metta una pezza e se ne necessario intervenga anche Renzi». Lei, Bindi, ostenta tranquillità: «Quella di De Luca è una denuncia priva di ogni fondamento, un atto puramente strumentale, che ha scopi diversi da quelli che persegue la giustizia e che pertanto non mi crea alcuna preoccupazione». In tv aveva preteso le «scuse» di chi l aveva attaccata. Ma ormai sa di essere isolata nel gruppo dirigente Pd. Pier Luigi Bersani, che l aveva difesa, è in queste ore a sua volta oggetto di nuove polemiche. A schierarsi con lei solo Fava, che parla di «atto di grossolana volgarità, una di quelle querele temerarie che il parlamento si appresta a sanzionare come atti palesemente ritorsivi e intimidatori», e Arturo Scotto di Sel: «Atto incomprensibile, Bindi si è limitata ad applicare il codice antimafia votato dai partiti. De Luca se la prenda con il Pd». Dai vertici Pd è calato il gelo. Solo Matteo Orfini, che già l aveva duramente criticata, commenta: «Bindi è indifendibile. Dovrebbe chiudere scusa lei, ma alla Costituzione. Ciò detto io non l avrei denunciata». Ora Renzi è alle prese con un guaio irrisolvibile: da presidente del consiglio sta per sospendere De Luca da governatore, da segretario vorrebbe chiedergli di ritirare la querela a Bindi. Le peggiori previsioni sono già realtà, a un giorno dal voto. La vittoria in Campania comincia a mostrarsi per quello che è, un grosso guaio per il Pd. COALIZIONE SOCIALE Landini: «Bisogna unire ciò che la politica ha diviso» C hi ha vinto le elezioni regionali è un solo partito: quello degli astenuti. Il dato omogeneo in tutte le regioni del 53,90% rispetto al 64,13% del 2010 è diventato un occasione per riflettere sulla crisi della democrazia nell incontro «Il diritto alla libertà, il dovere della libertà» organizzato ieri da Giustizia e Libertà alla città dell altra economia di Roma in occasione della festa della Repubblica. Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti e Paul Ginsborg, oltre a studenti e docenti come Giovanni Cocchi attivi nel movimento contro la «Buona Scuola» di Renzi e del Pd. «Milioni di persone che non votano, non fanno parte dell anti-politica. Non si riconoscono nella politica in quanto tale» ha detto il segretario della Fiom Maurizio Landini che sabato e domenica prossimi parteciperà ai lavori della «coalizione sociale» al centro congressi Frentani. Un astensionismo di queste dimensioni è diventato negli anni della crisi la regola costitutiva della vita politica in un paese dove la partecipazione al voto è tradizionalmente alta. «È anche la dimostrazione che c è un paese che non è d accordo con quello che sta avvenendo». La tesi di Rodotà ha spinto ad un analisi delle riforme del governo Renzi. La logica che ispira l Italicum, come il Jobs Act, o il «super-preside» imposto dal Ddl scuola ora al Senato «è quella dell uomo solo al comando». Un processo «imposto dalla lettera della Bce al governo italiano nel 2011, Renzi non sta facendo nient altro che questo» sostiene Landini. Per contrastare una marcia inarrestabile «bisogna mettere in piedi processi politici che unifichino la società frammentata tra appartenenze identitarie e un mondo di lavoratori in competizione» ha aggiunto Landini. In attesa che la «coalizione sociale» prenda forma, e acquisti una sua fisionomia, sul tavolo c è l ipotesi del referendum contro il Jobs Act e un altro contro la riforma della scuola. Landini sostiene un ritorno ad una contrattazione sociale diffusa che parta dalla difesa, e dalla completa applicazione dei contratti nazionali di lavoro, e si allarghi anche ad altre sfere del sociale. Il punto di riferimento è lo Statuto dei lavoratori da cui il governo Renzi ha cancellato l articolo 18 con il Jobs Act. «Quello statuto impediva di essere licenziati senza giusta causa, vietava il controllo a distanza e il demansionamento». Tutte norme introdotte invece da Renzi. «In nome della sua presunta modernità - ha attaccato Landini - il Jobs Act non tutela tutte le persone, ma solo gli imprenditori. è un passaggio formale che rovescia i valori sostanziali della cittadinanza». Alla coalizione sociale Landini non affida il ruolo guida di un partito, bensì di un vettore che riunifichi il lavoro, e le sue rappresentanze, così come le associazioni sempre numerose e altrettanto divise. L obiettivo è ricostruire i «corpi intermedi», oggetto dell offensiva renziana, e riposizionarli in una società dove la rappresentanza è distrutta. Non più organi della mediazione burocratica ma della «democrazia diretta per difendere gli interessi comuni». ro. ci.

4 pagina 4 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 LO SCHIAFFO DEL SOLDATO L a spiegazione dell esito elettorale veneto è abbastanza semplice: la Lega vince, con Zaia, sapendo rappresentare sia il governo (locale e regionale) sia la protesta contro le politiche di Roma (e di Bruxelles). La sinistra non riesce a fare né una cosa né l altra, con Alessandra Moretti e la sua coalizione ma anche con le proposte alternative in campo. Sulla carta, il programma del centrosinistra veneto era il più avanzato da almeno vent anni, mentre la candidata presidente, al di là di qualche gaffe e battuta discutibile, era accreditata di una certa efficacia comunicativa e di una certa concretezza politica (confermata dalle esperienze amministrative e dal curriculum elettorale vincente), mentre le forze aggregate coprivano un arco vasto (a fronte di una divisione del fronte avverso, con la scissione di Tosi). Eppure non ha funzionato. Fuori coalizione, l acuirsi del profilo controriformista del governo Renzi (tra Jobs Act, Italicum e scuola), aprivano uno spazio largo d iniziativa. Neanche questo, però, ha funzionato. Le percentuali della sinistra dentro e fuori la coalizione sono le minime da sempre. La grandissima parte dello spazio politico tra governo e opposizione è stata saturata da Zaia (e, dal lato della protesta, anche dal M5S, malgrado il suo risultato sia fra i peggiori d Italia). Chi ha convinto Zaia? Un Veneto scosso dalla crisi, che vede segnali di ripresa ma che teme siano illusori, angosciato da cassa integrazione, licenziamenti, fallimenti, mutui, tassi d interesse, crediti ALDO BONOMI Il nazional-populismo di Salvini, il ruolo dei Cinque Stelle. E la coalizione di Landini «Renzi non capisce la società di mezzo» Roberto Ciccarelli P er il sociologo Aldo Bonomi Renzi non capisce la società di mezzo. «Nel Nord-Est parla ai vincenti della globalizzazione - afferma - Riscuote l'empatia degli imprenditori dei distretti che hanno saputo usare la crisi come un'occasione, ma raccoglie l'ostilità di quelli che sono stati travolti dal fallimento delle reti di prossimità o dei distretti monoprodotto. In questi settori il discorso anti-euro e anti-europa funziona perfettamente». In Toscana, o in Umbria, dove il Pd ha rischiato grosso, «cerca di tenere insieme un modello che si è rotto. Per dirla con una battuta geografica, queste elezioni regionali hanno dimostrato che il post-leghismo ha esondato oltre il Po, si è collocato con una posizione nazional-populista sulla linea del Piave e carsicamente attraversa l Italia di mezzo. Fossi in lui sarei molto preoccupato e non indulgerei nella sottocultura dominante per cui conta solo il 41% delle Europee e si passa il tempo a delegittimare le municipalità, le regioni, i territori, tutto ciò che sta in mezzo tra il potere nazionale, il cittadino e l Europa». Renzi dice invece di avere vinto le elezioni: 5-2. È forse vittima di un'autosuggestione? Renzi e i suoi non vedono i processi profondi che alimentano potentemente il leghismo-forzista, quella mistura di nazionalismo e xenofobia razzista che ha portato Salvini ad essere secondo partito in Toscana, ad avanzare in Umbria e Marche, a far vincere Toti in Liguria, a stracciare la Moretti con Zaia in Veneto. Non dicono nulla sull'astensionismo e sulla disaffezione verso la politica che già erano emerse nelle regionali in Emilia Romagna e domenica scorsa sono esplosi. Il campanello d'allarme doveva suonare dopo la scarsa affluenza alle primarie del Pd in Veneto. Non l'hanno sentito. Il Pd deve ricominciare a parlare con quella parte dei distretti produttivi in difficoltà anche dell Italia di Beccattini e di Foà che raccontavano il metalmezzadro alla Merloni di Fabriano che oggi, con la crisi di Whirpool, è in grande difficoltà. Anche l Italia borghigiana, quella sintesi di agricoltura, paesaggio, manutenzione del territorio, forme civiche di partecipazione, è stata un tema i temi della campagna elettorale in Liguria. Il migliore interprete è stato il movimento Cinque Stelle, non Raffaella Paita. Ma allora come sono andate queste elezioni? Per capirlo bisogna fare un'analisi politica fondata sulla composizione sociale e produttiva dei territori. Partendo da tre elementi: l'aumento della povertà assoluta e relativa che produce il rancore degli ultimi; la spaccatura profonda dentro il ciclo produttivo; la tutela del territorio. Sono temi molto concreti che sono stati interpretati anche dal nazional-populismo di Salvini e dal populismo dolce dei grillini, molto poco dal Pd. Renzi ritiene di avere risposto alla povertà dilagante solo con gli 80 euro e con il Tfr in busta paga. E sembra lontano mille miglia dai territori. Non è andato a Genova dopo l'alluvione, ad esempio. Sono elementi che lo hanno penalizzato? Sì. Questo succede quando si destruttura tutto ciò che sta in mezzo: la rappresentanza degli ultimi, dei pensionati, dei senza casa, i sindacati, il commercio o gli artigiani. Questo spazio vuoto lo devi riempire altrimenti qualcun altro SINISTRA L anno zero del Veneto e l ora X di Venezia usurai, mercato del lavoro spietato, concorrenza d impresa feroce, infrastrutture caotiche, stravolgimento del quadro ambientale e sociale nella non gestita «metamorfosi» in atto (per citare il titolo di un utile e recente libro di Daniele Marini, edito da Marsilio). Ma anche stanco da una richiesta inevasa di autonomia, di federalismo, un istanza qui potentemente presente e che la sinistra assume solo quando la Lega cresce ma che viene poi dimenticata non appena la Lega declina (com era accaduto negli anni scorsi, prima del truce ma formidabile ri- «Rottama i corpi intermedi ma non pensa alla rappresentanza delle vittime della crisi. Questo spazio vuoto lo devi riempire altrimenti qualcuno lo fa al posto tuo» lo fa al posto tuo. Il presidente del Consiglio non ha una visione della società di mezzo, La sua parola d'ordine è una sola: rottamare e modernizzare dall alto. Ma si deve porre il problema della ricostruzione, altrimenti rischia di restare sotto le macerie. Questo avviene quando le elezioni riguardano la dimensione intermedia. Le indagini dimostrano che la componente irregolare nell'immigrazione è al minimo storico, mentre imprenditori del rancore xenofobo come Salvini conoscono successi elettorali. Come si spiega questo fenomeno? Le migrazioni sono processi drammatici ma intelligenti. Con la crisi hanno registrato un rallentamento. Purtroppo in Italia non abbiamo una memoria storica di questi processi e dimentichiamo che sono compatibili con la nostra società. L'Europa è indifferente e non Gianfranco Bettin Al ballottaggio del 16 giugno la città lagunare rischia di passare alla destra. Occorre unire il meglio della società civile lancio salviniano). Tutto ciò, nel travaglio del melting pot ribollente che significa soprattutto ignavia e iniquità delle politiche sull immigrazione, che aprono spazi alla predicazione xenofoba e agli imprenditori politici della paura, un tempo i Gentilini e i Bossi oggi i Bitonci e i Salvini. Zaia è la figura sintesi. La sinistra non ha saputo proporre un alternativa perché non ha fornito risposte originali e concrete ma, al più, nell azione di governo a Roma e spesso localmente, suggestioni o rivisitazioni «moderate» delle stesse ricette leghiste e liberiste. Certo, poi ci vuole anche la faccia tosta di Zaia, l abilità a dipingersi come estraneo non solo giudiziariamente ma anche politicamente alla corruzione che ha segnato l amministrazione da lui guidata (o di cui era il vice, con Galan) di cui lo scandalo Mose è solo il più eclatante esempio, così da porsi come l uomo giusto per governare anche un Veneto giunto, dopo scandali e crisi, al suo «anno zero» (per citare un altro fresco libro importante, di Renzo Mazzaro, edito da Laterza). All anno zero del Veneto, e all ora x di Venezia, l ora in cui, il prossimo 14 giugno, al ballottaggio, per la prima volta da vent anni la città rischia di passare in mano alla destra peggiore, la sinistra si presenta inquieta, insicura e divisa. Si è detto della Regione. Nel capoluogo, lo scandalo Mose, con l arresto del sindaco, il commissariamento del Comune e ROMA, MANIFESTAZIONE PER LA CASA adotta l'unica soluzione possibile: creare corridoi umanitari per i profughi. Salvini sfrutta la sindrone dell'invasione e il capro espiatorio. La prima l'abbiamo già vista nel 1991 con la fuga di massa dall'albania. Il secondo funziona da sempre: basta un fatto di cronaca su un Rom venduto sul mercato della politica e scatta la caccia al capro espiatorio. Salvini può essere credibile anche a Roma, e sotto Roma, dove tutt'al più aggrega gruppi neofascisti? Se la sinistra non inizia a porsi il problema dell'emergenza umanitaria della moltitudine, delle periferie, degli ultimi, dei senza casa e lascia tutto in mano al rancore e alla politica della ruspa è chiaro che, prima o poi, gli imprenditori del rancore saranno riconosciuti come i difensori dei ceti sociali in difficoltà anche al Sud. L'Italia è spaccata come una mela: c'è un pezzo tedesco e un altro greco. Al Nord c'è un capitale territoriale simile alla Germania e un Sud che sopravvive con indicatori simili alla Grecia. È un processo consolidato. Se non lo si contrasta, questi elementi sono le tracce dove lavora il nazional-populismo. Quale ruolo potrebbe giocare un'iniziativa come quella della coalizione sociale di Landini? Landini sta affrontando la vera questione: la crisi della società di mezzo. Condivido quando dice di non volere fare un partito politico, lui sta cercando di mettersi in relazione con il mutamento della composizione sociale. In Italia esiste un'enorme domanda di rappresentanza pre-politica. Il suo simbolico rivolgersi a Gino Strada e Don Ciotti è una metafora sociale che invita il sindacato ad occupare uno spazio abbandonato, quello delle povertà e dei lavoratori poveri. Il sindacato deve innovarsi confrontandosi con tutti i problemi del lavoro autonomo e dell innovazione. È un segnale importante che tutto il sindacato non dovrebbe sottovalutare. Così come non dovrebbe farlo Renzi che li guarda dall alto, con una pura logica politica, definendo tutto questo minoranza della minoranza. l esplodere della sua crisi finanziaria (anche per gli effetti perversi del patto di stabilità), ha disarticolato il modello politico e amministrativo sviluppatosi dagli anni Novanta e ha rimescolato le forze, con il prevalere, a sinistra (ma anche a destra), di formazioni civiche che riposizionano l offerta elettorale in termini più aperti e trasversali, a volte personalistici. Anche a Venezia la sinistra ha cercato strade diverse sia dentro una coalizione che la leadership di Casson rendeva più naturale sia all esterno. In entrambi i casi si è raccolto poco. Le proposte sono sembrate più residuali che innovative. Il ballottaggio tra Casson e Brugnaro è anche segnato da questa debolezza della sinistra, oltre che dalle ambiguità e difficoltà del Pd, come in Regione. Se la forza aperta di Casson, oltre che il suo profilo integerrimo, riusciranno a unire il meglio dell esperienza di governo della città e le forze che si sono sempre opposte al sistema corrotto con i movimenti e i percorsi «civici» che puntano a una virtuosa innovazione politica e amministrativa (e a un idea di città all altezza di questo iniziale terzo millennio di Venezia), oltre ad assicurarsi la vittoria creeranno le condizioni per un nuovo spazio politico, in cui la stessa sinistra, in forme inedite, potrà ritrovarsi e riavere forza e respiro. L anno zero del Veneto e l ora x di Venezia coincidono e s intrecciano, infine, con il complesso, agitato momento politico nazionale, di esso risentono ma ad esso, dalla città e dai territori, possono cominciare a rispondere in modo originale. VENEZIA Felice Casson: «Pronto a vincere il ballottaggio» Ernesto Milanesi VENEZIA D ieci anni dopo, è ballottaggio per il sindaco. Di nuovo la prova del fuoco per Felice Casson, che riparte da preferenze rispetto alle di Luigi Brugnaro, alla testa dei neo-berluscones. Nel 2005 aveva dismesso la toga da pm delle inchieste sul Petrolkimico e Gladio: candidato della coalizione «rossoverde», fu bruciato per voti dal filosofo Massimo Cacciari sostenuto solo da Margherita e Udeur. Ma questa volta Venezia sarà chiamata a scegliere fra #Felicittà o alluvione di lobby, tutela dei beni comuni o assalto di vecchi e nuovi cannibali, trasparenza amministrativa o «concessioni uniche». Casson dimostra tranquillità, concentrazione e fiducia. È rientrato dal breve relax in montagna, pronto a rituffarsi nel secondo tempo della campagna elettorale in mezzo al popolo di centrosinistra, e non solo. «Non sono affatto preoccupato. Sono pronto a vincere la sfida del 14 giugno», dichiara prima ancora di studiare nel dettaglio i risultati delle 256 sezioni sparse fra sestrieri, isole e terraferma. E aggiunge: «Zaia si è rivelato un ciclone impressionante, una bella scoppola per il Pd. Il voto delle Regionali ha influenzato anche quello locale, sebbene non fino in fondo. Comunque, il ballottaggio sarà tutta un altra storia». Si riparte, comunque, dal programma e dalle idee-chiave che hanno caratterizzato la candidatura di Casson fin dalle Primarie. E si va a caccia soprattutto di chi ha disertato le urne, degli scettici scottati dalla giunta Orsoni, degli oltre 15 mila elettori del M5S. Intanto, bisogna anche studiare l impresa Brugnaro & C. L avversario è figlio del poeta-sindacalista Ferruccio e di una maestra elementare, ha in tasca una laurea in architettura e cinque figli. Brugnaro è sinonimo di Umana, la holding del lavoro interinale fondata nel 1997, ma anche di Confindustria: è delegato veneto per Expo Ha riportato la Reyer ai vertici del basket, ma giusto un anno fa aveva offerto 513 mila euro per l isola di Poveglia I numeri aiutano a "radiografare" le urne di Venezia. Il re delle preferenze (955) è Simone Venturini delle Civica Brugnaro. La lista di Casson (quasi 20 mila voti pari al 17% con il Pd a ruota) risponde con le 883 preferenze di Nicola Pellicani, il seggio della 29enne Francesca Faccini della coop Controvento di Forte Marghera e di Rocco Fiano, ex rettore del Foscarini. Nelle municipalità finisce 5-1. Con Gianfranco Bettin presidente nella sua Marghera, grazie a voti contro i del candidato di Brugnaro. Il Pd riconquista il Lido, ma per soli 211 voti il centrosinistra perde Favaro. Ma in Veneto è ancor più sconfortante il "day after" della catastrofe di Alessandra Moretti inchiodata sotto il 23% dei consensi. Riflette a voce alta Umberto Curi, emerito di filosofia all Università di Padova con un passato alla Biennale e da direttore dell Istituto Gramsci Veneto: «Questo territorio è l unico in Italia a non essere mai stato governato dalla sinistra. Da nessun altra parte si è assistito ad una tradizione così lunga che parte dalle giunte monocolore democristiane, attraversa il duopolio Dc-Psi con Bernini e De Michelis, si consolida con i tre mandati di Galan e approda infine al trionfo di Zaia. Senza che mai sia apparsa all orizzonte almeno una tenue ipotesi di cambiamento». Di qui l indice puntato sulla classe dirigente del Pd veneto: «Un partito che non ha mai neppure tentato di guardarsi veramente allo specchio o avuto il coraggio di fare i conti con la propria inadeguatezza. Ha puntato a conservare una miserabile rendita di opposizione. E si può scommettere che anche di fronte ad una disfatta totale si troverà il pretesto per non cambiare nulla».

5 MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 il manifesto pagina 5 LO SCHIAFFO DEL SOLDATO 5 STELLE Per qualche ora ha fatto sognare il popolo pentastellato. «Mi aspettavo di arrivare terza, ma mi ha sorpreso il risultato della Lega» «Decisivi per la sconfitta del Pd» Alice Salvatore guiderà una pattuglia di sei grillini nel consiglio regionale ligure. «Subito misure contro il dissesto idrogeologico. Toti dice stop agli immigrati? Dovrebbe dire stop ai profughi, suona molto peggio. Oggi il nostro è un elettore molto più consapevole» LIGURIA Paita voleva vincere e ha perso. Toti voleva perdere bene, gli toccherà governare Come si costruisce una sconfitta Tramonta Burlando, Lella ciao Giampiero Timossi GENOVA G enova. Morte per avvelenamento, questo è il referto. In Liguria la classe dirigente del Pd si è suicidata così. Marginale, anzi inutile, sostenere che quella di Matteo Renzi resta la prima forza politica della regione. Chi governa a Roma, e qui ha governato per 10 anni, è sceso dal 29,88% al 24,22%. Chi era stato eletto 5 anni fa aveva raccolto con la coalizione il 55% dei consensi; più del doppio rispetto al 25 racimolato tre giorni fa da chi è stato sconfitto. Oltre ai numeri per capire cosa è accaduto basta un flash: l inespugnabile Liguria è stata espugnata dall armata Brancaleone guidata dall ultimo attendente di Berlusconi, tal Giovanni Toti. Tutto questo pandemonio non è successo nell Ohio de noantri e non è neppure vero che è tutta colpa di un improvvisa resurrezione della sinistra dei Tafazzi. La Liguria, alla fine, è solo la regione dei traslochi. Dove governerà uno che per adempiere al mandato dovrà traslocare da un altra regione, la Lombardia. Ha battuto una democratica della penultima Leopolda. Una signora che ha traslocato da una fazione all altra del Pd. Ottenendo caparbiamente un unico obiettivo: un inattesa sconfitta. Cartoline del giorno dopo. La più infelice Claudio Montaldo, il vice presidente che ha votato Pd e Pastorino: «Spero che il mio partito impari la lezione e non cerchi solo alibi» Carlo Lania S aranno sei i consiglieri regionali del M5S in Liguria, compresa Alice Salvatore, la 32 enne ricercatrice genovese laureata in Lingue e Letterature straniere che per qualche ora ha fatto sognare il popolo grillino di essere a un passo dalla vittoria ma che comunque, con i suo 22, 29%, porta a casa un ottimo risultato. C'è stato un momento in cui ci ha creduto davvero? A dire la verità no, mi aspettavo di arrivare al terzo posto. Però non mi aspettavo il risultato della Lega e questo mi ha lasciata molto perplessa perché chi ha votato Lega questa volta era mosso soprattutto dalla campagna di Salvini che parlava al basso ventre delle persone. Ma mi preoccupa di più che gli elettori si siano dimenticati che votando Lega votavano Berlusconi. Lei però si aspettava un vittoria del centrosinistra. La temevo. Non che questo risultato sia migliore, ma se non altro è stato sconfitto il Pd di Burlando. Pensa anche lei che Pastorino abbia contribuito alla sconfitta del Pd? Solo in parte. In realtà Pastorino è servito per impedire che il voto dei delusi andasse al M5S. Semmai siamo stati noi determinanti per la sconfitta del Pd. Quale sarà il suo primo atto da consigliere di opposizione? Spingere perché si prendano subito delle misure per contrastare il dissesto idrogeologico, che si cominci a fare la manutenzione dei fiumi e dei terrazzamenti. Ci sono tante soluzioni di ingegneria naturalistica che sono sufficienti per evitare, ad esempio, il fenomeno delle bombe d'acqua. Se le offrissero un assessorato per realizzare questo programma, come è successo in Puglia con la sua collega Antonella Laricchia, accetterebbe? Assolutamente no perché sarebbe un bluff per far vedere che il M5S scende a patti e poi silurare il povero assessore alla prima occasione. Punterete all istituzione di un reddito minimo in Liguria? Certamente e i soldi per finanziarlo si trovano attuando dei veri tagli agli sprechi e ai costi della politica. Ma anche riprendendo quelli destinati ingiustamente alla grandi opere inutili nella Regione: miliardi di euro di denaro pubblico per opere che non vedono mai la luce come la Gronda e il terzo valico. Ma ci batteremo anche per potenziare il servizio di trasporto pubblico anziché tagliarlo e privatizzarlo. Negli anni '70 per andare da Genova a Milano con i rapidi ci voleva un'ora e un quarto, adesso servono praticamente due ore e questo perché non viene fatta la manutenzione dei binari, quindi i treni viaggiano a una velocità ridotta. La prima cosa che Toti ha detto appena eletto è stata: stop agli immigrati. Lei che posizione ha? Quello di Toti è uno slogan demagogico. Che cosa intende con stop agli immigrati? Di cosa parliamo? Di immigrati clandestini, di immigrati regolari, di profughi di guerra? Se parliamo di questi ultimi Toti dovrebbe avere il coraggio di dire stop ai profughi di guerra, frase che suona molto peggio. Siccome è doveroso prestare accoglienza e servizio a chi scappa da situazioni insostenibili, la sola risposta adeguata è dare un'accoglienza commisurata a quelle che sono le nostre forze economiche e anche la nostra densità abitativa. Quindi istituire delle quote per ogni regione in modo da distribuire la responsabilità e gli oneri economici in tutta Italia. Neanche in Liguria il M5S ha intaccato l'astensionismo. Secondo lei perché? Perché stiamo crescendo, come elettorato e come consapevolezza. Adesso quello al M5S è un voto consapevole e di cuore. Sta dicendo che è cambiata la qualità dell'elettore 5 stelle? Ora è meno umorale e più consapevole? C'era anche prima una parte di elettorato consapevole. Il problema è che era più difficile capire cosa fosse il M5S, cosa proponevamo. Adesso le persone ci conoscono di più, anche perché mediaticamente riusciamo a far passare molte più cose del nostro programma. Immagino che si taglierà anche lei lo stipendio come i suoi colleghi parlamentari. Assolutamente sì, abbiamo già firmato l'impegno. Noi al massimo percepiremo euro netti al mese, mentre lo stipendio di un consigliere regionale in Liguria è di circa euro netti. Poi rinunciamo alla buonuscita di 80mila euro che prendono i consiglieri regionali uscenti e a qualunque forma di vitalizio e ci batteremo perché siano aboliti retroattivamente tutti gli altri vitalizi. I soldi risparmiati finiranno in un fondo regionale per le Piccole e medie imprese che creeremo nei prossimi giorni, oppure in quello nazionale che già esiste. è Raffaella Paita, la sconfitta. Il più infelice è Giovanni Toti, il vincitore. Felice di nome fa Rossello di cognome, vive e lavora a Savona, insegna comunicazione per l Università di Genova. E stato tra gli scopritori del suo allievo Fabio Fazio, è stato autore di Quelli che il Calcio e a modo suo ha fatto una piccola rivoluzione in tv. Felice (di nome) la mattina del voto è garrulo. Confida: «Certo che voto per la Paita, perché rappresenta il Pd di Renzi che è uno dei migliori politici dello storia italiana, al pari di Andreotti e Moro. Io voglio vincere per andare al tavolo dei padroni e trattare i diritti dei lavoratori, sono stufo di questa sinistra tafazzi, basta!». Tafazzi, per l infelice Paita, adesso si chiama Luca Pastorino, era il candidato di Rete a Sinistra, l uomo sceso in campo dopo lo strappo ligure di Sergio Cofferati, è uscito dal Pd quando si è candidato, lo ha fatto prima del suo amico, il capocordata Pippo Civati. Pastorino è stato eletto e resta deputato, sindaco del comune di Bogliasco (levante ligure), non entrerà in consiglio regionale, ma ha raccolto il 9,5%. «Grazie al quale i cinici Cofferati-Civati-Pastorino hanno consegnato la Liguria alla destra di Toti e di Salvini», fa sapere nella nottata di domenica Paita, senza dire una parola, ma vergando un comunicato che è un bastimento carico di rancore. No, stavolta «Lella» non twitta più, regala l ultimo cinguettio circa un ora prima della chiusura delle urne. (nome in codice) le augura «buona fortuna». Lei, solerte, risponde «crepi il lupo». Cinque ore più tardi (@mauro parodi3 consegnerà alla rete un tweet definitivo: «Stavolta ha vinto il lupo». Ma, occhio e croce, con tutto questo arsenico in giro, in Liguria schiatterebbe anche il lupo. LELLA PAITA/LAPRESSE GIOVANNI TOTI E, A SINISTRA, ALICE SALVATORE LAPRESSE Il toscano emigrato E finita così: Lella Paita, la candidata dell intramontabile governatore Claudio Burlando, doveva vincere a tutti i costi. E ha preso una batosta storica. Toti ha vinto, ma non voleva vincere. Ci sono un sacco di indizi che possono confermare il retroscena. Voleva perdere, perdere bene, ma perdere, il meglio possibile, rafforzare il suo ruolo di delfino (beluga) di Silvio Berlusconi, fare il consigliere politico, l eurodeputato che è pagato benone e soprattutto lasciare a Milano la sua residenza. Perché lui è un toscano emigrato a Milano, in Liguria ha una casetta per le vacanze, tutto qui. E come eleggere governatore del Veneto un pescatore di Pantelleria. In tutto questo bordello Toti governerà per i prossimi 5 anni, ruolo che non ha mai ricoperto e al quale neppure si è preparato. In campagna elettorale qualche solerte consigliere uscente di Forza Italia gli aveva messo in agenda alcuni incontri con i principali dirigenti regionali. Bene, il neo governatore non si è presentato a nessun appuntamento. Dovrà governare una regione che non conosce. Usando meccanismi che non conosce: il futuro appare radioso. E, ancora, muore per avvelenamento la classe dirigente del Pd ligure e rischia l avvelenamento il Pd di Matteo Renzi. Claudio Montaldo sta raccogliendo le ultime lettere dalla scrivania del suo ufficio. Sulla porta c è la targa assessore alla Sanità e vice presidente della giunta regionale. «L ufficio l ho già svuotato. Mi restavano da portare via solo le lettere di alcuni compagni, le ho tenute qui fino all ultimo, mi facevano una certa compagnia». Montaldo, per gli sconfitti Burlando e Paita, è uno dei traditori, forse il peggiore, forse no. In coda alla campagna elettorale ha buttato nella mischia la Lettera dei Duecento, un appello sottoscritto da numerosi dirigenti del Pd che invitavano al voto disgiunto. O era voto di coscienza, Montaldo? «Diciamo tutte e due le cose: era un invito a votare la lista del Pd, scegliendo però Pastorino e non una candidata scelta con superficialità e arroganza dal partito. Un candidato unitario si poteva trovare, certo, ma non con i metodi imposti da chi per quattro giorni sarà ancora il mio presidente, insomma Burlando». E ora? «Adesso si continua a sbagliare dicendo che la sconfitta è colpa nostra e di Pastorino. Così si invertono le cause con gli effetti. Negli ultimi mesi, ma forse anche di più, il gruppo dirigente locale ha perso alcuni valori fondamentali della sinistra e i nostri militanti non ci hanno più seguito. Per rosicchiare voti al centrodestra si sono imbarcati decadenti uomini del centrodestra, magari chi in Liguria aveva fatto il bello e il cattivo tempo sotto la protezione dell ex ministro Scajola. Poi il capolavoro: siamo partiti con una presunta alleanza dall Udc di Casini a Rifondazione, siamo arrivati soli. Ora? Io vado in pensione, ma spero che il mio partito impari la lezioni e non cerchi solo alibi». Morte per avvelenamento, chi non ha un alibi sta cercando di costruirselo in fretta. Lella Paita riappare lunedì pomeriggio, provata, assai. Non cambia versione: «Ho avuto un anno orribile, con attacchi quotidiani dai giornali di destra e da quelli presunti di sinistra» Il resto? «Pastorino ha fatto un disastro». Il discorso della sconfitta è di elevato spessore politico. Con un acuto tra le righe: un attacco pure al sindaco di Genova, Marco Doria, alleato fedele nell interminabile campagna elettorale: «A Genova gli elettori ci hanno fatto pagare i problemi legali alla sicurezza». La colpa? Del sindaco, ovviamente. Spessore e stile, Lella ciao. Pare di sentir parlare uno dei vincitori, il leghista Salvini. Lui sì, qui è il vero vincitore, insieme all M5S. La Lega ha conquistato il 20,25, il record di consiglieri: 5 eletti, 2 dal listino di Toti. «In una regione dove non abbiamo mai avuto una tradizione storica forte», insinua Salvini in una delle sue mille interpretazioni radiofoniche. Bravo Salvini, conosce come l altro Matteo i segreti della cultura dell oblio. Dimentica che la Liguria era terra della Lega mai di lotta, sempre di governo. Dimentica che questa era la base di Francesco Belsito, il tesoriere di quello scandalo giudiziario che ha spedito fuoristrada il Carroccio di Bossi. «I vecchi compagni sanno ascoltare» Che brutto clima, che brutte facce, come fai a non essere triste. Fulvio Molfino, 65 anni, genovese dalla delegazione di Pontedecimo, insegnante in pensione, già Proletario in Divisa, entrato trentenne nel Pci, mai entrato nel Pd: «Ho votato Pastorino presidente e la lista del Pd, disgiunto. So che a sinistra abbiamo perso, ma mi chiedo anche perché, io almeno lo faccio. Il Pd ha proposto una candidata che non conosceva nessuno, solo perché era la diretta continuazione del governo Burlando. Perché non sono andati a parlare nei circoli, con i compagni e non si sono accontentati di provare a rosicchiare voti alla destra, hanno fatto prima, hanno parlato e coinvolto nei loro giochi di potere uomini di destra. Perché hanno pensato che il vecchio compagno non potesse capire le loro grandi e moderne idee, invece le capirebbe benissimo, se gli venissero spiegate, se fossero grandi e innovative. Perché sono stati arroganti, dimenticando invece che i comunisti sanno prima di tutto ascoltare». L arroganza di far passare per renziana Paita, già bersaniana. Esatto, come un altra sconfitta, più illustre, Alessandra Moretti, castigata in Veneto, ex portavoce di Bersani, passata con il leader Matteo. Il trasformismo non sempre paga. L ultimo capitolo parla del declino definitivo di Burlando, ex sindaco di Genova, ministro con Prodi, dieci anni da governatore. Aveva tessuto una fitta rete di rapporti politici con un altro ex potente della Liguria, Scajola, già deus ex machina di Forza Italia. E buoni rapporti Burlando ha conservato anche con Claudio Biasotti, onorevole, venditore di auto di lusso, pronto a votare con Fitto per poi tornare tra le braccia di babbo Silvio. Ora Biasotti si sente l artefice della vittoria di Toti. Magari lo è, ma capite con chi ha perso questa sinistra? Un ultimo dubbio non tramonta mai: la colpa sarà mica di Burlando e della classe politica che ha allevato senza ammettere discussioni? Un vero disastro, ex governatore Claudio.

6 pagina 6 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 NON È UN GIOCO Gina Musso I l colpo di scena arriva quando il sistema di potere che controlla la Fifa da 17 anni da tanto durava il regno di Sepp Blatter - sembrava aver assorbito anche l'ultimo terremoto, a pochi giorni dalla spettacolare retata di alti esponenti dell'organismo che governa il calcio mondiale, con la rielezione a presidente dell'immarcescibile dirigente elvetico. Ma una delle ultime scosse di assestamento deve essere stata fatale al 79enne padrino del football globale, che ieri ha convocato una conferenza stampa a Zurigo per annunciare le sue dimissioni. A quattro giorni dalla quinta rielezione, le condizioni devono essere sembrate proibitive anche a una "pellaccia" come lui. Da un lato la freddezza ostile con cui molte federazioni avevano accolto la riconferma; dall altro il progresso delle indagini parallele in corso negli Stati uniti e in Svizzera; poi lo sconcerto che iniziava a serpeggiare tra i potenti sponsor coinvolti nei traffici Fifa; e da ultimo l affondo del New York Times che tira in ballo l alleato più fidato di Blatter, il segretario generale Jérôme Valcke, per una maxi-tangente da 10 milioni di dollari che nel 2008 il Sudafrica avrebbe versato per assicurarsi l'assegnazione dei Mondiali Il governo sudafricano ha smentito non tanto il passaggio di denaro quanto la definizione di tangente, perché i soldi erano un contributo allo sviluppo del calcio nell'area caraibica, a sostegno della diaspora africana. Oltretutto i 10 milioni, secondo la ricostruzione degli inquirenti Usa, in Sudafrica non li hanno neanche visti. La Fifa, su richiesta della Federazione di Pretoria, doveva stornarli dai 423 milioni destinati all'organizzazione del Mondiale sudafricano e girarli al progetto Diaspora Legacy della Concacaf, la Federazione per il Centroamerica, il Nordamerica e appunto i Caraibi, i cui membri avevano votato a favore del Sudafrica. Ma i soldi sono ricomparsi in parte nei conti personali del presidente Concacaf di allora, Jack Warner, uno degli arrestati, e del segretario generale Chuck Blazer, detto Mister 10%, personaggio chiave dell'inchiesta statunitense perché da un paio d'anni sta aiutando l'fbi a ricostruire venti anni di corruttele con al centro i diritti e le sponsorizzazioni gestite dalla Fifa. L operazione venne autorizzata da Julio Grondona, all epoca capo 7 DIRIGENTI ARRESTATI Il 27 maggio, alla vigilia del congresso a Zurigo, la polizia svizzera ha arrestato su mandato dell Fbi americana 7 alti dirigenti membri Fifa Blatter si dimette ma resta in partita Assediato da più lati, screditato dall inchiesta statunitense sulla corruzione dei suoi uomini, affondato dalle ultime rivelazioni del Nyt. Il quinto mandato dell uomo che per 17 anni ha governato il calcio mondiale dura appena quattro giorni del comitato finanziario Fifa. Grondona è morto lo scorso anno, ma l rivelata dal NYT prova che Valcke era perfettamente al corrente del passaggio di denaro sospetto. E se lui sapeva, il suo capo poteva non sapere? Sia come sia, anche nel frangente della sua uscita di scena Blatter si conferma personaggio spregiudicato, autocratico e volitivo. Le dimissioni le rassegna, ma di farsi da parte non ci pensa proprio. Per eleggere il successore è necessario il voto del congresso Fifa e il prossimo è fissato per il 13 maggio 2016 a Città del Messico. Blatter nella sua magnanimità non vuole restare in carica un altro anno. Chiederà dunque la convocazione un congresso 10 MILIONI DI DOLLARI La «tangente» che la federcalcio del Sudafrica avrebbe pagato per ottenere l assegnazione dei mondiali 2010 Joseph S. Blatter H o riflettuto profondamente sulla mia presidenza e sui quaranta anni in cui la mia vita è stata indissolubilmente legata alla Fifa e al grande sport del calcio. Amo la Fifa più di ogni altra cosa e voglio fare solo ciò che è meglio per la Fifa e per il calcio. Mi sono sentito obbligato a difendere la mia rielezione, perché ho creduto che quella era la cosa migliore per l associazione. Quella elezione è passata ma le sfide per la Fifa non lo sono. L associazione ha bisogno di profondi cambiamenti. E se ho avuto il mandato dai membri della Fifa, non mi sento di averlo avuto da tutto il mondo del calcio - i tifosi, i giocatori, i club, le persone che vivono, respirano e amano il calcio tanto quanto tutti noi alla Fifa. Per questo, ho deciso di terminare il mio mandato al prossimo congresso straordinario. Continuerò a esercitare le mie funzioni fino ad allora. Il prossimo congresso è previsto il 13 maggio 2016 a Città del Messico. Ma è inutile creare ritardi, ho invitato il Comitato Esecutivo a indire un assise straordinaria per eleggere il mio successore. Dovrà essere convocata secondo le regole e lo statuto della Fifa, e dobbiamo lasciare il tempo ai migliori candidati per presentarsi e per fare la propria campagna. Dal momento che non sarò più candidato, e JOSEPH S. BLATTER /FOTO LAPRESSE-REUTERS straordinario, ma «secondo le regole e lo statuto della Fifa», in modo da «lasciare il tempo ai migliori candidati per presentarsi e per fare la propria campagna». Nel frattempo, non essendo egli candidato ad alcuna carica, «libero dai vincoli che le elezioni inevitabilmente impongono» si prende la briga di riformare il sistema calcio e i meccanismi che lo governano, mettendo mano ai criteri elettivi del comitato esecutivo della Fifa, centralizzando i controlli sull'integrità etica e morale dei suoi membri, introducendo un tetto al numero dei mandati per tutti, a cominciare dal presidente. Tanto non sarà più lui. Blatter lascia e svanisce (si fa per dire) in una nuvola di amore e odio. Persino il New York Times gli riconosce l impegno per lo sviluppo del calcio nel «terzo mondo» e non è un caso se l ex calciatore Kalusha Bwalya, oggi a capo della federazione zambiana, si definisca «choccato» dalle dimissioni improvvise e ricordi come Blatter si sia sempre speso per l Africa: «Ma anche in Inghilterra e in Germania hanno beneficiato della sua opera - ha sibilato - e Platini è stato antisportivo nel chiedergli per tre volte di farsi da parte». Il principe Ali bin al Hussein, fratello del re di Giordania, nelle elezioni di venerdì scorso si era fatto da parte dopo la prima tornata di voti, persa 133 a 73. È sicuro che ci riproverà, mettendo a frutto la rete di consensi costruita nelle ultime settimane. Stavolta però si troverà di fronte Luis Figo, ex fuoriclasse di Real Madrid e Inter, che ieri ha esultato per «l inizio di una nuova era» ma allo stesso tempo ha invitato alla calma. Con Blatter (ancora) di mezzo, non si sa mai. IL DOCUMENTO Dopo quarant anni il dirigente svizzero lascia la Fifa. Il suo successore entro l anno «Prima di andarmene, farò le riforme necessarie» Ora sono libero di fare quei cambiamenti che non sono riuscito a fare da presidente sono dunque più libero dai vincoli che le elezioni inevitabilmente impongono, sarò in grado di concentrarmi nella messa a punto di quelle riforme fondamentali che hanno trasceso i nostri sforzi del passato. Per anni abbiamo lavorato sodo per mettere in atto le riforme, ma per me è chiaro che mentre queste devono continuare, non sono sufficienti. Il Comitato Esecutivo comprende rappresentanti delle confederazioni sui quali non abbiamo il controllo ma per le cui azioni la Fifa è ritenuta responsabile. Abbiamo bisogno di un cambiamento strutturale profondo. Il Comitato Esecutivo deve essere ristretto e i suoi membri dovrebbero essere eletti direttamente al Congresso Fifa. I controlli sull'integrità di tutti i membri del Comitato Esecutivo devono essere organizzati centralmente attraverso la Fifa e non più attraverso le varie confederazioni. Abbiamo bisogno di mettere un tetto al numero di mandati non solo per il presidente ma per tutti i membri del Comitato Esecutivo. Ho combattuto per questi cambiamenti prima e, come tutti sanno, i miei sforzi sono stati bloccati. Questa volta ci riuscirò. Ma non posso farlo da solo. Ho chiesto a Domenico Scala di monitorare l'introduzione e l attuazione di queste e di altre misure. Il signor Scala è il presidente indipendente del nostro Audit e Organismo di Vigilanza interno eletto dal Congresso Fifa. Egli è anche il presidente del comitato ad hoc elettorale e, in quanto tale, sovrintenderà l elezione del mio successore. Il signor Scala gode della fiducia di una vasta gamma di componenti all'interno e all esterno della Fifa e ha tutte le conoscenze e l esperienza necessarie per aiutare l associazione ad affrontare queste grandi riforme. È il mio profondo rispetto per la Fifa e per i suoi interessi, che tengo molto cari, che mi ha portato a prendere questa decisione. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno sempre sostenuto in modo costruttivo e leale come presidente e che hanno fatto tanto per il gioco che noi tutti amiamo. La cosa più importante per me è che quando tutto questo sarà finito, il calcio sia il vincitore. (traduzione di Matteo Bartocci) ANP Rajoub ha rinunciato a chiedere la sospensione di Israele. Espulso da Amman Intifada del calcio, è scontro sul rappresentante palestinese che al congresso tifava per Sepp Michele Giorgio GERUSALEMME N on è stato un ritorno a casa da trionfatore per Jibril Rajoub (nella foto). In Cisgiordania, e non solo, il malumore (a dir poco) è forte per la decisione presa la scorsa settimana dal presidente della Federcalcio palestinese all assemblea della Fifa a Zurigo. Rajoub ha ritirato all improvviso la richiesta di sospensione di Israele, accusato di ostacolare in vari modi le attività del calcio palestinese, e ha invece accettato un compromesso con il suo omologo israeliano Ofer Eini. Un passo indietro giunto dopo mesi di dichiarazioni durissime di Rajoub contro Israele e di proclami improntati al massimo della fermezza. Ne esce danneggiata l immagine dell Autorità nazionale palestinese (Anp) e anche di Fatah, il partito di cui Rajoub è uno dei massimi dirigenti. E in queste ore il presidente della Federcalcio palestinese deve fare i conti anche con la rabbia della Giordania. Lunedì al suo arrivo all aeroporto Queen Alia di Amman, Rajoub è stato dichiarato «persona non grata» dalle autorità giordane che hanno impedito il suo ingresso nel Paese. Soltanto dopo una lunga trattativa è stato autorizzato a prendere un taxi e a raggiungere il valico Re Hussein, da dove è entrato in Cisgiordania. Ai giordani non importa molto della decisione di Rajoub di ritirare la richiesta di sospensione della Federazione calcio israeliana. Piuttosto sono furiosi per l atteggiamento tenuto dal dirigente palestinese durante e dopo le votazioni per l elezione del presidente della Fifa, che hanno visto la riconferma del contestatissimo Sepp Blatter a danno del suo principale rivale, il principe Ali di Giordania. Rajoub è stato ripreso dalle telecamere palesemente soddisfatto dopo la vittoria di Blatter al quale ha stretto calorosamente la mano per lo sgomento di tanti giordani che hanno riversato il loro disappunto sui social. Così come non hanno mancato poi di festeggiare quando si è diffusa la notizia del blocco di Rajoub all aeroporto di Amman. Il Fplp: «Schiaffo e tradimento» Rajoub, visibilmente scosso, ha cercato di fare chiarezza durante la conferenza stampa che ha tenuto a Gerico. Ha negato di aver votato per Blatter e contro il principe Ali. Ha spiegato che il compromesso raggiunto con Israele è volto a risolvere i problemi che devono affrontare calciatori e sportivi palestinesi a causa dell occupazione israeliana. Ma le sue rassicurazioni non hanno convinto. E se il presidente Abu Mazen resta in silenzio, lasciando che critiche e proteste distruggano solo Rajoub per una decisione che, senza alcun dubbio, è stata presa ai vertici dell Anp, varie forze politiche alzano la voce. Per il Fronte popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), principale espressione della sinistra palestinese, il ritiro improvviso della richiesta di sospensione di Israele dalla Fifa, è «Uno schiaffo allo sport palestinese, un atto di tradimento», sia verso il popolo palestinese che verso i movimenti di solidarietà internazionali che anni denunciano le violazioni israeliane in campo sportivo nei confronti degli atleti palestinesi. Per il Fplp la retromarcia di Jibril Rajoub sarebbe una spia dell atteggiamento passivo dell Anp che preoccupa in vista della (possibile) presentazione alla Corte Penale Internazionale di una richiesta palestinese di incriminazione di Israele per la colonizzazione e l offensiva militare del 2014 a Gaza. Governo e federcalcio di Israele al contrario celebrano lo scampato pericolo e accusano i vertici palestinesi della campagna volta a delegittimare lo Stato ebraico che si starebbe però rivelando fallimentare. Sui media israeliani la Football War e il passo indietro di Rajoub hanno trovato larghissimo spazio. Per non pochi giornali Israele, nei giorni procedenti all assemblea della Fifa a Zurigo, aveva svolto un intenso lavoro diplomatico per convincere le altre federazioni ad opporsi alla proposta palestinese. Rajoub, aggiungono, quando si è reso conto che la sospensione di Israele non sarebbe passata, ha scelto la via del compromesso. Ma nei Territori occupati la popolazione palestinese avrebbe preferito una sconfitta onorevole a una rinuncia che giudica umiliante.

7 MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 il manifesto pagina 7 INTERNAZIONALE GRECIA L annuncio di Tsipras: «Le difficoltà non sono tecniche, bensì solo politiche» «Il piano di riforme è pronto» JALALABAD, UNO DEI TANTI ATTACCHI TALEBANI DI IERI FOTO LAPRESSE/XINHUA Dimitri Deliolanes I l piano di riforme del governo greco è pronto ed è stato consegnato ieri alle istituzioni europee. Lo ha annunciato Tsipras, aggiungendo che Atene non attende un piano alternativo da parte dell ex troika, magari sotto la forma di un ultimatum, come sostenevano alcuni giornali tedeschi. Il senso delle dichiarazioni del premier è evidente: Atene ha esaurito lo spazio di manovra per ottenere un compromesso onorevole. Un ulteriore passo indietro rispetto al programma di Syriza significherebbe la sua negazione e renderebbe Il premier: «I greci vedono le differenze tra il governo attuale e i precedenti. E tutti ne sono orgogliosi» inutile la stessa presenza di Tsipras a capo del governo. «Siamo di fronte al dilemma tra una prospettiva realistica di uscita dalla crisi oppure una divisione dell Europa in una logica di divide et impera che non porterà ad alcun risultato positivo per i popoli europei». Il leader di Syriza ha anche rivendicato la sua strategia di negoziare a oltranza con le istituzioni europee, nella convinzione che sia possibile ribaltare l attuale egemonia tedesca e liberista: «Tutti i greci vedono le differenze tra il governo attuale e quelli precedenti. E tutti ne sono orgogliosi». Sono affermazioni in piena linea con quanto il premier greco ha scritto nel lungo articolo pubblicato domenica su Le Monde: il problema greco è un problema europeo e dal modo in cui sarà affrontato dipenderà anche il futuro camino dell Ue: «C è una strategia che punta alla divisione dell eurozona e dell Ue - ha scritto Tsipras - Il primo passo è la creazione di un eurozona a due velocità, dove il nucleo forte imporrà dure condizioni di austerità e arriverà alla nomina di un super ministro delle Finanze con poteri illimitati, in grado cioè di respingere le leggi di bilancio di paesi sovrani che non si allineano ai dogmi del neoliberismo più estremo. Per i paesi che si rifiutano di sottomettersi a questo nuovo potere è prevista una severa punizione: austerità imposta, limiti nella circolazione di capitali, provvedimenti disciplinari, sanzioni, perfino una moneta parallela. Così si pensa di edificare il nuovo potere europeo, la prima vittima del quale sarà la Grecia, paese che, nelle intenzioni di alcuni, costituisce un occasione d oro per far vedere il destino che attende tutti i sospetti di indisciplina». KENYA A soli 15 km da una base militare Al Shabab conquista un villaggio nel nord I l gruppo islamista di Al-Shabab, affiliato ad al Qaeda, sarebbe entrato in un villaggio nel nord est del Kenya. Il villaggio di Warankara si trova a soli 15 chilometri da una base militare. Si tratta della seconda azione che il gruppo originario della Somalia svolge in Kenya. Questo testimonierebbe l ambizione del gruppo che - secondo gli osservatori locali - sembra essere di voler portare la guerra anche in Kenya. Il mese scorso al Shabab ha invaso la città Yumbis, anch essa nel nord-est, prima di ritirarsi senza combattere. I residenti di Warankara, il villaggio che ha visto l ultima azione di al Shabab (sono state chiuse le scuole e gli uffici pubblici) parlando in condizione di anonimato per paura di rappresaglie, hanno detto ai giornalisti della Bbc che i militanti hanno pattugliato per tutto il giorno il villaggio. Ad aprile gli islamisti affiliati ad al-qaeda avevano assaltato Garissa, uccidendo 148 persone Ancora una volta, Tsipras si è rifiutato di considerare il problema della Grecia come una «variabile impazzita» della strategia con cui l Europa ha affrontato il problema del debito, sottolineando invece la dimensione alternativa della sua politica, valida per tutti i paesi indebitati. I contenuti del piano greco non sono noti, ma non dovrebbero essere lontani da quanto ha più volte reso noto Varoufakis. In pratica, un importante intervento nel sistema fiscale, ma solo misure ponderate nel sistema pensionistico. Il ministro del Lavoro Panos Skourletis ha ipotizzato che, nel caso in cui il piano greco sia rifiutato e le isituzioni insistano su misure oltre il programma di Syriza, allora queste ultime dovrebbero essere poste al giudizio popolare. Lo stesso ha ripetuto il presidente dei deputati del partito di maggioranza Nikos Filis. Lo stesso Filis peraltro è stato, a sorpresa, uno dei 44 firmatari del gruppo parlamentare di Syriza che avevano chiesto di non nominare l economista Elena Panaritis come rappresentante greco al Fmi. Panaritis era stata scelta da Varoufakis, che in un primo tempo l aveva anche inclusa nel gruppo dei negoziatori con l ex troika. Ma la scelta dell ex deputata socialista ed ex dirigente della Banca Mondiale ha provocato accese reazioni dentro il governo e in Syriza. Alla fine è stata la stessa Panaritis a Stando alle testminoianze, «la gente era spaventata, ma gli uomini armati non hanno fatto del male a nessuno». I politici locali hanno esplicitamente chiesto al governo di adottare misure urgenti per risolvere la situazione. Stando a quanto trapelato dal villaggio, infatti, le forze di sicurezza nazionali non sarebbero intervenute per fermare e cacciare i militanti islamisti. Warankara si trova nella contea di Mandera in Kenya, ed è situata a pochi chilometri dal campo militare di Dambas, una cittadina che sorge al confine con la Somalia. Nel mese di aprile, i militanti di al-shabab avevano già lanciato un assalto a una università nella città nord-orientale di Garissa, uccidendo 148 persone in quello che ad oggi è stato l attacco più violento e sanguinoso del gruppo. Il gruppo islamista ha intensificato i propri attacchi in Kenya dopo aver importanti città e paesi precedentemente conquistati, a seguito degli scontri con le forze dell Unione africana (UA) che includono anche truppe keniane. NELLA FOTO ALEXIS TSIPRAS DURANTE IL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 2 GIUGNO AD ATENE /LAPRESSE togliere d imbarazzo il governo annunciando che non avrebbe accettato la nomina. Ma è nel fronte della negoziazione che tutti si attendono qualche risultato concreto, man mano che si avvicina la scadenza di venerdì con il versamento della prima tranche di 330 milioni (sui complesivi 9,2 miliardi entro la fine del mese) per il Fmi. Tsipras ha puntato tutto sul piano politico, con contatti direttti con Merkel, Hollande e Juncker, per sottolineare il carattere politico e non tecnico della trattativa. Nel vertice a cinque (Merkel, Hollande, Juncker, Draghi e Lagarde) che si è tenuto la notte tra lunedì e martedì, l appello greco ha provocato discussioni accese. La leadership politica dell eurozona sembra aver compreso che quello di Atene non è un bluff e che è pronta a difendere la sua autonomia finanziaria a qualsiasi costo, anche sospendendo i pagamenti del debito. Ma ci sono forti resistenze dalla parte dei «tecnocrati» (tra i quali va annoverata anche la Lagarde) che insistono a non deviare dalla linea seguita finora agitando il pericolo di «atti di indisciplina» da parte dei francesi e degli italiani. Si conferma così l argomento principe del governo di Atene. Le difficoltà non sono «tecniche», è in gioco tutta la politica economica seguita finora. Una questione squisitamente politica. Egitto/ ATTIVISTA COMUNISTA EL-MASSRY CONDANNATA A 15 MESI Rilasciato Mohammed Sultan perché rinuncia alla cittadinanza TALIBAN Attaccata sede di una ong ceca a Balkh, 11 vittime Un commando armato nella notte tra lunedì e martedì ha attaccato la sede di una ong della Repubblica ceca nella provincia settentrionale afghana di Balkh, uccidendo due guardie della sicurezza e nove operatori locali. Lo ha riferito Tolo Tv. Ahmad Muneer Farhad, portavoce del governo provinciale, ha precisato che gli sconosciuti sono penetrati sparando intorno alle 2 nel compound della ong «People in Need» (Pin) situato nel distretto di Zare. Secondo il portale di notizie Khaama Press i dipendenti di Pin sarebbero stati sgozzati. «Prima - ha detto il portavoce del governo provinciale - i militanti hanno eliminato le due guardie della sicurezza e poi hanno ucciso nove dipendenti della ong, fra cui una donna». Quest ultima notizia è stata successivamente smentita. Testimoni e fonti locali hanno indicato che Pin è una organizzazione di solidarietà che si occupa dal 2001 di fornire sementi agli agricoltori, accompagnandoli nelle iniziative volte al miglioramento della produzione. Oltre a quello agricolo la ong ha anche programmi riguardanti istruzione e sviluppo sociale. Ross Hollister, direttore per l'afghanistan di People in Need, ha affermato che tra le vittime non ci sono donne, come è stato poi confermato anche dal portavoce della polizia della provincia di Balkh. L attentato non è stato rivendicato, ma è presumibilmente opera dei talebani che nelle settimane scorse hanno lanciato «l offensiva di primavera». Il distretto montano di Zari, dove la ong ceca è attiva da più di dieci anni, è una zona estremamente pericolosa, perché in prossimità di una zona delicata, ovvero il confine che il distretto condivide con la provincia di Sari-i-Pul, dove i talebani controllano vaste aree e dove sono frequenti gli attacchi lanciati dai militanti contro l'esercito regolare. Giuseppe Acconcia L a cittadinanza egiziana in cambio della vita: è questa la sorte incredibile che è toccata all attivista 26enne, Mohammed Sultan. Ormai dato per spacciato dopo una maratona senza precedenti (il giovane è sopravvissuto ad oltre quattrocento giorni di sciopero della fame in carcere), Sultan ha scelto di continuare a vivere. Il giovane è stato rilasciato lo scorso sabato ed immediatamente espulso dall'egitto. Sultan avrebbe rinunciato al passaporto egiziano in cambio dell espulsione negli Stati uniti, paese di cui detiene la cittadinanza, dove è arrivato ieri. Qui verrà sottoposto ad una serie di cure mediche. Sultan era stato arrestato nella retata contro la Fratellanza musulmana seguente al massacro di Rabaa al-adaweya dell agosto 2013 ma si era sempre rifiutato di ammettere la sua affiliazione al movimento. Quando le sue condizioni di salute si sono deteriorate ha lanciato un appello al presidente degli Stati uniti Barack Obama affinché facesse pressioni per la sua liberazione. Le sue immagini in barella e privo di conoscenza avevano fatto il giro del mondo. Una sorte simile era toccata al giornalista di al-jazeera Peter Greste, liberato e immediatamente espulso in Australia, dopo mesi di carcere. Resta in prigione invece l attivista comunista Mahiennour el-massry (nella foto reuters), condannata a quindici mesi di reclusione insieme ai compagni Youssef Shaban e Loay Mohammed per aver attaccato una stazione di polizia ad Alessandria d Egitto durante la presidenza di Mohammed Morsi ( ). L avvocato ed esponente dei Socialisti rivoluzionari è stata trasferita nel carcere di Damanshour dopo il suo arresto. Piccoli assembramenti e flash-mob contro la sentenza definitiva (la Cassazione potrebbe esprimersi a condanna già scontata) si sono svolti al Cairo ed Alessandria. Mahiennour, insignita in Italia di un prestigioso premio per il suo impegno nella difesa dei diritti umani, aveva scontato già una pena di sei mesi per aver violato la legge anti-proteste lo scorso anno. Infine, è atteso per oggi in Germania il presidente Abdel Fattah al-sisi per una visita ufficiale dopo mesi in cui le autorità tedesche, a differenza di Italia e Francia, non hanno avuto contatti con il regime golpista egiziano. Prima della sua partenza, nel quadro del tentativo di rimettere a nuovo il centro storico del Cairo, è stato demolito il simbolo del Partito nazionale democratico, la sede che si affacciava su piazza Tahrir. L edificio era stato dato alle fiamme negli scontri di piazza delle rivolte del AFGHANISTAN/ITALIA Quel che nasconde il «generale» Renzi Giuliano Battiston * U n «sacrificio» ulteriore. Un altro sforzo. «Qualche mese in più». Arrivato a sorpresa a Camp Arena, la base militare italiana a Herat, nell Afghanistan occidentale, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha reso ufficiale quel che tutti già sapevano: i soldati italiani prolungheranno la loro permanenza nel paese centro-asiatico. L annuncio è arrivato alla vigilia della festa della Repubblica, che Matteo Renzi ha voluto festeggiare ribadendo il militarismo atlantista dell Italia. Il perché i soldati italiani dovranno restare più a lungo del previsto lo ha spiegato proprio Renzi: per subalternità alle richieste dell alleato americano. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama già alcuni mesi fa aveva ripensato la strategia americana in Afghanistan, posticipando il ritiro degli ultimi soldati a stelle e strisce. E Renzi, atlantista doc, ha tirato le conseguenze. Senza neanche passare per il Parlamento. Renzi ha tenuto un discorso retorico, prevedibile, tutto centrato sull eroismo dei soldati italiani, sul loro contributo alla pacificazione del paese, sui grandi risultati ottenuti dal governo afghano negli ultimi anni, sul ruolo giocato dalla comunità internazionale nella stabilizzazione. Ha poi ringraziato i 500 alpini della brigata Julia, chiedendo loro uno sforzo ulteriore per garantire il successo della transizione, per non disperdere i grandi risultati ottenuti in questi anni. Peccato che i grandi risultati li veda solo lui. L Afghanistan di oggi è tutt altro che un paese pacificato, molto lontana dalla democrazia, dalla libertà e dalla pace. Non basterà avere pazienza, come Renzi ha suggerito agli alpini. Perché la strada per la stabilità è ancora lunga. Il governo di Ashraf Ghani, il presidente afghano che ha accompagnato Renzi a Herat, è fragile, paralizzato dall antagonismo tra il presidente Ghani e il quasi «primo ministro» Abdullah Abdullah. Le forze di sicurezza locali faticano a tenere a bada i movimenti anti-governativi, che hanno lanciato un offensiva militare di primavera con un coordinamento strategico mai visto finora; l economia rimane del tutto dipendente dagli aiuti internazionali; nelle cancellerie occidentali di Kabul si respira una brutta aria: quella di chi sa che la partita è ormai persa, e che insistere sullo stesso gioco non può che condurre a danni ulteriori. E invece Renzi insiste. Insiste sulla strada percorsa finora. Sembra ritenere che il contributo che l Italia può dare all Afghanistan passi soltanto per l aiuto militare. Senza accorgersi dei segnali che arrivano da Ashraf Ghani. Che nei colloqui privati ha enfatizzato al contrario l importanza del settore civile, «degli ingegneri e dei giuristi». E scordandosi perfino dell impegno assunto formalmente da Mario Monti, che quando era presidente del Consiglio, ospitando l ex presidente afghano a Roma, aveva annunciato un cambio di strategia: più impegno civile, meno militare. Renzi contraddice gli impegni assunti da Monti. E perde l occasione per rottamare un idea della politica estera ormai antiquata: quella che lega realismo e militarismo, e che rende la politica estera subalterna a quella della difesa. A Herat il presidente del Consiglio si è presentato con giubbotto militare, scarpe sportive e pantaloni comodi. Ha scimmiottato i militari, provando a fare la voce grossa. Avrebbe fatto meglio a restare in ambiti civili. Sarebbe stato l occasione per un cambio di rotta in politica estera che l Italia attende da tempo. L occasione per rispondere a una domanda che gli italiani si pongono da tempo: a che è servito il prolungato impegno italiano in Afghanistan? * (di ritorno da Kabul)

8 pagina 8 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 INTERVISTA Dario Pignotti BRASILIA N onostante le pressioni delle destre economiche, mediatiche e di partito, arrivate al punto di cercare l impeachment, la presidente del Brasile Dilma Rousseff manterrà in vigore l attuale legislazione petrolifera promulgata nel 2010 e conosciuta come di partecipazione, con la statale Petrobras come principale impresa di sfruttamento dei mega-giacimenti tanto appetiti dalle compagnie nordamericane. Cinque mesi dopo l inizio del suo secondo mandato, il quarto consecutivo del Partido dos trabalhadores (Pt), in questa intervista Dilma scarta il ritorno al regime petrolifero neoliberale di concessione istituito negli anno 90 dal governo di Fernando Henrique Cardoso, oggi leader dell opposizione. Dal 27 ottobre del 2014, un giorno dopo essere stata eletta per il secondo mandato, Rousseff affronta pressioni per derogare al regime di partecipazione e annullare la norma che impone a Petrobras di comprare piattaforme, petroliere ed equipaggiamenti fabbricati in Brasile. E possibile che i partecipanti al complotto per sconfiggere Dilma e spianare il cammino a una privatizzazione bianca di Petrobras abbiano influenza sul giudice di provincia a capo del processo per corruzione conosciuto come petrolão, per il quale sono stati arrestati alcuni ex manager dell impresa petrolifera e di società costruttrici, oltre ad alcuni politici. Presidente, si può dire che il rischio che il Brasile torni al modello di concessioni sia zero? «Credo che il rischio non sia zero. Ma dico che finché sono presidente, la possibilità che si torni alle concessioni è "meno mille". Il modello di partecipazione si basa sulle migliori pratiche internazionali, in ogni paese di cui si sa che c è petrolio abbondante e di buona qualità, come in Norvegia, vige questo modello. E in Brasile sappiamo che c è molto petrolio nel "pre-sal" (giacimenti in acque molto profonde ma situati sopra sedimenti salini spessi centinaia o anche migliaia di metri, ndt). Chi suppone che questo modello di partecipazione sia ideologico, argomento citato dall opposizione, si sbaglia. Il modello di partecipazione è la miglior maniera di difendere gli interessi economici della popolazione di questo paese, che è la proprietaria di queste ricchezze naturali, particolarmente del petrolio che con questa legge è dello stato. Invece nel modello di concessione degli anni 90 il padrone del petrolio è chi lo scopre, e se lo scopre una compagnia privata, ne diventa titolare». *** «Non un passo indietro» Sta annottando a Brasilia. Conclusa una riunione con il suo consigliere capo, Luiz Inacio Lula da Silva, la presidente ci invita a passeggiare nel salone dalle ampie vetrate di Palazzo Alvorada, progettato dall architetto comunista Oscar Niemeyer, da dove si vede una piscina d acqua tanto quieta da sembrare vetro celeste. «Non posso farmi il bagno quasi mai, troppo da fare», dice Rousseff commentando un fine settimana relativamente calmo, se si prendono come barometro i tremori degli ultimi mesi, nei quali il gruppo mediatico privato Globo ha messo tutta la sua capacità di persuasione a favore dell impeachment, avendo come alleato il senatore socialdemocratico Aécio Neves, candidato sconfitto alle presidenziali dello scorso anno. La congiura è cresciuta fino allo scorso aprile, con due manifestazioni di centinaia di migliaia di persone, ma da allora gli oppositori hanno cominciato a dividersi. Neves aveva pronisticato una tempesta perfetta, che avrebbe fatto maturare la destituzione di una presidente odiata dalla destra e discussa da sindacati innervositi da aggiustamenti di bilancio di taglio neoliberale. Per ora i presagi di Neves, sempre assecondato dall ex progressista Cardoso, non si sono compiuti. «La minaccia di impeachment non mi fa paura, io posso rispondere dei miei atti, ho ben chiaro quali sono», dice Dilma. BRASILIA Lei è stata tre anni in carcere durante la dittatura: qual è il suo bilancio di quel periodo? Ne ho parlato molto con il presidente dell Uruguay, Pepe Mujica, un altro ex prigioniero politico. Non siamo pentiti di niente, ma è chiaro che è necessario capire quali erano le circostanze politiche di quegli anni (fine anni 60, inizio dei 70), circostanze che ci hanno portato ad agire come abbiamo fatto, cioè la lotta armata. Quella situazione oggi non esiste più, questa è la prima cosa. La seconda è che ciascuno cambia, anche se non cambia lato. Anni dopo si vedono gli errori, ci sono cose che sono frutto della gioventù ma oggi non vado a mettermi contro ciò che sono stata. E non ho mai dimenticato cosa mi è successo, la mia vita ne è stata marcata senza alcun dubbio. Una volta ho testimoniato davanti al Congresso e qualcuno, un senatore di destra, mi ha accusata di aver mentito durante le sessioni di tortura. E meno male che l ho fatto: dire la verità sotto tortura significava consegnare i propri compagni, i propri amici. Non critico quanti sotto tortura hanno parlato, ci dicevano se parli smetto di torturarti e questo scatena una lotta interna, ciascuno cerca di resistere, cerca forza dentro di sé e per riuscirci bisogna avere delle convinzioni. Io non dico che chi ha resistito è un eroe, nessuno è un eroe. In quei giorni per resistere ingannavo me stessa, mi dicevo «adesso tornano» per essere pronta. E alla fine tornavano, mi legavano al pau de arara (il «trespolo del pappagallo»: barra di ferro tra l incavo delle braccia e l incavo delle gambe del prigioniero, a cui vengono poi legati i polsi alle caviglie, ndt), mi davano un colpo con la picana elettrica. La strategia per resistere? Non bisogna pensare, è quasi un Nel settembre del 2013, quando seppe che la National security agency (Nsa) aveva rubato informazioni al suo governo e a Petrobras, Dilma affrontò Barack Obama, pretese spiegazioni sulle operazioni dell agenzia e rifiutò l invito per una visita di stato a Washington. Il gelo si sarebbe rotto solo nell aprile di quest anno al Vertice delle Americhe a Panama, quando i due presidenti decisero di superare le divergenze e tornare a incontrarsi entro un mese alla Casa Bianca. Le sono bastate le spiegazioni di Obama sulle manovre della Nsa? «La Nsa ha investigato in modo illegale su Petrobras e sul governo brasiliano, con il pretesto della minaccia terrorista dopo gli attacchi dell 11 settembre Successivamente si è saputo che qualcosa di simile è successo anche con il governo della Germania, insieme al quale abbiamo presentato un caso davanti all Onu. Di fronte a questo il presidente Obama ha adottato varie risoluzioni, tra le quali quella che dichiara ingiusto spiare paesi amici. Gli Stati La lotta armata/ «NE HO PARLATO CON MUJICA, NON SIAMO PENTITI. MA ERA UN ALTRO PERIODO» «La tortura e il carcere restano dentro di noi» DILMA ROUSSEFF. SOTTO, CON LULA. A DESTRA, STABILIMENTI DELLA PETROBRAS LAPRESSE esercizio di meditazione per svuotare del tutto la testa e non farsi corrodere dalla paura. La paura è dentro di noi. Il dolore umilia, degrada. Resistere è difficile. Se ha resistito a quello, può sopportare tranquillamente le pressioni della destra contro il suo governo, o no? Sono molto più facili da sopportare. Non voglio dire che sia facilissimo, o che siano irrilevanti. Il difficile è stato resistere a quello, e quando uno resiste non torna un eroe, torna una persona. O torna presidente... Meglio arrivare alla presidenza della repubblica senza passare dalla tortura (ridendo). dario pignotti

9 MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 il manifesto pagina 9 INTERVISTA La presidente del Brasile Dilma Rousseff difende il modello «di partecipazione» con cui Petrobras gestisce le risorse petrolifere del Paese e parla del processo per corruzione noto come petrolão, delle intercettazioni illegali dello spionaggio Usa, dei rapporti con il Messico, del disgelo tra Washington e L Avana, di papa Francesco... Uniti ci hanno garantito che a partire da quel momento una cosa del genere non è mai più successa». Quindi l argomento è chiuso? «Per noi è chiuso. Credo che il governo di Obama abbia preso le misure pertinenti all interno delle sue facoltà». È costruttivo l avvicinamento tra Washington e L Avana, iniziato a Panama il mese scorso? «Per me è stata una delle più grandi iniziative intraprese negli ultimi anni, soprattutto perché chiude la guerra fredda nel nostro continente. Vogliamo che l avvicinamento si approfondisca e che finisca l embargo contro Cuba, una cosa che però non dipende dal potere esecutivo ma dal parlamento americano. Il Brasile ha finanziato il principale porto di acque profonde di Cuba, quello di Mariel, anche se l opposizione brasiliana è stata caustica nei confronti del finanziamento, effettuato dal Bndes (Banco nacional de desarrollo economico y social, ndt)». Quindi la politica del Bndes è stata corretta, nonostante le critiche della destra. «Quella politica non era del Bndes, era del governo brasiliano. Il Bndes è una banca controllata al 100% dal governo. Noi riteniamo che il processo di relazioni democratiche a Cuba deve puntare sull apertura, sugli investimenti. E deve puntare sull allargamento delle relazioni commerciali tra Usa e Cuba. L embargo non porta da nessuna parte, non ha portato da nessuna parte in oltre mezzo secolo. Credo che gli Stati Uniti abbiano mosso un passo estremamente felice, strategico per l America Latina. E dico di più: credo che il presidente Obama abbia avuto molto coraggio nel muoverlo. Non si torna indietro, la ruota della storia non retrocede, e ora ci saranno investimenti a Cuba. Per noi latinoamericani Cuba è un paese speciale. E poi ciò che è accaduto tra Stati Uniti e Cuba non è solo merito loro, in questo senso mi piacerebbe parlare un po di papa Francesco, posso?» Naturalmente. «Voglio dire che papa Francesco ha avuto un ruolo fondamentale, oltre ad essere il capo della chiesa cattolica apostolica romana ha avuto il discernimento necessario per percepire che se c era qualcosa di importante per i popoli di questo emisfero, per quello cubano specialmente, era proprio questo riannodare di relazioni». *** Due settimane fa il governo cinese ha annunciato un sostegno tra i 7 e i 10 miliardi di dollari perché la compagnia petrolifera statale possa contare sulle risorse con cui finanziare i suoi progetti infrastrutturali, specialmente quelli destinati alla conca del pre-sal, da cui si estraggono 800mila barili al giorno. Qualcosa che ha sorpreso anche i più ottimisti, dal momento che non è semplice pompare greggio situato a più di cinquemila metri di profondità. «Noi assegnamo un ruolo strategico a Petrobras, che ha qualcosa che nessun altro ha: conosce come pochi la conca sedimentata continentale brasiliana. È qualcosa che nessuno potrà togliere a Petrobras, chiunque venga a cercare di competere», puntualizza Dilma. «Petrobras è una grande impresa, di recente è passata attraverso un processo di investigazione giudiziaria, ma c è da tener presente che Petrobras ha 90mila impiegati... e solo quattro funzionari sono ora sotto accusa in un caso di supposta corruzione», aggiunge la presidente. E dal petrolio al Messico dell altra grande azienda statale, Pemex, il passo è breve. Dal Vertice delle Americhe di Mar del Plata nel 2005 è cresciuto il distacco tra Messico e parte del Sudamerica, a causa dell appoggio dato dall allora presidente messicano Vicente Fox all Alca, il progetto di "libero commercio" sostenuto dagli Usa e rifiutato dalla troika allora formata da Hugo Chávez, Néstor Kirchner e Lula. Il suo viaggio recente a Città del Messico è il re-incontro tra Brasile e Messico? «Credo che apra un nuovo capitolo delle relazioni tra i due Paesi. Ma già quando ho ricevuto il presidente Enrique Peña Nieto, poco dopo la sua elezione, ci siamo trovati d accordo sul fatto che per il Brasile era importante avvicinarsi al Messico e viceversa. Chi ritiene che le economie di Brasile e Messico competano tra loro si sbaglia, le nostre economie sono complementari. I nostri paesi rappresentano i due maggiori mercati d America latina, noi brasiliani siamo il secondo destinatario degli investimenti diretti messicani, superati solo dagli Stati Uniti, vuol dire che c è già una ruota che sta girando. Mi ha rallegrato sapere che l impresa brasiliana Braskem formerà una società con la messicana Idesa per creare un polo petrolchimico. Considero che i nostri paesi possano stringere accordi a partire dalla complementarietà: produrre una parte qua e un altra là. Può accadere nell industria navale, nella catena del gas e del petrolio in cui il Messico ha Pemex e il Brasile ha Petrobras, imprese con un modello regolatorio simile». Possiamo parlare di un legame solido? È nato l asse mariachi-bossa nova? «No, meglio chiamarlo asse tequila-caipirinha (ridendo)». È possibile un accordo Pemex-Petrobras? «Penso che sia sempre possibile, già c è stato un accordo nel 2005 che è ancora in vigore, l Impegno generale di collaborazione scientifica, tecnica e di addestramento. Petrobras è un azienda quotata nelle borse (a New York e San Paolo), e Pemex sta adottando un quadro simile. Possiamo agire nel quadro degli investimenti, nella catena di approvvigionamento, a cui possiamo partecipare perché in Messico abbiamo cantieri». Pemex potrebbe sfruttare il petrolio in Brasile? «Certo che può. Pemex come qualsiasi altra impresa straniera». Il Brasile è interessato? «Logico, non ho dubbi che sia così. Credo anche che sarebbe vantaggioso per Petrobras, perché Petrobras ha la tecnologia per l esplorazione in acque ultra-profonde». (a cura di Roberto Zanini) (copyright il manifesto/pagina 12) Oil/ DALLA SCOPERTA DEI GIACIMENTI NEL 2007 Come s è gonfiato fino ad oggi lo scandalo del «petrolão» Roberto Zanini N el 2007 il Brasile annunciò la scoperta di enormi giacimenti petroliferi nella zona chiamata del «pre-sal»: acque profondissime, fino a metri, e giacimenti situati sopra sedimenti salini spessi centinaia se non migliaia di metri. Il pre-sal avrebbe fatto del Brasile il quarto produttore mondiale di greggio. È iniziato allora l assalto a Petrobras, l impresa petrolifera statale brasiliana che la follia neoliberista degli anni 90 - e il suo leader brasiliano dell epoca, Fernando Henrique Cardoso - riuscì solo parzialmente a privatizzare. Guidata da Dilma Dilma per ora si batte con ostinazione: chi ha sbagliato pagherà ma Petrobras non sarà privatizzata, il petrolio resterà dei brasiliani Rousseff (l attuale presidente) dal 2003 al 2010, Petrobras ha distribuito enormi guadagni, ha aiutato in modo fondamentale la spettacolare crescita del Brasile ma ha anche sollecitato gli appetiti delle sorelle petrolifere mondiali, che non hanno badato a spese né ai mezzi pur di cercare di impadronirsene. Dopo il mensalão che sfiorò Lula Nasce in questo contesto lo scandalo chiamato petrolão (per assonanza con il mensalão, il precedente super-scandalo di deputati d opposizione comprati un tanto al mese durante i primi anni dei governi del Pt), o «operazione Lava-Jato», cioé autolavaggo, perché i primi arresti sono avvenuti in una grande pompa di benzina che comprendeva un agenzia di cambio dove venivano pagate le tangenti, e perché proprio il lavaggio del denaro pompato da Petrobras nelle tasche di faccendieri, imprenditori e politici è il protagonista della vicenda. Iniziato nel 2014 nella periferica Curitiba, il petrolão si è gonfiato talmente che la procura federale ha dovuto aprire un portale su internet per aggiornare numero e identità di inquisiti, arrestati, processati e ora anche i primi condannati. Petrobras ha reagito chiedendo i danni e recuperando centinaia di milioni di reais, una frazione dei miliardi perduti negli schemi corruttivi. Il mensalão sfiorò soltanto il presidente petista Lula, che ne uscì del tutto indenne. Dilma Roussef è chiamata alla stessa sfida e per ora batte con ostinazione sullo stesso chiodo: chi ha sbagliato pagherà ma Petrobras non sarà privatizzata, il petrolio resterà dei brasiliani, l assalto sarà respinto. E nel 2018 Lula, forse il politico più amato del subcontinente, potrebbe tornare in pista per la presidenza.

10 pagina 10 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 CULTURE CODICI APERTI Benedetto Vecchi L automazione ha un effetto collaterale inquietante: riduce le capacità cognitive degli umani. E se questo dato è spesso ignorato nelle normali attività quotidiane, in situazioni impreviste può avere un esito catastrofico. È uno dei leit motiv del volume di Nicholas Carr da poco pubblicato da Raffaello Cortina (La gabbia di vetro, pp. 290, euro 25) dove l autore affronta il tema dell automazione del lavoro «intellettuale» e delle sue conseguenze sulla mente umana, in base alla tesi che un uso intensivo delle macchine modifica l organizzazione delle reti neurali del cervello, facilitando dunque lo sviluppo di alcune capacità cognitive e l impoverimento di altre. Il libro di Carr si snoda su due direttrici: la prima è il passaggio della sostituzione del lavoro intellettuale con le macchine; la seconda riguarda invece la perdita di autonomia che le macchine provocano, al punto che l automazione è rappresentata come un gabbia di vetro che rende prigionieri attraverso procedure astratte e algoritmi predittivi. Nel tenere insieme i due filoni di analisi l autore fa ricorso a esperienze personali e case study tratti dall attualità, rivelando una capacità narrativa che cattura l attenzione, evidenziando come il tema dell automazione sia una costante delle cosiddette scienze sociali made in Usa. Sono infatti citate ricerche che spaziano dagli anni Sessanta del Novecento al primo decennio di questo millennio. Automobili senza autisti e minore capacità di fare calcoli. Gli umani ridotti a appendici dei computer Ogni studio ricordato dall autore tende a illustrare la formazione di diverse «ondate» di automazione, che dalla fabbrica hanno poi investito il lavoro cosiddetto «cognitivo» perseguendo lo stesso scopo: spezzare la resistenza espressa dal lavoro vivo al governo esercitato dal capitale. Le prime quaranta pagine sembrano infatti un compendio ipersemplificato di molte analisi marxiane del secolo scorso. Allo stesso tempo, è evocata la quasi secolare discussione sulla disoccupazione tecnologica, in base alla quale, per osmosi, i disoccupati in un settore saranno alla fine riassorbiti da altri settori. Servi e padroni A smentire questa concezione in base alla quale il sistema economico tende sempre a un equilibrio, ci sono i dati occupazionali dei settori emergenti dell economia mondiale: imprese come Facebook, Google o Apple danno lavoro a poche decine di migliaia di uomini e donne. Ma Carr si ferma sull uscio dei contemporanei atelier della produzione. Più che addentrarsi nei conflitti e contraddizioni del capitalismo, preferisce ricordare con malizia il doppio significato della parola robot, che può essere tradotta sia come lavoro pesante, ma anche come servitù. Soltanto che i robot, meglio le macchine informatiche più al servizio degli umani, rendono progressivamente questi ultimi loro appendici, scimmie ammaestrate annoterebbe l Antonio Gramsci di «americanismo e fordismo». Per quanto riguarda, le modificazioni delle reti neurali del cervello, Carr evoca il suo apprendistato alla guida svolto con una automobile con il cambio manuale: il passaggio a quello automatico e l uso del navigatore, scrive l autore, hanno provocato nostalgia, smarrimento, timore che l uso di dispositivi automatici avessero «indebolito» sia la capacità di orientamento nella città che le capacità di reazione rispetto agli imprevisti che il traffico sempre riserva. Il passaggio al j accuse contro il progetto di Google, la bestia nera delle critiche di Carr al mondo digitale, di automobili completamente automatizzate è breve. Intelletti al servizio delle macchine Dalla neuroplasticità alla utopia negativa dei chip intelligenti. Un sentiero di lettura sull automazione a partire dal saggio «La gabbia di vetro» di Nicholas Carr MARIKO MORI, «ONENESS» Non è la prima volta che Carr punta i riflettori sulla pervasività del computer nelle generiche attività umane, sostenendo che l immersione in una realtà fortemente informatizzata impoverisca le facoltà cognitive, modificando il modo di funzionare del cervello umano, come attesta il saggio Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello (Raffaello Cortina). A sostegno della sua tesi, l autore ricorre alla elevata quantità di dati e studi che neuropsichiatri, biologi, psicologi e filosofi hanno prodotto nel corso del tempo a partire da alcune caratteristiche proprie della organizzazione e del funzionamento del cervello: un organo flessibile e capace di adattarsi a contesti e realtà in mutamento, al punto tale che alcune parti possono essere sollecitate a svolgere un ruolo maggiore che in passato, mentre altre possono perdere di «peso», facendo perdere agli umani alcune capacità acquisite nell ormai millenaria storia dell evoluzione. Il caso più eclatante e noto è la minore prontezza degli umani nel «saper far di calcolo» a causa della tendenza a far svolgere ai computer operazioni matematiche semplici o complesse. Un timore, quello del «decadimento cognitivo», che negli Stati Uniti è stato alimentato dalle ricerche sulla neuroplasticità, un settore di ricerca definito di frontiera che vede un forte coinvolgimento, in termini di finanziamenti pubblici, tanto del Pentagono che dell istituto nazionale della sanità statunitense, che delle maggiori università americane. Decadimenti cognitivi L ipotesi di partenza è che il cervello sia appunto un organo flessibile, capace di adattamento, al punto di sopperire «autonomamente» ad alcuni traumi. I programmi sulla neuroplasticità sono finalizzati non solo a comprendere come il cervello si sia o meno modificato rispetto l uso delle tecnologie informatiche, ma anche come riprodurre al computer l organizzazione delle reti neurali, al fine di annullare la distanza tra conoscenza tacita e esplicita, una vera barriera per sviluppare macchine intelligenti. Al di là del sogno di costruire automi o androidi «intelligenti», c è, come SCAFFALI Dalla «Vita activa» al «Cyberproletariat» Sono molti autori che vengono citati nel libro di Nicholas Carr. L autore che meno ti aspetti di trovare è quello di Franco «Bifo» Berardi, del quale è citato il saggio «The Soul of Work. From Alienation to Autonomy» (Semiotext(e)). Hannah Arendt è ricordata per «Vita Activa» (Bompiani). Frederick Winslow Taylor e la sua «Organizzazione scientifica del lavoro» è ricordato per le sue analisi sulla parcellizzazione delle mansioni, primo, ideale passo per automatizzare il lavoro operaio. Di Marx è ricordato «il Capitale», mentre di Harry Braverman è ricordato la pioneristica ricerca sulla possibilità di scomporre il lavoro impiegatizio («Lavoro e capitale monopolistico», Einaudi). Infine, sa segnalare il rinvio ai libri dello studioso Nick Dyer-Witheford, del quale è stato recentemente pubblicato in formato kindle «Cyberproletariat» da copione, anche un altro lato oscuro in questi programmi di ricerca, che riguarda lo sviluppo di algoritmi predittivi al fine di modificare, indirizzare, insomma «manipolare» i comportamenti dei singoli nei social network o di come elaborare i dati dei profili individuali al fine di strategie di marketing e pubblicitarie. In altri termini, la neuroplasticità, così come altre ricerche di frontiera, come i motori di ricerca semantici, sono la cornice dell unico settore attualmente in forte espansione, quello dei Big Data. Un contesto ben presente in questo libro, che oscilla tra una critica verso la performatività delle tecnologie digitali e una «ecologia del digitale» che prevede una sorta di disintossicazione dall «infosfera» attraverso periodiche disconnessioni dalla Rete al fine di ripristinare un habitat pretecnologico nel quale è espunta ogni possibilità di «decadimento cognitivo» da overdose digitale. Nel libro sono riportati molti casi eclatanti di automazione di attività e lavori «intellettuali». Il primo caso è il pilota automatico sugli aerei, che riducono al minimo l intervento umano. Certo ci possono essere degli «inconvenienti», come è accaduto negli Stati Uniti e in Francia, quando il funzionamento del pilota automatico ha indotto all errore l equipaggio chiamato ad intervenire in una situazione imprevista. In entrambi i casi, gli incidenti hanno provocato la morte dell equipaggio e dei passeggeri. Una situazione che ha allarmato l ente federale americano sul trasporto aereo che ha inviato un memorandum alle compagnie aeree affinché riducano il tasso di automazione degli aeromobili e attivino forme di formazione degli equipaggi, una sorta di corsi di «alfabetizzazione per analfabeti di ritorno». Inoltre, i piloti sono diventati appendici delle macchine, controllori con poco potere a disposizione, visto che i software sono stati pensati per fare a meno, potenzialmente, proprio degli umani. Esperti e digitali Certo, la responsabilità della dequalificazione dei piloti dipende dalle compagnie e dal software usato. Le prime per risparmiare sul personale di volo (nella cabina di pilotaggio ormai ci sono solo due piloti, le altre figure che presidiavano il controllo delle rotta, delle comunicazioni e dei motori sono da anni stati cancellati nel corso degli ultimi trenta anni), mentre il software installato parte proprio dal presupposto che un aereo può fare a meno dei piloti: la loro presenza dipende ancora dai limiti nello sviluppare aerei «intelligenti». L altro esempio riguarda i medici. Su questo crinale il libro di Carr si inoltra in una sentiero poco battuto dagli studiosi di tecnologie informatica. Viene ampiamente documentato come l informatizzazione delle cartelle cliniche sia stata incentivata in base alla riduzione della spesa sanitaria. Il risultato è una qualità sempre più mediocre degli interventi sanitari, visto che i medici devono rispettare griglie analitiche predefinite, arrivando anche a prescrivere medicinali e analisi inutili; o a diagnosticare erroneamente patologie inesistenti. Inoltre, l informatizzazione impone di seguire rigidi protocolli che fanno fare analisi mediche spesso inutili. Dunque abbassamento della qualità dell intervento dei medici e aumento della spesa sanitaria. Con distacco, Carr riannoda il filo rosso che lega le scelte dei presidenti statunitensi che, indipendente si chiamino George Bush Jr. o Barack Obama, hanno favorito una dequalificazione di massa dei medici di base e un aumento della spesa sanitaria in nome dell innovazione. Ma, anche in questo caso, interrompe l analisi sul nesso tra dismissione del welfare state, privatizzazioni in nome del progresso tecnico-scientifico, preferendo ricordare con nostalgia la figura familiare del medico di base. L interesse di questo volume non sta però nella critica alla «tecnostruttura» dominante ci sono forti eco degli studi del filosofo e religioso Jacques Ellul in questo saggio -, ma nel restituire una discussione sull automazione che negli Stati Uniti non si è mai sopita. Le macchine, dopo aver significato la riduzione del lavoro manuale e la conseguente crescita della disoccupazione, si sono diffuse anche nel lavoro intellettuale o dei «colletti bianchi», che hanno provocato un ondata di licenziamenti di massa. Ma a differenza del passato non c è stata, alla luce della perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro nell industria, una crescita dell occupazione nei servizi. La disoccupazione tecnologica è di massa e lo sviluppo dell informatica, della rete o delle biotecnologie non hanno favorito il riassorbimento degli esuberi in altri settori. La prossima apocalisse Espressioni come jobless growth indicano proprio non solo una crescita economica senza aumento di posti di lavoro, ma che la Rete come le biotecnologie non sono settori labour intensive, come invece lo sono i supermercati, i centri commerciali, i servizi di cura alla persona. L automazione favorisce, secondo questo schema, una dequalificazione del lavoro e una crescente disoccupazione. Al pari di altri testi usciti sull argomento da segnalare sono La nuova rivoluzione delle macchine di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee (Feltrinelli), La natura della tecnologia di William Brian Arthur (Codice edizioni), La dignità ai tempi di Internet di Jason Lanier (Il Saggiatore) - La gabbia di vetro di Nicholas Carr non fa sua però nessuna tesi neoluddista o «primitivista». Dopo le fabbriche è la volta del lavoro cognitivo, rendendo strutturale la disoccupazione Carr asssume l automazione del lavoro come una tendenza inarrestabile del capitalismo contemporaneo, ma poi si ritrae, quasi spaventato dalle possibili derive teoriche del suo ragionamento. Attinge argomenti per la sua «ecologia digitale» dagli scritti di Marx, da Lavoro e capitale monopolisitco di Harry Braverman o dalle pungenti analisi sul cybercapitalismo di Nick Dyer-Witheford (di quet ultimo è appena uscito in formato kindle il volume Cyber-Proletariat: Global Labour in the Digital Vortex), quasi che il pensiero critico, messo all indice per tanti anni, sia ormai l unico vademecum per comprendere il futuro del capitalismo. Ma non è interessato a una alternativa al capitalismo. Il suo è un grido di allarme per la perdita di autonomia dei singoli, individuando il decadimento cognitivo veicolato dall automazione come una sorta di apocalisse prossima ventura, dove l essere umano perde in autenticità a causa del dominio delle macchine. Nel mondo digitale di Carr uomini e donne sono condannati a vagare in un deserto senza fine alla ricerca dell ultimo scampolo di umanità. Un po come i protagonisti di Mad Max Fury Road, che vedono la salvezza in una cittadella da ripopolare e dove poter «addomesticare» nuovamente le macchine.

11 MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 il manifesto pagina 11 CULTURE oltre tutto FESTIVAL DELLE LETTERATURE Il Festival Internazionale di Roma tornerà dal 9 giugno in 13 serate, di cui sei nella Piazza del Campidoglio, una a Villa Bonaparte e le altre alla Casa delle Letterature. Nonostante il budget dimezzato, molti gli autori italiani e stranieri che si potranno andare ad ascoltare con la formula dell ingresso libero, fino a esaurimento posti. Fra questi, Mia Couto, Robert McLiam Wilson, Edmund White, Daša Drndic, Nicola Lagioia, Lola Shoneyin, Dany Laferrière, Concita De Gregorio, Binyavanga Wainaina, Matthew Thomas, Emidio Clementi, Maurizio De Giovanni e Vinicio Capossela. La serata conclusiva, il 30, ospiterà il recital di Francesco Piccolo nonché i cinque autori candidati per la seconda edizione del Premio Strega Europeo: Rafael Chirbes, Stefan Hertmans, Alain Mabanckou, Katja Petrowskaja, Tommy Wieringa. CONVEGNI A un anno dalla scomparsa, un simposio sulla figura di Jacques Le Goff a Roma Un Medioevo non ufficiale e infinitamente umano La Storia è nelle tracce dei singoli individui e narra lo scontro tra le classi subalterne e quelle dominanti Sonia Gentili A un anno dalla scomparsa del grande medioevista Jacques Le Goff si torna a parlare della sua figura in un imminente, importante convegno italo-francese intitolato a Jacques Le Goff e l Italia (École Française de Rome Les Annales - Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma, 4-5 giugno 2015). Solo oggi la relazione implicata dal titolo dell incontro può essere tutta compresa nel segno positivo dell accoglienza, e del conseguente grande influsso esercitato dall opera di Le Goff sulla medievistica del nostro paese; per contro, tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta il «metodo» Le Goff suscitò in Italia prevedibili resistenze. Insieme al suo maestro Fernand Braudel e all esperienza complessiva nata attorno alla rivista Les Annales, Le Goff aveva raccontato una storia dominata dall infintamente grande cioè da fenomeni di lunga durata, che scardinano le cesure solo apparentemente risolutive degli avvenimenti e dall infinitamente umano - singoli individui comuni in carne ed ossa, il cui vissuto, quando è recuperabile, lascia traccia in fonti non ufficiali ben lontana dal protagonismo delle istituzioni e dalle date-limite che fungono da strumento periodizzante. In questa storia, la cultura è intesa non come idealistico e disincarnato Geist di un epoca, ma come affabulazione, trasfigurazione in forma di mito, racconto e ideologia di paure, sogni, speranze prodotta dall incontro-scontro tra individuo e collettività, tra classi subalterne e classi dominanti. In questo quadro si colloca il libro notissimo intitolato alla Nascita del Purgatorio (1981), in cui l affermazione, nell immaginario medioevale, di uno stato intermedio e non definitivo del sistema penale ultraterreno corrisponde all apertura di uno spazio di transazione tutto terreno tra la Chiesa e la borghesia il sistema delle indulgenze e dei suffragi - strumento di affermazione della forza economica e sociale di quest ultima. CODEX MANESSE CON CORRADINO DI SVEVIA A UNA BATTUTA DI FALCONERIA COL0NIALISMO Le testimonianze in versi nel «Livre du camp d Aguila» di Kamal Ben Hameda La poesia nel frastuono del campo La tragedia libica durante l occupazione italiana. E i deportati nelle parole di Rajab Bou Houaiche Almnefi Claudio Canal Q uando noi italiani migravamo in massa in Libia attraversavamo il Mediterraneo a bordo di cacciatorpediniere e corazzate. I nostri scafisti si fregiavano del titolo di ammiraglio, capitano di vascello ecc. A partire dal 1911 i nostri migranti, messo piede a terra, si trasformavano in combattenti che non disdegnavano fucilazioni in massa, bombardamenti, rastrellamenti, deportazioni. Diventate regolarmente spietate con l avvento del fascismo. I flussi migratori, chiamiamoli così, avevano il compito di costruire l impero. Il che voleva dire annientamento di ogni resistenza, sottomissione delle popolazioni anche attraverso il bombardamento con i gas e i campi di concentramento. «Il mio solo tormento / l impotenza / il castigo / di subire la vita / e di non viverla / gli uomini migliori della tribù / sono oggi considerati come / miserabili degenerati. Il mio solo tormento / i cuori spezzati / queste lacrime che sgorgano / dai nostri uomini imprigionati / dalle famiglie dimenticate / abbandonate / alla loro sorte». L età di mezzo realista Le resistenze incontrate dalla storia di Le Goff in Italia nascono anzitutto dal modo in cui il grande storico seppe leggere fattori cardine dell antropologia cristiana medioevale, cioè il concetto di umiltà e quello di incarnazione, che erano già stati significativamente riletti da Eric Auerbach. Secondo Auerbach, umiltà e incarnazione sono la base emotiva e ideologica del realismo medioevale in letteratura; Le Goff continua la lezione di Auerbach restituendo all uomo medioevale la sua dimensione realistica e creaturale, ben al di là di quella storia di istituzioni papato, impero, cancellerie, ecc. così saldamente radicata nella nostra tradizione italiana. Il «realismo» di Le Goff rientra culturalmente a pieno titolo tra le reazioni all idealismo storico e filosofico che animarono la cultura europea del dopoguerra. Per ricostruire questa reazione in Italia, bisogna partire dalla seguente questione posta da Antonio Gramsci: «il problema di cosa è l uomo è dunque sempre il cosiddetto detto problema della natura umana, o anche quello del così detto uomo in generale, cioè la ricerca di creare una scienza dell uomo (una filosofia) che parte da un concetto inizialmente unitario, da un astrazione in cui possa contenere tutto l umano. Ma l umano è un punto di partenza o un punto di arrivo, come concetto e fatto unitario? o non è piuttosto, questa ricerca, un residuo teologico e metafisico in quanto posto come punto di partenza?». Ritrovare l uomo concreto nelle scienze umane è il grande compito che la storia di estrazione hegeliana compresa quella marxista aveva lasciato inevaso e che i massacri della Seconda Guerra Mondiale, irriducibili a fattori puramente fattuali e a istanze puramente razionali, riportavano in primo piano. Capire, come fece Gramsci, che l uomo in generale è un residuo metafisico, è servito a ripartire dal singolo individuo concreto, con la sua povera realtà di debolezza, di bisogno e di dolore, e a indagare le forme in cui si svolge la mediazione tra il singolo e la storia. In Italia ha avuto questa funzione l antropologia di Ernesto de Martino il cui valore filosofico fu non a caso negato da Benedetto Croce - dove il mito religioso si da come mediazione tra esistenza e storia, tra psiche e societa. Tanto in De Martino quanto in Le Goff, tuttavia, il mito è un livello di espressione della storia da indagare, ma a cui non si deve soggiacere. In interviste rilasciate a quotidiani italiani (oggi ripubblicate nel bel volume Jacques Le Goff e l Italia, a cura di Romagnoli, Feniello, Sansone, in corso di stampa presso l Istituto Storico Italiano per il Medioevo di Roma) Le Goff dichiarava: «Non nascondo nulla a bambini e ragazzi: dalle persecuzioni degli eretici alle Crociate, ai genocidi, al colonialismo, alla Shoah e alla barbarie nell ex Jugoslavia. Nonostante tanto orrore, l Europa dev essere fatta». Barbari e assimilati Secondo lo studioso, lo «svelamento del mito» della storia consisteva nella comprensione dei rischi di esclusione economica, sociale e culturale che un Europa dei potenti avrebbe comportato, sia sul suo territorio che nel mondo, inscritti nei meccanismi di lunga durata inaugurati dalla globalizzazione romana: «al termine di un periodo abbastanza lungo parecchi secoli la mondializzazione romana s è rivelata incapace d integrare o d assimilare nuovi cittadini, quelli che aveva chiamato «barbari» e che, non potendo essere integrati nello spazio e nel sistema romani, si ribellarono. ( ) In generale, la mondializzazione induce a ribellarsi, più o meno a lungo termine, coloro che da essa non traggono piu beneficio, ma anzi vengono sfruttati e addirittura espulsi». Solo facendo nostra l idea di una storia fatta di racconti, di individui, di emozioni e di rapporti di forza riusciremo a leggere i miti attuali, terribilmente minacciosi, che le dinamiche di esclusione, le paure e il silenzio imposto ai più deboli oggi ci stanno raccontando. Un canto in trenta strofe brevi che Rajab Abuhweish (in francese traslitterato come Rajab Bou Houaiche) recita mentre è detenuto nel campo di concentramento di El Agheila sul golfo della Sirte, al confine tra Tripolitania e Cirenaica. Vi è arrivato dopo essere stato deportato con una marcia della morte di più di 400 chilometri attraverso il deserto. Lui e tutto il suo clan. Era membro della tariqa-confraternita dei Senussi che aveva già dato filo da torcere sia ai francesi sia, e ancora di più, agli italiani. Apparteneva al clan al-manifi, il medesimo di Omar el Mukhtar, il «leone del deserto», impiccato dagli italiani nel 1931 dopo un processo farsa. Le testimonianze raccolte da Eric Salerno (Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell avventura coloniale italiana, , Manifestolibri, Roma, 2006) non lasciano spazio alla benevolenza: «Ogni giorno uscivano da el Agheila cinquanta cadaveri. Venivano sepolti in fosse comuni. Cinquanta cadaveri al giorno, tutti i giorni. Li contavamo sempre. Gente che veniva uccisa. Gente impiccata o fucilata. O persone che morivano di fame o di malattia. Di solito quelli che cercavano di scappare, giovane, vecchio o bambino che fosse, venivano presi e messi al centro del campo. Gli veniva buttata della benzina addosso e tutti dovevano essere presenti a guardare». Un avventuroso giovane danese, Knud Holmboe, si prefigge di attraversare in auto il Nord Africa da ovest ad est. E ci riesce, nel Conosce bene l arabo e i suoi dialetti, è diventato musulmano. Ama gli arabi, ma non esita a denunciarne le ingiustizie così come riconosce la straordinaria umanità di alcuni ufficiali italiani che incontra. Ma: «Il paese è un bagno di sangue Nel periodo che trascorsi in Cirenaica avevano luogo trenta esecuzioni al giorno e questo significa che ogni anno vengono giustiziati arabi I pozzi vengono cementificati per impedire di abbeverare gli animali». Il suo libro, Incontro nel deserto, è stato sempre proibito in Italia. Era stato pubblicato nel 1931, che è anche l anno della sua misteriosa uccisione nel golfo di Aqaba. Verrà tradotto in italiano nel 2005 da E. Kampmann per l editore Longanesi. Ma bi marad Il mio solo tormento è ripetuto 26 volte nel poema secondo una recitazione ritmica rigorosa. Oggi sarebbe un rap. «Il mio solo tormento / perdere la mia dignità/ in una età avanzata e / dovermi separare / dai nostri uomini migliori / nostro bene più prezioso». È in prima persona, ma esprime il dolore di un popolo, è una elegia, rith, che lamenta l esilio e trova nella lingua il suo rifugio. Nel frastuono del campo, tra le migliaia di voci, il canto del poema è anche una testimonianza, una fonte di storia che scavalca il filo spinato che recinta le tende. Ne è appena uscita una versione in francese, con testo arabo a fronte, a cura di Kamal Ben Hameda, Le livre du camp d Aguila (elyzad, Tunisi). Una ricercatrice dell Università di Copenhagen ne ha fatto, verso per verso, una approfondita analisi e traduzione in inglese (Safia Aoude, A Literary Analysis of Rajab Abuhweish s Lybian Poem My only Illness in the Light of Its Time, scaricabile in rete alysis_of_rajab_abuhweish_s_libyan_poem_my_only_illness_in_the_light_of_its_time) e uno studioso di origini libiche, ora docente all università statunitense del New England, Ali Abdullatif Ahmida, ne dà un altra versione inglese nel suo importante libro Forgotten Voices: Power and Agency in Colonial and Postcolonial Libya (Routledge press, 2005). Il suono di questa poesia non è mai giunto alle nostre orecchie italiane. SCAFFALE La partita Iva è domestica per le freelance Roberto Ciccarelli D ieci donne, dai 29 ai 49 anni: ricercatrici precarie, giornaliste, grafiche, consulenti, imprenditrici turistiche, agricoltrici o restauratrici. In comune hanno una laurea, un master o un dottorato e il fatto che lavorano da casa come freelance. Le loro storie sono raccontate da Sandra Burchi nel libro Ripartire da casa, lavori e reti dallo spazio domestico (Franco Angeli, pp.159, euro 19,55). È il ritratto della vita e del lavoro in un segmento del quinto stato, di chi lavora oggi con la partita Iva nell economia dei servizi, della microimpresa, nella consulenza o nella ricerca. Queste freelance considerano la propria abitazione come una soglia tra lo spazio privato e il mondo di un lavoro precario. Il mezzo di contatto tra queste sfere sociali sempre interconnesse è il computer, i social network, il cellulare. Alcune ne fanno un uso intensivo e tecnico, altre lo usano per gestire l agenda dei propri contatti o per commercializzare prodotti e servizi. La casa rischia tuttavia di diventare lo spazio di un nuovo internamento, dove le donne sono condannate al lavoro della riproduzione, a rigenerare gli affetti in una famiglia, e in più a svolgere un lavoro necessario per assicurarsi un reddito. Sandra Burchi racconta come le protagoniste del libro reagiscano all identificazione con la femme-maison, la «donna di casa» e, allo stesso tempo, si sottraggono al modello dell «imprenditrice di se stessa». La scelta, deliberata o forzata, di lavorare da casa si spiega con la necessità di non darsi completamente al mercato, come invece pretende il dispositivo neoliberista dominante. Si riparte da casa per sottrarsi all «economia della disponibilità permanente» che rende instabili e ricattabili, fragili e precarie. Ma da questa casa ci si può anche sottrarre, affittando ad esempio una postazione in un coworking. Non è escluso, infatti, che quell economia della disponibilità da cui ci si difende «fuori» sia in vigore anche «dentro». L andirivieni tra la casa e la città, tra l individualità e una comunità operosa, serve ad aprire il dentro e a ricondurre il fuori a sé. Questo movimento non è riducibile solo alla mobilità professionale, né alla riscoperta anacronistica dell economia domestica. Significa, invece, non darsi senza riserve al «capitale umano» e restituire qualcosa a sé e agli altri. Sandra Burchi parla di un movimento irrisolto che traduce una politica alternativa al soggetto che noi siamo. In questa lettura la casa è il risultato del conflitto tra uno spazio disciplinare e un movimento il cui scopo è conquistare un autonomia. Ne deriva la definizione di «soglia», cioè uno «spazio connettivo» tra l interno e l esterno dove i rapporti di potere si trasformano. La casa fa dunque parte di un divenire che le donne cercano di abitare, «addomesticando il profondo spaesamento» sul mercato del lavoro, sincronizzando il tempo del sé con quello degli altri, rendendo i rapporti di potere sostenibili quando sono soverchianti.

12 pagina 12 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 Musica VISIONI «Deja vu» segna il ritorno discografico a trent anni dall ultimo album di Giorgio Moroder, produttore, autore di colonne sonore di successo e padrino della disco Stefano Crippa P er il deus ex machina della disco music e non solo Giorgio Moroder sono i vichiani corsi e ricorsi storici a parlare. Fino a due anni fa era a godersi la (doratissima...) pensione tra Ortisei e Los Angeles: «avevo progettato una macchina a 16 cilindri, la Cizeta Moroder, giocavo a golf e qua e là mi dedicavo a comporre. Un pezzo per le olimpiadi di Pechino e anche un nuovo inno italiano quando si era sparsa la voce che volessero cambiarlo... L ho pure spedito a Berlusconi, gli è piaciuto ma ovviamente non se ne è fatto niente...», poi è arrivata la chiamata dei Daft Punk. E qui si è aperto un mondo, perché sui suoni della disco futurista di Monaco e su quelli funk di Nile Rodgers, l altro grande dei 70 richiamato per l occasione, il duo francese ha costruito nel 2013 il loro più grande successo discografico, Random access memories. Quattro grammy awards e la dimostrazione che la disco non era affatto morta. E un po per scherzo, un paio di dj set, qualche remix (Magic per i Coldplay) e un tributo personalmente curato insieme a maghi della consolle come Afrojack, Hot Chip, Masters at Work intorno ai grandi hit di Donna Summer, è arrivata la proposta della Sony per un disco nuovo di zecca. È nato così Deja vu in uscita il 16 giugno, a trent anni di distanza dall ultimo realizzato in coppia con Philip Oakey degli Human League in cui il produttore alto-atesino si misura con molte voci del pop e dell Edm (la nuova dance, lo sviluppo contemporaneo della disco) come Britney Spears, Sia, Kylie Minogue, Charlie XCX, Marlene e Matthew Coma. Melodie ultra pop, ritornelli orecchiabili e qualche eco dell antico sound di Monaco che per buona parte dei settanta ha dominato dance floor e hit parade. E il titolo, Deja vu, intende giocare proprio con il passato mai così presente... Rispetto ai settanta però è diventato molto più difficile mettere insieme un cast cosi variegato: «quando lavoravamo con Donna Summer impiegavamo 3 o 4 settimane e basta ora sono tutti impegnatissimi e poi fanno tutto da soli. Con Sia ad esempio; le ho consegnato le basi e lei ha scritto il testo, ci ha inciso la voce e mi ha consegnato il pezzo finito. In realtà io non l ho mai incontrata. Con Britney c è stato uno scambio di idee, anzi è lei che mi ha proposto di rifare Tom s Diner di Susanne Vega...». Però non chiedetegli se si sente il padre dell Edm: «È un altra cosa, ora con dj produttori come Avicii c è anche un riavvicinamento a una forma strutturata di canzone, strofa ritornello. Ma dietro la disco c era una moda, un movimento, un modo di pensare che ora non vedo, anche se certamente l Edm è destinato a durare». A colpirlo in particolare è stato il piglio MOSTRE Fino al 15 luglio presso la galleria Bad New Business di Milano «Death Disko: Last Dance» di Lovett/Codagnone Ultimo ballo a New York, la città della «perdizione» Cecilia Ermini MILANO D i Il rinascimento dance L utopia elettronica Decine di hit e poi «American gigolo» «Flashdance» «Metropolis»: «L Edm durerà, ma nei 70 i 4/4 erano un movimento, un idea» deciso di Kelis in Deja vu interpreta Back and Forth -: «ha una bella grinta e una gran voce r n b che mi ha ricordato Donna Summer». La diva di Boston. Quando si incontrarono a Monaco lei si era trasferita dagli States a cercar fortuna, sbarcando il lunario attraverso ruoli in allestimenti di musical celebri come Hair o come backing vocalist. La città tedesca era al centro della nascente euro disco, una scuola dal sound inconfondibile dove fondamentale era la mano dei produttori, mentre a Francoforte si muovevano parallelamente Frank Farian con i Boney M e Michael quei templi non è rimasto che qualche brandello sui muri: teli funerei crocifissi alle pareti, bandiere annerite da fiamme reazionarie, mirror ball senza luce, cocci di bottiglie, fotografie di corpi nudi gioiosamente ammassati, bagliori e ombre leather ad amalgamare il sentore funereo di qualcosa di irripetibile. Non si può che parafrasare Ungaretti nel descrivere i pochi elementi scenici che compongono l installazione Death Disko: Last Dance di Lovett/Codagnone, ultimo lavoro del duo artistico fino al 15 luglio presso la galleria Bad New Business, a cura di Antonio Leone e Francesco Pantaleone, con il supporto musicale di Michele Pauli, storico membro fondatore dei Casino Royale, che per l occasione ha arrangiato Last Dance di Donna Summer in un loop tormentato e senza scampo. Accompagnata da un catalogo-fanzine che mescola il ricordo dei ciclostilati da stampa alternativa con il rosa delle pagine della storica rivista BUTT, Death Disko: Last Dance conferma il carattere di fortissima azione creativa e politica che ha sempre contraddistinto l arte multi-linguaggio dei due artisti, attivi fin dalla metà degli anni 90 nella scena underground prima newyorchese e poi italiana. Per l occasione, lo sguardo di Lovette/Codagnone ritorna alla gioventù degli ultimi anni 70 e presenta un paesaggio collassato, vero e proprio «Disco Inferno» di desolazione dove lo spazio di libertà sessuale, politica e sociale è oramai ridotto a funereo ricordo di quell estate del 79, anno simbolico della morte della disco music. Nel Comiskey Park di Chicago infatti, il 12 luglio di quell anno, prima di un importante partita di baseball, un gruppo di deejay rock organizzò la «Disco Demolition Night»dove una folla inferocita gridava «Disco sucks!» mentre i fumi tossici di centinaia di vinili bruciati sancivano, in diretta televisiva, la fine di un epoca. Una serie di fattori concomitanti, come l elezione di Ronald Reagan etre anni più tardi l epidemia dell Aids, contribuirono a segnare il declino della disco music negli Stati uuniti e il movimento anti-disco, sorta di fanatismo carico di razzismo e omofobia, spazzò via definitivamente quel movimento di (sotto)culture americane, attuando un processo di normalizzazione e disciplinamento in grado di soffocare la (contro)cultura non-omologata e orgogliosamente fiera del dissenso. Death Disko: Last Dance, titolo omaggio al nichilismo post punk dei PIL di John GIORGIO MORODER NEL 1977 E - IN BASSO - UN DJ SET DEL A DESTRA CON DONNA SUMMER AI GRAMMYS 1978 Lydon, è soltanto la prima di una serie di mostre che racconteranno non solo la «gentrificazione» di New York, un tempo identificata come Babele licenziosa, ma anche i processi di normalizzazione che hanno spazzato va quell incredibile fucina di arte e cultura capace di creare un melting-pot sovversivo e democratico di classi sociali. La disco music è, nelle parole di Lovett/Codagnone, «una rivoluzione sessuale che avviene nella pista da ballo, dove il linguaggio del corpo si esprime con una libertà che mai aveva conosciuto nei corpi pubblici, con corpi consenzienti, non preoccupati esclusivamente dei comportamenti sessuali accettati». L installazione dunque è un ultimo ballo sul doppio filo della sana nostalgia e dell importanza del presente, un eco terribile di un «meraviglioso osceno» in grado di produrre l integrazione razziale e sociale più autentica, un invito a continuare a lottare per affermare la differenza, a rifiutare l appiattimento che cancella la Storia e a sognare nuovamente un corpo che nel segno della libertà e della resistenza voglia sperimentare, al di là delle norme e dei ruoli. Kunze con le Silver Convention, progetti con le loro sotto storie fatte di volti e corpi da mostrare sul palcoscenico mentre le voci erano create in sala di registrazione da altri vocalist.... «In Germania sottolinea Moroder eravamo in tanti a usare i sintetizzatori, il sound con i violini ha dato il via al cosiddetto Munich Sound. Una volta trovata la formula l abbiamo perfezionata». Già, il guru della disco tende a sminuire i propri meriti, ma in realtà se digiti il suo nome su Google, si apre un mondo fatto di produzioni, colonne sonore, collaborazioni, citazioni con nomi come Bowie, Mercury, Chaka Khan, Japan ma anche un innovativo progetto dada disco con gli Sparks. Per alcuni è l anello di congiunzione fra le sperimentazioni di John Cage, la ricerca futuristica dei Kraftwerk associata ai 4/4 della disco e il lavoro di cinque anni con Donna Summer (scomparsa nel maggio 2012) è lì a dimostrarlo. Come nel classico I feel love, sei minuti di estasi elettronica che girano intorno al falsetto sensuale della disco queen: «Quel pezzo nasceva intorno a un album I remember yesterday (1977) in cui insieme a Donna e Pete (Bellotte, il paroliere inglese la terza firma che ha siglato quasi tutti i classici di quel periodo, ndr) ci siamo divertiti a mettere insieme epoche e stili diversi riletti in un climax disco». I feel love rappresentava il momento futurista, il sintetizzatore la sua incarnazione: «Non era semplice lavorare con i primi synth perché non era possibile, come oggi, avere loop e basi pronte. Ogni strumento aveva un trigger, un clic che faceva muovere la macchina.». I cinque anni con Donna sono stati una escalation continua a base di record frantumati in serie, numeri uno, milioni di copie vendute e decine di Grammy Award. Una storia dai risvolti e aneddoti, come quello relativo al duetto fra Donna e Barbra Streisand (No more tears, 1979). Scintille fra dive?: «Diciamo così: avere due stelle di quel calibro in sala di registrazione non era semplice. Eravamo due produttori, io per Donna e Gary Klein per Barbra. Alla fine ci siamo divisi le parti e quando Donna entrava a incidere usciva Barbra. E viceversa...». Trovare un nuovo sound per il futuro non è semplice, lui ci scherza anche nell album giocando con la sua età anagrafica 74 anni nel titolo di un pezzo: 74 Is The New 24: «Mi capita di ritrovare spesso in alcune colonne sonore riferimenti a cose che ho fatto in passato. Quando ho ascoltato Drive di Cliff Martinez e la colonna sonora di Social Network di Trent Reznor scherza mi son detto: e questo dove l ho già sentito?». E a proposito di colonne sonore un altro segmento fondamentale nella sua biografia artistica il rapporto con Hollywood negli ottanta partorisce successi a raffica, il suo tocco da Re Mida si sposta dalle discoteche alle sale cinematografiche: «Lavoravo molto sulle canzoni, il pezzo doveva funzionare con le immagini. Mi mettevo al pianoforte e componevo. Poi facevo un demo e mi confrontavo con il regista e con il produttore. Poi si sa bisogna anche essere fortunati; Debbie Harry in Call me era perfetta per raccontare il gigolo Richard Gere...». Il restauro di Metropolis il classico muto di Fritz Lang del 1927 è un passo avanti per Moroder; riprende il film, lo colora qua e là e, soprattutto, crea una colonna sonora ex novo. «L ideaspiega mi era venuta vedendo l operazione fatta da Francis Ford Coppola sul Napoleon di Abel Gance. Mi era piaciuta molto anche se io ho pensato sin dall inizio di concentrarmi su una colonna sonora moderna. Ho comprato i diritti e mi sono messo alla ricerca di buone copie del film. Mi interessava far riscoprire ai giovani i capolavori del muto: alcuni critici lo hanno apprezzato, altri sono stati cattivissimi...». Accanto a Deja vu supportato da un personale dj set che in estate passerà anche in Italia, il 24 luglio a Villa Ada a Roma e al Market Sound di Milano il giorno dopo, per Moroder sono molte le collaborazioni in fieri nei prossimi mesi: «Ci sono alcune cose in ballo, Lana Del Rey, Lady Gaga, Chris Martin e Pharrell Williams... Ma devo trovare il tempo».

13 MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 il manifesto pagina 13 VISIONI TONY LAUDADIO É in scena stasera, 3 giugno e domani, in «Šostakovic il folle santo» all interno della quarta edizione di Stanze, la rassegna teatrale ideata e curata da i Alberica Archinto e Rossella Tansini, in collaborazione con Teatro Alkaest, che si svolge nelle case private, nelle case-museo, in altri luoghi non teatrali. Lo spettacolo, con la drammaturgia di Antonio Ianniello e Francesco Saponaro che cura anche regia e spazio scenico, si ispira alla vita e all opera del compositore russo, e verrà presentato alla Casa Museo Boschi Di Stefano (ore 20.00). Ricostruito a partire da un ampio epistolario e da alcune prestigiose biografie, unisce vita privata, musica e riflessioni sul rapporto cruciale tra artista e potere. Il prossimo appuntamento sarà per il 10 giugno, sul sul tetto del Superstudio Più con il duo Cristiano Calcagnile e Monica Demuru che propone «Sonatina in tasca - Tre quadri per un presagio» ANTEPRIMA «Cinema Komunisto», Tito, la Jugoslavia e l Avala film L invenzione di un Paese tra star e miti partigiani T itolo Non c è gusto. Sottotitolo Tutto quello che dovresti sapere prima di scegliere un ristorante. Autore Gianni Mura, penna narrante di ciclismo e calcio dalle colonne di Repubblica. Cominciamo dicendo quello che il libro, edito da Minimum Fax, 13 euro, non è. Non è una guida ai ristoranti, non è un saggio, non è un album dei ricordi tra menu e carte dei vini, non è pamphlet scagliato contro i falsi profeti dei fornelli. Pur se non mancano, giusto così, frecce all indirizzo del mondo dei critici e dei recensori. Ergo: niente schede con punteggi, dotte considerazioni, nostalgie di bolliti misti innaffiati da un Barolo, righe vergate con inchiostro antipatico. E allora? Il battesimo di qualche capitolo servirà a solleticare la curiosità: Occhio lontano, suddiviso in paragrafi quali Traditore e puttana, Gastrite e no, Pelé UNA SCENA DA «CINEMA KOMUNISTO. SOTTO, UN IMMAGINE DI TITO NEL FILM Cristina Piccino O ggi tra quelle mura non c è più nessuno, centinaia di «pizze» giacciono impolverate sugli scaffali, e i costumi, gli arredi, le scenografie di glorie passate sono abbandonate alla distruzione. A salvarli gli stabilimenti dell Avala Film, l orgoglio della Jugoslavia socialista qualcuno dei vecchi protagonisti di quell avventura ci ha provato senza successo. E del resto non esiste più neanche la Jugoslavia cancellata dalla feroce guerra civile degli anni Novanta. Cinema Komunisto comincia qui, anzi ancora prima, negli anni della seconda guerra mondiale e della resistenza partigiana guidata da Tito contro i nazisti che diventerà uno dei miti fondatori del nuovo Paese in cui il cinema occupa un ruolo centrale: la sua storia coincide con quella nazionale, e con la costruzione della sua mitologia. Immagini di giovani sorridenti, di partigiani eroici che lottano a prezzo della vita contro i nazisti, di ragazzi e ragazze pronti a ogni sforzo per affermare il sogno del socialismo e di un futuro luminoso. «Che ora è?» - chiede il partigiano al suo compagno in uno dei moltissimi film sulla guerra- «É l ora di fare la rivoluzione!». Alla fine della guerra si deve ricostruire, le immagini celebrano i kilometri di ferrovie, hanno il ritmo dei musical e del ballo delle canzoni che inneggiano al valore di Tito e della Resistenza, i ragazzini ballano nelle celebrazioni con i fazzoletti rossi salutando la meraviglia del nuovo, di una realtà grandiosa che sfida ogni giorno lo scetticismo dei borghesi. Mila Turajlic la regista di Cinema Komunisto che arriva in sala domani - per chi sta a Roma giovedì sera, ore 20.45, proiezione alla Sala Trevi con lei, Gianni Amelio, e Gordana Miletic De Santis, attrice e vedova di Giuseppe De Santis, di cui verrà presentato La strada lunga un anno girato in Jugoslavia - fa dunque del cinema il centro narrativo della Storia jugoslava fino alla morte di Tito, e filmandone le SanaMente Ma il gusto è una cosa seria Luciano Del Sette al Maracanà; Occhio lontano 2, dove, tra l altro, si racconta di patatine olandesi e dove Luisa non delude mai; Occhio lontano 3, vale a dire Coperto e servizio, La raccolta di stagnola, Gelato d anguilla, Il carpaccio umiliato... E il gioco, ma serio, continua con Naso, Orecchio lontano, Occhio Vicino, Dove stiamo andando. Già: dove stiamo andando? E insieme: dove eravamo, dove siamo, dove le mode ci vorrebbero imporre di essere o provano a farlo ogni volta che ci mettiamo in cerca di una trattoria o di un ristorante? Seduto davanti a un succo d arancia (?!) Mura macerie anche degli anni successivi. Tito era cinefilo, aveva un proiezionista personale, Leka, rimasto accanto a lui fino alla fine, temutissimo da produttori e registi, i suoi giudizi infatti erano sempre quelli del presidente. In una sala privata, nella sua residenza devastata dai bombardamenti del 1999, ha proiettato per lui migliaia di film, ogni sera un titolo diverso. Amava Kirk Douglas e John Wayne, e leggeva ogni sceneggiatura con particolare predilizione per i film di partigiani. «Se ne giravano moltissimi e spesso davvero brutti» ricorda Veljko Bulajic, il regista di La battaglia della Neretva ( 69) che venne candidato all Oscar come miglior film straniero. Per realizzarlo Tito diede il suo completo appoggio, tutto senza effetti speciali compresa la distruzione di un ponte. Ma che Paese è la Jugosalvia del dopoguerra? Nel 47 Tito lancia il progetto degli studi cinematografici Avala Film, una Cinecittà a Belgrado che ha l obiettivo di produrre una cinquantina di film all anno. La sfida è gigantesca e i costi sono troppo grandi. Intanto la situazione politica cambia, nel 48 Tito rompe con Stalin, e nelle sale i film americani sostituiscono quelli sovietici. All Avala Film arriva Ratko Drazenic, sono gli anni Sessanta di vacanze al mare, ragazze in Vespa, bikini,e allegria diffusa. Vero? Falso? Oggi ammette Bulajic si preferisce ricordare la dolcezza e l allegria di quando «i ragazzi avevano un futuro e facevano l amore». L Avala diviene un polo di produzione internazionale, grandi coproduzioni e star mondiali: il Marco Polo e Hitchcock, Sofia Loren e Carlo Ponti, Orsono Welles e De Santis L immagine del Paese sono i viaggi di Tito in America, col cappello texano. «Eravamo benvoluti in tutto il mondo» dicono Bulajic, l attore simbolo del genere partigiano, Bata Zivojinovic, l operatore Djuric, cacciato da Avala perché voleva mostrare anche «i lati Gli anni di Tito, i film di partigiani, le star, e il mondo nella Cinecittà di Belgrado negativi del comunismo», Teva Petrovic che si occupava delle relazioni con gli stranieri - «parola d ordine: fargli sempre credere di essere a Hollywood». Viene lanciato il festival di Pola nell antica arena con uno schermo all aperto, l isola di Brione dove Tito passa le sue vacanze è lì vicino, e le stelle del cinema sono invitate nella sua residenza. Sembra una realtà spensierata, e effervescente, ma questa è la sua versione ufficiale. Cosa c è dietro a quelle immagini, cosa rimane fuoricampo? «Nema Problema». I registi stranieri lo ricordano come un mantra per minimizzare ogni difficoltà: c è bisogno della neve e fa caldo? Nema problema. Ma «Nema problema» è anche la formula con cui si cancella ogni accenno a una crisi, ai conflitti interni, a quel nucleo di contraddizioni irrisolte che esploderanno appena dieci anni dopo la morte di Tito (1980) nella guerra. Il Paese «reale» in quelle immagini non c è, o meglio se ne celebra solo una parte - quello che per chi racconta appartiene adesso alla dolcezza del ricordo - la mitologia, e ciò che di bello ha prodotto. Forse anche per questo la regista ha scelto di rimanere sui bordi «istituzionali» dell immaginario, non ci sono, ad esempio, le immagini di un grande regista come Dusan Makavejev, espulso dal partito per la sua critica eroticamente irriverente ai dogmi e costretto a emigrare in Francia. Nessuno ne parla, ovvio, nemmeno oggi. Eppure il suo sarebbe un controcampo illuminante. dà una prima risposta «Sai qual è, all Expo, il ristorante più frequentato? McDonald. È un segnale della mancanza di stimolo a sperimentare, preferendo andare sul rassicurante conosciuto. E le recensioni dei siti internet? Prima avevi uno due posti tra cui scegliere, adesso ne hai centinaia. Le recensioni cambiano, sovvertono la valutazione da un giorno all altro. Il libro nasce anche da lì, da internet. Più in generale, io non do consigli tipo mangiate questo o quello, ma invito a stare attenti, a guardare in controluce le informazioni che arrivano. Perché non tutte FURY DI DAVID AYER, CON BRAD PITT E SHIA LEBEOUF, USA/GB/CINA 2014 sono disinteressate o veritiere. In breve: diventate voi stessi la vostra guida». Esortazione, quest ultima, che implica il desiderio di acquisire autonomia di giudizio. Non avevano interesse ad acquisirla i parvenu di ieri, che frequentavano il ristorante di Gianfranco Vissani di interessata fede dalemiana, e oggi vanno da Carlo Cracco, il giustiziere dei fornelli televisivi. Aggiunge Mura «Non ha interesse ad acquisirla chi, in un menu, guarda soltanto la colonna a destra, quella del prezzo. E decide in base a ciò che costa di più. I nuovi ricchi russi, ad DRAMMATICO È uscito «Fury» di David Ayer Cartoline dal fronte, salvate il soldato Brad Germania 1945, inno all eroismo americano e al cameratismo maschile Giulia D Agnolo Vallan I l grande uno rosso, Prima linea, Dieci secondo col diavolo, Quella sporca dozzina,..fury (da ieri nelle sale italiane) è un rimando al cinema bellico di Sam Fuller, Robert Aldrich e persino John Ford, una fangosa, gelata, cartolina dal fronte durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale, nella cui soporifera gravitas è rimasto letalmente impantanato, insieme all equipaggio del carro armato che dà il titolo al film, un regista/sceneggiatore generalmente dinamico come David Ayer. Film sull inequivocabile macello della guerra visto dalla contemporanea Hollywood pacifista, Fury è un inno all eroismo americano e al cameratismo maschile molto più esplicito di quanto lo sia American Sniper ma, protetto com è dalla patina del tempo, e da un nemico a prova di polemica come i nazisti, difficilmente entrerà nel dibattito ideologico che si è creato intorno al film di Eastwood. E se la scelta di uno stile tradizionale, vecchio stampo, poco vistoso (quindi diverso per esempio dallo Spielberg di Il soldato Ryan), è pregevole, questo ritorno di Brad Pitt (anche produttore esecutivo) ai campi di battaglia della WW2, nei panni del comandante di un carro armato Sherman, ci fa terribilmente rimpiangere il suo luogotenente Aldo Raine in Bastardi senza gloria, quello sì un erede degno dei dodici pendagli da forca/kamikaze di Aldrich. Autore delle sceneggiature di Training Day e End of the Day (di cui era anche regista), Ayer si muove qui con molta più cautela, anche nel genere di ambiguità che rendevano avvincenti gli altri suoi film. Il che fa di Fury un oggetto senza particolare ragione di essere. Pitt è Don «Wardaddy» Collier, un comandante di poche parole, pugno di ferro e che alla guida di un carro armato, battezzato non a caso Fury, dimostra i riflessi e il knowhow di un pilota di Formula uno. Siamo nella primavera del 1945, le truppe alleate stanno convergendo verso Berlino ma, tra loro e la capitale, rimangono alcune sacche di resistenza nazista. Collier e i suoi uomini (Shia LaBoeuf che è soprannominato «Bibbia», Michael Pena, «Gordo», e Jon Bernthal, il red neck di turno) sanno che la guerra finirà tra poche settimane ma anche che, non importa quanto siano sfiniti, c è ancora parecchio lavoro da fare prima di poter celebrare la vittoria. Quando il loro mitragliere viene ucciso, a sostituirlo arriva una giovane recluta che non ha mai messo piede su un campo di battaglia. E il film gioca parecchio sulla contrapposizione tra la sua prospettiva «vergine» e quella indurita, degli altri. Collier si muove un po tra i due mondi, un leader spietato anche con i suoi (ma a fin di bene), che ha modo di mostrare un suo lato cavalleresco (e i pettorali nudi di Brad Pitt) in una scena particolarmente brutta e didascalica, ambientata in una casa di donne tedesche dove gli americani si recano a mangiare. Lasciati indietro per coprire le spalle ai battaglioni in marcia verso Berlino, i carri armati Usa vengono decimati, uno dopo l altro, durante un agguato nazista. Tutti meno Fury, che sta cedendo a pezzi ma a cui rimane l ingrato compito bloccare un contingente di SS che altrimenti farebbe a pezzi gli alleati. Un po come succede nell israeliano Lebanon (che sicuramente Ayer ha visto), gran parte del finale si consuma all interno della trappola di metallo che dà il titolo al film, potenzialmente un Transformer antidiluviano a cui però Ayer non attribuisce nessuna personalità, filmica e non. esempio». Questo, però, riguarda chi di denaro ne ha in abbondanza. Mura, al contrario, scrive ad uso e piacere di coloro che i conti li devono sempre fare. La capacità di giudizio, afferma, si acquisisce sul campo, e insieme ripercorrendo il cammino del buon mangiare in un paese che dalla cultura del cibo trae uno dei suoi punti di forza. Linguaggio chiaro e immediato, richiami a maestri come l enologo anarchico Luigi Veronelli; memorie di templi dell abboffata, in primis le trattorie dei camionisti; ieri e oggi chiamati in causa per dar corpo a cento e più pagine che sarebbe fuorviante relegare nella categoria dei manuali. Mura diverte senza sminuire la serietà dei suoi argomenti. Ne siano prova due anagrammi «muriani»: giuda per guida, taide per dieta. C è molto gusto a leggere Non c è gusto. ldelsette@yahoo.it

14 pagina 14 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 RI-MEDIAMO La tv si astiene Vincenzo Vita N el rapporto tra televisione e campagne elettorali entra in scena l astensionismo. Che viene subito rimosso. Eppure, la rappresentanza democratica è profondamente alterata dalla mancanza di metà dei cittadini dalle consultazioni. E come se ci si abituasse a leggere solo la metà di un libro o a guardare unicamente il primo tempo di un film. Basti osservare, del resto, i dati in cifra assoluta. Come ha ben annotato il politologo Franco Astengo, i voti validi sono stati su di elettrici ed elettori iscritti nelle liste: il 49,30%. L eccedenza di trasmissioni di e sulla politica in tv (+75% il balzo in su dei talk show in meno di due anni, ha scritto su il manifesto di domenica scorsa Alberto Baldazzi) ha avuto, tra le altre, la conseguenza della fuga dalle urne. Da quando è nata, la «Communication research» si interroga su quali siano gli effetti dei media sui comportamenti pubblici, suggerendo diverse ipotesi, tra cui la più gettonata sottolinea i risultati sul medio e lungo termine dei messaggi contenuti nei programmi e nelle news. L ultimo periodo, quello che prende avvio dalla convocazione dei «comizi», è lo sprint finale. Nel «caso italiano», dove la partecipazione è stata altissima, è verosimile che proprio la televisione sia una delle concause principali dei picchi di astensionismo. Perché mai, si dirà. Ecco. Il fenomeno della domestication, utilizzato da Roger Silverstone (1992) per spiegare l ingresso nella quotidianità delle tecnologie via via integrate negli usi e costumi delle persone, riguarda anche la politica. L entrata nella dieta mediatica di un così abbondante ricorso allo spettacolo della politica trasforma la politica stessa in un normale «format» di consumo. Luogo di urla e di strepiti, cercati per alzare l audience protesa invece verso il basso, palcoscenico per protagonisti e comprimari che privilegiano la rappresentazione alla rappresentanza. E spesso, purtroppo, le testimonianze di disagio e di disperazione sono trasformate cinicamente in comparse cui offrire slogan effimeri e demagogici. In verità, gli ascolti rimangono modesti niente a che vedere con le vecchie "gloriose" Tribune politiche- e la politica diviene un riempitivo dei palinsesti, una componente ossessiva della vita mediatica domestica. Fino a perdere di senso. Certamente, vi sono altri decisivi argomenti per spiegare l astensionismo (rabbia, delusione, perdita di credibilità del ceto politico), ma è utile considerare il ruolo della televisione. Non sarà un caso se l unico soggetto ad acquistare voti è stata la Lega di Salvini, quest ultimo debordante in termini quantitativi e pur tuttavia unica novità dello spettacolo. Dio mio, non sembri un giudizio positivo. Qui si riflette su quale sia nella crisi democratica - la funzione della televisione, il mezzo ancora determinante nella «mediazione» tra istituzioni e opinione di massa. I «social» sono sì molto importanti, ma l uso che ne viene fatto dai gruppi dirigenti assomiglia troppo al territorio televisivo, o alla bacheca elettronica. C è materia per un indagine che riveda i confini della dialettica tradizionale. Invece, troppa politica, meno politica? Come si è già osservato, in simile rottura degli argini la vittima designata è stata la legge sulla «par condicio», stracciata e buttata nel cestino. Vorremmo suggerire, al riguardo, alla brava Federica Sciarelli di dedicare una puntata di «Chi l ha visto?» all Autorità vigilante, quella per le garanzie nelle comunicazioni. Se ne sono perse le tracce. LAZIO Giovedì 4 giugno, ore 18 A WORLD NOT OURS L Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese presentano il film: «A world not ours» di Mahdi Fleifel. Prima del film Marco Pasquini del Gaza Hospital presenta il progetto. «Lettere dalla diaspora» di Alaa El Ali. Sala Zavattini, Fondazione Aamod, via Ostiense, 106, Roma Giovedì 4 giugno, ore 17 IL GENIO Vincenzo Gemito rivive nel romanzo di Wanda Marasco, «Il genio dell'abbandono». Introduce Stefania Frezzotti, interviene Elio Pecora. Le letture sono a cura di Renato Carpentieri Sala della Belle Époque, Galleria nazionale d arte moderna, via delle Belle Arti, 31, Roma LIGURIA Venerdì 5 giugno, ore LE VIE DEL CANTO Le Vie del Canto, con la direzione artistica di Giovanna Ponsano, presentano «Piuttost'che fa il soldato». Un concerto dedicato agli orrori della Prima Guerra mondiale. Cento anni dopo quel 24 maggio 1915, ancora tante guerre. Il canto dei musicisti e la a passione contro la guerra, quella combattuta con le bombe, quella combattuta con i respingimenti, quella dei lager e quella dei muri. Biblioteca Universitaria di Genova - Hotel Colombia, via Balbi, 40 Genova LOMBARDIA Mercoledì 3 giugno, ore 19 NON PASSA LO STRANIERO... Presentazione del libro: «Non passa lo straniero (Ovvero quando il calcio era autarchico)» di Davide Steccanella. Con l autore partecipano: Prof. Nicola Del Corno, docente di storia delle dottrine politiche alla Università Statale di Milano, Andrea Riscassi, giornalista di Rai sport, Paolo Tramezzani, ex difensore dell Inter, attuale vice-allenatore della nazionale Albania e commentatore televisivo Libreria del Mondo Offeso, via C. Cesariano, 7, Milano SICILIA Venerdì 5 giugno, ore 17 MATERIALI ED ARTI Presentazione del libro «Materiali ed arti applicate in Sicilia tra il XVIII e il XX secolo» di Aldo Rotolo (500g edizioni, 2014). Istituto Gramsci siciliano, Cantieri culturali alla Zisa, via Paolo Gili 4, Palermo TOSCANA Giovedì 4 giugno, ore 18 UNDERGROUND LIGHTS Massimo Presciutti presenta domani una serata/evento artistico dal titolo «Underground lights» con la partecipazione di Jamie Marie Lazzara - violino e Maddalena Chelini, Archeologa del Museo Fiorentino di Preistoria Paolo Graziosi. Ibs, via de Cerretani 16r, Firenze Venerdì 5 giugno, ore CALVINO E LA MAREMMA Presentazione del libro «Calvino e la Maremma» (Edizioni Effigi) che raccoglie gli atti del convegno La ricerca di senso nell opera di Italo Calvino: intrecci tra psicoanalisi e gioco linguistico tenuto a Grosseto nel marzo 2013 a cura dell Associazione «Metis» di psicologi psicoterapeuti e dell Associazione «OTTETTO» che si occupa di giochi ed enigmistica. Biblioteca Comunale «Italo Calvino», Castiglione della Pescaia (Gr) Tutti gli appuntamenti: eventiweb@ilmanifesto.it COMMUNITY INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: lettere@ilmanifesto.it La fuga della Liguria L esito del voto del 31 Maggio in Liguria ha scatenato, anche e soprattutto a livello nazionale, una ridda di polemiche rivolte essenzialmente al ruolo dei cosiddetti scissionisti del PD, autori di un esiziale divisione a sinistra (doppie virgolette). Non è così e provo a riassumere schematicamente per punti alcune argomentazioni che mi paiono inoppugnabili perché assolutamente confermata dalla lettura dei numeri. 1) Le elettrici e gli elettori liguri hanno, prima di tutto, bocciato il governo uscente della Regione. Nel 2010 Claudio Burlando fu eletto con voti. Cinque anni dopo la candidata del PD, perfetta espressione della continuità con la Giunta uscente avendone fatto parte addirittura, nella terra delle alluvioni, con la responsabilità della Protezione Civile (con tanto di indagine penale) è arrivata a voti. Una flessione, quindi, di suffragi. 2) Le elettrici e gli elettori liguri hanno seccamente bocciato l operato di governo del PD di Renzi. Nel 2014, infatti, nell occasione delle elezioni europee il PD raccolse voti. Domenica scorsa il risultato si è contratto a Una flessione di voti (comunque in meno rispetto alla perdita della Paita da Burlando: a dimostrazione della debolezza della candidatura. Errore esiziale in tempi nei quali si cerca di imporre la personalizzazione della politica.) 3) Le elettrici e gli elettori liguri hanno bocciato anche l intero quadro politico. In 12 Mesi (rispetto a un numero sostanzialmente inalterato di iscritti nelle liste: soltanto in più) il totale dei voti validi è sceso da a , con una perdita di espressioni di voto. 4) Anche il Movimento 5 Stelle, in 12 mesi, ha fatto registrare una notevole flessione passando da voti (2014) a (2015). Un meno suffragi. 5) La presenza di forze alla sinistra (sempre doppie virgolette) del PD c è sempre stata. La Lista Tsipras nel 2014 raccolse voti e i Verdi Oggi le due liste di appoggio alla candidatura Pastorino hanno ottenuto complessivamente voti, in flessione anch esse. Pastorino come candidato Presidente ha ottenuto voti. Nel 2010 IDV, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, SeL e Verdi ottennero complessivamente voti. Soltanto che all epoca la spocchia della vocazione maggioritaria era tramontata e tutti questi soggetti facevano parte della coalizione di Burlando. 6) La vittoria di Toti è stata ottenuta in discesa anche piuttosto ripida. Nel 2010, infatti, Biasotti perse ottenendo voti guidando uno schieramento identico a quello del 2015: con centrodestra e destra unite. Il consigliere politico di Forza Italia invece, ha vinto, con voti. Un calo di voti. Per la cronaca, rispetto al 2010, ha perso voti anche la tanto celebrata Lega Nord che realizzò allora un bottino di voti mentre il 31 Maggio ne ha avuto , con una flessione di voti. 7) In realtà, e per concludere, le elezioni in Liguria sono state decise dall astensionismo. Nel 2010 vi furono, per le candidature a Presidente, espressioni di voto; domenica scorsa ridotte a (meno ). Franco Astengo Quotidiano del M5S Da domani non vi comprerò più. Continuare a leggere su un «Quotidiano Comunista» le continue critiche al Pd, al suo segretario e al capo del governo di centro sinistra si resta di stucco. Se poi aggiungiamo i continui elogi gratuiti al movimento più qualunquista e populista che siede in parlamento a fare muffa si resta alquanto basiti. Ennio Dozzi Treviglio (BG) L arroganza non paga Caro Manifesto, le elezioni han certo dimostrato che «non paga» l arroganza e le politiche di destra del PD, ma anche l assenza di una proposta di sinistra. Anche il Manifesto non ha compreso che occorre andare oltre gli steccati che hanno portato al disastro attuale. Le interviste a Fassina e Vendola lo dicono chiaramente: con questa sinistra non si cambia. Perché, cari miei, il problema dovrebbe essere cambiare non vincere. Fare una proposta per un vero cambiamento metterebbe in campo nuove energie, voglia di mettersi in gioco di quasi tutto il 50% che non ha votato. E soprattutto basta con i soliti nomi, sempre loro... tornino a lavorare, lascino spazio a nuove proposte. Ed anche voi, aiutateli a fare questo passo. Francesco Giordano La Grecia non è la Polonia Nel 1991, ad un anno dall arrivo al potere di Lech Walesa in Polonia, i creditori internazionali accordavano all amico del Papa una riduzione del 50% del debito nazionale. La Germania, che vantava 9.1 miliardi di marchi di credito, lo riduceva a 4.55 miliardi e inoltre lo spalmava nell arco di 18 anni, segnale inequivocabile della «fratellanza» della finanza europea con i vari governi di destra. Tesi che prende forza ora, quando la Grecia sta annaspando in cerca di un aiuto che al suo governo di sinistra nessuno vuole accordare. La Grecia vanta il sigillo sulle carte democratiche del nostro mondo attuale, al contrario degli Stati Uniti che nel 1868, alla fine della guerra civile, dichiaravano nullo il debito della confederazione di cui nessuno ricorda più nulla. Carla Battistella, San Giorgio di Nogaro (Ud) Gay il razzismo del Vaticano «I matrimoni gay sono una sconfitta per l umanità», queste sono le parole del segretario di stato della Santa sede Parolin, dopo i risultati del referendum in Irlanda che legittimano i matrimoni gay. Papa Francesco aveva detto tempo fa: «chi sono io per giudicare gli omosessuali». Frase alla quale era stata data una enfasi esagerata, la chiesa più evoluta dice: io non giudico, li accetto ma devono starsene da parte, tradotto: non chiedere nessun diritto e ora ne abbiamo la prova. Il sesso è un grande problema per gli «uomini di chiesa», delle donne è vietato parlarne. Chi vuole vivere la «sua» sessualità finalmente alla luce del sole, fuori dalla colpa e dalla vergogna in armonia con quello che la nascita gli ha dato, (non è un scelta come non è una scelta quella di essere eterosessuali) deve avere la Chiesa e lo Stato contro. Per chi vive in maniera problematica la sua sessualità arrecando danni impensabili e indicibili a chi la subisce è sufficiente cambiare «Parrocchia» confondendo in maniera subdola la pedofilia con l omosessualità. Oggi quante donne e quanti uomini che si sentono vicini alla chiesa si sentiranno abbandonati ai margini dell umanità? Gli uomini e le donne nascono bianche/i, neri/e, gialli/e eterosessuali, omosessuali, lesbiche, transessuali, bisessuali. Chi non non li accetta è semplicemente razzista. Carmen Marini «Se usi LSD, salterai giù dal tetto»: con argomenti come questo, pur mascherati da un linguaggio pseudoscientifico, circa mezzo secolo fa furono demonizzate e bandite le sostanze psichedeliche, classificate insieme alle droghe più «dure» nelle convenzioni internazionali e nei singoli paesi. Una decisione apparentemente legittimata dai noti casi di abuso, ma nella sostanza una grave prevaricazione ideologico-politica: e questo, tenuto conto sia dei dati sulla effettiva pericolosità, sia dei risultati che si andavano ottenendo nelle ricerche in campo psicologico e in quello della terapia di alcuni disturbi mentali. Tuttavia da qualche tempo si è avviato un processo di revisione di tale anomalia, per esempio, con lo studio del 2007 condotto nel Regno Unito da un gruppo di esperti FUORILUOGO Lsd legale? Un dibattito in Norvegia Giorgio Bignami le lettere sotto la guida del professor Nutt e con un secondo studio sui criteri di classificazione del danno delle sostanze pubblicato sul Lancet nel ( In base a un indice di pericolosità comprensivo di tre componenti (danno fisico, dipendenza, danno sociale), su 20 droghe lecite e illecite l Lsd e l ecstasy finirono rispettivamente in 14a e in18a posizione: lontanissimi da droghe illecite dure come l eroina e la cocaina (prime due posizioni) e da droghe lecite come l alcol (sesto) e il tabacco (nono). Ora un servizio del New York Times dei primi di maggio, ripreso da Repubblica/Nyt del 18, è dedicato a un gruppo norvegese di advocacy per la legalizzazione delle sostanze psichedeliche (principalmente LSD, ecstasy e psilocibina). L iniziativa, lanciata dallo psicologo Pål-Örjan Johansen e da sua moglie Teri Krebs, ha avuto un successo inatteso, raccogliendo autorevoli sostegni sia scientifici che giuridici e politici. ll succitato professor Nutt ha sottolineato il contributo dell iniziativa alla lotta contro lo stigma e la paura per gli psichedelici, e come sia in corso un vero rinascimento della ricerca su di essi dopo decenni di paranoia e di censura letali per la scienza. E aggiunge «l Lsd terrorizza i governi, che hanno una paura tremenda che cambi il modo in cui la gente guarda al mondo». Il direttore medico dell Agenzia norvegese del farmaco, Steinar Madsen, ha espresso il suo interesse per l iniziativa (data la sua posizione, ovviamente, non poteva spingersi oltre). Un giudice in pensione della Suprema Corte norvegese, Ketil Lund, ha dichiarato il suo sostegno in quanto la proposta contribuisce alla battaglia contro le politiche antidroga dei paesi occidentali, che ha definito un «fallimento assoluto». Un analogo appello dello psichiatra britannico James Rucker, per una riclassificazione di LSD e altri psichedelici tale da liberare dalle pastoie gli studi mirati alla valutazione del loro potenziale terapeutico, è apparso il 26 maggio sul British Medical Journal ( anche questo ripreso in un vistoso paginone di Repubblica il giorno successivo (p. 37). Comunque su molte altre azioni in questa direzione non possiamo soffermarci ulteriormente. Insomma, si moltiplicano e si qualificano i focolai di opposizione alle politiche proibizioniste: cioè al coro di denunce dei disastri della guerra alla droga, si aggiungono strada facendo, nella marcia verso UNGASS 2016, gli specifici interventi che insistono sui danni alla ricerca scientifica, a importanti aree della terapia, all esercizio dei diritti come le scelte ricreazionali. E quanto ai rischi, ricorda Johansen:«Ogni cosa comporta un rischio: se passeggiate in una foresta, un albero può cadervi in testa; ma questo non significa che non dovreste mai entrare in un bosco».

15 MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 il manifesto pagina 15 COMMUNITY FILOSOFIA E ONCOLOGIA La relazione con il malato è una possibilità di cura in più La politica del Csm e il caso Lo Voi U na settimana fa il Tar Lazio ha annullato la nomina del Procuratore della Repubblica di Palermo, effettuata dal Consiglio superiore della magistratura nel dicembre scorso (preferendo Francesco Lo Voi a Sergio Lari e Guido Lo Forte, procuratori della Repubblica rispettivamente di Caltanissetta e di Agrigento). La notizia, oltre a una qualche immediata eco di stampa (per lo più con accenti scandalistici, quasi che si trattasse di un unicum nella nostra vicenda istituzionale) ha suscitato una polemica che ha avuto come protagonisti Giovanni Fiandaca (Il Foglio del 27 maggio) e Gian Carlo Caselli (Il fatto quotidiano del 29 maggio). D accordo nel ritenere inevitabile l annullamento, non avendo il Consiglio dato spiegazione delle ragioni della pretermissione dei titoli specifici dei candidati soccombenti (all evidenza maggiori di quelli di Lo Voi), i due commentatori si dividono sulla valutazione della decisione del Consiglio. Secondo Fiandaca essa risponde all intento di chiudere, con la nomina di un magistrato "moderato" e in buona parte estraneo all ufficio, una stagione della Procura palermitana e, più in generale, «di arrestare, e al tempo stesso di prevenire, i guasti e le derive ad ampio raggio di una certa antimafia giudiziaria fondamentalista e scontrollata»: intento indicibile ma prosegue Fiandaca sacrosanto «per la salute della nostra democrazia». Per Caselli, che di quella stagione è stato protagonista, la ricostruzione effettuata da Fiandaca, oltre a poggiare su dati di fatto errati (come l asserito coinvolgimento, seppur indiretto, di Lari e Lo Forte nel processo sulla trattativa Stato-mafia) è incompatibile con il ruolo del Csm che «non può e non deve interferire in alcun modo con la giurisdizione». Quest ultimo rilievo sul rapporto tra organo di governo della magistratura e giurisdizione è incontestabile ma lascia senza risposta il nodo fondamentale: perché il Csm ha nominato Lo Voi disattendendo propri Livio Pepino orientamenti consolidati? Se non si risponde a questa domanda non si capisce che cosa è accaduto da ultimo e cosa sta accadendo nel Consiglio superiore, nei suoi rapporti con le altre istituzioni e, più in generale, nella giurisdizione. Perché una cosa è certa: la nomina di Lo Voi non è stata un infortunio o un errore tecnico o il frutto di logiche interne alle correnti della magistratura, ma una scelta (o, più esattamente, una forzatura) politica, in gran parte eterodiretta. Ed è esattamente la scelta indicata da Fiandaca (che sbaglia nel ritenerla condivisibile, ma non nel descriverla), inscritta in una strategia che viene da lontano e ha Il nodo del contendere è, da alcuni decenni, l autonomia della giurisdizione dai circuiti del potere, voluta dalla Costituzione ma intollerabile in tempi di accentramento e di decisionismo molti padri e madri. Il nodo del contendere è, da alcuni decenni, l autonomia della giurisdizione dai circuiti del potere, voluta dalla Costituzione ma intollerabile in tempi di accentramento e di decisionismo. La caduta verticale di credibilità della politica ne impedisce peraltro, dopo i tentativi berlusconiani, una esplicita riduzione. Di qui ripetuti interventi per indebolirla in maniera indiretta. Si è cominciato con alcune modifiche bipartisan dell ordinamento giudiziario che accentuano i poteri dei capi degli uffici (soprattutto di Procura) e aumentano a dismisura la discrezionalità del Csm nelle relative nomine (svincolate da criteri oggettivi e legate, conseguentemente, a valutazioni del tutto soggettive). Modificate le norme occorreva controllare il Consiglio. E l operazione si è sviluppata con alcune tappe fondamentali: l interventismo a piedi giunti del presidente Napolitano che, innovando rispetto ai suoi immediati predecessori, ha drasticamente ridotto le prerogative del Consiglio rivendicando un discutibile (a dir poco) potere di definizione dell ordine del giorno e di controllo preventivo su tutte le decisioni rilevanti; l acquiescenza a tale impostazione della componente togata del Csm e, in generale della magistratura, che spesso, durante la lunga età di Napolitano, hanno preferito al confronto pubblico un filo diretto e riservato con il Quirinale; la scelta del Parlamento di privilegiare, nella nomina dei componenti laici, i percorsi e i legami politici rispetto alle competenze e ai meriti scientifici (fino ad arrivare al transito diretto dell attuale vicepresidente da un incarico di Governo). Questo insieme di fattori ha condotto progressivamente e in modo sempre più marcato a decisioni consiliari dettate da scelte di politica generale più che dal rispetto di regole predeterminate e da valutazioni di buon funzionamento della giurisdizione. La nomina di Lo Voi a procuratore di Palermo si colloca in questa logica, come dimostrano il clima che l ha preparata e il concorso unanime dei componenti laici di tutte le estrazioni (compresi Sel e 5Stelle) in non casuale alleanza con i vertici della Cassazione e i membri togati del gruppo che fa capo a un ex consigliere (Cosimo Ferri) da tempo approdato al ruolo di sottosegretario alla giustizia. Se non si coglie questo intreccio e non si opera per denunciarlo e invertire la tendenza molti altri casi analoghi a quello della Procura di Palermo si ripeteranno (magari occultati da motivazioni formali più accurate). E a poco servirà dolersene a cose fatte, magari a seguito dell intervento di un Tar. Ivan Cavicchi I nsieme a GianMauro Numico modo di intendere la terapia. Considerando la complessità del mala- ho scritto "La complessità che cura, un nuovo approccio to di cancro non un problema una all oncologia" (edizioni Dedalo). risorsa da usare, parlando di cura e Un filosofo per la medicina e un primario oncologo rispondono a diverse domande per esplorare la possibilità, con i mezzi scientifici di cui disponiamo, di accrescere gli effetti della cura del cancro. In questi ultimi anni, attraverso i media, il cancro è stato abbastanza sdrammatizzato e per certi versi banalizzato. Sembrava bastasse non solo di terapia. E necessario rammentare che la medicina oncologica, come del resto tutta la medicina di matrice positivista, è soprattutto impersonale cioè orientata all oggettività biologica della malattia. Il libro vuole risolvere il problema dell impersonalità, aprendo la strada ad una specie più avanzata di clinica nella quale alla conoscenza oncologica della malattia si aggiungono mangiare più verdure quelle e evitare le carni rosse per essere del malato quindi conoscenze ontolo- onco-protetti giche, relazionali, e che i nuovi farmaci linguistiche, situa- avessero la zionali, cognitive, meglio sull indomita malattia. Ma il cancro resta il cancro...e continua vistosamente a crescere: logiche. Quella che nel libro è definita "onto-oncologia". Gianni Bonadonna il vero grande aumentano maitre a pensér gli italiani che dell oncologia italiana, vivono con il cancro,(+17% in cinque è autore del trattato di oncolo- anni), cinque gia più studiato, anni fa i malati di cancro erano 2 milioni e mezzo, oggi sono più di 3 e 1 malato su 4 è completamente ma è anche colui che, quale malato, ha scritto libri con i quali dimostra che il suo trattato, nei guarito.(7 confronti della rapporto Favo) Siccome il cancro continua ad aumentare e la sua guaribilità per quanto in crescita resta bassa, acquista importanza strategica la curabilità perché è da questa che dipende il grado di sopravvivenza. Per "grado di sopravvivenza" si intende una valutazione clinica qualitativa giustificata con il tempo di vita. Oggi il trattamento dei tumori si avvale di molti approcci e di diversi mezzi ma il principale, resta quello farmacologico (chemioterapia). Alle terapie in genere si accompagnano problemi e tantissimi sono i fattori che ne abbassano il grado di efficacia ottimale. Fin qui i presupposti del nostro lavoro. E ora le domande: siamo sicuri che il grado di sopravvivenza oggi consentito dai mezzi di cui disponiamo e dagli approcci impersonali delle terapie sia quello massimo sia in termini di qualità che di quantità? E che la sopravvivenza non possa variare con la qualità personale del trattamento e con i modi attraverso i quali esso viene effettuato? Siamo sicuri che il trattamento sia concettualmente riducibile solo all impiego di mezzi terapeutici? Siamo sicuri che il modo corrente di intendere la terapia sia quello più efficace? Se la sopravvivenza dipende dalla cura e se questa non dipende solo dai mezzi di cui dispone ma anche dai modi come viene fatta...allora.. quale sopravvivenza sarebbe possibile se i modi della cura fossero più adeguati alle complessità del malato di cancro? Il nostro studio ritiene possibile accrescere, a fronte delle terapie disponibili, il grado di sopravvivenza attraverso un ripensamento del complessità del malato, resta inadeguato...ma senza mai come malato ripensare l oncologo e senza mai come oncologo ripensare il malato. Non è vero che la conoscenza in medicina dev essere per forza impersonale, al contrario essa per essere davvero tale deve diventare conoscenza bio-onto-biografica. Per un oncologo questo è possibile accettando di misurarsi con un livello più alto di complessità : il tumore non è solo una complicazione biologica di un qualche organo del corpo, ma è anche il malato nella sua interezza e l oncologo che lo cura. Questa complessità nonostante gli sforzi compiuti dall oncologia nella cura del cancro non c è, nel senso che non è prevista, in nessun protocollo terapeutico, e meno che mai nella formazione di un oncologo o di un infermiere...perché sino ad ora è stata vista come non scienza, mentre a saperla usare essa può addirittura migliorare gli esiti dei trattamenti disponibili fino a migliorare il grado di sopravvivenza del malato. Se si va oltre i tanti luoghi comuni sull umanizzazione e oltre lo standard view dell idea di terapia la parola chiave è: relazione di cura. Non si tratta di un problema di amabilità, di buone maniere, di rispetto. E un altro modo di conoscere la malattia, cioè è un altro genere di clinica. La relazione tra persone è complessità e se la complessità cura allora la relazione è una possibilità di cura in più. Quindi un possibile grado maggiore di sopravvivenza. Ecco perché un filosofo e un oncologo hanno deciso di scrivere questo libro. il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco DESK Matteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi, Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, Roma via A. Bargoni 8 FAX , TEL REDAZIONE redazione@ilmanifesto.it AMMINISTRAZIONE amministrazione@ilmanifesto.it SITO WEB: iscritto al n del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di Roma n ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge n.250 IBAN: IT 30 P COPIE ARRETRATE 06/ arretrati@redscoop.it STAMPA litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma - litosud Srl via Aldo Moro 4, Pessano con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl poster@poster-pr.it SEDE LEGALE, DIR. GEN. via A. 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16 pagina 16 il manifesto MERCOLEDÌ 3 GIUGNO 2015 L ULTIMA storie China Il primo produttore e consumatore al mondo di sigarette, mette al bando il fumo nei locali pubblici. Alla prova un abitudine storica, che ha avuto come protagonisti anche i grandi del passato, da Mao a Deng & CIGARETTES Simone Pieranni I n Cina già un paio d anni fa ci avevano provato. Appena entrato nel negozietto sotto casa che vendeva jiaozi e ravioli al vapore, oltre a buonissimi spaghetti xinjianesi, il proprietario mi aveva fatto notare il cartello appeso sopra il menu: «Vietato fumare». Avevo giusto la sigaretta in mano, poco dopo essermi seduto. Gli avevo chiesto: «Ma davvero?». E lui sorridendo mi aveva allungato il posacenere. Gli ho offerto una delle mie sigarette (Hongtashan, prodotte in Yunnan, ma distribuite su tutto il territorio nazionale; baide ruande, bianche, morbide, quelle che scherzando si dice siano le «preferite dai camionisti cinesi») e sfumacchiando avevo scherzato sul divieto. «Impossibile che si possa mai realizzare», perché i cinesi, per quanto possa apparire strano in Occidente, sono refrattari ai divieti, alle regole. Avevamo dunque concluso che non avrebbe mai e poi mai funzionato, concludendo così la nostra chiacchierata, soddisfatti di aver criticato il governo e pontificato sui massimi sistemi e infine parlato dei ravioli di Shanghai. Tutto sembrava sotto controllo. E invece: da ieri in Cina è davvero vietato fumare nei luoghi pubblici al chiuso. Xi Jinping non fuma Un provvedimento nell aria da tempo, perché i morti per cancro in Cina sono troppi e perché Xi Jinping non è un fumatore e sua moglie Peng è un attivista della campagna nazionale contro il fumo, sussurrano alcuni. Sono voci, dicerie. Resta - in ogni caso - un duro colpo per parecchi cinesi, perché secondo i media internazionali, solo a Pechino ci sarebbero almeno 4,9 milioni di fumatori, che si fumerebbero almeno 15 sigarette al giorno. In effetti la percezione per chi arriva in Cina, è quella di un paese di fumatori accaniti. È consuetudine offrire sigarette a cena, o quando si incontra qualcuno; è apprezzato lo straniero che fa lo stesso, nei centri massaggi c è sempre un pacchetto di sigarette accanto alla poltrona, ai matrimoni, sui tavoli agghindati, ci sono sempre pacchetti di sigarette, le «Doppia Felicità» o altre ben più costose. È un segno del proprio status sociale, o almeno lo era. Ad esempio gli stranieri, in gran parte, fumano le «leggerine» Zhongnanhai numero 8. Pacchetto rigido, bianco e blu. Si chiamano Zhongnanhai (il Cremlino cinese) perché furono prodotto e fabbricate appositamente per lui, il Grande Timoniere (che spesso si faceva ritrarre sigaretta in mano. Celebre la sua foto attorniato da ragazze, con una pronta a offrire il fuoco). E Zhongnanhai è anche il nome di una canzone di una nota rock band pechinese (i Carsick Cars), piuttosto in voga negli scorsi anni; ai loro concerti, quando suonavano nei club come lo Yugongnishan a Pechino, di solito chiudevano i loro concerti proprio con la canzone che dava il nome al gruppo: Zhongnanhai. Ed era abitudine tirare sul palco parecchie sigarette, rito pagano del rock locale. Anche i «grandi» del paese - dunque - fumavano. Ci sono ancora in giro, e si dice siano le preferite dei funzionari, sigarette costosissime, anche 30 euro al pacchetto (in Cina un pacchetto costa poco più di un euro, infatti la spesa mensile per il fumo è di circa 20 euro) o addirittura 100 euro. Ci sono le «Panda» ad esempio, che erano fumate niente meno che da Deng Xiaoping. La diplomazia del posacenere Altro celebre scatto: Deng stravaccato su una poltrona, mentre rovista il pacchetto per prendere la sigaretta. È pronto ad accenderla. Accanto a lui c è Henry Kissinger. Altri tempi: perché già dal 2013 ai funzionari del Partito è proibito mostrarsi in pubblico sfumazzanti. Per varie ragioni: una prima di educazione civica. Una seconda di salvaguardia. Qualche funzionario è stato beccato, attraverso foto che sono girate on line, durante conferenze stampa, con pacchetti di sigarette un po' troppo costose per il proprio rango di funzionario «del popolo». Gli esiti sono stati spesso catastrofici. C è anche chi, per colpa delle sigarette, si è dovuto dimettere. Il fratello del premier Li Keqiang era il vice capo del potente monopolio dei tabacchi di Statoche fornisce dal 7 al 10 per cento delle entrate del governo, pari a quasi 816 miliardi di yuan nel Li Keming, fratello minore del premier, era vice capo dell organizzazione dal Si è dimesso, «risolvendo un potenziale conflitto di interessi, dato che la Cina è il più grande consumatore di tabacco del mondo», hanno scritto i media locali. Il vicedirettore Li Keming della State Tobacco Monopoly Administration ha lasciato il suo incarico e insieme a lui hanno fatto lo stesso diversi altri funzionari. I CINESI E IL FUMO, NELLA FOTO A COLORI DUE CINESI IMPEGNATI A FUMARE, IN QUELLA A DESTRA IL GRANDE TIMONIERE MAO ZEDONG RITRATTO CON LA SIGARETTA IN MANO PRONTA AD ESSERE ACCESA DA UNA RAGAZZA, SOTTO DENG XIAOPING ALTRO ACCANITO FUMATORE, NELL ATTO DI ESTRARRE UNA SIGARETTA DAL PACCHETTO, DURANTE UN INCONTRO CON IL DIPLOMATICO AMERICANO HENRY KISSINGER INCIDENTE Almeno 5 le vittime accertate. Immediati i soccorsi, resi complicati dalle condizioni climatiche Tornado ribalta nave sullo Yangtze. Centinaia i dispersi O ltre tremila persone per le ricerche e i soccorsi, il premier Li Keqiang giunto sul posto. Ennesima tragedia in Cina, dove una nave che percorreva il tragitto sul fiume Yangtze, tra Nanchino e Chongqing, sarebbe stata ribaltata da un tornado, secondo la testimonianza del capitano che si è salvata. Nel naufragio sarebbero morte almeno cinque persone, ma sarebbero più di 400 i dispersi, in maggioranza uomini e donne tra i 60 e gli 80 anni e un bambino piccolo. Si tratta di un evento che ha tenuto banco per tutta la giornata di ieri sui media nazionali, mentre le ricerche proseguono. Secondo la Cctv, la televisione nazionale, il comandante e il capo ingegnere della nave affondata sono stati arrestati. Sulla nave viaggiavano 458 persone, tra cui 406 passeggeri cinesi, cinque dipendenti di agenzie di viaggio e 47 membri di equipaggio. Finora sono state tratte in salvo 12 persone, mentre i morti accertati sono cinque ed i dispersi sono 441. «In appena uno o due minuti è affondata». Si sarebbe espresso così il capitano della nave. Avrebbe raccontato gli attimi del naufragio all agenzia di stampa Xinhua, dopo essere stato tratto in salvo. Sia lui che l ingegnere capo, tra le 15 persone recuperate dopo la tragedia, hanno riferito che nella notte si è scatenato un tornado che ha fatto capovolgere la nave. L ufficio meteorologico ha confermato che al momento dell'incidente c erano forti venti nella zona, «fino a 120 chilometri orari», riporta il quotidiano Hubei Ribao. La ricerca dei 440 dispersi è ostacolata dal cattivo tempo. La nave «Stella d Oriente» era in viaggio da Nanchino, nell'est del Paese, verso Chongqing, nel sudovest. La profondità dell acqua dove è avvenuto l'incidente, hanno precisato i media locali, è di 15 metri. Per i soccorsi sono stati dispiegati oltre 3mila uomini e decine di imbarcazioni. Le squadre di sommozzatori intervenuti sul luogo dell affondamento hanno dichiarato inoltre di aver sentito dei rumori provenire dal suo interno. Lo hanno riferito i media cinesi, precisando che i soccorritori hanno sentito qualcuno bussare da dentro l imbarcazione, mentre stavano cercando un modo per raggiungere possibili sopravvissuti all'incidente. E adesso? Cosa succede ora? Secondo i regolamenti in vigore «i trasgressori devono affrontare multe di 200 yuan (circa 25 euro), un forte aumento rispetto alla precedente penalità di 10 yuan». Coloro che infrangono le regole tre volte saranno «svergognati» su siti web del governo della città. Inoltre anche i ristoranti potranno essere puniti, se consentiranno ai propri ospiti di fumare all interno dei locali. Ieri il South China Morning Post ha visitato «sette ristoranti» lungo la Guijie, la famosa «via dei fantasmi», con ristoranti aperti 24 ore su 24 a Pechino. «Certo che si può fumare, non ho sentito parlare del divieto di fumo», avrebbe detto un cameriere al giornalista. Un manager è parso più informato: «Non forniamo più posacenere e accendini. Abbiamo anche smesso di vendere le sigarette. Se gli ospiti vogliono fumare, chiediamo loro di farlo fuori». E la Cina è annoverata tra i precursori della sigaretta elettronica. «Nel ha scritto il Global Times - sono stati registrati 8 brevetti di invenzioni di e-sigarette. Nel 2012 la cifra era salita a 220 e l'anno scorso sono diventate 500».

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